La sanatoria della nullità negoziale: indagine casistica

La sanatoria della nullità negoziale: indagine casistica

Sommario: Introduzione – 1. La nullità del contratto: il regime dell’art.1418 c.c. – 2. Nullità nel contratto e nel provvedimento amministrativo – 3. Casistiche della sanatoria: in particolare il regime della trascrizione tardiva del titolo nullo, la sanatoria della clausola nulla nel testamento e nella donazione, la transazione sul titolo nullo e la nullità consumeristica – 4. Conclusioni

 

 

 

Introduzione 

La categoria della nullità contrattuale rappresenta, nel sistema civile, la forma più severa con cui l’ordinamento sanziona la contrarietà dell’autonomia negoziale alle regole poste dal legislatore a presidio di interessi generali.

La nullità del negozio, più in generale l’invalidità, assume così i caratteri di un’interferenza eccezionale della legge nella libera autodeterminazione contrattuale; libertà, questa, consacrata nell’art.41 Cost.

Per tale ragione, tutte le ipotesi che dalla dottrina maggioritaria vengono ricondotte nel genus dell’“invalidità”, quindi non solo nullità, ma anche annullabilità e rescissione, sono espressione di una volontà conformatrice alle regole dell’ordinamento, che si esplica necessariamente in maniera tassativa.

L’invalidità, della quale alcuni escludono l’autonomia concettuale, rappresenta una categoria essenziale, nella quale la nullità, come le altre ipotesi rimediali, sono accomunate dal fatto che l’anomalia che si intende eliminare è un vizio genetico, originario, che impedisce la produzione degli effetti contrattuali in maniera definitiva.

La tassatività delle cause di invalidità, conciliativa col principio di autonomia privata, si estrinseca nella differente graduazione di tale anomalia mediante la severità della sanzione: essa, più tenue e rimediabile nei casi di annullabilità, diviene più grave e tendenzialmente irrimediabile nei contratti nulli.

Il rimedio al vizio, ovvero la possibilità di far salvo il contratto, deve infatti coniugarsi con la diversa ratio che distingue la nullità dalle altre forme di invalidità, rispetto alle quali il contratto nullo si atteggia come insanabile.

Malgrado ciò, questa regola fondamentale consacrata nell’art.1423 c.c., seppur valevole per il contratto in generale, presenta delle deroghe più o meno significative negli altri negozi tipici, così come nell’ambito delle c.d. “nullità di protezione”.

Le deroghe all’insanabilità assoluta del negozio nullo trovano fondamento ancora una volta nella differente ratio che sorregge le varie fattispecie negoziali in questione.

È opportuno tener conto del fatto che, sebbene il contratto rappresenti il paradigma del negozio giuridico, esistono delle categorie negoziali, quali il matrimonio, il testamento e i contratti del consumatore, che esigono un trattamento differenziato in termini di disciplina, ove trova spiraglio il fenomeno della sanatoria della nullità.

L’analisi casistica dell’eccezione alla regola rende opportuno premettere una breve disamina della nullità del contratto, quale forma di vizio tendenzialmente insanabile.

1. La nullità del contratto: il regime dell’art.1418 c.c.

Ai sensi dell’art.1418 c.c. un contratto è nullo quando è affetto da un vizio genetico tanto grave da renderlo inidoneo in via definitiva alla produzione degli effetti: ciò si verifica o in presenza di una deficienza strutturale insanabile, ovvero quando il contratto è affetto da un vizio di carattere c.d. “politico” che lo rende illegale o illecito.

Più esplicitamente la norma distingue la nullità per violazione di norme imperative, per mancanza dei requisiti essenziali di cui all’art.1325 c.c., per illiceità della causa, dell’oggetto e dei motivi e, in via residuale “in tutti i casi previsti dalla legge”.

A fondamento dalla costruzione normativa si pone la ratio dell’istituto, in cui trova giustificazione anche l’insanabilità del vizio, che è quella di tutelare un interesse di carattere generale e trascendente rispetto all’interesse particolare della parte contrattuale.

