La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello alla luce della riforma Orlando
Sommario: Introduzione – 1. Il giudizio di appello – 2. Origini e sviluppi della nuova rinnovazione: gli interventi della Corte EDU in tema di riforma dell’assoluzione di primo grado – 2.1. (segue) La sentenza Dan contro Moldavia – 2.2. (segue) La sentenza Hanu contro Romania – 2.3. (segue) La sentenza Manolachi contro Romania. – 3. Le Sezioni Unite successive ai principi della Corte Edu. La sentenza Dasgupta – 4. Il nuovo comma 3bis dell’art. 603 c.p.p. – 5. La rinnovazione istruttoria nel caso di appello della sentenza di condanna: le Sezioni Unite Troise. – 6. Conclusioni
Introduzione
Il presente lavoro si propone di esaminare il tema della rinnovazione dibattimentale in appello, a cui il codice di procedura penale dedica un’unica norma, l’art.603 c.p.p. il quale prevede che – eccezion fatta nel caso vi siano “nuove prove” sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado – il giudice di secondo grado procederà a rinnovare l’istruttoria dibattimentale ex actisovvero sulla base degli atti confluiti nel giudizio d’appello mediante la trasmissione ad opera del giudice di primo grado.
È da considerare preliminarmente che la disciplina delle impugnazioni è rimasta sostanzialmente immutata – anche in ragione del fallimento della cd. Legge Pecorella – per quasi trent’anni, fino all’entrata in vigore della L. 23.06.2017 n. 103: la cd. “Riforma Orlando”, infatti, è intervenuta in maniera significativa sull’assetto tradizionale dei mezzi di impugnazione incidendo significativamente anche nell’ambito operativo della rinnovazione istruttoria in appello.
Nel presente saggio si intende focalizzare l’attenzionesugli aspetti controversi dell’istituto della riforma in appello della sentenza assolutoria di primo grado alla luce del dibattito sorto attorno alla appellabilità delle sentenze di proscioglimento da parte del pubblico ministero, tema profondamente modificato a seguito di recenti arresti della giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte Edu. Si fa riferimento, tra le altre, alle ormai famose sentenze Cedu Dan contro Moldavia e Manolachi contro Romania, che sono state recepite dalla sentenza Dasgupta delle Sezioni Unite. In particolare, dalle pronunce sovranazionali si ricava una obbligatorietà di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale allorquando il giudice di secondo grado intenda a procedere ad un overtuning della sentenza di assoluzione basandosi su una diversa valutazione di attendibilità della prova dichiarativa; si tratta di un obbligo a cui il giudice di secondo grado deve adempiere ex officio anche in mancanza di una richiesta di parte. Se non rispettato, tale obbligo, determinerebbe la violazione dell’art. 6, par. 3 lettera d) della C.e.d.u. Le S.U., con la sentenza Dasgupta, affermando l’applicabilità dei principi introdotti dalla Corte Edu hanno stabilito che “ in caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso della affermazione della responsabilità penale dell’imputato, senza aver proceduto, anche d’ufficio a norma dell’art. 603 c.p.p. comma 3, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame di soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado”.
Ad onta di tali pronunce, il Legislatore della Riforma summenzionata è intervenuto con la nuova disposizione dell’art. 603, comma 3- bis c.p.p. Con tale norma si sancisce che: “nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale”.
Com’è noto, con la sentenza delle Sezioni Unite Patalano l’operatività di tale previsione è stata estesa anche all’appello della sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato condizionato.
Il giudice, pertanto, nel caso in cui ritenga di modificare l’esito del giudizio di appello in relazione alla valutazione della prova dichiarativa sia obbligato alla rinnovazione. Da tale assunto pare evincersi che il legislatore ha poco meditato sulla nuova regola codicistica che appare l’affermazione di un principio più che la descrizione dell’itinerario processuale da seguire nell’eventualità in cui si appelli una sentenza di assoluzione.
Ed infatti, tale norma, ha creato e crea tutt’oggi, così come verrà analizzato all’interno di questo lavoro, dubbi interpretativi e contrasti giurisprudenziali, anche in odine all’ipotesi di overturnig da condanna a proscioglimento da ultimo analizzata con la sentenza delle S.U. Troise.
Tale sentenza oltre a risolvere il quesito in ordine all’ipotesi di overturningda condanna a proscioglimento rileva, come si avrà modo di vedere, in quanto detta dei criteri interpretative fondamentali con riferimento al nuovo comma 3-bis inserito nell’art. 603 c.p.p.
1. Il giudizio di appello
L’appello è il mezzo di impugnazione attraverso il quale la decisione di primo grado viene portata all’attenzione di un giudice sovraordinato per censure che attengono a questioni sia di fatto che di diritto[1].
Il codice del 1988, mantenendo sostanzialmente invariata la disciplina dei mezzi di impugnazione rispetto a quella vigente sotto il Codice Rocco ha collocato l’appello in posizione ibrida tra la cd. azione di impugnativa ed il cd. gravame, e cioè, tra l’azione finalizzata alla rescissione totale o parziale della sentenza con vincolo dei motivi sui poteri del giudice e l’atto diretto al superamento della decisione appellata con pienezza dei poteri del giudice[2].
Pur prevalendo una funzione di controllo, in un’ottica di verifica critica della decisione emessa dal giudice di primo grado, non mancano previsioni idonee a fare del secondo grado un vero e proprio nuovo giudizio. Ed infatti, se è vero che l’appello è un mezzo di impugnazione parzialmente devolutivo, essendo limitata la cognizione del giudice di secondo grado ai motivi di doglianza espressi dalla parte impugnante secondo il principio tantum devolutum quantum appellatum, è pur vero che non mancano previsioni idonee a fare del secondo grado un vero e proprio novumiudicium. Si tratta, tuttavia, di ipotesi di fatto eccezionali tra le quali rientra appunto il giudizio di appello di riforma della decisione assolutoria, non sufficienti a legittimare la regola di un secondo grado di giudizio quale nuovo giudizio[3]. Ed infatti la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale permette di “recuperare sentieri gnoseologici inesplorati che integrano la piattaforma probatoria ereditata dal giudizio di primo grado nei limiti del devolutumdell’appellante, ogni qual volta possano scaturirne dati utili. La integrazione sottesa all’acquisizione di materiale conoscitivo ulteriore si pone, pertanto, come extrema ratio rispetto alla conservazione degli atti, a sua volta ispirata ad un principio di economia processuale[4]”.
2. Origini e sviluppi della nuova rinnovazione: gli interventi della Corte EDU in tema di riforma dell’assoluzione di primo grado
L’insieme delle riforme degli ultimi anni ha offerto una nuova dimensione all’istituto della rinnovazione istruttoria in appello, rivitalizzato dalla riforma del processo penale del 2017, soprattutto con riguardo all’ipotesi in cui il pubblico ministero impugni la sentenza di proscioglimento per questioni attinenti alla valutazione della prova dichiarativa. Proprio su tale ipotesi la cd. “ Riforma Orlando” ha inciso sull’assetto della normativa relativa alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale in appello, introducendo il comma 3 bis all’interno dell’art. 603 c.p.p.; tale riforma è stata voluta dal legislatore del 2017 alla scopo di recepire i diktat provenienti dai giudici d’oltralpe in materia[5]. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito, in più pronunce, che un processo in cui il giudice di seconde cure condanni un imputato che era stato precedentemente assolto dal giudice di primo grado, basando il proprio convincimento su una mera rilettura del materiale probatorio precedentemente assunto, senza avere una percezione diretta dello stesso, debba considerarsi iniquo e non conforme ai principi sanciti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
Viene a mutare attraverso le pronunce della Corte Edu il fondamento dell’istituto della riassunzione in quanto non è più il parametro della scarsa chiarezza ovvero della sanatoria del vizio che deve guidare la parte istante e il giudice, bensì il necessario corollario dell’immediatezza tra giudice e fonte probatoria. La Corte Edu ha chiaramente affermato nelle pronunce che di seguito verranno esaminate che il diritto ad un processo equitable impone l’assunzione diretta della fonte sicché alla riassunzione deve procedersi necessariamente, senza alcun riguardo alla sussistenza o meno di dubbi ma in virtù del necessario rapporto diretto ed immediato tra giudicante e prova orale[6].
