La sorveglianza speciale: una sostanziale anticipazione di pena?

La sorveglianza speciale: una sostanziale anticipazione di pena?

Il presente contributo si pone l’obiettivo di approfondire gli aspetti più sensibili della disciplina della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza in rapporto ai principi costituzionali rilevanti in materia penale. Lo studio in particolare verte sulla relazione tra l’istituto indicato e i principi di legalità e di eguaglianza. Si stagliano, in tal senso, diverse problematiche, in particolare: l’applicazione della sorveglianza speciale, pur operando su base indiziaria, comporta delle limitazioni equipollenti a quelle previste per la libertà vigilata e la libertà controllata, la cui applicazione consegue all’accertamento di un fatto di reato. Sulle base di tali premesse, si condurrà un’analisi approfondita volta a far emergere la rilevanza di eventuali dubbi di legittimità costituzionale.

 

Sommario: 1. Le misure di prevenzione personali: ratio e disciplina. In particolare: la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza – 2. Rapporti con il principio di legalità: tassatività e determinatezza – 3. Principio di eguaglianza: il confronto con la disciplina della libertà vigilata e della libertà controllata – 4. Osservazioni conclusive

 

1. Le misure di prevenzione personali: ratio e disciplina. In particolare: la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza

Sin dall’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana del 1948, le misure di prevenzione, in particolare quelle personali, hanno alimentato l’insorgenza di dubbi circa la loro compatibilità con il sistema di garanzie costituzionali previste in tema di libertà personale[1].

A seguito di un lungo iter di interventi legislativi, la relativa disciplina è oggi contenuta nel d.lgs. 159/11 (“Codice antimafia e delle misure di prevenzione”), che ha operato un riordino complessivo della materia[2].

Tali misure affondano le proprie radici negli ordinamenti assolutisti e trovarono grande diffusione nel ventennio fascista, fungendo sostanzialmente da strumenti di controllo dei dissidenti politici[3].

Ciò che caratterizza le misure di prevenzione (c.d. praeter delictum), rispetto alle pene e alle misure di sicurezza (c.d. misure post delictum), è che l’applicazione delle stesse prescinde dall’accertamento della commissione di un fatto di reato in capo al soggetto sottopostovi. L’applicazione delle misure di prevenzione presuppone la riconducibilità del preposto ad una delle c.d. categorie di pericolosità delineate dal legislatore[4] nonché l’accertamento della effettiva e attuale pericolosità sociale dello stesso[5].

Il sistema delle misure di prevenzione è ispirato da fini di sicurezza pubblica e difesa sociale. Attraverso tali strumenti l’autorità mira a tenere sotto controllo determinati soggetti considerati socialmente pericolosi, i quali si ritiene, attraverso un giudizio prognostico-probabilistico, che possano delinquere in futuro.

Nell’ambito delle misure di prevenzione si distingue tra misure di prevenzione personali e misure di prevenzione patrimoniali. Ai fini del presente lavoro interessa la disciplina delle misure personali contenuta nel Codice antimafia e delle misure di prevenzione, riguardante la sorveglianza speciale, alla quale può essere affiancato il divieto ovvero l’obbligo di soggiorno.

Dall’inizio dei suoi lavori la Corte Costituzionale si è trovata a dover affrontare numerose questioni di legittimità riguardanti la compatibilità della sorveglianza speciale, quale principale misura di prevenzione personale prevista nel nostro ordinamento, con i principi fondamentali. Occorre rilevare, al riguardo, che nella Costituzione manca un qualsivoglia riferimento a tali istituti. La Consulta ha così avuto occasione di constatare l’incidenza della sorveglianza speciale sulla libertà personale del preposto, e dunque la necessità che la relativa disciplina rispetti le riserve di legge e di giurisdizione previste dall’art. 13 Cost. (sentenze nn. 2 e 11 del 1956). Nel contempo, in linea generale, ha affermato che << l’ordinamento e pacifico svolgimento dei rapporti sociali deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei reati, anche da adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi nell’avvenire >>[6], col fine di sopperire all’assenza di espliciti riferimenti nella carta costituzionale.