Sotto tale aspetto la nullità si distingue dalle altre due ipotesi di invalidità, cioè la annullabilità e la rescissione, la cui funzione è la salvaguardia dell’interesse leso di una delle parti, la cui volontà e manifestazione del consenso non si sono formate ab origine in maniera corretta.

Sia l’annullabilità che la rescissione sono accomunate dal fatto che i vizi in esse richiamati attengono essenzialmente all’iter psicologico del soggetto che si determina a contrarre e non trascendono verso principi di carattere sovra-individuale.

Non a caso, il contratto annullabile può essere convalidato, ai sensi dell’art.1444 c.c., da parte del soggetto al quale spetta l’azione di annullamento, ovvero colui la cui volontà non si è correttamente formata.

L’azione è, a tal proposito, di carattere relativo, non è rilevabile d’ufficio dal giudice e si prescrive nel termine di 5 anni, decorsi i quali il contratto invalido stabilizza i suoi effetti, realizzandosi una sorta di sanatoria per mancato esperimento dell’azione.

Differente è invece l’interesse trascendente tutelato dall’art.1418 c.c., il quale si disinteressa della formazione della volontà individuale, andando a correggere quelle violazioni di legge, la cui irrimediabilità non può ammettere la convalida e quindi nemmeno la produzione degli effetti.

Questo interesse sarebbe vulnerato da una grave difformità del contratto rispetto a norme di fattispecie, strutturali e imperative, e in ciò si giustifica la connessa imprescrittibilità dell’azione, la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice in ogni stato e grado del procedimento, la natura dichiarativa della sentenza e l’impossibilità per i terzi, anche di buona fede, di far salvi i propri acquisti.

Senonché la difformità rispetto alla disciplina può dar luogo o a un’ipotesi più tenue di illegalità, caratterizzata da una divergenza tra la regola e la volontà programmatica, potenzialmente sanabile, oppure a una più grave situazione di illiceità, ove ad essere illegittimo è il risultato che le parti intendono perseguire attraverso il negozio, come tale, assolutamente insanabile.

Dalla sanatoria va ulteriormente tenuta distinta la nullità parziale del contratto di cui all’art.1419 c.c., secondo cui la nullità di singole clausole non si estende all’intero contratto se queste non erano essenziali ai fini della conclusione, potendo le stesse, prevede il comma 2, essere sostituite di diritto da norme imperative.

Nel caso di nullità parziale, e in particolare nell’ipotesi di sostituzione automatica di clausole, non ci troviamo dinnanzi a una forma particolare di convalida, bensì all’affermazione di un principio generale preordinato alla conservazione del rapporto giuridico, nullo solo nella parte non essenziale agli scopi causali delle parti.

Tanto è sufficiente, secondo il principio di non interferenza nell’autonomia negoziale, a preservare gli effetti di un contratto epurato da clausole viziate.

2. Nullità nel contratto e nel provvedimento amministrativo

È opportuno precisare la profonda antinomia tra la nullità tendenzialmente insanabile e imprescrittibile del contratto e quella del provvedimento, nei casi contemplati dall’art.21 septies L.241/90, la quale, decorso il termine di prescrizione dell’azione, determina ex lege la stabilizzazione degli effetti del provvedimento nullo.

L’art.21 septies L.241/90 contempla tre ipotesi di nullità del provvedimento: incompetenza assoluta, mancanza dei requisiti essenziali e atto emesso in violazione o elusione del giudicato.

Con riguardo ai vizi strutturali viene spontaneo il parallelismo rispetto agli elementi strutturali del contratto di cui all’art.1325 c.c., tanto che si deve innanzi tutto premettere un aspetto essenziale alla ricostruzione del differente regime dell’invalidità tra contratto e provvedimento.

Una tesi, forse la più risalente, ha per lungo tempo sostenuto che vi fosse una perfetta coincidenza ontologica tra contratto e provvedimento amministrativo, ritenendosi che il secondo traesse dal primo la disciplina dei suoi elementi essenziali e dunque incorresse nella nullità per effetto della mancanza di uno di essi.