2.1. (segue) La sentenza Dan contro Moldavia
In seno alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è da tempo affermata la regola per cui viola l’art. 6 §§ 1 e 3 lett. d) CEDU quel sistema nel quale il giudice di secondo grado, sulla base di una mera rivalutazione delle prove (formatesi in prime cure e) già in atti, possa condannare l’imputato prosciolto dal giudice di primo grado, senza riassumere le fonti di prova dichiarative, nel rispetto (al pari di quanto accade nelgiudizio di primo grado) dei principi di oralità e di immediatezza e del diritto al contraddittorio, propri dell’equo processo[7].
In tale ambito ha acquisito il ruolo di leading case la sentenza del 5 luglio 2011 della Corte Edu, Dan contro Moldavia. La Corte ha ritenuto integrata la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione proprio nella parte in cui il processo di appello aveva condotto ad un ribaltamento della condanna, in assenza di qualsivoglia attività istruttoria e quindi sulla scorta soltanto dei soli atti assunti in primo grado stabilendo in particolare che: “coloro che hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l’innocenza di un imputato dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità. La valutazione dell’attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate”[8]. Secondo la Corte di Strasburgo, pertanto, ai fini della valutazione della mainevidence (il carattere della decisività) della prova oraleil giudice dovrà effettuare un “ragionamento ipotetico”; nello specifico, lo stesso, per apprezzare quale sia l’efficacia probatoria della prova dichiarativa, dovrà “sottrarre” dal giudizio di primo grado le dichiarazioni dei testimoni che il ricorrente non ha potuto esaminare. Se, effettuata tale operazione, la condanna risultasse ancora supportata da elementi sufficienti, la procedura sarà considerata complessivamente equa; vi sarà violazione dell’equo processo, al contrario, qualora a seguito di tale ragionamento ipotetico non si possa più affermare la colpevolezza dell’imputato[9].
Emerge da tale pronuncia, inoltre, come la testimonianza abbia valore di evento, ovvero come fatto complesso che necessita di una valutazione anche dei dati extradichiarativi: pertanto, la testimonianza, posta alla base della condanna, avendo valore di evento, deve necessariamente svilupparsi dinnanzi al giudice chiamato a decidere, il quale solo percependo direttamente il contegno del testimone potrà apprezzarne la credibilità, valutando nella sua interezza (e complessità extraverbale) il flusso comunicativo[10].
2.2. (segue) La sentenza Hanu contro Romania
Sulla scia del caso Dan la Corte Edu ha affrontato il tema della condanna in grado di appello in riforma della pronuncia assolutoria emessa all’esito del giudizio di primo grado in ulteriori pronunce; in specie nel caso Hanu contro Romania[11] la Corte Edu ha confermato i principi sanciti nel caso Dan ampliandone, però, il contenuto. In particolare, la Corte di Strasburgo ha posto il principio, sposato dall’attuale comma 3 bis dell’art. 603 c.p.p., secondo il quale si impone al giudice di appello la riapertura dell’istruzione dibattimentale, anche oltre gli stretti parametri consentiti dall’art. 603 c.p.p., ogni qual volta sussistano due presupposti: in primo luogo è necessario che sia stata appellata una sentenza di assoluzione in primo grado e in secondo luogo che il giudice di appello intenda addivenire ad una sentenza di condanna, in forza della diversa valutazione della attendibilità della prova orale[12].
2.3. (segue) La sentenza Manolachi contro Romania
Con altra chiara pronuncia[13] la Corte Edu, approfondendo il tema della individuazione del soggetto processuale obbligato a formulare le richieste di prova nei procedimenti aventi ad oggetto il gravame proposto dalla pubblica accusa, ha stabilito che in caso di riforma della pronuncia assolutoria da parte del giudice di appello, è compito di questi provvedere, anche d’ufficio, all’acquisizione della prova orale fondamentale[14].
L’affermazione contenuta in tale pronuncia segue alla pronuncia della Corte Edu del 5 marzo 2013, Manolachi contro Romania.
È stato previsto, con tale pronuncia, un obbligo di rinnovazione officiosa della provadichiarativa ogni volta in cui il giudice si prospetti la possibilità diribaltamento dell’esito assolutorio sulla base di una diversa valutazionedella prova dichiarativa. Diversamente, il diritto di difesa “patisce unalesione, in quanto si nega il diritto alla valutazione affidabile dellaprova testimoniale, garantito pienamente solo dal rispetto del principiodi oralità”.
In particolare la corte afferma che tale obbligo sussiste: quando il giudice di seconda istanza ha pieni poteri in ordine alla valutazione della responsabilità dell’accusato, con integrale cognizione del fatto e del diritto; quando l’accertamento della responsabilità avviene attraverso la
rivalutazione cartolare dei soli contenuti della testimonianza, a prescindere da ogni analisi dei dati comunicativi impercettibili da una lettura delle carte;ed infine, quando la nuova valutazione risulta decisiva per la sentenza di condanna arrivando a fondare l’overturning della decisione di primo grado, allora il diritto di difesa subisce sicuramente una lesione, in quanto si nega all’accusato il diritto allavalutazione della prova orale da parte del giudice chiamato a decidere, con violazione del contraddittorio e dell’immediatezza, quindi si violano le garanzie dell’equo processo sancite dall’articolo 6 § 1 della Convenzione EDU.
Si afferma, pertanto, il principio che il giudice di appello, in caso di riforma della pronuncia assolutoria di primo grado, deve procedere alla riassunzione delle prove orali fondamentali indipendentemente da richieste di parte e ciò ben oltre, quindi, il contenuto del previgente art. 603 c.p.p. che prevede l’assunzione delle prove d’ufficio in caso di assoluta necessità[15].
3. Le Sezioni Unite successive ai principi della Corte Edu. La sentenza Dasgupta
Con l’obiettivo di elaborare una interpretazione dell’art. 603 c.p.p. conforme ai principi convenzionali, come elaborati dalla Corte Edu, la giurisprudenza italiana ha sostanzialmente ridisegnato l’ambito di operatività della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento, e ciò prima dell’intervento del Legislatore del 2017.
Con la sentenza n. 27620 del 28 aprile 2016, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, risolvendo il contrasto giurisprudenziale insorto tra le Sezioni semplici, hanno dato risposta al quesito «se sia rilevabile d’ufficio la questione relativa alla violazione dell’art. 6 C.e.d.u. per avere il giudice d’appello riformato la sentenza di primo grado sulla base di una diversa valutazione di attendibilità di testimoni di cui non si procede a nuova escussione». Si trattava dunque, per le SS.UU diconsiderare se la Cassazione potesse superare l’inerzia di parte, che nella
fattispecie era costituita dall’omessa denuncia della violazione dell’obbligo di rinnovazione delle prove dichiarative.