2. Rapporti con il principio di legalità: tassatività e determinatezza 

Nel corso degli anni, in più occasioni sono stati sollevati dubbi sulla compatibilità della disciplina della sorveglianza speciale (contenuta inizialmente nella legge 1423/56 e oggi rientrante nel testo del d.lgs. 159/11) con il principio di legalità, inteso in termini di tassatività e determinatezza, con riferimento all’art. 25, comma 3 Cost.[7] (che la Corte Costituzionale ha ritenuto, nelle pronunce sopra citate, applicabile alle misure di prevenzione personali), nonché sotto il profilo della prevedibilità (espressamente previsto dall’art. 2 Prot. 4 della CEDU[8] in tema di libertà di circolazione). Il requisito della prevedibilità richiede che le disposizioni siano formulate con sufficiente chiarezza e precisione in modo da consentire al cittadino di regolare la propria condotta al fine di non incorrere in misure limitative delle libertà fondamentali. Per tali ragioni la Consulta è pervenuta a dichiarare l’illegittimità costituzionale di alcune previsioni riguardanti le categorie di soggetti cui applicare la sorveglianza speciale (ad esempio: Corte Cost. n. 177/80, in cui è stata dichiarata illegittima la previsione dell’applicabilità della misura in esame a coloro che “diano fondato motivo di essere proclivi a delinquere”, a causa della sua vaghezza).

Più recentemente, meritano senz’altro menzione tre pronunce tra loro strettamente collegate[9]. La prima è la sentenza della Corte EDU, De Tommaso c. Italia del 23 febbraio 2017[10], con cui i giudici di Strasburgo, in tema di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, hanno ritenuto violato l’art. 2 del Prot. 4 CEDU in tema di libertà di circolazione, affermando: << L’applicazione delle misure di prevenzione resta legata ad un’analisi prospettica dei tribunali nazionali, dato che né la legge né la Corte Costituzionale hanno individuato chiaramente le “prove fattuali” o le specifiche tipologie di comportamento di cui si deve tener conto al fine di valutare il pericolo che la persona rappresenta per la società e che può dar luogo a misure di prevenzione. La Corte ritiene pertanto che la legge in questione non contenesse disposizioni sufficientemente dettagliate sui tipi di comportamento che dovevano essere considerati costituire un pericolo per la società >>[11]. D’altra parte la stessa Corte EDU riteneva che la fattispecie oggetto d’esame non rientrasse nella sfera di operatività delle garanzie previste dalla Convenzione in materia penale (art. 5 CEDU[12]), in quanto tale valutazione deve essere operata caso per caso. Non sempre dunque, nell’opinione dei giudici di Strasburgo, la sorveglianza speciale rientra nella materia penale. Tale pronuncia ha riacceso il dibattito in merito alla compatibilità dell’istituto della sorveglianza speciale con il sistema di garanzie costituzionali, dando la stura al proliferare di questioni di legittimità.

Di particolare interesse ai nostri fini sono le recenti sentenze nn. 24 e 25, pronunciate dalla Corte Costituzionale nel febbraio 2019. Anche in questo caso, la questione è incentrata sul contrasto della disciplina in esame con il principio di tassatività e determinatezza. Nella sentenza n. 24/2019 il giudice delle leggi ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 4, comma 1, lettera c) del d.lgs. 159/11, nella parte in cui consente l’applicazione della misura a “coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi” per contrasto con gli artt. 13, secondo comma[13], 25, terzo comma e 117, primo comma[14], della Costituzione (quest’ultimo in relazione all’art. 2 Prot. 4 CEDU), a causa della indeterminatezza della previsione. Per le medesime ragioni nella sentenza n. 25/2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 75 del codice antimafia, nella parte in cui prevede come reato la violazione delle prescrizioni (imposte al sorvegliato speciale) di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi”, risultando queste ultime espressioni di carattere vago che non consentono all’interessato di prevedere con sufficiente precisione le condotte da evitare al fine di non incorrere nella violazione.

Il deficit di tassatività evidenziato dalle pronunce in esame non può essere, secondo la Corte, colmato dall’interpretazione giurisprudenziale: << In materia di responsabilità penale, invero, questa Corte ha da tempo sottolineato come l’esistenza di interpretazioni giurisprudenziali costanti non valga, di per sé, a colmare l’eventuale originaria carenza di precisione del precetto penale (sentenza n. 327/88), ribadendo recentemente, in termini assai netti, come nessuna interpretazione possa surrogarsi integralmente alla praevia lex scripta, con cui si intende garantire alle persone la sicurezza giuridica delle consentite, libere scelte d’azione (sentenza n. 115/18), e ciò in quanto nei paesi di tradizione continentale, e certamente in Italia, è indispensabile l’esistenza di un diritto scritto di produzione legislativa rispetto al quale l’ausilio interpretativo del giudice penale non è che un posterius incaricato di scrutare nelle eventuali zone d’ombra, individuando il significato corretto della disposizione nell’arco delle opzioni che il testo autorizza e che la persona può raffigurarsi leggendolo (sentenza n. 115/18) >>[15].

