La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale alla luce del principio dell’equo processo

La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale alla luce del principio dell’equo processo

Introduzione. La Corte europea dei diritti dell’uomo lo scorso 25 marzo si è espressa in merito alla configurabilità della violazione del diritto ad un processo equo tutelato dall’art. 6 CEDU nella specie di un vulnus al diritto di difesa degli imputati a seguito di un overturning della pronuncia assolutoria di primo grado resa in giudizio abbreviato con esclusione della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello[1].

La vicenda. Nel caso di specie, gli imputati, accusati del reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, chiedevano che il processo fosse celebrato nelle forme del rito abbreviato ai sensi dell’art. 441 c.p.p.

Il giudice dell’udienza preliminare, accogliendo la richiesta, disponeva, su istanza del pubblico ministero, l’audizione di un collaboratore di giustizia, le cui dichiarazioni venivano tuttavia ritenute indispensabili per l’accertamento di responsabilità di un coimputato, e non per valutare la posizione dei ricorrenti.

Il pubblico ministero proponeva appello avverso la pronuncia di assoluzione degli imputati, i quali venivano condannati in secondo grado per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa, senza che fosse disposta la rinnovazione istruttoria ai sensi dell’art. 603 c.p.p.

Il difensore degli imputati deduceva, mediante ricorso per Cassazione, erronea applicazione della legge penale ove la Corte territoriale aveva operato una reformatio in peius a fronte di una pregressa assoluzione sulla base di una mera rivalutazione del medesimo materiale probatorio.

I giudici di legittimità hanno sancito che, nel caso di celebrazione del processo nelle forme del giudizio abbreviato, la richiesta dell’imputato di definizione del processo allo stato degli atti determina la celebrazione già in primo grado di un processo basato non su oralità ed immediatezza ma sulla sola valutazione della documentazione inserita nel fascicolo del p.m.

Nel caso di specie, la testimonianza della quale non era stata disposta rinnovazione non risultava né decisiva ai fini del giudizio di condanna degli imputati né, tantomeno, discussa in termini di credibilità.

Il difensore degli imputati ha così proposto ricorso alla Corte EDU lamentando la violazione dell’art. 6 della Convezione in quanto la condanna era intervenuta per la prima volta in appello senza che fosse stata disposta la rinnovazione di alcuna testimonianza.

La decisione della Corte EDU. La Corte di Strasburgo non ha riconosciuto alcuna violazione dell’art. 6 della Convenzione, in quanto non sussistevano elementi idonei a ritenere che la rinuncia al diritto di assumere le prove in contraddittorio fosse stata compiuta in modo inconsapevole e involontario.

Al contrario, si trattava di una scelta espressamente manifestata dagli imputati mediante richiesta di contrazione del rito che viene giustificata e bilanciata dal beneficio della riduzione della pena.

La ratio della decisione si fonda sulla lettura dell’art. 6 CEDU che non impedisce di per sé la rinuncia volontaria e tacita delle garanzie di un processo equo, purché una simile deroga non contrasti con ragioni di interesse pubblico.

È stato, inoltre, sottolineato che la rinuncia, qualora sia volontaria e consapevole, si estende a tutti i gradi di giudizio ed esprime l’accettazione ex ante di un rito fondato su prove cartolari.

Si tratta dell’aspetto che maggiormente rileva ai fini del caso sottoposto alla Corte, per cui non si ravvisa alcuna violazione della normativa comunitaria dove la limitazione della garanzia processuale viene bilanciata e giustificata in virtù del beneficio correlato alla scelta del rito.

In definitiva, la Corte di Strasburgo esclude che esista una copertura convenzionale del diritto alla rinnovazione delle testimonianze decisive nel caso di overturning della sentenza assolutoria, anche nel caso in cui venga emessa all’esito di un giudizio celebrato con la forma del rito abbreviato.

Ad ogni modo, è concesso agli Stati membri di apprestare garanzie ulteriori rispetto a quelle previste dalla Convenzione e un’ipotesi si rinviene nell’art. 603, comma 3 bis c.p.p. che prevede l’obbligo di rinnovazione anche nel caso in cui vi sia stata rinuncia al contraddittorio, purché la rinnovazione abbia ad oggetto una prova dichiarativa decisiva.

