La SCIA tra principio di affidamento e tutela del terzo controinteressato
La SCIA rappresenta, senza ombra di dubbio, uno degli istituti più complessi del diritto amministrativo, a causa del suo carattere multiforme e, pertanto, talvolta contraddittorio.
La circostanza che, proprio nella SCIA, trovino spazio rapporti definiti “multipolari”, infatti, fa sì che emergano, al suo interno, una serie di principi, tutti fondamentali, nel cui ambito è necessario trovare un equilibrio.
Tra questi, in particolare, preliminarmente rilevano il principio di affidamento, cui le modifiche che hanno riguardato l’istituto sembrano – almeno in parte – ispirate, e quello contrapposto dell’effettività della tutela del terzo controinteressato.
L’emersione di questi principi, poi, a sua volta, mette in evidenza una serie di istituti ulteriori che vengono particolarmente in rilievo – quali le discussioni sulla natura della SCIA, l’inerzia della P.A., il potere di autotutela – che ulteriormente complicano un quadro, già di per sé, abbastanza nebuloso.
Più in particolare, la SCIA è stata, nel corso del tempo, oggetto di una serie di interventi modificativi da parte del legislatore, in un’ottica di progressiva valorizzazione della semplificazione procedimentale, di partecipazione del privato e, più in generale, di trasparenza, culminata con le ultime modifiche apportate dalla l. n. 124/15 (cd. Legge Madia) e dei successivi decreti di essa attuativi (in particolare, per quel che qui interessa, il d. lgs. n. 126/16).
La natura della SCIA è stata rinvenuta dal Consiglio di Stato in sede consultiva, nella liberalizzazione parziale, volta ad incentrare l’interazione tra segnalante e P.A. ai controlli successivi che quest’ultima deve esercitare.
Peraltro, la circostanza che la Corte Costituzionale abbia, invece, incardinato la SCIA nell’alveo degli istituti di vera e propria semplificazione procedimentale, lascia propendere per la conclusione che essa realizzi una sintesi di entrambe le “anime”.
In effetti, lo sgravio realizzato per il tramite dell’introduzione della disciplina e delle sue successive modifiche è certamente realizzato. L’art. 19, l. n. 241/90, infatti, sancisce che l’attività il cui inizio è subordinato ad atti di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nullaosta comunque denominato, salve le ipotesi previste dalla legge, può iniziarsi con la semplice segnalazione da parte dell’interessato all’autorità competente, quando il rilascio degli stessi dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e dei presupposti legislativamente previsti.
L’esigenza di ulteriore semplificazione è stata, poi, dimostrata dall’introduzione della SCIA unica, di cui all’art. 19 bis. D’altra parte, che la SCIA sia luogo di emersione anche dell’ulteriore esigenza di liberalizzazione parziale, come evidenziato, è dimostrato da tutto il meccanismo dei poteri successivi affidato alla P.A. (o alle pubbliche amministrazioni) competente.
Modificando l’impianto previgente, infatti, l’art. 19 prevede una sorta di gerarchia tra poteri conformativi, che, ove possibile, vanno sempre preferiti, e, sussidiariamente, poteri inibitori e di autotutela.
Più in particolare, qualora riscontri un’irregolarità, la P.A. deve assegnare un termine non inferiore a 30 giorni al privato perché si conformi alla disciplina normativa, allo spirare del quale, l’attività si intende vietata in mancanza di adeguamento da parte del privato.
Nell’arco di questo periodo di tempo, peraltro, l’attività non può essere sospesa, salvo che in presenza di dichiarazioni non veritiere o di pericolo per l’interesse pubblico in particolari settori, quali la salute, l’ambiente, la sicurezza pubblica ecc.
Soltanto ove ciò non sia possibile, la P.A, nel termine di 60 giorni (dimezzato per la SCIA edilizia), può inibire la prosecuzione dell’attività ed ordinare la rimozione di eventuali effetti dannosi prodotti con provvedimento motivato.
Decorso tale termine, poi, la P.A. può comunque intervenire in autotutela, in base al disposto dell’art. 21 nonies, l. n. 241/90, entro, dunque, un periodo massimo di 18 mesi (che può essere ulteriormente abbreviato qualora esigenze di proporzionalità e ragionevolezza lo impongano), salvi i casi in cui l’annullamento d’ufficio dipenda da dichiarazioni false o mendaci, costituenti reato, accertato con sentenza passata in giudicato.
La disciplina è stata oggetto di rilevanti modifiche nel corso del tempo: basti pensare all’eliminazione del riferimento alla revoca ex art. 21 quinquies, del potere sanzionatorio e, più in generale, della possibilità di intervenire in ogni tempo e a prescindere da qualunque ulteriore presupposto, in caso di dichiarazioni false.
E’. allora, evidente la funzionalizzazione dell’istituto verso esigenze di certezza, che valorizzano l’affidamento del segnalante nei confronti della P.A., quale corollario del più generale principio di buona fede, che pervade, ormai, anche il diritto amministrativo, in virtù del fondamentale principio di proporzionalità, che impone alla P.A. di perseguire il pubblico interesse, con il minor sacrificio possibile per il privato.