Ma le Sezioni Unite si sono spinte oltre a tale quesito affrontando anche un’altra questione : «Se, nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, il giudice di appello debba disporre la rinnovazione della istruzione dibattimentale».
I principi stabiliti con tale pronuncia assumono rilevanza in quanto continuano ad incidere, sotto il profilo della interpretazione edella applicazione, sul nuovo comma 3 bis dell’art. 603 c.p.p.
La massima ufficiale così recita: «La previsione contenuta nell’art.6, par.3, lett. d) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU – che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne – implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado»[16].
Dalla massima ufficiale si evince, anzitutto il primo principio di diritto affermato dalla sentenza in esame relativo al valore vincolante della giurisprudenza della Corte Edu. Si legge infatti, all’interno della sentenza Dasgupta che “i principi contenuti nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come viventi nella giurisprudenza consolidata della Corte EDU, pur non traducendosi in norme di diretta applicabilità nell’ordinamento nazionale, costituiscono criteri di interpretazione(“convenzionalmente orientata”) ai quali il giudice nazionale è tenuto a ispirarsi nell’applicazione delle norme interne”[17]. Tale principio viene ribadito in quanto il dovere di riassumere la prova dichiarativa qualora si tratti di convertire l’assoluzione in condanna, non era chiaramente espresso nell’art. 603 c.p.p.: la rinnovazione, difatti, è prevista se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (comma 1) ovvero, mancando la richiesta di parte, in caso di assoluta necessità (comma 3). Ex litteralegis, dunque, la disciplina interna divergeva dalla giurisprudenza europea, concorde nel pretendere il directassessmentof the evidence allorché il giudice d’appello intenda condannare l’imputato assolto in prima istanza, pena la violazione dell’art. 6 par. 1 e 3 lett. d Cedu[18].
Il secondo principio di diritto che viene affermato all’interno della sentenza in esame riguarda il dovere del giudice di rinnovare in appello la prova dichiarativa quando intenda riformare la sentenza impugnata, procedendo all’esame di quei soggetti che abbiano precedentemente reso dichiarazioni sui fatti del processo e che erano state ritenute decisive per l’assoluzione in primo grado. Sanciscono, infatti, le SS.UU. che «La previsione contenuta nell’art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, la quale costituisce parametro interpretativo dellenorme processuali interne, implica che, nel caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, a norma dell’art. 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado».
Ed inoltre, le Sezioni Unite precisano che quando l’appello investe il proscioglimento fondato su prove dichiarative – assunte in dibattimento ovvero in incidente probatorio – la rinnovazione istruttoria “si profila come “assolutamente necessaria” ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen.”[19]. Il giudice, dovrebbe ritenere «impossibile decidere allo stato degli atti», e pertanto, «assolutamente necessario» rinnovare la prova dichiarativa: quando egli abbia il potere di decidere sia in fatto che in diritto; quando i dati acquisiti nel precedente grado di giudizio siano incerti; quando l’incombente richiesto rivesta carattere di decisività (la mainevidence) cioè che sia in grado di eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza[20]”.
Come si evince dal testo della sentenza si richiede che la prova di cui non sia stata chiesta la rinnovazione sia una prova decisiva; le affermazioni proposte dalle Sezioni Unite rilevano necessariamente a fronte della nuova previsione del comma 3bis dell’art. 603 c.p.p.. Si afferma a tal proposito che la nozione di decisività non può ridursi a quella presa in considerazione dalla giurisprudenza di legittimità[21]con riferimento al caso di ricorso di cui all’art. 606, co.1, lettera d),c.p.p. secondo cui per prova decisiva deve intendersi quella che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia.
Nello scenario preso in esame dalla sentenza Dasgupta, il giudice di appello deve prendere in considerazione non prove negate, bensì prove da riassumere, il cui contenuto rappresentativo si era già completamente dispiegato in primo grado e ha dunque già formato oggetto della decisone impugnata, che proprio su esso ha fondato l’esito assolutorio.
Ne deriva che, ai fini della valutazione del giudice di appello investito di una impugnazione del pubblico ministero o della parte civile avverso una sentenza di assoluzione, oggi formulata al cospetto del nuovo testo dell’art. 603 c.p.p., devono ritenersi decisive quelle prove che “ sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare l’assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rilevano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito del giudizio, nonché quella che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o d nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti – da sole o insieme ad altri elementi di prova – ai fini dell’esito della condanna”.
Il terzo è ultimo principio di diritto che le Sezioni Unite enunciano con la sentenza Dasgupta riguarda il vizio derivante dall’omessa rinnovazione probatoria in appello; l’evenienza del mancato rispetto da parte del giudice di appello del dovere di procedere alla rinnovazione delle fonti dichiarative in vista di una reformatio in pejusva inquadrata nell’ambito del vizio di motivazione. Le SS.UU. affermano infatti che “Qualora il giudice non abbia proceduto in tal modo, si integra un vizio di motivazione della sentenza di appello ex articolo 606, comma 1, lettera e), del c.p.p., per mancato rispetto del canone di giudizio al di là di ogni ragionevole dubbio di cui all’articolo 533, comma 1, del c.p.p. In tal caso, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nell’articolo 6, paragrafo 3, lettera d), della 98 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata”.
La mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello non rileva di per sé, ma solo quando la sentenza di appello abbia operato ex actisun ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado fondandola su una diversa valutazione di attendibilità delle prove dichiarative. Solo in questo caso la motivazione della relativa sentenza sarà potenzialmente censurabile. Per valutare se la sentenza di appello sia viziata dovrà esserne apprezzato il contenuto, dal quale dovrà desumersi: se nella motivazione della sentenza sia stata espressa una valutazione contra reum delle fonti dichiarative; se tale diversa valutazione sia in contrasto con quella resa dal giudice di primo grado; se tale valutazione sulla attendibilità sia stata decisiva ai fini dell’affermazione di responsabilità; se essa sia stata assunta senza procedere ad una rinnovazione dell’esame delle fonti dichiarative. In presenza di tali circostanze, sarà onere del condannato per la prima volta in appello, attaccare il punto della motivazione della sentenzacontenente l’affermazione di responsabilità penale lamentando una errata valutazione della prova dichiarativa non rinnovata[22] .
Ad oggi, con l’entrata in vigore del comma 3 bis nell’art. 603 c.p.p. ad opera della legge 23 giugno 207, n.103,è giusto continuare a ricondurre al vizio di motivazione la violazione dell’obbligo di rinnovazione piuttosto che al vizio della violazione di legge. Ed infatti, la nuova normativa nulla stabilisce con riferimento alla violazione di tale obbligo prevedendo soltanto che la rinnovazione è imposta al giudice di appello quando il pubblico ministero ha impugnato una sentenza di proscioglimento per questioni attinenti alla valutazione ella prova dichiarativa. Pertanto, risulterebbe problematico ricondurre l’omessa rinnovazione della prova dichiarativa decisiva alla violazione di legge ex art. 606 comma 1 lett. c) c.p.p., non ravvisandosi alcuna inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullità o di inutilizzabilità[23].
4. Il nuovo comma 3bis dell’art. 603 c.p.p
Questo è l’intricato contesto d’assieme entro il quale, sulla base dei suggerimenti operati dalla cosiddetta Commissione Canzio, il legislatore si è mosso con la riforma Orlando (l. 23.6.2017, n. 103, art. 1, comma 58), nella parte in cui, novellando l’art. 603 del codice di rito, ha stabilito, sotto il nuovo comma 3-bis, che «Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale».
