La salute mentale nella professione legale
Alcune riflessioni sul meeting di Chicago.
di Michele Di Salvo
Il 5 agosto scorso presso l’American Bar Association House of Delegates, nel corso dell’Annual Meeting di Chicago, si è tenuto un panel specifico in cui è stato analizzato il modo in cui la professione legale sta cambiando.
Tra le tematiche affrontate i nuovi sviluppi nell’intelligenza artificiale, i diversi stili di comunicazione, il divario generazionale nel diritto, ma il focus è stata la salute mentale.
Collins Saint ha raccontato la propria storia, quando a soli 29 anni si è sentito male perché non riusciva a smettere di lavorare. Saint si era messo in proprio da due anni. Il problema, ha affermato, è che gli avvocati si fanno carico dello stress altrui, dei loro casi legali, ma nessuno si fa carico dello stress degli avvocati. La terapia lo ha aiutato ma molti avvocati continuano a sottovalutare il problema quando si parla di assistenza sanitaria mentale.
Kendrick, preside della facoltà di giurisprudenza dell’Università della Virginia, ha affermato di vedere questo fenomeno molto spesso tra i giovani studenti. “Quello che vedo è un gruppo di studenti, una generazione che vuole davvero dimostrare competenza“, definendolo “il mito delle anatre”. Molti studenti, ha chiosato Kendrick, pensano ai loro colleghi come a delle anatre che scivolano via facilmente mentre loro remano furiosamente per restare a galla. In realtà tutte le anatre remano ferocemente. “Questa non è una professione in cui il successo è la perfezione: il successo è resilienza”.
Lat, legal journalist presso Original Jurisdiction ha spiegato che il segreto per la resilienza e per aumentare la “civiltà” nella professione legale è rallentare. Quando Lat era studente alla Yale Law School c’era un muro nel campus dove le persone potevano affiggere messaggi alla comunità. Poi il muro si è spostato online.
“Si poteva semplicemente rispondere in un istante con pochi clic e un ritorno, e questo ha portato a un sacco di interazioni molto incivili, controverse, spiacevoli”, ha commentato. Alla fine, la facoltà di giurisprudenza è tornata al muro fisico.
“Quando vedi situazioni in cui gli avvocati si sono cacciati in qualche tipo di guaio, a volte etico o altro, molte volte l’avvocato stava rispondendo nella foga del momento. Rallentare e prendersi un momento per fare il punto della situazione può essere molto importante per evitare molti problemi”.
Scadenze mancate, notti trascorse in ufficio, difficoltà con le incombenze di studio, sono soltanto alcuni dei campanelli d’allarme che qualcosa non sta andando come dovrebbe. La lista potrebbe continuare, essendo in aumento il numero degli avvocati che lottano con dipendenze o problemi di salute mentale, anche se, il più delle volte, rimangono inconsapevoli dell’impatto della loro malattia e negano la gravità della loro condizione.
In Italia non se ne parla ancora. Le polizze sanitarie proposte da Cassa Forense si incentrano su eventi morbosi fisici, ignorando le patologie che colpiscono la mente degli iscritti.
Ricerche condotte all’estero hanno confermato che, come gruppo, gli avvocati vantano tassi drammaticamente alti di consumo di alcol e droghe, suicidio e problemi di salute mentale.
Lo studio fondamentale che esamina l’entità dei problemi di mental wellness e dipendenza nella professione legale, risale al 2016 coordinato da Patricia Krill. L’analisi, patrocinata dall’American Bar Association, in collaborazione con il Betty Ford Hazelton Foundation, ha intervistato circa 15.000 professionisti provenienti da una varietà di contesti di pratica legale in tutti gli Stati Uniti.