Tuttavia, il già complesso equilibrio tra esigenze di semplificazione e liberalizzazione, da un lato, e tutela dell’affidamento del segnalante, pur sempre nel rispetto del dato normativo, deve confrontarsi con un ulteriore fattore.
Il riferimento è, in particolare, alla tutela del terzo controinteressato, nel cui ambito, peculiare rilevanza ha assunto la discussione circa la natura giuridica della SCIA.
Secondo una prima impostazione, infatti, la SCIA era assimilabile ad un provvedimento tacito di assenso, con la conseguente possibilità, per il controinteressato, di impugnare lo stesso.
L’impostazione, certamente, aveva il pregio di conferire adeguata tutela sia al controinteressato, che all’affidamento del segnalante nei suoi rapporti con la P.A. Tuttavia, non era perfettamente coerente con il dato normativo, poiché la SCIA, come noto, è valida sin dalla sua presentazione, momento dal quale, tra l’altro, è legittimato l’inizio dell’attività da parte del segnalante. Per contro, il meccanismo del silenzio-assenso opera quale paradigma generale dei rapporti tra P.A. e privato, qualora l’amministrazione resti inerte oltre il termine di conclusione del procedimento. La tesi, peraltro, è oggi chiaramente smentita dallo stesso dato legislativo, come dimostrato, tra l’altro, dallo stesso art. 19, 6 ter, l. n. 241/90.
Contrapposta impostazione era volta a configurare la SCIA come atto privato, presentato dal privato segnalante e sottoposto solo successivamente all’eventuale esperimento dei poteri conferiti alla P.A.
Certamente la tesi si presenta più coerente anche con tutte le logiche ispiratrici degli interventi normativi in materia. Tuttavia, la tutela del controinteressato era affidata al meccanismo del silenzio-inadempimento della P.A., che, a fronte della segnalazione illegittima, non attiva i suoi poteri; l’espediente era ritenuto, in verità, del tutto insoddisfacente, data l’incoerenza di fondo che presenta tale meccanismo in questo settore.
Ed infatti, con riguardo ai poteri inibitori, la scadenza del termine di 60 giorni (o 30, per la SCIA edilizia) consuma il potere della P.A. di inibire la prosecuzione dell’attività, laddove il giudizio sul silenzio presuppone che l’amministrazione non abbia smarrito il potere di provvedere. D’altra parte, il potere di autotutela – la cui previsione nell’ambito dell’art. 19 presenta, forse, già di per sé un’incongruenza, in quanto potere di secondo grado atto ad incidere su un precedente provvedimento della P.A. che qui, formalmente, mancherebbe – è del tutto incompatibile con il silenzio-inadempimento, che presuppone la sussistenza di un’attività vincolata, a fronte dell’alta discrezionalità che caratterizza l’autotutela.
Dinanzi al perdurante contrasto interpretativo, il Consiglio di Stato, in Adunanza Plenaria, con sent. n. 15/11, ha offerto un’alternativa ricostruzione ermeneutica, certamente rispettosa delle differenti esigenze che emergono nel complesso contesto della SCIA.
Ed infatti, la Plenaria ha costruito le posizioni giuridiche del segnalante e del controinteressato, rispettivamente, come interesse oppositivo a che la P.A. non eserciti i “contropoteri” e come interesse pretensivo a che tali poteri siano, invece, esercitati.
Di conseguenza, la tutela del controinteressato è stata configurata, dai giudici amministrativi, come impugnazione del silenzio-rigetto della P.A. a fronte di una – sia pur ipotetica – istanza del controinteressato medesimo.
Sebbene la pronuncia sia stata criticata (sia perché presuppone la sussistenza di un’istanza che, invece, può mancare, che in quanto volta a configurare un’ipotesi di silenzio-rigetto senza espressa previsione legislativa), essa ha l’indubbio merito di coniugare l’affidamento del segnalante e la tutela del controinteressato, che, in ossequio ad esigenze di effettività, viene dettagliatamente costruita nell’ambito della sentenza.
Più in particolare, la Plenaria prevede la possibilità di una tutela cautelare ante causam per sospendere l’attività; successivamente il controinteressato può proporre azione di accertamento (atipica), finalizzata ad accertare la mancanza dei presupposti e requisiti previsti dalla legge, nell’attesa che maturino i termini per la formazione del silenzio.
In seguito, qualora la P.A. resti inerte, si avrebbe automatica conversione dell’azione in impugnazione del silenzio; se accolga l’istanza del controinteressato, il giudice amministrativo dovrebbe dichiarare cessata la materia del contendere; infine, se la P.A. dovesse emanare un provvedimento espresso di diniego, il terzo controinteressato dovrebbe impugnare il provvedimento (anche attraverso l’istituto dei motivi aggiunti).
L’impostazione è stata sconfessata dal successivo intervento legislativo (d.l. n. 138/11) che ha introdotto, nel corpo dell’art. 19, 6 ter, ai sensi del quale la SCIA non costituisce provvedimento tacito direttamente impugnabile, per cui il controinteressato può sollecitare le verifiche spettanti alla P.A. e, in caso di inerzia, esperire “esclusivamente” l’azione avverso il silenzio-inadempimento, ex art. 31, commi 1, 2 e 3, c.p.a.
