La rilevanza giuridica del consenso nel delitto di violenza sessuale
Sommario: 1. Premessa – 2. Struttura dell’art. 609bis c.p. – 3. Altri delitti di violenza sessuale – 4. Il consenso nel delitto di violenza sessuale: Cass., sent. n. 1559/2022 – 5. Conclusione
1. Premessa
Il delitto di violenza sessuale[1] è stato introdotto dalla L. n. 66/1996 ed è previsto dall’art. 609bis c.p., inserito all’interno del titolo XII, capo III dedicato ai delitti contro la libertà individuale.
La predetta riforma è espressione, dal punto di vista normativo, della rivoluzione culturale e sociale che ha investito la concezione della sessualità nella società moderna.
Il cambiamento dei costumi sessuali ha infatti contribuito ad elaborare una nuova nozione di sessualità come estrinsecazione della libertà della persona e dei valori ad essa connessi ed ha evidenziato gli effetti della violenza sessuale sulla personalità della vittima.
Oltre alla L. n. 66/1996, recentemente, la L. n. 69/2019 (c.d. Codice Rosso) ha ridisegnato la cornice edittale del delitto di violenza sessuale prevedendo inasprimenti di sanzione.
2. Struttura dell’art. 609bis c.p.
Ai sensi dell’art. 609bis c.p. “chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali, è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni d’inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.”
La ratio della norma è tutelare la libertà sessuale non più come attinente alla moralità pubblica o al buon costume, ma alla persona umana e alla libertà personale.
La norma è articolata in due fattispecie principali: da un lato, la violenza sessuale per costrizione, le cui modalità esecutive sono la costrizione, la minaccia e l’abuso di autorità; dall’altro lato, la violenza per induzione, le cui modalità esecutive sono l’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa e l’inganno con sostituzione di persona.
La determinazione del bene giuridico tutelato non è pacifica.
In relazione alla fattispecie per costrizione di cui al primo comma, si riconosce che oggetto della tutela sia la libertà sessuale dell’individuo come diritto fondamentale della persona.
Per quanto riguarda la fattispecie per induzione di cui al secondo comma, si pone il problema se bene protetto sia la libertà sessuale o l’intangibilità sessuale; tuttavia, ragioni di coerenza sistematica fanno propendere per la prima tesi.
Soggetto attivo del reato può essere chiunque.
Sotto il vigore della precedente disciplina si era discusso in ordine alla configurabilità del reato in capo al coniuge che esercitava violenza sull’altro coniuge per esigere un rapporto sessuale.
La giurisprudenza prevalente riteneva che non si potesse configurare reato sulla base di un presunto diritto alla congiunzione sessuale nascente dal matrimonio.
Tale orientamento è ad oggi superato.
La Costituzione riconosce parità nel rapporto tra coniugi ed è esclusa ogni coercibilità dell’obbligo di dedizione sessuale.
La fattispecie obiettiva della violenza sessuale sia per costrizione, sia per induzione è costruita sul sintagma “compimento di atti sessuali.”
Sul significato di “atti sessuali” si fronteggiano più orientamenti.
Secondo una tesi, gli atti sessuali si identificano con gli atti di libidine, e ne comprendono l’intera gamma. In tale categoria vi rientrerebbero tutte le manifestazioni di aggressività sessuale.
Altra tesi, più restrittiva, ritiene che per atti sessuali si intende ogni condotta che integra vere e proprie molestie sessuali. Le molestie sessuali sarebbero la soglia minima di rilevanza degli atti sessuali, al di sotto della quale mancherebbe la tipicità.
La nozione di atti sessuali è un elemento normativo extra-giuridico all’interno della struttura del reato, per la cui determinazione occorre fare riferimento alle scienze antropologiche e sociologiche.
Inoltre, l’atto sessuale deve fare riferimento al sesso dal punto di vista anatomico, fisiologico e funzionale. Pertanto, l’identificazione della natura sessuale dell’atto richiede una preliminare attività di riscontro: occorre che l’aggressione abbia ad oggetto una zona erotica della vittima.
Tale ricostruzione però esclude quei casi in cui la violenza si rivolge a parti del corpo che non vengono considerate zone erogene dello stesso.