I dati, riportati da Per Diem Attorney Blog, evidenziano che il 22,6% degli interpellati ha fatto uso di alcol o altre sostanze. La Krill, in base ai dati, ha osservato che “Essere nelle prime fasi della propria carriera legale è fortemente correlato a un rischio più elevato di sviluppare un disturbo da uso di alcol“. I dati sull’impiego di sostanze sono risultati meno abbondanti e affidabili, avendo scelto, due terzi degli intervistati, di saltare quelle domande, nonostante abbiano risposto ai quesiti su alcol e problemi di salute mentale. Tale circostanza rivela che l’argomento mette gli avvocati a disagio, sebbene il sondaggio fosse anonimo.
Quanto ai problemi di salute mentale, il 28% degli intervistati ha indicato di soffrire di depressione, il 19% di soffrire di ansia, l’11,5% ha avuto pensieri suicidi e lo 0,7% ha tentato il suicidio.
Tra coloro che hanno risposto di avere un problema di salute mentale, il 63% ha affermato di non aver mai cercato aiuto. Tra coloro che hanno indicato di avere problemi con l’alcol o un’altra sostanza, il 93% ha dichiarato di non aver mai seguito un trattamento.
Un sondaggio di American Lawyer del 2019, condotto tra avvocati di studi legali di più estese dimensioni, ha rivelato che il 42% degli intervistati era preoccupato per la propria salute mentale, il proprio benessere emotivo e l’abuso di sostanze.
Affrontare e fornire supporto a queste difficoltà, può salvare i singoli professionisti, i loro studi, il rapporto coi clienti, ma anche la professione legale e la società nel suo insieme. Nonostante le statistiche siano inequivoche, negli USA soluzioni e supporti, all’interno della comunità legale, sembrano ancora lontani. Ciò rappresenta il risultato dell’ignorare la reale condizione, ma anche dell’insufficienza dei fondi destinati a finanziare i programmi in favore di chi è affetto da questi disturbi.
Problemi di mental wellness e dipendenza possono avere, nel lungo termine, effetti deleteri sulla professione legale nel suo complesso.
Dopotutto, non si suppone che gli avvocati siano i risolutori fidati dei problemi degli altri? Dando perciò per scontato che, dalle stesse problematiche, siano immuni. E non solo negli Stati Uniti.
Il lavoro legale può essere appagante, ma anche stressante ed estenuante. Competitività e crisi possono infatti comportare effetti su benessere e salute mentale. Il sondaggio condotto da ALM nel 2020 ha rilevato che il 31,2% degli oltre 3.800 intervistati si sente depresso, ed il 64% ansioso.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il burnout è un rischio professionale, “una sindrome concepita come risultante dallo stress cronico sul posto di lavoro che non è stata gestita con successo”. L’OMS delinea diversi sintomi, tra cui un senso di esaurimento e di cinismo legato al lavoro.
Qualsiasi professionista può sperimentare il burnout, ma gli avvocati ne sono immuni o al contrario sono inclini a soffrirne? Per l’Italia non sono disponibili dati specifici per la categoria forense mentre altri Stati forniscono indicazioni a riguardo.
Una ricerca condotta dalla società canadese Clio, corredata dalla consulenza di due legal coach, delinea perché il burnout degli avvocati rappresenta una grave problematica, fornendo consigli su come prevenirla o come affrontarla una volta diagnosticata.
“Puoi essere coinvolto nella pratica della legge per ottime ragioni, e può essere una scelta di carriera appropriata per te, eppure le circostanze nel tuo studio legale e nella tua pratica possono portarti al burnout”, ha osservato Allison, legal coach intervistato insieme al collega Terry alla conferenza Clio Cloud.
In casi estremi, l’impatto del burnout per gli avvocati è vasto, significativo e grave.
Perché gli avvocati sono così stressati?
La dedizione che rende un avvocato di successo rappresenta spesso la causa dello stress. Fattori in sinergia, come la competitività, l’eccesso di perfezionismo e di ambizione, le ore eccessive di lavoro, la mancanza di validi supporti, cagionano questa sindrome.