Va sottolineato come tale impostazione non sia espressione di un’interpretazione convenzionalmente conforme della normativa nazionale, bensì corollario della garanzia di presunzione di innocenza che trova fondamento costituzionale nell’art. 27 Cost.

La disciplina dell’art. 603, comma 3-bis, c.p.p.. L’analisi della pronuncia della Corte EDU fornisce lo spunto per condurre un’interessante riflessione in merito al comma 3 bis dell’art. 603 del codice di rito[2], introdotto dall’art. 1, comma 58, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario).

Il legislatore, in tal modo, ha recepito gli approdi cui era giunta, medio tempore, la giurisprudenza delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione.

L’art. 603 c.p.p., infatti, si presentava come norma foriera di scenari ermeneutici diversi nella prassi, per cui non vi era uniformità nel panorama giurisprudenziale.

Nella versione originaria dell’art. 603 c.p.p., la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale con riguardo alle prove già acquisite nel giudizio di primo grado poteva infatti essere disposta su richiesta di parte solo qualora il giudice di appello ritenesse «di non essere in grado di decidere allo stato degli atti» (comma 1), ovvero d’ufficio, ove il giudice la ritenesse «assolutamente necessaria» (comma 3).

La giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha guidato il processo che ha condotto all’integrazione dei presupposti della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, affermando, nella prevalenza delle ipotesi sottoposte alla sua attenzione, l’incompatibilità della disciplina con l’art. 6 della Convenzione in caso di reformatio in peius di una pronuncia assolutoria in primo grado in assenza di riassunzione delle prove dichiarative davanti ai giudici di seconde cure (ex plurimis, Corte EDU, sentenza 28 febbraio 2017, Manoli contro Moldavia, paragrafo 32; sentenza 15 settembre 2015, Moinescu contro Romania, paragrafo 36; sentenza 4 giugno 2013, Hanu contro Romania, paragrafo 40; sentenza 9 aprile 2013, Manolachi contro Romania, paragrafo 50; sentenza 20 marzo 2012, Serrano Contreras contro Spagna, paragrafo 40; sentenza 5 luglio 2011, Dan contro Moldavia, paragrafi 30-33; sentenza 19 febbraio 1996, Botten contro Norvegia, paragrafo 39).

Le Sezioni Unite, recependo tale orientamento e adottando un’interpretazione delle norme del codice di rito conforme alla normativa comunitaria, hanno sancito che il giudice di secondo grado, ove intenda riformare una sentenza di proscioglimento sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva dal primo giudice, debba procedere, anche d’ufficio, alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, disponendo l’esame dei soggetti che hanno reso le relative dichiarazioni.

In caso di mancata rinnovazione, la sentenza di riforma del giudice di secondo grado risulterà affetta da vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., non potendo ritenersi in tal caso che la prova sia stata raggiunta «al di là di ogni ragionevole dubbio», come prescrive l’art. 533 c.p.p. sancendo, inoltre, come tale interpretazione vada adottata anche nei giudizi celebrati nelle forme del rito abbreviato. (Cass., SS.UU. pen., sent. 6 luglio 2016, n. 27620, Dasgupta, in CED Cass., rv. 267486).

Una pronuncia successiva della terza sezione penale ha disatteso l’interpretazione da ultimo fornita dalle Sezioni unite, escludendo l’applicabilità dell’istituto in caso di adozione del rito abbreviato, affermando che nella scelta del rito si manifesta la rinuncia dell’imputato, già in primo grado, alle garanzie dell’oralità e del contraddittorio.

Il contrasto giurisprudenziale sorto in materia ha fornito alle Sezioni Unite l’occasione per ribadire come la scelta del rito alternativo non possa risultare ostativa rispetto alla rinnovazione istruttoria in caso di overturning da proscioglimento a condanna (Cass., SS.UU. pen., sent. 14 aprile 2017, n. 18620, Patalano, in CED Cass., rv. 269786).

Tale assunto si fonda sulla circostanza per cui, per superare l’assoluzione in primo grado, occorre una forza persuasiva tale da fugare ogni ragionevole dubbio e che perviene dal metodo orale dell’accertamento, funzionale a garantire la certezza della colpevolezza.

