La scusabilità del reato commesso sulla base di un erroneo parere legale

La scusabilità del reato commesso sulla base di un erroneo parere legale

Sommario: 1. Le cause di esclusione della pena – 2. L’errore scusante – 3. La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p.: l’errore inevitabile sulla legge – 4. L’errore determinato da erroneo parere legale

 

Il presente contributo è finalizzato ad analizzare se è possibile essere penalmente perseguiti o puniti per una condotta consigliata da un avvocato in quanto lecita.

1. Le cause di esclusione della pena

Sulla concreta punibilità di un fatto astrattamente costituente reato possono incidere circostanze idonee ad eliderne od attenuarne il disvalore.

Il codice penale, all’art. 59, parla in particolare di circostanze attenuanti e di circostanze di esclusione della pena, precisando che entrambe operano a favore dell’agente anche se da lui ignorate o per errore ritenute inesistenti.

Se le circostanze attenuanti (previste nella parte generale del codice agli artt. 62, 62-bis e 114 c.p.) consentono di ridurre la pena anche al di sotto dei minimi edittali fissati dalle singole disposizioni incriminatrici, la categoria delle circostanze di esclusione della pena ricomprende al suo interno situazioni assai eterogenee: le cause di giustificazione o scriminanti; le cause di esclusione della colpevolezza o scusanti; e le cause di non punibilità in senso stretto.

Secondo la migliore dottrina, le scriminanti elidono l’antigiuridicità del fatto, perché una norma diversa da quella incriminatrice (civile, penale o amministrativa) autorizza o consente quel medesimo fatto che potrebbe costituire reato. Vi rientrano le ipotesi di consenso dell’avente di diritto (art. 50 c.p.), di esercizio di un diritto e/o adempimento di un dovere (art. 51 c.p.), di legittima difesa (art. 52 c.p.), di uso legittimo di armi (art. 53 c.p.) e di stato di necessità (art. 54 c.p.).

Le cause di esclusione della colpevolezza o scusanti sono cause che escludono la colpevolezza, facendo venir meno la possibilità di muovere all’agente un rimprovero per un fatto che oggettivamente resta illecito. Si tratta di situazioni che rendono difficilmente esigibile o assolutamente inesigibile un comportamento conforme al diritto. Nella categoria vi possono rientrare il caso fortuito e la forza maggiore (artt. 45 e 46 c.p.), la coazione morale (art. 54 c.p.) e l’errore (anche detto “buona fede” nelle contravvenzioni).

Le cause di non punibilità in senso stretto sono infine circostanze che escludono la punibilità di un fatto sulla base di valutazioni di carattere politico-criminale in ordine alla necessità, meritevolezza o opportunità della pena. Vi rientra ad esempio la non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p.

2. L’errore scusante

Tra le cause di esclusione della colpevolezza o scusanti, quella che dà maggiori problematiche interpretative è sicuramente l’errore.

L’errore può consistere nell’ignoranza o nella falsa rappresentazione della realtà naturalistica o normativa.

Tuttavia, se ai sensi dell’art. 47 c.p. l’errore sul «fatto» (si pensi al classico caso del cacciatore che spara ad un uomo nel bosco credendo per errore che si tratti di selvaggina) esclude sempre la punibilità per un reato doloso (residuando al più una responsabilità colposa), l’errore sulla legge non sempre esclude la pena.

Soltanto l’errore «su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità» e unicamente «quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato» (art. 47, comma 3, c.p.).

Nessuno può invece invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale (art. 5 c.p.) e cioè la mancata conoscenza del precetto penale.

In altri termini, stando al codice un soggetto potrebbe andare esente da pena unicamente quando, mal interpretando la legge extrapenale richiamata direttamente o indirettamente dalla norma penale incriminatrice, vuole un fatto diverso da quello vietato dalla norma penale. E ciò – è bene sottolinearlo – a prescindere da considerazioni, tanto consuete in giurisprudenza quanto arbitrarie, sul carattere integrativo o meno della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice.

Così per esempio non vuole certamente commettere appropriazione indebita e non può essere chiamato a risponderne, chi dispone di una cosa altrui credendo di averne acquisito la proprietà per effetto di un’erronea interpretazione delle norme in materia di usucapione.

3. La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p.: l’errore inevitabile sulla legge

Quello previsto all’art. 47, comma 3, c.p. è l’unico caso codicisticamente contemplato in cui l’errore sulla legge può incidere sulla punibilità del reato, escludendola.

Sul quadro normativo è però intervenuta la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 364 del 24 marzo 1988, dichiarando costituzionalmente illegittimo l’art. 5 c.p. “nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità della ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile“.

Secondo la Corte, l’ignoranza “inevitabile” può essere misurata in base a “criteri oggettivi puri” o in base a “criteri misti”.

Vi sono infatti:

– casi di oggettiva “impossibilità di conoscenza della legge per ogni consociato”: “assoluta oscurità del testo legislativo” o “caos interpretativo degli organi giudiziari”;

– e casi particolari in cui, pur a fronte di una norma apparentemente chiara, qualsiasi persona, nelle stesse condizioni dell’agente, cadrebbe nel suo stesso errore di diritto: si pensi alle ipotesi di “assicurazioni erronee da parte di soggetti istituzionalmente destinati a giudicare sui fatti” e di “varie assoluzioni dell’agente per lo stesso fatto”.

Ovviante deve ritenersi che l’errore inevitabile abbia efficacia scusante sia che cada sulla norma penale sia, a maggior ragione, che cada su una norma extrapenale integratrice della norma penale.