L’incongruenza circa l’assenzi di un termine per la conclusione del procedimento è, per così dire, “corretta” da una pronuncia del TAR Veneto (sent. n. 298/12), che ha ricondotto la fattispecie nell’alveo degli “altri casi previsti dalla legge”, di cui all’art. 31, 1, c.p.a.
Peraltro, nonostante il dato legislativo piuttosto chiaro, il Consiglio di Stato, successivamente è rimasto fedele alle conclusioni della citata sent. n. 15/11.
Certamente, il problema di fondo risiede, come evidenziato, nella necessità di conciliare l’affidamento del segnalante con la tutela del controinteressato, con delle precisazioni, peraltro, che si rendono necessarie.
Da un lato, infatti, l’affidamento del segnalante non può non incontrare il limite del rispetto dei requisiti e presupposti previsti dalla legge, giacché non può ritenersi legittimo un affidamento maturato su un’attività contra legem. La buona fede – sub specie di proporzionalità – è, sotto questo punto di vista, tutelata proprio dal favor che il legislatore ha espresso verso i poteri conformativi.
D’altro canto, poi, la necessità che il controinteressato solleciti le verifiche cui la P.A. è tenuta postula, evidentemente, in primo luogo, la sollecitazione proprio di quei poteri conformativi che la legge è volta a favorire.
Tuttavia, la disciplina legislativa, per quanto volta a tutelare l’affidamento del segnalante, si presenta, forse, come eccessivamente sbrigativa nel secco rinvio al giudizio sul silenzio-inadempimento.
Ed infatti, oltre alle critiche già rilevate nei confronti di questa impostazione, da un punto di vista di certezza – e, dunque, tutela dell’affidamento del segnalante – l’azione avverso il silenzio-inadempimento si presenta come ontologicamente più precaria rispetto alla soluzione prospettata dalla Plenaria.
La fictio dell’ipotetica proposizione dell’istanza, infatti, viene meno nel momento in cui il comma 6 ter dell’art. 19 espressamente prospetta la necessità che il controinteressato solleciti le verifiche di cui al comma 3 dello stesso articolo.
Del resto, a fronte della suddetta sollecitazione, effettivamente si fronteggiano l’interesse pretensivo del controinteressato e quello oppositivo del segnalante. Inoltre, l’urgenza richiesta come presupposto per l’erogazione della tutela cautelare sembra potersi conciliare con i casi di sospensione dell’attività, previsti dall’art. 19, 3, a fronte dei quali, certamente, l’affidamento del segnalante viene meno per la rilevanza degli interessi coinvolti.
Il percorso, dunque, pare preferibile, anche in punto di speditezza del rimedio, rispetto all’azione sul silenzio-inadempimento.
Certamente, anche questa soluzione, come evidenziato, si presenta, si presta a letture critiche, tuttavia pare essere quella – sebbene non accolta dal legislatore – che meglio si confà alle esigenze di ricerca di un punto di equilibrio, nel complesso fenomeno della SCIA, tra la tutela dell’affidamento del segnalante nei confronti della P.A. e quella, d’altra parte, del controinteressato, nel perseguimento del pubblico interesse, che sempre deve orientare l’attività della P.A.
Il perdurante stato di incertezza ha indotto il TAR Toscana, con ord. n. 667/17, a sollevare questione di legittimità costituzionale proprio per la violazione del principio di affidamento, unitamente a quelli di buon andamento e ragionevolezza. Il parametro normativo di riferimento è stato individuato, in particolare, dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU e nell’art. 6, par. 3 del TUE.
Più in particolare, secondo il TAR, tre sono i termini cui il controinteressato deve far riferimento per ottenere tutela qualora lamenti un danno derivante dalla SCIA: il primo è quello per attivare le verifiche spettanti alla P.A., il secondo è quello che la stessa P.A. ha per rispondere (30 giorni, ai sensi dell’art. 2, l. n. 241/90), il terzo, infine, è quello per attivare il giudizio sul silenzio-inadempimento (un anno dalla scadenza del termine per provvedere); tuttavia, il primo termine non è certo, di tal che, svariate sono state le proposte interpretative. Si è, infatti, proposto lo stesso termine di 60 giorni, decorrenti dal deposito della SCIA, previsto per l’attività inibitoria; oppure di applicare il termine – allo stesso modo di 60 giorni, ma decorrente dalla conoscenza della segnalazione – previsto per l’attività inibitoria; ancora, il termine di un anno, decorrente, a seconda delle differenti impostazioni, dalla presentazione o dalla conoscenza della SCIA, per azionare la domanda ex art. 117; infine, il termine du 18 mesi previsto dall’art. 21 nonies, l. n. 241/90.
Si auspica, evidentemente, un intervento tempestivo del Giudice delle Leggi, per porre fine a tale perdurante stato di incertezza che, certamente, vulnera il principio di affidamento e la necessità di stabilizzazione degli effetti, sottesi a questo fondamentale istituto del diritto amministrativo.
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Alessia Annunziata
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