I giudici di legittimità hanno precisato come «La motivazione risulterebbe altrimenti affetta dal vizio di aporia logica derivante dal fatto che il ribaltamento della pronuncia assolutoria, operato sulla scorta di una valutazione cartolare del materiale probatorio a disposizione del primo giudice, contiene in sé l’implicito dubbio ragionevole determinato dall’avvenuta adozione di decisioni contrastanti»[3].

Con la novella legislativa introdotta qualche mese più tardi, il legislatore ha inteso armonizzare la disciplina concernente la rinnovazione istruttoria, prevedendo che il giudice disponga la rinnovazione nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa.

Il testo normativo appare incompleto, in quanto il legislatore non risolve espressamente la questione relativa all’applicabilità dell’istituto ai giudizi celebrati con rito abbreviato.

Le Sezioni Unite, intervenute all’indomani della modifica, hanno affermato in un ampio obiter dictum che «l’interpolazione operata dal legislatore sul testo normativo dell’art. 603 cod. proc. pen. […] consente l’applicabilità della regola posta dal nuovo comma 3-bis ad ogni tipo di giudizio, ivi compresi i procedimenti svoltisi in primo grado con il rito abbreviato»[4], in quanto «la decisione assolutoria del primo giudice è sempre tale da ingenerare la presenza di un dubbio sul reale fondamento dell’accusa. Dubbio che può ragionevolmente essere superato solo attraverso una concreta variazione della base cognitiva utilizzata dal giudice d’appello, unitamente ad una corrispondente “forza persuasiva superiore” della relativa motivazione, quando il meccanismo della rinnovazione debba essere attivato in relazione ad una prova dichiarativa ritenuta decisiva nella prospettiva dell’alternativa decisoria sopra indicata»[5].

Questione di legittimità costituzionale. L’art. 603, comma 3 bis c.p.p. è stato oggetto di una questione di legittimità costituzionale nella parte in cui tale disposizione, così come interpretata dal diritto vivente, nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, obbliga il giudice a disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale anche in caso di giudizio di primo grado celebrato nelle forme del rito abbreviato, e pertanto definito in quella sede «allo stato degli atti» ai sensi degli artt. 438 ss. c.p.p.

A parere del giudice a quo, la norma censurata risulterebbe in contrasto con l’art. 111, secondo comma, Cost., che sancisce il principio della ragionevole durata del processo, in quanto la finalità deflattiva perseguita con il rito abbreviato verrebbe ostacolata dalla previsione del necessario svolgimento di un’attività istruttoria in grado di appello.

L’istituto in esame contrasterebbe anche con l’art. 111, quinto comma, Cost., che affida alla legge il compito di regolare i «casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato».

Pertanto, sulla base di un’interpretazione letterale della disposizione, la rinuncia dell’imputato al contraddittorio dovrebbe intendersi riferita all’intera vicenda processuale.

La disposizione censurata, interpretata secondo il diritto vivente, violerebbe altresì il principio di parità tra accusa e difesa, in quanto si andrebbe ad alterare irragionevolmente il rapporto tra il diritto dell’imputato a beneficiare del trattamento sanzionatorio più favorevole, da un lato, e la facoltà del p.m. di utilizzare le prove assunte nelle indagini preliminari, dall’altro.

La Consulta ha ritenuto insussistente l’asserita violazione del principio di ragionevole durata del processo e della parità tra le parti, in quanto l’allungamento dei tempi processuali derivante all’obbligatoria rinnovazione dell’istruzione dibattimentale risulterebbe giustificata dall’esigenza di tutelare il principio del giusto processo sotteso all’art. 111 Cost. e direttamente collegato alla presunzione di innocenza enunciata dall’art. 27 Cost.

In merito all’art. 111, quinto comma Cost., è stato affermato come la previsione non imponga che nelle ipotesi in cui il giudizio sia stato definito in primo grado allo stato degli atti, per rinuncia al dibattimento da parte dell’imputato, anche il giudizio di appello debba svolgersi con le stesse modalità.

La prova dichiarativa. In merito all’oggetto della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, il legislatore si è limitato ad affermare che deve trattarsi di prova dichiarativa senza chiarirne i confini applicativi.

Le Sezioni Unite nel 2019 hanno delineato i tratti della prova dichiarativa agli effetti dell’art. 603, comma 3 bis c.p.p.