Siffatta impostazione, tuttavia, non teneva conto del fatto che negozio e provvedimento rappresentano l’esplicazione perfetta dell’antitesi pubblico-privato. L’antitesi tra l’autonomia negoziale di diritto privato, il cui scopo è liberamente determinato dalle parti nei margini della liceità, e il vincolo pubblicistico di conformazione al pubblico interesse, ossia una causa, quella stabilità dalla legge per il provvedimento, che non è libera nell’an ma solo nel quomodo.

Per quanto si possa ritenere che sia nel contratto che nel provvedimento si sia in presenza di un vizio originario che, ab origine, preclude la produzione degli effetti dell’atto, ad essere differente è il regime dell’eccezionalità che grava sull’atto negoziale piuttosto che sull’atto amministrativo.

Se infatti il rimedio dell’invalidità costituisce una regola nel diritto amministrativo, stante l’operatività di sole norme imperative poste a presidio della legalità sostanziale del provvedimento, essa sarà invece un’eccezione nel diritto civile, ove l’autonomia negoziale non può subire limitazioni dall’ordinamento, se non nella misura in cui i contraenti pongano in essere un contenuto sine iure e contra ius.

E’ differente la funzione del provvedimento rispetto al contratto, il primo essendo determinato nel fine pubblicistico dalla legge, che, in un’ottica fortemente comunitaria, impone la tutela dell’affidamento circa la stabilità dei diritti quesiti dal cittadino e soprattutto il perseguimento del fine pubblicistico mediante vincoli sia positivi che negativi.

I limiti positivi posti dalla legge, intesi come “obblighi” sono pressoché sconosciuti nell’autonomia privata, che conosce solo obblighi negativi, ossia divieti, mentre sono numerosi nella disciplina dei provvedimenti e del diritto amministrativo in generale. Ma l’aspetto che ai nostri fini appare già rilevante per delineare la differenziazione è dato dalla prescrittibilità dell’azione posta a tutela del provvedimento nullo, la quale non è più esperibile dall’interessato decorsi 180 giorni, dopo di che il provvedimento acquisisce stabilità nella produzione degli effetti giuridici.

Non trova dunque applicazione il regime dell’esperibilità dell’azione, salvo la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice e la possibilità di eccepirla da parte dell’opponente.

In definitiva, una prima ed esaustiva risposta al quesito principale deve essere rinvenuta nell’art.1423 c.c., a mente del quale il contratto nullo (differenziandosi dal provvedimento) non può essere convalidato “se la legge non dispone diversamente”.

Quest’ultimo inciso è essenziale poiché rimette al legislatore l’individuazione di eventuali deroghe al principio di insanabilità del contratto invalido, essenzialmente rinvenibili: nei negozi diversi dal contratto, come il testamento e la donazione, nella disciplina societaria ai sensi degli artt.2332 comma 5 c.c. e 2379 c.c., nella transazione sul titolo nullo ex art.1972 c.c. e, in ultimo, nel caso in cui le parti ricorrano al meccanismo della conversione ex art.1424 c.c.

È opportuno richiamare due ulteriori fattispecie, ovvero quel meccanismo di sanatoria contemplato in materia di trascrizione tardiva dei titoli nulli di cui all’art.2652 n.6 c.c. e, infine, il particolare regime ad effetto sanante delle nullità di protezione ex art.36 d.lgs. n.206/2005, in materia consumeristica.

3. Casistiche della sanatoria: in particolare il regime della trascrizione tardiva del titolo nullo, la sanatoria della clausola  nulla nel testamento e nella donazione, la transazione sul titolo nullo e la nullità consumeristica

Si può così affermare che, non solo la sanatoria dell’atto nullo è perfettamente ammissibile nei casi previsti dalla legge, ma smentisce la tesi che riconduce la nullità nel paradigma dell’inesistenza.

Mentre quest’ultima categoria impone di parlare di un “non contratto”, di un qualcosa che è privo di quelle fattezza minime che consentano di qualificarlo come negozio, il contratto nullo, diversamente, è disciplinato da un insieme di norme di fattispecie che altrimenti non troverebbero giustificazione dinnanzi all’inesistenza.

Le deroghe al divieto di sanatoria, più di tutte dimostrano come un negozio nullo possa esistere sul piano giuridico, talvolta anche degli effetti tanto che la casistica delle situazioni che derogano alla struttura generale si presenta variegata, toccando differenti settori dell’ordinamento.