Una prima riflessione concerne l’utilizzo della forma verbale «dispone», che pare introdurre una nuova ipotesi di rinnovazione obbligatoria: in presenza dei presupposti richiamati, infatti, il giudice parrebbe dover necessariamente riassumere le fonti di prova dichiarative sulla cui valutazione si fondano le doglianze del pubblico ministero, non risultando pertanto necessaria una specifica richiesta di parte[24]. In altre parole: una volta ritenuto ammissibile l’appello del pubblico ministero contro la sentenza assolutoria, in presenza di una censura sui motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice sembra privo di margini di discrezionalità, dovendo disporre la rinnovazione della fonte di prova.
La scelta appare condivisibile in quanto una formulazione diversa della norma avrebbe consegnato nelle mani del giudice la scelta di rinnovare o meno l’istruzione probatoria, in caso di appello del pubblico ministero contro la sentenza di proscioglimento nel caso de quo e ciò, conseguentemente, avrebbe lasciato trapelare un’anticipazione del risultato del giudizio (come dire: se il giudice dispone la rinnovazione, significa che ha intenzione di condannare), gettando un’ombra di parzialità sull’organo giudicante.
A fronte della doverosità della rinnovazione dell’istruttoria, la normativa, però, nulla prevede circa i rimedi esperibili nel caso in cui, pur ricorrendone i presupposti, il giudice d’appello ometta di disporre la rinnovazione. Come anticipato in precedenza[25], nel silenzio della legge si dovrà far riferimento alla soluzione adoperata dalla Sezioni Unite Dasgupta, le quali avevano ricondotto tale omissione nell’ambito del vizio di motivazione ex art. 606 comma 1 lett. e) c.p.p.
Un altro problema ruota attorno al tema dei motivi d’appello: l’art. 603 comma 3-bis c.p.p. si riferisce in maniera generica alle censure “attinenti alla valutazione della prova dichiarativa”. Diversamente da quanto accade nelle ipotesi di rinnovazione contemplate dai primi due commi dell’articolo summenzionato – ove è previsto un vaglio di ammissibilità che si differenzia a seconda che si tratti di una prova scoperta o venuta ad esistenza dopo il giudizio di primo grado ovvero di una prova già nota – nel nuovo comma 3- bis un’analoga previsione difetta. Sicché la formulazione generica del dettato normativo porta a ritenere che la rinnovazione debba essere disposta ogni qual volta il pubblico ministero fondi la propria impugnazione sul questioni riguardanti la valutazione di prove dichiarative, non considerando l’incidenza che queste ultime hanno avuto nel giudizio di primo grado. A ciò si aggiunga la mancanza di un qualsivoglia riferimento al criterio della “decisività” delle prove dichiarative, considerato dalle Sezioni Unite Dasgupta elemento essenziale ai fini della rinnovazione[26].
Altro punto critico della norma in esame è se la rinnovazione debba essere disposta con riferimento a tutta l’attività istruttoria o se debba essere risentita solo la fonte la cui dichiarazione sia oggetto di una nuova valutazione da parte del giudice di appello[27]. Il punto è fondamentale[28]: l’accoglimento della prima soluzione, infatti, comporterebbe – verosimilmente in ogni caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di assoluzione – la trasformazione del giudizio di appello in un nuovo giudizio di merito ab imis. Viceversa, il rischio del nuovo “primo giudizio” potrebbe risultare arginato qualora la riassunzione dovesse essere disposta con riferimento alla sola dichiarazione censurata dal pubblico ministero, operando poi,nel caso in cui a seguito di tale rinnovazione dovesse apparire necessaria ulteriore attività istruttoria, la disciplina ordinaria, prevista al comma 3 dell’art. 603 c.p.p.
Last butnotleast, ulteriore profilo critico è legato all’ambito di operatività della rinnovazione. La disposizione normativa appare chiara nel disporre che la rinnovazione sarà “obbligatoria” nel caso di appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza di proscioglimento per motivi che attengono alla valutazione della prova dichiarativa operata dal giudice di prime cure. Ma né la decisione delle Sezioni Unite, né la nuova disposizione avevano però affrontato direttamente il quesito inverso: e se è l’imputato ad impugnare una sentenza di condanna per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice d’appello deve riaprire il dibattimento o può prosciogliere senza rinnovare? Dalla lettera della disposizione dovrebbe dedursi una preclusione ad operare la rinnovazione istruttoria nella situazione opposta a quella disciplinata dall’art. 603 comma 3-bis c.p.p.
Così operando, però, resta, una grave distonia sul piano dell’effettiva garanzia del diritto di difesa, che lascia assai perplessi: la conferma di una condanna può legittimamente essere decisa anche mediante una mera rivalutazione delle prove dichiarative assunte in primo grado, la prima condanna in secondo grado invece no. Al riguardo opportunamente è stato rilevato come entrambe le decisioni – proscioglimento e condanna – sottoposte al controllo non possano presumersi immuni da errori, sicché, se il principio di immediatezza vale a ridurre il tasso di errore della decisione controllata, invocandosene la sua necessità nella sola ipotesi di appello del pubblico ministero avverso la sentenza di proscioglimento, sarà quest’ultimo l’unica parte a essere avvantaggiata, potendosi avvalere dello strumento della rinnovazione per fare emergere l’errore del proscioglimento[29].
D’altronde, se il Legislatore del 2017, avendo preso coscienza del valore dell’immediatezza[30], ha ritenuto che per poter valutare diversamente le fonti orali non è più sufficiente che il giudice in motivazione indichi le ragioni per le quali dissente dai risultati precedentemente acquisiti (cd. motivazione rafforzata) – così come imponeva sino ad oggi la Cassazione in caso di esiti processuali disomogenei – ma ha bisogno di conoscere al pari di quello di prima istanza, è evidente che l’itinerario debba essere garantito qualunque sia il segno del provvedimento impugnato, e non solo per le sentenze di proscioglimento, così come stabilisce il comma 3 bis c.p.p., purché il gravame ponga in discussione il grado di attendibilità delle dichiarazioni[31].
L’indirizzo dottrinale appena richiamato è stato avallato dalla sentenza cd. Marchetta[32] .
La Seconda Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza appena citata, si è distaccata dagli orientamenti sin qui descritti, enunciando un ulteriore principio di diritto: “l’art. 603, comma 3, c.p.p. in applicazione dell’art. 6 CEDU deve essere interpretato nel senso che il giudice di appello per pronunciare sentenza di assoluzione in riforma della condanna del primo giudice deve previamente rinnovare la prova testimoniale della persona offesa, allorché, costituendo prova decisiva, intenda valutarne diversamente la attendibilità (…)”.
In buona sostanza, quest’ultima pronuncia ha inteso imporre la rinnovazione dell’istruttoria al Giudice dell’appello anche nel caso in cui sia pronunciata condanna in primo grado e sia proposto appello dell’imputato per motivi attinenti alla prova dichiarativa.
A sostegno di tale nuova conclusione, la Corte ha addotto un principio di simmetria del processo penale, asseritamente vigente nel nostro ordinamento, che imporrebbe la rinnovazione in ogni caso, anche solo potenziale, di overturning di una sentenza di primo grado.