In primo luogo, è stato affermato che può trattarsi di una prova avente ad oggetto sia dichiarazioni percettive che valutative, in quanto la norma non restringe il perimetro applicativo.

Inoltre, è necessario che la prova sia espletata mediante il linguaggio orale quale unica modalità che garantisce l’immediatezza, che si tratti di una prova posta dal giudice di prime cure a fondamento dell’assoluzione e che sia stata oggetto di una diversa interpretazione da parte del giudice di appello.

La questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite ha riguardato l’applicabilità al perito e al consulente tecnico dalla regola codificata nell’art. 603, comma 3 bis c.p.p.

Una prima tesi propendeva per l’equiparazione tra il testimone, da un lato, e il perito e il consulente tecnico, dall’altro, ritenendo che si potesse procedere alla rinnovazione dell’esame testimoniale alla stregua della rinnovazione dell’esame delle altre figure menzionate.

Stando ad una diversa tesi, la prova scientifica non poteva ritenersi assimilabile alla prova dichiarativa in quanto oggetto di valutazione è la deposizione del perito alla luce dell’indirizzo ermeneutico in tema di valutazione della prova scientifica, secondo cui il giudice ha la facoltà di scegliere fra le varie tesi scientifiche prospettate quella che ritiene maggiormente condivisibile, dando conto delle ragioni della scelta operata.

Si tratterebbe, pertanto, di figure non sovrapponibili, anche perché la relazione di periti e consulenti viene acquisita e diventa parte integrante della deposizione.

Ad avviso delle Sezioni Unite il secondo iter interpretativo non risulterebbe percorribile.

Ed invero, i giudici del Supremo Consesso hanno osservano come lo stesso codice di rito abbia assimilato il perito al testimone come si desume dal fatto che la testimonianza e la perizia sono qualificate come mezzi di prova, dall’impegno assunto che si differenzia solo per la diversità dell’oggetto su cui deve vertere il narrato, dalla previsione di conseguenze penali nell’eventualità di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) come di falsa perizia o interpretazione (art. 373 c.p.).

Alla luce delle considerazioni esposte, i giudici di legittimità hanno asserito che «il testo legislativo, invero, nella sua asettica onnicomprensività non consente un’interpretazione limitativa dell’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale alle sole dichiarazioni testimoniali con esclusione di quelle del perito, tanto più ove si consideri che non vi è alcuna ragione per cui la ratio sottostante all’implementazione del principio del contraddittorio (di cui sono espressione l’oralità e l’immediatezza) non debba valere per entrambe le ipotesi: infatti, entrambe sono prove espletate a mezzo del linguaggio verbale, entrambe si possono prestare ad essere diversamente valutate nei diversi gradi del giudizio di merito, ed entrambe possono essere decisive per assolvere o condannare l’imputato»[6].

 

 

 

 


[1]  Corte EDU, I sezione, 25 marzo 2021, Di Martino e Molinari v. Italia.
[2] Si veda Landolfi M., Il nuovo art. 603 comma 3-bis c.p.p. al vaglio delle prime esperienze applicative. La Corte d’Appello di Milano propone una lettura costituzionalmente orientata dell’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello a seguito di giudizio abbreviato non condizionato, in www.giurisprudenzapenale.com.
[3] Cass., SS.UU. pen., sent. 14 aprile 2017, n. 18620, Patalano, in CED Cass., rv. 269786.
[4] Cass., SS.UU. pen., sent. 3 aprile 2018, n. 14800, in CED Cass., rv. 272430-01.
[5] Cass., SS.UU. pen., sent. 3 aprile 2018, n. 14800, cit.
[6] Cass. SS.UU. pen., n. 14426 del 28/01/2019, PAVAN DEVIS, in CED Cass., Rv. 275112.

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Ilenia Vitobello

Ilenia Vitobello, nata a Trani (BT) il 18 maggio 1997. Ha conseguito il diploma di maturità classica presso il Liceo Classico "A. Casardi" di Barletta con votazione 100/100 e Lode. Termina il corso di laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza presso l'Università LUISS Guido Carli il 6 luglio 2020, con votazione 110/110 e Lode, discutendo una tesi in diritto penale dal titolo "Il trattamento punitivo dei sex offender". Attualmente svolge la pratica forense presso uno Studio Legale di Roma.

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