La Scia, tra semplificazione amministrativa e tutela dei terzi

La Scia, tra semplificazione amministrativa e tutela dei terzi

L’agere amministrativo è retto da una serie di principi che si pongono a fondamento e che, allo stesso tempo, configurano il volto delle pubbliche funzioni.

Il principio di semplificazione ha assunto nel corso del tempo un’importanza centrale tanto in riferimento all’espletamento di un procedimento amministrativo quanto, in generale, nei rapporti intercorrenti tra privato e pubblica amministrazione. Sebbene manchi un’espressa previsione normativa, non essendo indicato tra i criteri ex art. 1 L. n. 241/90, il principio di semplificazione ispira taluni istituti della stessa legge al capo IV, oltre a porsi quale regola generale per la Pubblica Amministrazione che non può aggravare il procedimento se non alla luce di straordinarie e motivate esigenze derivanti dall’istruttoria. Ed invero, l’idea della semplificazione amministrativa si pone in linea con l’intento di rimuovere e contrastare ritardi ed inefficienze, elidendo fasi procedimentali che rendono complessa l’azione amministrativa, oltre a prevedere degli strumenti che consentano una riduzione dei tempi. In tal modo il principio de quo mira ad una economia del procedimento, in aderenza al dettato costituzionale che, all’art. 97, espressamente richiede che sia assicurato il buon andamento dell’azione amministrativa.

La semplificazione amministrativa viene rintracciata in una pluralità di istituti quali la conferenza di servizi, sia istruttoria che decisoria, nella facoltà delle pubbliche amministrazioni richiedenti pareri ad organi consultivi di procedere indipendentemente dall’espressione del parere laddove decorra il termine senza che detti organi si siano pronunciati. Ad essi si aggiungono altresì le ipotesi di silenzio assenso e di silenzio devolutivo e di accordi a mezzo dei quali le PA disciplinano lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. Ulteriore modalità di espressione del principio di semplificazione si rintraccia anche nel fenomeno della delegificazione che devolve a testi unici o a codici la uniforme raccolta delle disposizioni vigenti nella materia oggetto di riforma. Parimenti influenzata e improntata a criteri di semplificazione risulta la documentazione amministrativa dal momento che, anche in tale ambito, si intende perseguire uno snellimento. Viene prevista dall’art. 18 della L. n. 241/90 l’autocertificazione a mezzo della quale il cittadino può attestare fatti, rapporti e qualità di beni e di persone.

La politica di semplificazione è stata perseguita anche con uno processo di tendenziale liberalizzazione che ha comportato un minore ricorso agli organi della PA a fini autorizzatori e concessori. La segnalazione certificata di inizio attività costituisce espressione di tale tendenza ed è disciplinata dall’art. 19 della L. n. 241/90, così come sostituito dalla L. n. 122/2010.

La SCIA si sostanzia in una segnalazione che consente al privato di intraprendere, modificare o cessare un’attività produttiva, artigianale, commerciale ovvero industriale a partire dal momento della presentazione della stessa, corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli artt. 46 e 47 del testo unico di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, nonché ove espressamente previsto dalla normativa vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, presso lo sportello unico per le attività produttive.

Nella previgente versione dell’art. 19 veniva richiesto il decorso del termine di trenta giorni a far data dalla presentazione della DIA e, dunque, l’attività non poteva essere intrapresa immediatamente. Inoltre, un ulteriore termine di trenta giorni decorreva a seguito dell’inizio dell’attività, necessario affinché la PA accertasse eventuali carenze di requisiti. Nella nuova versione, al contrario, si persegue una liberalizzazione effettiva dell’attività del privato, affine al percorso di semplificazione intrapreso su più fronti dalla PA con una sostanziale accelerazione.

La segnalazione certificata di inizio attività trova applicazione nelle ipotesi in cui l’autorizzazione, la licenza, la concessione non costitutiva, il permesso o nulla osta, oltre alle domande per l’iscrizione in albi o in ruoli per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale, dipendano dall’accertamento di requisiti e presupposti previsti ex lege ovvero da atti amministrativi. Tuttavia vengono esclusi gli atti aventi ad oggetto la cura di interessi considerati sensibili, ossia a rilevanza costituzionale, laddove sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali ovvero inerenti a particolari materie quali pubblica sicurezza, immigrazione e amministrazione della giustizia. Parimenti escluso risulta l’ambito del controllo pubblico della finanza privata.

L’avvio dell’attività è contestuale alla presentazione della segnalazione dal momento che il privato, tanto persona fisica quanto persona giuridica, potrà intraprendere l’attività oggetto della propria segnalazione senza dover attendere ulteriori ed eventuali termini decadenziali.