Al fine di evitare un’interpretazione restrittiva di atti sessuali, parte della giurisprudenza ha suggerito di attribuire una corretta collocazione agli impulsi e alle intenzioni soggettive dell’agente, valutando in maniera complessiva la potenziale suscettibilità erotica del soggetto attivo e la natura sessuale dell’atto in sé considerato.
Come accennato, la norma si articola in due fattispecie: la violenza per costrizione (co. 1) e la violenza per induzione (co. 2).
La prima fattispecie, ossia la violenza per costrizione, si realizza con violenza, minaccia o abuso di autorità. In tutte le tre ipotesi è necessario che il soggetto passivo sia stato costretto a compiere o subire atti sessuali.
Il requisito della costrizione serve ad evidenziare che il fatto deve avvenire contro la volontà del soggetto passivo.
Presupposto della costrizione fisica è il dissenso del soggetto passivo al rapporto sessuale. Il dissenso della vittima deve permanere durante tutto il tempo della violenza oppure deve seguire ad un iniziale consenso, revocato durante la consumazione dell’atto sessuale per il sopravvenire di una nuova situazione psicologica.
Nella violenza sessuale per costrizione, la violenza è intesa come impiego di forza fisica o energia che agisce sull’offeso.
È sufficiente che la violenza sia idonea a vincere in concreto le resistenze della vittima, valutabili in base alle condizioni fisiche e ambientali della stessa.
La minaccia o violenza morale è intesa come manifestazione della volontà di cagionare un danno o determinare una situazione di pericolo, se il minacciato non acconsenta alla congiunzione carnale. La minaccia è la prospettazione di un male futuro e ingiusto alla vittima del reato. L’idoneità della minaccia a coartare la vittima va valutata in relazione alle circostanze di tempo, luogo e fisiche.
Infine, l’“abuso di autorità” indica le ipotesi di violenza sessuale commesse nell’esercizio di qualunque forma di autorità sulla vittima. Non sussiste un elenco specifico dei soggetti passivi del reato, poiché vi sono ricompresi tutti coloro che si trovano in stato di soggezione dei confronti di un’autorità.
Autorità indica qualsiasi posizione di superiorità o preminenza, indipendentemente dall’esistenza o no di poteri di coercizione.
Quanto alla nozione di abuso, si indica il cattivo uso della posizione di autorità che il soggetto attivo riveste nei confronti della vittima. Si tratta di tutti quei comportamenti che costituiscono uso deviato o distorto di autorità.
La seconda fattispecie, ossia la violenza sessuale per induzione, è una nuova condotta che si caratterizza per le modalità di commissione del fatto, cioè all’abuso di condizioni d’inferiorità fisica o psichica e all’inganno mediante sostituzione di persona.
L’abuso consiste nell’approfittamento delle condizioni del soggetto passivo. L’induzione può consistere in un comportamento sia fisico sia verbale e non richiede un vero e proprio inganno o costrizione che rileva invece ai sensi del co. 1 dell’art. 609bis c.p.
È punita altresì la condotta di chi compie atti sessuali con inganno sostituendosi ad altra persona.
La condotta incriminata consiste nel compiere atti sessuali tramite scambio di persona.
Il dolo è generico: è necessaria la coscienza e volontà di costringere il soggetto passivo mediante violenza o minaccia a congiunzione carnale; o la coscienza e volontà di compiere o subire atti sessuali abusando della propria autorità.
Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui è compiuto l’atto sessuale.
Il tentativo è ammissibile.
L’art. 609ter c.p. prevede una serie di ipotesi in cui i fatti previsti dall’art. 609bis c.p. sono puniti più severamente.
Invece il co. 3 dell’art. 609bis c.p. prevede una circostanza attenuante nei casi di minore gravità.
L’art. 609septies c.p. prevede la generale procedibilità a querela della persona offesa.
3. Altri delitti di violenza sessuale
Nel solco della riforma del 1996, altre novità legislative hanno interessato i delitti di violenza sessuale, tra cui in particolare, l’apposita figura di atti sessuali con minorenni ai sensi dell’art. 609quater c.p[2].
La norma pone un’autonoma e specifica fattispecie di reato nel caso in cui gli atti sessuali, violenti o abusivi, siano posti nei confronti di un minore di anni quattordici, al fine di tutelare l’intangibilità sessuale del minore e consentire un sano e armonioso sviluppo della persona, nei suoi aspetti fisici e psichici.