Il paradigma negoziale del contratto si presta, come accennato, alla disciplina degli altri negozi, come il testamento e la donazione, i quali tuttavia presentano le loro peculiarità funzionali.

Per ciò che concerne il testamento si può osservare come l’art.590 c.c. è rubricato “Conferma e esecuzione volontaria di disposizioni testamentarie nulle”.

La norma in oggetto stabilisce che la nullità della disposizione testamentaria non può essere fatta valere di colui che, conoscendola, vi abbia dato esecuzione o la abbia confermata dopo la morte del testatore.

La natura della fattispecie va conciliata al fondamento giuridico generale del negozio testamentario, per il quale il legislatore guarda all’ultima volontà testamentaria in maniera particolarmente sensibile, tanto che, in ossequio a tale tendenza la legge consente di far salve le disposizioni nulle, oggetto di un atto di conferma espresso o tacito.

Ci si domanda, tuttavia, quale sia la vera natura della conferma, di cui taluni dubitano che si tratti di una sanatoria legale in senso tecnico.

Più esattamente si ritiene che l’atto di conferma produca effetti solo in capo confermante, al quale sarebbe ormai preclusa l’azione di nullità, mentre l’invalidità continua ad essere effettiva verso gli altri soggetti non confermanti, che ben potrebbero agire avverso la disposizione.

La conferma, quindi, non si atteggerebbe come un negozio attributivo, in quanto l’attribuzione deriva dal solo testamento e fa capo esclusivamente al de cuius.

Né può ritenersi che la conferma sia un negozio abdicativo/rinunciativo della nullità, in quanto il carattere trascendente dell’azione di nullità rende la stessa un diritto indisponibile, al quale si può rinunciare solo in via endoprocessuale, nulla impedendo che il medesimo vizio sia fatto valere da quel soggetto con un’azione successiva (sulla questione della rinuncia alla nullità negoziale cfr. Cass.civ.18 ottobre 2018 n.26168).

Questa conclusione è auspicabile, a meno che non si ritenga che in via eccezionale il legislatore abbia concepito tale fattispecie come un’ipotesi eccezionale di rinuncia al diritto indisponibile, e allora in questo caso dovrà parlarsi di negozio rinunciativo della nullità.

Altra opinione è però nel senso di ritenere la conferma non solo una sanatoria in senso tecnico, ma anche produttiva di effetti erga omnes: essa assume le fattezze di un negozio autonomo che rinviene la propria causa nell’intenzione di elidere il vizio della disposizione cui si dà attuazione.

A scanso di una formulazione normativa dalla portata molto vasta, va precisato che non qualsiasi forma di nullità della disposizione può essere oggetto di conferma.

Parte della giurisprudenza ritiene invero che, in caso di nullità per violazione di norme imperative, ordine pubblico e buon costume, quindi in caso di illiceità, la sanatoria è ammissibile solo quando ad essere illecito è il mezzo che porta ad attuazione la disposizione, ovvero il testamento.

Si pensi all’ipotesi della nullità del testamento congiuntivo: essa è sanabile mediante conferma o esecuzione della disposizione nulla. Non può ammettersi altrettanto nel caso in cui l’illiceità avvince il fine a cui la disposizione è preordinata, come nel caso in cui vengono favorite attività criminose.

Per la sua intrinseca affinità rispetto al testamento, anche la donazione nulla può essere oggetto di conferma per volontà del legislatore, il quale all’art.799 c.c. prevede un effetto analogo a quello di cui all’art.590 c.c.

Anche la donazione è un negozio, in questo caso bilaterale e spontaneo, che presenta le proprie peculiarità in ragione del tipo di causa identificata nell’animus donandi e rafforzata da una forma solenne ad substantiam.

A conferma di ciò si guardi alla possibilità di annullare la donazione per errore sul motivo che sia stato determinante per il donante, ipotesi esclusa per qualsiasi altro contratto “ordinario”.

Come per il testamento la natura del negozio donativo incide sul regime della nullità attraverso una norma del tutto speculare all’art.590 c.c. e in virtù della quale possono ritenersi valevoli le medesime considerazioni fatte poc’anzi circa la dubbia natura della conferma.