Tale istituto risulta confacente alla mutata teorizzazione delle posizioni giuridiche rilevanti nei confronti della PA.

La dottrina e la giurisprudenza della Cassazione in precedenza ravvisavano nelle autorizzazioni diritti condizionati, soggetti cioè ad espansione allorquando la PA procedesse all’adozione di provvedimenti a tal fine necessari. Il privato dunque, lungi dall’essere titolare di un diritto, vantava piuttosto una mera situazione giuridica strettamente correlata all’esercizio di pubblici poteri. Con l’introduzione della SCIA il privato non parrebbe più sottoposto all’agire amministrativo, potendo infatti dar corso all’attività di suo interesse, salvo il controllo operato in ogni caso dalla PA. Non si determinerebbe più un’espansione avente, per così dire, funzione costitutiva del diritto, bensì una posizione giuridica da tutelare in quanto tale, purché vi sia una copertura costituzionale.

Si è discusso circa la natura da riconoscere alla SCIA poiché si poneva in dubbio che potesse ravvisarsi un provvedimento amministrativo. Secondo una prima impostazione la SCIA sarebbe da qualificare quale atto amministrativo tacito poiché all’autonomia riconosciuta in capo al soggetto agente si aggiunge l’intervento in autotutela esperibile dalla PA. L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, entro 60 giorni dalla ricezione della segnalazione, ha il potere di adottare provvedimenti motivati per intimare di non proseguire l’attività e di rimuovere gli effetti dannosi prodotti. Inoltre, nei casi in cui sia possibile conformare l’attività intrapresa e i conseguenziali effetti alla normativa vigente, potrà riconoscersi al privato un termine, non inferiore a 30 giorni, al fine di provvedere in tal senso. Nel caso in cui il privato non si attenga a tale termine, mancando di integrare la documentazione, l’attività si intenderà vietata allo stesso. La pubblica amministrazione non avrebbe alcun limite di tempo nei casi in cui sussistano i requisiti che, ex art. 21 nonies, comportano l’annullamento d’ufficio. Secondo altro orientamento la SCIA assumerebbe la connotazione di un atto formalmente e soggettivamente privatistico dal momento che è predisposta dal privato e non già dalla PA e, soprattutto, sarebbe una fattispecie a formazione complessa da cui promana la legittimazione allo svolgimento di una determinata attività.

Dalla natura riconosciuta alla SCIA derivano importanti conseguenze in relazione alla tutela da apprestare ai terzi controinteressati che verrebbero pregiudicati dallo svolgimento dell’attività oggetto della segnalazione. Qualora si aderisse alla prima impostazione il terzo potrebbe, entro il termine di 60 giorni, proporre ricorso giurisdizionale dinanzi il giudice amministrativo. Aderendo alla seconda teoria, al terzo verrebbe preclusa l’impugnativa dal momento che mancherebbe l’elemento fondante della stessa ossia un provvedimento amministrativo.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 15 del 2011 ravvisa nella SCIA un istituto improntato alla liberalizzazione in virtù del quale si mira ad un superamento dell’ordinario procedimento che coinvolge l’amministrazione pubblica ed il privato, consentendo a quest’ultimo di intraprendere l’attività sol che venga presentata la segnalazione. In tal modo, pertanto, la segnalazione certificata di inizio attività si pone quale atto avente natura privatistica, salvo il potere di controllo ex post dell’amministrazione. Ove l’amministrazione non eserciti un potere inibitorio si forma una determinazione tacita non assimilabile, comunque, alle altre forme di silenzio poiché con esso si assume l’adozione di un provvedimento tacito negativo avente la funzione di atto espresso di diniego all’adozione di un provvedimento inibitorio. Il terzo, ad avviso dell’Adunanza, di conseguenza potrebbe proporre tanto l’azione di annullamento, entro l’ordinario termine decadenziale, con decorrenza dalla data di acquisita conoscenza dell’iniziativa, quanto un’azione di condanna della PA ad esercitare un potere inibitorio. Il legislatore con il D.L. n. 138 del 2011 ha avvalorato la tesi della natura eminentemente privatistica della SCIA, aggiungendo il comma 6 ter all’art. 19, in virtù del quale la segnalazione certificata di inizio attività non costituisce un provvedimento tacito direttamente impugnabile. I terzi potranno pertanto sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, nel caso di inerzia, esperire l’azione di cui all’art. 31 c.p.a..

Sebbene detta modifica legislativa vada a confermare che la SCIA non sia un provvedimento amministrativo di tacito assenso, tuttavia apporta delle novità in punto di tutela dei terzi controinteressati.