Secondo gli esperti il burnout nell’avvocato non arriva dall’oggi al domani, ma si accumula gradualmente nel tempo. Per evitarlo, è fondamentale riconoscere i primi segnali, come la mancanza di entusiasmo ed il sentirsi esausto e distaccato, la mancanza di concentrazione e di attenzione, l’irritabilità, la mancanza di equilibrio tra lavoro e vita privata.
Per gli avvocati sull’orlo del burnout è importante agire rapidamente. Il consiglio degli esperti è quello di rallentare per un po’ e recuperare, evitando di spingersi fino al punto di esaurimento totale, mentale e fisico.
Ecco alcune tra le tattiche consigliate agli avvocati per tenere a bada il burnout: ricaricare le batterie riposando e prendendosi cura del proprio corpo, dedicarsi a qualcosa che rende felici, conoscere i propri limiti, imparare a dire di no e lasciare andare la convinzione di poter gestire più di quanto effettivamente si può.
Secondo Terry, creare una “nuova relazione con il tempo” rappresenta uno dei punti chiave per allontanarsi dal modello malsano in cui si è precipitati, ma anche fare delle pause, riconnettersi con sé stessi, predisporre un piano di recupero personale rivolgendosi a uno psicologo.
Certamente un ruolo di primo piano è assunto dall’ambiente di lavoro: non solo il proprio studio ma soprattutto i tribunali. Una componente massiccia di stress deriva dalla burocrazia legata non solo alle scadenze ma agli adempimenti.
In questo i sistemi divergono molto. La durata media di un processo penale è di 1,2 anni, in Italia è 6. Il ricorso alla mediazione negli Stati Uniti è il 60% dei casi, in Italia è sotto il 20%. Il tutto mentre negli Stati Uniti la durata media di una causa civile è due anni, e in Italia anche 7 (solo per il primo grado).
Scarsa è la formazione professionale in Europa nella gestione del cliente, mentre vi è maggiore attenzione in Inghilterra, e negli Stati Uniti tutto viene lasciato alla discrezionalità dello studio legale.
Il problema maggiore è che questo accumulo di stress su più fronti (tribunali e clienti) si ripercuote negativamente anche sulla vita privata che ne risulta danneggiata.
In questo contesto il rischio è di vivere in una condizione generativa di stress latente nell’intero arco della giornata.
Non è quindi strano l’insieme complessivo dei sintomi che si riscontrano ad un esame tanto clinico quanto statistico.
Il ricorso all’alcol, al fumo, ed a sostanze stupefacenti nasce come una sorta di “auto terapia” anti stress, che si trasforma progressivamente in parte in un problema di dipendenza cronica.
La depressione, in varie forme e declinazioni, è correlata ad una vita stressata sia sotto il profilo psicologico che biologico, attraverso la diminuzione di neurotrasmettitori come serotonina e dopamina e l’aumento di ormoni come il cortisolo.
Il ricorso al fumo (nicotina) ed al consumo eccessivo di bevande energetiche (caffeina) rientra ugualmente in questo quadro specifico.
Questo stile di vita tossico si traduce concretamente in una forte incidenza di rischio di tumori, malattie cardio circolatorie e di ictus, oltre a diverse patologie psicologiche.
In particolare il burnout è stato studiato approfonditamente per quanto concerne le professioni mediche “di prima linea” (medici e chirurghi di pronto soccorso ad esempio) e si è intervenuto in maniera incisiva almeno in parte. Ciò era facilitato dal fatto che la categoria osservata era la stessa dell’osservatore e quindi i dati e gli interventi erano di immediata investigazione e comprensione.
Le professioni non mediche in genere sfuggono a questa percezione e sottovalutano il rischio e l’importanza di un intervento precoce e serio.
Il caso delle professioni legali è in prima linea in questa necessaria ridefinizione del rapporto tra uomo, lavoro, vita privata, e tempi della vita.
Da una buona qualità della vita delle persone impegnate in ambito legale dipende anche la qualità della giustizia nel suo insieme, un tema che non resta chiuso nelle aule di tribunale e non può essere considerato di nicchia.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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