Più precisamente, ad avviso della Sezione seconda, il nostro sistema processuale avrebbe disegnato la figura del Pubblico Ministero quale portatrice di una prospettiva di legalità e la pluralità dei gradi di giurisdizione quale esigenza di giustizia che tende alla “certezza” della decisione in vista del raggiungimento della verità processuale edell’attuazione del principio di legalità.
A sostegno delle proprie affermazioni, la II Sezione richiama la giurisprudenza della Corte Edu, ove si decreta l’incompatibilità, rispetto all’art. 6 CEDU, delle sentenze che, in appello, ribaltino l’esito del giudizio di prime cure senza un’assunzione orale ed immediata delle prove[33]. Si richiama inoltre la sentenza Dasgupta nella parte in cui afferma che «la percezione diretta è il presupposto tendenzialmente indefettibile di una valutazione logica, razionale e completa».
Tale pronuncia contrastante ha suscitato una nuova rimessione alle Sezioni Unite, chiamate a rispondere ad un nuovo quesito, così formulato: “se il giudice di appello, investito della impugnazione dell’imputato avverso la sentenza di condanna con cui si deduce la erronea valutazione della prova dichiarativa, possa pervenire alla riforma della decisione impugnata, nel senso della assoluzione, senza procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna di primo grado“.
In particolare, si prospetta un contrasto giurisprudenziale tra l’orientamento della Seconda Sezione (sentenza n. 41571 del 20/06/2017, Marchetta) e i principi affermati dalle Sezioni Unite nelle sentenze n. 27620 del Corte di Cassazione – copia non ufficiale 28/04/2016, Dasgupta, e n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, riguardo alla necessità o meno di rinnovazione dell’assunzione della prova dichiarativa in appello in caso di riforma in senso assolutorio della sentenza di primo grado. Con la sentenza Marchetta la Seconda Sezione ha affermato che l’obbligo di riassumere la prova orale nel dibattimento d’appello, con riferimento alle dichiarazioni rese dalla persona offesa, sussiste anche nel caso in cui s’intenda ribaltare il giudizio di condanna pronunciato in primo grado ed assolvere l’imputato che ha proposto impugnazione. Nella sentenza Dasgupta, invece, le Sezioni Unite hanno ritenuto che l’obbligo di rinnovazione istruttoria della prova dichiarativa decisiva non sussiste nel caso di riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado.
5. La rinnovazione istruttoria nel caso di appello della sentenza di condanna: le Sezioni Unite Troise
Del quadro attuale prende atto la sentenza Troise[34] che ripercorre gli aspetti evolutivi e le varianti intervenute nella attuazione del principio, tracciando un preciso filo conduttore che risolve le varie questioni, oggetto di approcci contrastanti, sotto il faro comune dei principi costituzionali e convenzionali.
Come era prevedibile, la risposta delle Sezioni Unite è stata nel senso di negare che sussista un obbligo di rinnovazione nel caso di condanna in primo grado ed impugnazione dell’imputato.
Con riguardo allo specifico quesito portato alla attenzione delle Sezioni Unite circa l’obbligo di riassunzione della prova dichiarativa nel caso in cui il giudice dell’appello trasformi in melius la sentenza di condanna resa in primo grado, la stessa Corte, rilevando la mancanza di previsione nel nuovo art. 603 comma 3-bis c.p.p. – che si limita a prevedere l’appello del pubblico ministero contro la sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa – esamina il percorso giurisprudenziale sul tema, che aveva già peraltro ricevuto un primo inquadramento delle stesse Sezioni unite Dasgupta nel senso della non necessarietà della riassunzione, essendo questo approccio perfettamente in linea con la presunzione di innocenza presidiata dal criterio di giudizio ex art. 533 c.p.p.
Le SS.UU. infatti sottolineano che “mentre il ribaltamento in senso assolutorio del giudizio di condanna, operato dal giudice di appello pur senza procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, è perfettamente in linea con il principio della presunzione di innocenza, presidiata dai criteri di giudizio di cui all’art. 533 cod. proc. pen., diversamente è da dire nell’ipotesi inversa. E’ l’introduzione del canone “al di là di ogni ragionevole dubbio”, inserito nell’art. 533, comma 1, cod. proc. pen. ad opera della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (ma già individuato quale inderogabile regola di giudizio da Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222139), ad aver guidato la giurisprudenza, nel senso che per la riforma di una sentenza assolutoria nel giudizio di appello non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, ma occorre invece una “forza persuasiva superiore”, tale da far venire meno “ogni ragionevole dubbio”. La condanna, infatti, come incisivamente notato da Sez. 6, n. 40159 del 03/11/2011, Galante, Rv. 251066 presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza[35]”.
Ed invero, la questione sottoposta al vaglio delle SS.UU. Troise era già affrontata in un passaggio della Sentenza Dasgupta, laddove le SS.UU. si pronunciavano escludendo con chiarezza la sussistenza dell’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva nell’ipotesi di overturningin appello di una decisione di condanna e della conseguente riforma in senso assolutorio. Con la sentenza Troise, infatti, che si basa sugli oberdictumdella sentenza Dasgupta, si sostiene che “ (…)«l’assoluzione dopo una condanna non deve superare alcun dubbio, perché è la condanna che deve intervenire al di là di ogni ragionevole dubbio, non certo l’assoluzione, possibile anche ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen.». Presunzione di innocenza e ragionevole dubbio impongono soglie probatorie asimmetriche in relazione alla diversa tipologia dell’epilogo decisorio: la certezza della colpevolezza per la condanna, il dubbio processualmente plausibile per l’assoluzione.” E mentre per il ribaltamento dell’assoluzione “al giudice d’appello si impone l’obbligo di argomentare circa la plausibilità del diverso apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano inficiato la permanente sostenibilità del primo giudizio, per il ribaltamento della sentenza di condanna, al contrario, il giudice d’appello può limitarsi a giustificare la perdurante sostenibilità di ricostruzioni alternative del fatto, sulla base di un’operazione di tipo essenzialmente demolitivo[36]”.
La Corte, a riguardo, torna i a ribadire il principio della sola necessità per il giudice di appello di argomentare ‘in modo rigoroso’, dovendo “offrire una motivazione puntuale ed adeguata della sentenza assolutoria, (e) dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado[37]“.
L’onere di “motivazione rafforzata”, richiesto in ogni caso di ribaltamento della decisione in appello, si declinerebbe perciò in maniera diversa, a seconda della sentenza impugnata: in caso di appello del proscioglimento, poiché occorre ricostruire un fatto al di là di ogni ragionevole dubbio, e a tutela del principio d’immediatezza, tramite la riacquisizione delle prove dichiarative controverse (come vuole, oggi, l’art. 603, comma 3-bis, c.p.p.); in caso di appello della condanna, per verificare la presenza di un dubbio ragionevole, e in applicazione dellapresunzione d’innocenza, tramite la mera rivalutazione critica dei verbali delle stesse prove dichiarative[38].
Da un punto di vista critico l’insegnamento della sentenza Troise risulta pienamente comprensibile dal punto di vista della Corte di cassazione, che esamina la legittimità della decisione emessa al termine del dibattimento d’appello. È però decisamente meno comprensibile dal punto di vista del giudice d’appello, tenuto a valutare la fondatezza della critica formulata dall’imputato nel momento in cui l’impugnazione è stata solo proposta, e le prospettive decisorie sono ancora lontane[39].