La L. n. 124 del 2015 ha poi revisionato i poteri di spettanza della PA che entro 60 giorni potrà esercitare l’inibitoria ovvero sospendere l’attività qualora vengano pregiudicati gli interessi sensibili o per attestazioni mendaci. Inoltre entro i successivi 18 mesi potrebbe far valere un potere inibitorio in via di autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies.

Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale che ha sottolineato come il terzo possa proporre azione di annullamento ex art. 29 c.p.a. ovvero stimolare il controllo della PA e, nel caso in cui ciò non avvenga, potrà esercitare l’azione avverso il silenzio ex art. 31 c.p.a. senza limiti di tempo.

Parallelamente verrebbe posta in dubbio l’effettiva applicabilità dei principi di buon andamento e di ragionevolezza dal momento che l’assenza di preclusioni temporali per la PA di modificare un precedente assetto di interessi comporterebbe un’esposizione a decisioni contraddittorie e inefficienti.

La complessità della tematica attinente alla tutela dei terzi è stata oggetto di due diverse pronunce che hanno posto in essere un’indagine sulla base di prospettive diametralmente opposte.

Il Tar Toscana, con ord. 11 Maggio 2017, n. 667, solleva questione di legittimità costituzionale del comma 6 ter dell’art. 19 della legge 241 del 1990 per contrarietà agli artt. 3, 11, 97 e 117 della Costituzione per l’assenza di un vincolo temporale al potere del terzo di sollecitare le verifiche da parte dell’amministrazione. Ad avviso del Tar Toscana in tal modo si esporrebbe di fatto il segnalante al rischio di inibizione dell’attività sine die, con importanti refluenze in ordine alla tenuta del principio della certezza dei traffici giuridici, inevitabilmente pregiudicati.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 45 del 2019, ha dichiarato non fondata tale questione di legittimità dal momento che tali vincoli temporali sarebbero invece espressamente ricavabili ex art. 19. Ed invero, il comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, dopo aver chiarito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, attribuisce al terzo interessato la facoltà di «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3», dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. All’immediata intrapresa dell’attività oggetto di segnalazione si accompagnano, ad avviso dei supremi giudici, successivi poteri dell’amministrazione ed in particolare poteri inibitori, repressivi e conformativi, tutti esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA, così come espressamente previsto al comma 3. Inoltre, il comma 4 prevede che, nelle ipotesi previste dall’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, tali poteri sono ancora esercitabili.

La Corte Costituzionale, dopo aver effettuato tale ricostruzione, basandosi sulla lettura dell’art. 19 stesso, conclude con il ritenere che “le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies)” dal momento che “decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue”.

Il Tar Emilia Romagna, con ordinanza 22 gennaio 2019 n. 12 ha invece da ultimo sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 laddove non consenta al terzo l’esercizio di un’azione di annullamento o di condanna al rilascio di provvedimento inibitorio o repressivo. Infatti, in tal modo, al terzo non verrebbe accordata una tutela piena ed effettiva, determinando piuttosto una compressione dell’interesse legittimo facente capo al terzo stesso. Secondo tale impostazione i terzi interessati dovrebbero essere posti nella condizione di azionare gli ordinari rimedi giurisdizionali senza invece dover richiedere l’intermediazione dell’autorità pubblica.

Sebbene non si sia ad oggi pervenuti ad una pronuncia dirimente al riguardo, appare evidente come il terzo leso dalla SCIA vanti una tutela tendenzialmente mediata e indiretta dei propri interessi.

Tale circostanza mal si concilia con il diritto di agire per tutelare le posizioni giuridiche di cui si è titolari. Occorrerebbe pertanto un nuovo intervento legislativo, così come anche sottolineato dalla Corte Costituzionale stessa, volto a chiarire in modo puntuale i mezzi a disposizione del terzo controinteressato.

La SCIA costituisce uno strumento innovativo del diritto amministrativo nell’ottica di una sempre maggiore semplificazione dello stesso che, come conseguenza, richiede il riconoscimento ai privati di nuove prerogative. Tuttavia nel perseguire l’obiettivo della semplificazione non può prescindersi da una idonea tutela da accordare a quanti possono essere lesi nei propri interessi legittimi o dritti soggettivi.


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Elisa Vitale

Dottore in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Palermo con una tesi in Diritto Penale dal titolo “Il contrasto penalistico alla corruzione”. Svolge attualmente la pratica forense e frequenta un corso di specializzazione in discipline giuridiche. Si occupa principalmente di tematiche giuridiche attinenti al Diritto Amministrativo e al Diritto Penale.

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