Va però precisato che la donazione non può essere oggetto di conferma da parte del donante, al quale resta la possibilità di rinnovarla con efficacia ex nunc mediante un atto dotato dei medesimi requisiti di forma e sostanza. Solo il donatario o i donatari possono confermare la donazione per mezzo di un atto espresso che assumerà gli stessi requisiti della convalida ex art.1444 c.c.

Parte della dottrina ha ritenuto di poter qualificare le fattispecie di cui agli artt.590 e 799 c.c. quali forme di transazione sulla nullità del negozio, riconducibile a quanto previsto dall’art.1972 c.c.

Partendo dal presupposto che il negozio di transazione è figura funzionale al superamento stragiudiziale della res litigiosa, mediante reciproche concessioni tra le parti, è d’uopo chiedersi se per la conferma del testamento e della donazione più che di sanatoria, come sostenuto da taluni, debba piuttosto parlarsi di transazione implicita.

Ci si può altresì chiedere se lo stesso art.1972 comma 2 c.c. costituisca esso stesso una forma di sanatoria del contratto nullo.

L’art.1972 comma 2 c.c. stabilisce invero che, al di fuori dei casi di transazione fatta su un titolo nullo per illiceità, la transazione su un atto affetto da qualsiasi altra nullità è ammessa, così come l’azione di annullamento può essere esperita dalla parte che ignorava la nullità del titolo.

Se il primo comma esclude radicalmente la transazione del titolo illecito, coerentemente con quella particolare gravità che connota questo genere di vizio politico, il capoverso lascia filtrare un’ipotesi di annullabilità dovuta solo all’errore di una delle parti circa la consapevolezza, di fatto e di diritto del titolo nullo.

L’assetto normativo così esplicitato è da doversi interpretare nel senso che è sempre transabile il contratto affetto da un’invalidità “meno grave”, ovvero per mancanza dei requisiti formali e per tutte le c.d. nullità politiche che danno luogo a illegalità.

Le parti che si trovano dinnanzi a un titolo nullo potrebbero dunque porre in essere un negozio di transazione della cui natura è sorge il dubbio circa un eventuale carattere sanante.

Vero è che la lettera della norma lascia protendere in questo senso, atteggiandosi come una delle deroghe previste dalla legge all’impossibilità di convalidare il titolo nullo: si osservi, in particolare, l’accortezza del legislatore nello specificare l’infattibilità della transazione, non per ogni tipologia di nullità, quanto invece solo per quella dovuta a illiceità del contratto oggetto della stessa.

Una siffatta asserzione è evidentemente in linea con quanto sopra dichiarato circa la maggior “tenuità”, in termini di gravità, delle ipotesi di nullità diverse dall’illiceità mera, la forza dell’autonomia negoziale potendo, al pari che nella conversione, soprassedere alle stesse, nel rispetto della previsione di legge.

Riguardo al secondo aspetto, parte della dottrina ritiene che gli artt.590-799 c.c. non costituiscano una forma implicita di transazione mediante conferma della disposizione nulla, una ricostruzione quest’ultima, per vero, assai risalente.

La stessa dottrina, tuttavia, è comunque restìa ad ammettere per le due fattispecie la sussistenza di una natura effettivamente sanante, stante, come affermato, la riconducibilità della conferma, sia testamentaria che donativa, a un soggetto diverso da colui il quale pone in essere l’atto viziato.

Su altro fronte, particolarmente significativo appare ai nostri fini il regime delle trascrizioni, ove la legge contempla invece un’ipotesi eccezionale di trascrizione tardiva, c.d. pubblicità sanante, con cui è possibile far salvi i diritti dei terzi di buona fede che hanno acquistato un bene già oggetto di un titolo nullo.

L’art.2652 n.6 c.c. puntualizza che se la domanda volta a far valere la nullità è trascritta dopo cinque anni dalla trascrizione del contratto nullo, la nullità del titolo non preclude l’acquisto dei terzi che abbiano trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda.