I difetti derivanti da questa ricostruzione sono almeno tre. In primo luogo, concedere al giudice d’appello di non rinnovare «nell’ipotesi di riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna» autorizza soltanto a credere che chi decide di non rinnovare abbia già deciso di prosciogliere, anticipando così il suo convincimento[40]. Se poi si tentasse di rimuovere il riferimento alla prospettiva assolutoria per evitare indebite anticipazioni del convincimento, diventerebbe ancora più evidente la disparità, segnalata più volte dalla dottrina, tra la posizione del pubblico ministero, che oggi ottiene la rinnovazione del dibattimento senza alcun particolare filtro, e quella dell’imputato, che invece la ottiene solo se il giudice lo ritiene «assolutamente necessario»[41]. Da questa sovrapposizione tra regole istruttorie e regole decisorie discende inoltre un ulteriore conflitto metodologico, che interessa il rapporto mai chiarito dalla Cassazione tra “rinnovazione del dibattimento” e “motivazione rafforzata”: le Sezioni Unite “Dasgupta” ritengono infatti che – dopo l’appello del proscioglimento – si possa parlare di “motivazione rafforzata” solo nel caso in cui sia stata disposta la rinnovazione; le Sezioni Unite “Troise”, invece, ritengono che – dopo l’appello della condanna – si possa parlare di “motivazione rafforzata” anche se il giudice si limita a rivalutare sulle carte le prove dichiarative controverse.In dottrina[42] è stato però rilevato che rinnovazione del dibattimento e motivazione rafforzata sono istituti collocati su piani disomogenei: la rinnovazione serve a reperire le premesse migliori con cui condurre un’argomentazione; la motivazione serve invece ad assicurare la correttezza delle conclusioni tratte dal giudice nel corso dell’argomentazione, a partire da premesse tanto scritte quanto orali. Ne discende pertanto che, sia nel caso di appello del proscioglimento e sia nel caso di appello della condanna, non è ancora chiaro se disporre la rinnovazione soddisfi in ogni caso l’onere di “motivazione rafforzata”, o se (e quando) il giudice sia invece tenuto a qualcosa di più.
La sentenza Troise, infine, seppur al fine di “verificarne i riflessi e le possibili interferenze sulla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nell’ipotesi di reformatio in melius[43]”, analizza i contenuti e gli effetti del nuovo comma 3-bis dell’art.603 c.p.p., fornendo rilevanti criteri interpretativi.
Come già visto in precedenza[44], con il nuovo comma 3- bis, alla specifica fattispecie della riassunzione delineata in sede europea, si è sostituita quella più ampia della rinnovazione della istruzione dibattimentale, mentre la condizione della diversa valutazione di attendibilità della prova dichiarativa viene ricostruita attraverso la più generica formula dei motivi riguardanti la sua valutazione. Si è inoltre evidenziato in precedenza come non venga inserita tra i presupposti dell’appello la decisività della prova, cui le Sezioni unite Dasgupta hanno fornito un dettagliato profilo individuativo.
Il testo riformato dell’art. 603 comma 3-bis c.p.p. crea qualche criticità là dove prevede che il giudice ‘dispone’ la totale rinnovazione della istruzione dibattimentale, configurandone anche la obbligatorietà; a tal fine soccorrono le precisazione contenute nella sentenza Troise, la quale delinea i limiti applicativi della nuova disposizione.Partendo dalla considerazione di un suo necessario inquadramento all’interno del più ampio contesto normativo delle impugnazioni riformate che impone anche al pubblico ministero il rispetto dei requisitidi specificità richiesti (art. 581 comma 1 lett. b) e art. 591 comma 1 lett. c) c.p.p.), con critica agli errori del primo giudice e con motivi adeguati alle richieste anche istruttorie, la Corte afferma chiaramente che “il nuovo quadro normativo risultante dai numerosi innesti operati per effetto della legge n. 103 del 2017 non impone affatto di ritenere che il giudice di appello sia obbligato a disporre una rinnovazione generale ed incondizionata dell’attività istruttoria svolta in primo grado, ben potendo quest’ultima essere concentrata solo sulla fonte la cui dichiarazione sia oggetto di una specifica censura da parte del pubblico ministero attraverso la richiesta di una nuova valutazione da parte del giudice di appello, operando poi, nel caso in cui a seguito di tale rinnovazione dovesse apparire “assolutamente necessario” lo svolgimento di ulteriore attività istruttoria, la disciplina ordinaria prevista dall’art. 603, comma 3, cod. proc. pen.”. Si ribadisce infatti che l’espressione utilizzata dal legislatore nella nuova disposizione di cui al comma 3-bis secondo cui il giudice deve procedere, nell’ipotesi considerata, alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, non equivale infatti alla introduzione di un obbligo di rinnovazione integrale dell’attivitàistruttoria – che risulterebbe palesemente in contrasto con l’esigenza di evitare un’automatica ed irragionevole dilatazione dei tempi processuali – ma semplicemente alla previsione di una nuova, mirata, assunzione di prove dichiarative ritenute dal giudice d’appello “decisive” ai fini dell’accertamento della responsabilità, secondo i presupposti già indicati da questa Corte nella sentenza Dasgupta“. Dovrà dunque il giudice dell’appello assumere nuovamente “non tutte le prove dichiarative, ma solo quelle che – secondo le ragioni puntualmente e specificamente prospettate nell’atto di impugnazione del pubblico ministero – siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e vengano considerate decisive ai fini dello scioglimento dell’alternativa proscioglimento-condanna[45]“.
6. Conclusioni
Dal quadro di insieme che deriva dalla giurisprudenza europea e nazionale ante riforma Orlando, dall’introduzione ad opera della L. 23.06.2017 n. 103, del comma 3-bis nel corpo normativo dell’art. 603 c.p.p. e dalla successiva giurisprudenza di legittimità possono trarsi le seguenti conclusioni.
Con riferimento alla sussistenza o meno di un obbligo in capo al giudice d’appello di dover rinnovare l’istruzione dibattimentale a seguito dell’impugnazione della sentenza di condanna a fronte di una sentenza di secondo grado di proscioglimento, è da rilevarsi che il Legislatore della Riforma si è mosso in una prospettiva di sostanziale continuità rispetto al quadro di principi stabiliti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le citate sentenze Dasgupta e Patalano, limitando l’obbligo di rinnovazione alla sola ipotesi dell’appello proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento, senza imporla quando l’epilogo decisorio oggetto del giudizio di appello sia invece una decisione di condanna, pertanto, il testo normativo non offre spazio alcuno per sostenere la tesi prospettata dalla sentenza Marchetta. Infatti, la rinnovazione funzionale al proscioglimento va posta in relazione con i meccanismi di funzionamento propri delle ordinarie regole di ammissione della prova indicate dall’art. 603, comma 1 e comma 3, c.p.p. Evenienze procedimentali, queste, che si traducono nella previsione di poteri, non già di doveri, di rinnovazione in capo al giudice d’appello, valorizzando il metodo dell’oralità nelle specifiche ipotesi della non decidibilità allo stato degli atti (comma 1), ovvero della assoluta necessità di provvedere ex officio all’integrazione del quadro probatorio (comma 3).
È, peraltro, evidente cheuna diversa soluzione, imponendo praeterlegem la regola della rinnovazione istruttoria anche ai fini del proscioglimento, trasformerebbe inevitabilmente l’appello in una innaturale replica del giudizio di primo grado.