4. L’errore determinato da erroneo parere legale

Ci si chiede quindi se tra i casi particolari (“misti”) che possono determinare la scusabilità dell’errore di diritto vi sia anche l’errore determinato dall’inesatto parere di un qualificato avvocato, specie in quei contesti di obbiettiva complessità della normativa.

In altri termini, ci si domanda se si può andare esenti da pena allorché la condotta per cui si è stati accusati sia stata tenuta su consiglio di un legale che, su apposita richiesta, ha assicurato la liceità della stessa.

Orbene, sulla base delle indicazioni della citata sentenza n. 364/88, la Corte di Cassazione ha ritenuto che “la valutazione dell’inevitabilità dell’errore di diritto, rilevante ai fini dell’esclusione della colpevolezza, deve tenere conto tanto dei fattori esterni che possono aver determinato nell’agente l’ignoranza della rilevanza penale del suo comportamento, quanto delle conoscenze e delle capacità del medesimo” (Cass., sez. VI pen., 22 giugno 2011, n. 43646. Nello stesso senso v. Cass., sez. IV pen., 5 febbraio 2015, n. 9165 e Cass., sez. III pen., 5 ottobre 2016, n. 2246  in tema di efficacia scusante della “buona fede” nelle contravvenzioni).

Pertanto, nell’ambito delle attività d’impresa o professionali, “la scusabilità dell’ignoranza della legge penale, può essere invocata dall’operatore professionale di un determinato settore solo ove dimostri, da un lato, di aver fatto tutto il possibile per richiedere alle autorità competenti chiarimenti necessari e, dall’altro, di essersi informato in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici, così adempiendo il dovere di informazione” (Cass., sez. III penale, 5 aprile 2011, n. 35694).

Ed infatti, “il dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino cioè, secondo quanto emerge dalla sentenza 364 del 1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dall’azione…se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa” (Cass., sez. II pen., 23 novembre 2011, n. 46669, fattispecie in tema di usura, nella quale la Suprema Corte, in difetto di un orientamento giurisprudenziale di legittimità che ritenesse illecita la prassi bancaria oggetto di contestazione in tema di determinazione del tasso soglia – emerso soltanto dopo lo svolgersi dei fatti – ha ritenuto che nessuna censura potesse essere posta a carico degli imputati, presidenti di banche).

Pertanto, laddove a seguito delle informazioni acquisite dalle autorità competenti (se vi sono ovviamente) o da esperti di diritto, il dubbio sia stato sciolto nel senso della liceità della condotta, l’errore deve ritenersi scusabile.

Ed infatti, si è ritenuto che “la buona fede, che esclude nei reati contravvenzionali l’elemento soggettivo, ben può essere determinata da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della autorità amministrativa deputata alla tutela dell’interesse protetto dalla norma, idoneo a determinare nel soggetto agente uno scusabile convincimento della liceità della condotta” (Cass., sez. I pen., 15 luglio 2015, n. 47712 in una fattispecie nella quale la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna dell’imputato, che, nel denunziare l’arma ereditata dal padre, non aveva indicato le munizioni in suo possesso, perché indotto in errore da una nota dell’ufficio di p.s., che esentava dall’obbligo anzidetto sino ad un limite di 200 munizioni).

Se tanto è vero, al pari delle erronee indicazioni della Pubblica Amministrazione, anche l’erroneo consiglio legale di un avvocato può aver efficacia scusante (così, in dottrina, F. Mantovani, Diritto Penale, 2019, pag. 295).

Ed infatti, la richiesta del parere di un esperto e qualificato giurista consente senz’altro di ritenere adempiuto l’obbligo informativo richiesto dalla giurisprudenza.

Inoltre, sul piano psicologico, è indubbio che il parere di un professionista qualificato induce alla convinzione della liceità del comportamento tenuto.

Si ritiene pertanto che debba andare esente da pena chi abbia commesso un reato perché mal consigliato da un avvocato.

D’altronde secondo il Giudice delle Leggi assoggettare qualcuno a sanzione penale “senza alcuna prova della sua consapevole ribellione od indifferenza all’ordinamento, equivale a scardinare fondamentali garanzie che lo Stato democratico offre al cittadino ed a strumentalizzare la persona umana, facendola retrocedere dalla posizione prioritaria che essa occupa e deve occupare nella scala dei valori costituzionalmente tutelati (Corte Cost., 24 marzo 1988,  n.364).


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Avv. Matteo Cremonesi

Laureato con lode, nell’Aprile 2017, presso l’Università degli Studi di Pavia con tesi in Diritto Fallimentare dal titolo: “Gli strumenti di risanamento della crisi d’impresa nella prospettiva della continuità aziendale diretta” (Relatore Avv. Prof. Fabio Marelli).Ha superato l’esame di abilitazione alla professione forense indetto con D.M. 14 settembre 2020 nella seduta del 23 novembre 2021. Ha sempre svolto la propria attività in ambito penalistico, collaborando, sin dall’inizio del suo percorso professionale nell’ottobre 2017, con lo Studio Legale Sirani di Milano. All’interno dello Studio, ha maturato una significativa esperienza in tema di reati contro la persona e contro il patrimonio, di reati informatici, societari e fallimentari, di infortuni sul lavoro e in tema di responsabilità degli intermediari finanziari.Presta sistematicamente consulenza in materia di misure di prevenzione (interdittive e patrimoniali) applicate ai sensi del D.Lgs. 159/11, sicurezza sul lavoro e di responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato. E’ uno dei referenti del servizio di cooperazione giudiziaria riguardante la “data retention” che lo Studio presta per conto di uno dei primari internet service provider attivi sul mercato mondiale. Si occupa altresì dei reati previsti dal codice della strada e degli illeciti previsti dal testo unico sulla droga.

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