In ultima istanza è necessario richiamare il settore inerente alle nullità di protezione, di cui all’art.36 d.lgs.206/2005 le cui peculiarità, rispetto alle regole della nullità generica, altro non sono se non una proiezione del tipo di interesse ad esse sotteso: l’interesse pubblico al benessere del consumatore.

La ragione è comprensibile se si guarda alle dinamiche del settore di riferimento, connotato da una maggiore fragilità che va a svantaggio del consumatore, incentivato da una tendenza disinformativa e da pratiche commerciali molto veloci.

Tale interesse non è trascendente, ma allo stesso tempo è bisognoso di una tutela d’ordine pubblico, ancorché conferente al singolo consumatore, che viene ad essere leso in tutti quei rapporti ove egli assume questa qualifica e si pone quindi su un piano di necessaria subordinazione rispetto al professionista.

La speciale ratio della materia attribuisce alla nullità di protezione lineamenti misti che richiamano l’istituto dell’annullabilità: l’art.36 specifica, invero, che la nullità delle clausole vessatorie è a legittimazione relativa, nel senso che solo il consumatore può esperire l’azione e il giudice la può rilevare d’ufficio solo se ciò vada a vantaggio del consumatore stesso.

In caso contrario, le clausole nulle continuano a produrre effetti tra le parti.

In ciò si ravvisa una forma di sanatoria delle clausole nulle, alla cui azione il consumatore si trova a rinunciare in sede processuale: il carattere relativo della legittimazione, così come la rilevabilità d’ufficio subordinata all’interesse della parte, può essere quindi intesa quale forma di sanatoria della nullità delle clausole vessatorie.

Si guardi a titolo di esempio alla possibilità per il consumatore investitore di selezionare solo gli investimenti svantaggiosi derivanti da un contratto quadro nullo per difetto di forma, facendo salvi quelli vantaggiosi nell’alveo del rispetto delle buona fede.

Il potere dispositivo dell’investitore di far salvi gli investimenti vantaggiosi può essere visto, invero, come una forma sanatoria realizzata mediante la rinuncia a far valere l’azione di nullità. La relatività di quest’ultima e la possibilità del legittimato a non servirsene secondo i propri interessi appare come una tecnica con cui il legislatore, derogando al carattere assoluto del vizio, legittima la stabilizzazione degli effetti di un contratto nullo.

Si guardi ancora alla possibilità di far salvi gli effetti di un contratto definitivo di acquisto di immobile in costruzione.

Argomentando a contrario, a partire da una recente pronuncia di legittimità (Cass. civ. n.30555/2019), si può affermare che, se il comportamento secondo buona fede impone all’acquirente di evitare l’azione di nullità nel caso in cui un preliminare privo di garanzia fideiussoria, quindi nullo, pervenga comunque alla stipula del definitivo, allora tale forma di nullità del preliminare per mancanza di un requisito essenziale può considerarsi sanata da un contratto definitivo, che consente alle parti di realizzare gli scopi del programma negoziale.

4. Conclusioni

In definitiva e alla luce di quanto sin qui analizzato, è possibile desumere che la sanzione della nullità contrattuale costituisce un rimedio al vizio genetico più grave del contratto, la cui difformità ai precetti di ordine pubblico giustifica la tendenziale insanabilità dello stesso.

Il legislatore ammette, tuttavia, delle situazioni particolari di sanatoria, giustificate dalla particolare ratio che sostiene le fattispecie in gioco, per quanto la loro individuazione non sia suscettibile di un’unanime condivisione, trattandosi piuttosto di forme di conferma da parte di soggetti diversi da colui che ha posto in essere il negozio.

Una menzione particolare meritano le nullità di protezione, il cui regime speciale le rende affini all’annullabilità, in particolare per ciò che riguarda il carattere relativo dell’azione, esperibile unicamente dal consumatore e da esso non esercitabile in sede processuale.

La rimessione dell’operatività dell’istituto in capo al soggetto debole, che nel valutare la propria convenienza può ben scegliere di dar seguito agli effetti della clausola nulla, rappresenta certamente una deroga al perentorio potere caducatorio della nullità contrattuale e sotto tale aspetto una forma di sanatoria dei rapporti giuridici già in atto.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News

Articoli inerenti