Con riferimento, poi, all’obbligatorietà di rinnovare o meno l’intera istruttoria dibattimentale, come rilevato, si ritiene che il giudice non sia obbligato alla rinnovazione integrale dell’attività istruttoria svolta in primo grado, ma quest’ultima potrà concentrarsi solo sulla fonte la cui dichiarazione sia oggetto di una specifica censura da parte del pubblico ministero attraverso la richiesta di una nuova valutazione da parte del giudice di appello, operando poi, nel caso in cui a seguito di tale rinnovazione dovesse apparire “assolutamente necessario” lo svolgimento di ulteriore attività istruttoria; ed infine, secondo i criteri stabiliti dalla sentenza Dasgupta, il giudice all’interno di questa ulteriore attività istruttoria potrà assumere solo le prove dichiarative ritenute decisive ai fini dell’accertamento della responsabilità.
[1]cfr. DOMINIONI-CORSO-GAITO-SPANGHER-DEAN-GARUTI-MAZZA, “Procedura penale”, quarta edizione, Giappichelli,, 2015, p. 796.
[2]Cfr. SPANGHER G., “Appello [dir. proc. pen.], Enciclopedia Treccani, in Diritto on line, 2012.
[3]Si veda tra tutti, SPANGHER G., Appello (dir. proc. pen.), in DigDPen, I, Torino 1987, p.192 ss.
[4]Cfr. DOMINIONI-CORSO-GAITO-SPANGHER-DEAN-GARUTI-MAZZA, “Procedura penale”, quinta edizione, Giappichelli, 2017, p. 798.
[5]Si veda il D.D.L. presentato alla Camera dei Deputati il 23 Dicembre 2014, ove a pagina 10 si legge che “L’introduzione del comma 3-bis nell.art.603 del codice di procedura penale è inoltre intesa ad armonizzare il ribaltamento della sentenza assolutoria in appello con le garanzie del giusto processo, secondo l’interpretazione ancora di recente offerta dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, circa la doverosità, in questo caso, di riapertura dell’istruttoria orale”, www.camera.it
[6]Così PARDO I., INGRAO C., La riforma delle impugnazioni penali (L. Orlando), in Il Penalista, Giuffrè Editore, 2017, p. 53.
[7] Cfr. in particolare C. eur., 05.07.2011, Dan c. Moldavia; 26.06.2012, Găitanăru c. Romania; 24.07.2012, D.M.T. e D.K.I. c. Bulgaria; 05.03.2013, Manolachi c. Romania; 09.04.2013, Flueras c. Romania; 04.06.2013, Hanu c. Romania; 29.10.2013, Hogea c. Romania; 15.09.2015, Moinescu c. Romania; 22.09.2015, Nitulescu c. Romania; 05.07.2016, Lazu c. Repubblica di Moldavia; 28.02.2017, Manoli c. Repubblica di Moldavia; da ultimo, 19.06.2017, Lorefice c. Italia (tutte in http://www.echr.coe.int).
[8]Ed in motivazione la stessa pronuncia della Corte di Strasburgo aggiunge e precisa:” Tornando ai fatti del presente caso, la Corte osserva che le principali prove contro il ricorrente erano le dichiarazioni testimoniali secondo cui egli aveva sollecitato una tangente e l’aveva ricevuta in un parco. Il resto delle prove erano prove indirette che non potevano condurre da sole alla condanna del ricorrente…. Pertanto le testimonianze e il peso dato a esse era di grande importanza per la determinazione del caso. Il Tribunale di primo grado ha assolto il ricorrente perché esso non ha creduto ai testimoni dopo averli uditi personalmente. Nel riesaminare il caso, la Corte d’Appello ha dissentito dal Tribunale di primo grado sulla attendibilità delle dichiarazioni dei testimoni dell’accusa e ha condannato il ricorrente. Nel far ciò, la Corte d’Appello non ha udito nuovamente i testimoni ma si è semplicemente basata sulle loro dichiarazioni come verbalizzate agli atti. Visto quanto è in gioco per il ricorrente, la Corte non è convinta del fatto che le questioni che dovevano essere determinate dalla Corte d’Appello quando essa ha condannato il ricorrente e gli ha inflitto una pena – e facendo ciò ribaltando la sua assoluzione da parte del Tribunale di primo grado – avrebbero potuto, in termini di equo processo, essere esaminate correttamente senza una diretta valutazione delle prove fornite dai testimoni dell’accusa. La Corte ritiene che coloro che hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l’innocenza di un imputato dovrebbero, in linea di massima,poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità. La valutazione dell’attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate. Naturalmente, vi sono casi in cui è impossibile udire un testimone personalmente durante il processo perché, per esempio, egli o ella è deceduto/a, o per proteggere il diritto del testimone di non auto-accusarsi (vedi Craxi c. Italia (n. 1), n. 34896/97, § 86, 5 dicembre 2002). Tuttavia, non sembra che le cose stessero così in questo caso”
[9] Cfr. LONATI S., Il disarmonico trapianto delle garanzie difensive previste dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo; il comma 3 dell’art. 111 Cost., in Il diritto dell’accusato di interrogare o far interrogare, le fonti di prova a carico, Giappichelli Editore, Torino 2008, p.162
[10] In tal senso si esprime anche S. RECCHIONE, La prova dichiarativa cartolare al vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo, in www.penalecontemporaneo.it 07.05.2013.
[11] Corte EDU, III Sez., sent. 4 giugno 2013, Hanu c. Romani.
[12]Così PARDO I., INGRAO C., La riforma delle impugnazioni penali (L. Orlando), cit., p.51.
[13]Corte Edu, 9 aprile 2013, Flueras contro Romania.
[14]Cfr. PARDO I., INGRAO C., La riforma delle impugnazioni penali, cit., p.51.
[15]Cfr. PARDO I., INGRAO C., La riforma delle impugnazioni penali, cit., p. 52.
[16] V. in Diritto penale contemporaneo, 5 ottobre 2016, con nota di LORENZETTO E., Reformatio in peius in appello e processo equo (art. 6 CEDU): fisiologia e patologia secondo le Sezioni Unite; v. anche APRATI R., L’effettività della tutela dei diritti dell’uomo. Le Sezioni unite aggiungono un tassello, in www.archiviopenale.it (n. 2/2016); GIUNCHEDI F., Ulisse approda a Itaca. Le Sezioni unite impongono la rilevabilità d’ufficio dell’omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, in Archivio penale, 2016, n. 2, 2 e segg.; AIUTI V., Poteri d’ufficio della cassazione e diritto all’equo processo, in Cassazione penale, 2016, 3214; TESORIERO S., Luci e ombre della rinnovazione dell’istruttoria in appello per il presunto innocente, in La giustizia penale, 2017, III, 65; DE MARZO G.,Reformatio in peius della sentenza assolutoria di primo grado e doveri motivazionali del giudice d’appello, in Foro italiano, 2016, II, 571; CAPONE A., Prova in appello: un difficile bilanciamento, in Processo penale e giustizia, 2016, n. 6, 41; MACCHIA A., Linee evolutive del sistema d’appello alla luce della giurisprudenza nazionale e sovranazionale, in Cassazione penale, 2017, 2136.
[17]Cass., S.U., 28.3.2016, n. 27620, Dasgupta
[18]Cfr. LORENZETTO E., Reformatio in peius in appello e processo equo (art. 6 CEDU): fisiologia e patologia secondo le Sezioni Unite, www.dirittopenalecontemporaneo.it .