E, acquista pregio anche l’art. 609octies c.p. che punisce la violenza sessuale di gruppo[3].
Tale norma ha un duplice obiettivo di politica criminale: da un lato, evidenziare la carica di disvalore etico-sociale e la particolare forma di aggressività che caratterizza tali fatti; dall’altro, sottoporre a un trattamento sanzionatorio più grave la violenza sessuale commessa da più agenti ai danni di una sola vittima.
4. Il consenso nel delitto di violenza sessuale: Cass., sent. n. 1559/2022
Dopo aver analizzato il delitto di violenza sessuale, si pone l’attenzione sulla nozione di “consenso” del soggetto passivo del reato e sulla rilevanza giuridica dello stesso.
La giurisprudenza[4] prevalente ha affermato che la libertà sessuale dell’individuo è un diritto inviolabile dell’uomo (art. 2 Cost) e pertanto a integrare il reato di violenza sessuale è sia la condotta invasiva della sfera della libertà e integrità sessuale altrui realizzata in presenza della manifestazione di dissenso della vittima; ma anche quella posta in essere in assenza di consenso, non espresso neppure in forma tacita, dalla persona offesa.
Si deduce che il consenso deve essere validamente prestato e deve permanere per tutto il tempo in cui sono compiuti gli atti sessuali.
Nei rapporti sessuali tra soggetti maggiorenni il compimento di atti sessuali deve essere sorretto da un consenso che deve sussistere al momento iniziale e deve permanere nell’intero compimento dell’atto sessuale.
L’eventuale manifestazione di dissenso, che può essere non esplicita ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà e può intervenire in itinere, esclude la liceità dell’atto sessuale.
Inoltre, la Cassazione[5] ha recentemente affermato che, per configurare l’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l’agente sia consapevole del fatto che non sia stato manifestato chiaramente il consenso da parte della vittima al compimento degli atti sessuali.
È irrilevante l’errore sull’espressione del dissenso anche ove questi non sia stato esplicitato. Può fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solo quando l’errore si basa sul contenuto espressivo ed equivoco di positiva manifestazione di volontà da parte dell’offeso.
Infine, è ormai pacifico che l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, poiché la mancanza del consenso è un requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia in un errore inescusabile su legge penale.
5. Conclusione
In definitiva, la L. n. 66/1996 ha introdotto un assetto di tutele imperniato sul rispetto della volontà della persona e sulla difesa dell’autodeterminazione della stessa soprattutto nell’ambito sessuale, elevando la libertà sessuale e individuale a diritti fondamentali della persona.
La giurisprudenza ha colorato di significato la nozione di consenso, precisando che il reato di cui all’art. 609bis c.p. si configura in presenza di una manifestazione di dissenso da parte della vittima, ma anche quando l’atto sessuale è posto in essere in mancanza di consenso, non espresso neanche tacitamente.
Inoltre, la Cassazione ha sottolineato che il consenso della vittima al compimento degli atti sessuali deve permanere per tutto il rapporto, potendo venire meno a causa di un successivo ripensamento o per la mancata condivisione delle forme di consumazione del rapporto.
Da tale ricostruzione risulta evidente l’intento del legislatore e della giurisprudenza di apprestare una tutela massima alle vittime di violenza sessuale.
[1] FIANDACA – MUSCO, Diritto Penale Parte speciale, Vol. II, tomo I, pp. 243-255
[2] FIANDACA – MUSCO, Diritto Penale Parte speciale, Vol. II, tomo I, pp. 255-260
[3] FIANDACA – MUSCO, Diritto Penale Parte speciale, Vol. II, tomo I, pp. 265-270
[4] ANNAPIA BIONDI, Il consenso nella violenza sessuale secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione in Cammino Diritto
[5] Cass., sent. n. 1559/2022
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Ambra Calabrese
Avvocato
Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi di laurea in diritto processuale penale dal titolo "L'avviso di conclusione delle indagini preliminari".
Conseguimento del diploma di specialista in professioni legali presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali "La Sapienza" di Roma.
Abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Roma.
Master in Diritto di famiglia e minori conseguito presso Studio Cataldi in collaborazione con il Centro Studi di Diritto di famiglia e dei minori di Roma.
Funzionario amministrativo presso il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.
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