[19] Alla base dell’assunto vi è l’esigenza che il convincimento del giudice d’appello replichi le cadenze del giudizio di primo grado quanto all’acquisizione diretta della prova dichiarativa. Più precisamente, tenuto conto che per condannare occorre superare «ogni ragionevole dubbio» (art. 533 comma 1 c.p.p.), la percezione diretta delle dichiarazioni si pone quale condizione essenziale per apprezzarne in modo corretto e completo il contributo probatorio; a fortiori, nel frangente cruciale di riforma della sentenza assolutoria che quel “dubbio”, evidentemente, non aveva superato. Cfr. . LORENZETTO E., Reformatio in peius in appello e processo equo (art. 6 CEDU): fisiologia e patologia secondo le Sezioni Unite, cit.
[20]TESORIERO S.,La rinnovazione della prova dichiarativa in appello alla luce della C.e..d.u., in Diritto Penale Contemporano, rivista n. 3-4/2014 pag.257-258.
[21]Fra tante, Sez. IV, 23 gennaio 2014, n.6783. Questa giurisprudenza si è infatti focalizzata sulla ipotesi in cui la mancata assunzione derivi da un rigetto anche implicito, di una richiesta di parte, limitatamente ai casi previsti dall’art. 495, co.2, che è espressione del diritto alla prova (a carico a discarico) in un contesto in cui il dibattimento di primo grado è alle battute iniziali.
[22]Cfr. PARDO I., INGRAO C., La riforma delle impugnazioni penali (L. Orlando),cit.,p. 61
[23] Per un’articolata ricostruzione del possibile inquadramento nei motivi di ricorso del vizio derivante dall’omessa rinnovazione della prova dichiarativa in appello, v. TESORIERO, La rinnovazione della prova dichiarativa in appello alla luce della Cedu, cit., p. 264 s.
[24] Sul punto – e a sostegno della tesi per cui non risulta necessaria una specifica richiesta da parte del pubblico ministero – si è osservato, da un lato, che la formulazione del comma 3-bis si distingue da quelle dei primi due commi dell’art. 603 Cpp (ove si fa esplicito riferimento alla necessarietà della richiesta) e, dall’altro, come la scelta di introdurre la disposizione in coda al comma 3 (che disciplina l’ipotesi di rinnovazione ex officio) sia dettata dalla volontà di rendere tale opzione esperibile anche d’ufficio in presenza dei relativi presupposti. In questo senso, in particolare, cfr. CAPRARO L., Novità per l’appello: concordato sui motivi e obbligo di rinnovazione istruttoria, in La riforma della giustizia penale:Commento alla legge 23 giugno 2017, n. 103 , Giappichelli Editore, Torino, 2017 p. 211 s.; CERESA-GASTALDO M., La riforma dell’appello, tra malinteso garantismo e spinte deflative, in www.penalecontemporaneo.it 18.05.2017, 5 ss. A sostegno, viceversa, della necessità di una specifica richiesta si esprime SPANGHER G., Il nuovo giudizio di appello, cit.
[25]Si veda pagina 17 del presente scritto.
[26] “(…) parrebbe che, secondo il nuovo dettato normativo, la rinnovazione della prova dichiarativa discenda automaticamente dalle intenzioni della pubblica accusa di volerne beneficiare, potendo contare su una sua sicura ripetizione in appello quando si duole dell’esito assolutorio adducendo una erronea valutazione delle fonti dichiarative compiuta dal primo decidente.” Cfr.SCACCIANOCE C. “La Riforma “Orlando” e la semplificazione del sistema delle impugnazioni. Dalla “specificità” dei motivi alla struttura ‘mutevole’ dell’appello” in Archivio penale 2017 n.3,p.12.
[27]Sul punto si segnala il recentissimo orientamento della II Sezione che, con sentenza n. 55068 del 12.12.2017 ha affermato che «il giudice d’appello che intenda procedere alla reformatio in peius di una sentenza assolutoria di primo grado non ha l’obbligo di procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa cartolare, ritenuta decisiva, se acquisita ai sensi dell’art. 500, comma 4, cod. proc. pen. a seguito dell’accertamento della subornazione del testimone, a condizione che non sussistano elementi indicativi di una successiva modifica della condizione del dichiarante».
[28]Così DUCOLI G., La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in Appello dopo la Riforma Orlando. Verso un “secondo-primo” giudizio di merito?, in www.lalegislazionepenale.eu , p.10.
[29]Cfr. CERESA GASTALDO, La riforma dell’appello, cit., 7, il quale, prendendo atto che l’imputato assolto in primo grado ha diritto a un equo processo di appello, mentre l’imputato condannato, che pure critichi la sentenza per motivi attinenti alla valutazione della prova, può accontentarsi di un secondo grado inquisitorio, afferma conclusivamente come sia «difficile negare che, così, si trattino irragionevolmente in modo assai diverso ipotesi nella sostanza identiche».
[30]L’immediatezza diventa presidio di oggettiva correttezza della sentenza di secondo grado e nulla autorizza a ritenere che il suo sacrificio sia maggiormente tollerabile quando il giudice di appello trasforma la condanna in proscioglimento di quando lo sia nell’ipotesi inversa. In tal senso CAPRIOLI F., Inappellabilità delle sentenze di proscioglimento e “parità delle parti” nel processo penale, in Giur. Cost., 2007, p. 254.
[31]Così NACAR B., La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello: dubbi applicativi e questioni di legittimità costituzionale, in Diritto penale e processo 3/2018, p.325.
[32]Cass. Sez. II, 20.06.2017, n. 41571.
[33]Testualmente: «l’obbligo di rinnovare l’istruzione e di escutere nuovamente i dichiaranti, gravante sul giudice dell’impugnazione qualora valuti diversamente la loro attendibilità rispetto a quanto ritenuto in primo grado è sancito dall’art. 6 CEDU. Come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo», citando nuovamente la sentenza Dan c. Moldavia laddove afferma che «un equo processo comporta che il giudice che deve utilizzare la dichiarazione di un testimone (in modo difforme da un altro giudice) deve poterlo ascoltare personalmente e così valutarne la attendibilità intrinseca». Cass. Sez. II, 20.06.2017, n. 41571.
[34]Cassazione Penale, Sezioni Unite, Sentenza (ud. 21 dicembre 2017) 3 aprile 2018, n. 14800.
[35] SS.UU. 14800/2018, p. 4.
[36]Ivi p. 7-8.
[37]Ivi p. 8.
[38]Cfr. AIUTI V., Appello della condanna e rinnovazione istruttoria, Nota a Cass., Sez. Un., 21 dicembre 2017 (dep. 3 aprile 2018), n. 14800, Pres. Canzio, Rel. De Amicis, ric. P.G. in proc. Troise, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, p.39.
[39]Ibidem, p. 45.
[40]Quando la rinnovazione era stata subordinata, dalla giurisprudenza del tempo, all’“intenzione di riformare in peius” la sentenza di proscioglimento, avevano evidenziato la lesione al principio di terzietà del giudice. Cfr. CAPONE A., Dopo Dan c. Moldavia. Per un processo di parti nell’appello penale, “Rivista di diritto processuale”, Articolo in rivista, 2015, p. 1010; AIUTI V., La Corte europea dei diritti dell’uomo e il libero convincimento del giudice d’appello, in Cass. pen., 2014, p. 3971.
[41]NACAR B., La rinnovazione dell’istruttoria, cit., p. 327-331.
[42]AIUTI V., Appello della condanna e rinnovazione istruttoria, cit., p.45.
[43]SS.UU. Cass., 14800/2018, p.16.
[44]Si veda paragrafo 4, p.17
[45]SS.UU. Cass., 14800/2018, p.19.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.