A differenza dell’opinione espressa dai giudici di Strasburgo, la giurisprudenza della Corte Costituzionale è pacifica nell’affermare l’incidenza della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza sulla libertà personale del soggetto destinatario.

Da quanto osservato, nelle pronunce analizzate emergono delle criticità nei rapporti tra la disciplina della sorveglianza speciale e il principio di legalità, inteso in termini tassatività, determinatezza e prevedibilità.

3. Principio di eguaglianza: il confronto con la disciplina della libertà vigilata e della libertà controllata

Invero stupisce che, nell’ambito delle problematiche poste al vaglio della giurisprudenza costituzionale, non figuri la questione riguardante la compatibilità della disciplina in esame con i principi di eguaglianza (ex art. 3 Cost.[16]) e di presunzione di non colpevolezza[17] (ex art. 27, secondo comma Cost.[18]).

Occorre rilevare al riguardo che la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, si caratterizza per delle prescrizioni stringenti[19], previste dall’art. 8 del d.lgs. 159/11. Quest’ultimo, fermo restando la possibilità per il giudice di applicare le restrizioni ritenute più idonee al caso di specie, tenuto conto delle esigenze di difesa sociale, prevede in ogni caso che con l’applicazione della misura in esame venga prescritto di vivere onestamente, rispettare le leggi, non allontanarsi dalla dimora senza preventivo avviso all’autorità locale di pubblica sicurezza, non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, non accedere agli esercizi pubblici e ai locali di pubblico trattenimento, anche in determinate fasce orarie, non rincasare la sera più tardi e non uscire la mattina prima di una data ora e senza comprovata necessità e senza averne data tempestiva comunicazione all’autorità locale di pubblica sicurezza, nonché di non detenere e non portare armi e di non partecipare a pubbliche riunioni. La sorveglianza può inoltre essere aggravata, come si accennava poc’anzi, dall’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o dal divieto di soggiornare in un determinato comune.

E’ interessante notare come tali previsioni risultino simili a quelle disposte nella prassi con l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata e della pena sostitutiva della libertà controllata, le quali si differenziano dalle misure di prevenzione poiché la loro applicazione presuppone l’accertamento della commissione di un fatto di reato. Nel caso della pena sostitutiva, l’art. 56 della legge 689/1981 prevede, tra l’altro: << La libertà controllata comporta in ogni caso: 1) il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, salvo autorizzazione concessa di volta in volta ed esclusivamente per motivi di lavoro, di studio, di famiglia o di salute; 2) l’obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno, nelle ore fissate compatibilmente con gli impegni di lavoro o di studio del condannato, presso il locale ufficio di pubblica sicurezza o, in mancanza di questo, presso il comando dell’arma dei carabinieri territorialmente competente; 3) il divieto di detenere a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, anche se è stata concessa la relativa autorizzazione di polizia; 4) la sospensione della patente di guida; 5) il ritiro del passaporto, nonché la sospensione della validità, ai fini dell’espatrio, di ogni altro documento equipollente; 6) l’obbligo di conservare e di presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia e nel termine da essi fissato la ordinanza emessa a norma dell’articolo 62 e l’eventuale provvedimento di modifica delle modalità di esecuzione della pena, adottato a norma dell’articolo 64 >>. Per quanto riguarda la misura di sicurezza invece, il legislatore non elenca espressamente le prescrizioni da seguire per il vigilato, rimettendo la relativa scelta al giudice in sede applicativa, che impone “le restrizioni idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati”[20]. Pur non essendo, come detto, rigidamente predeterminate, nella prassi al vigilato è imposto: l’obbligo di conservare la carta precettiva e di presentarla ad ogni richiesta; l’obbligo di essere sempre reperibile; il divieto di trasferire la propria residenza in un altro comune senza autorizzazione del Magistrato di Sorveglianza ovvero, nell’ambito del medesimo comune, senza preventivo avviso all’autorità di pubblica sicurezza preposta al controllo ed al servizio sociale pertinente; l’obbligo di presentarsi in date fasce orarie e secondo precise modalità presso gli uffici di pubblica sicurezza.

Alla luce di quanto esposto, è di immediata percezione la sussistenza di forti analogie tra le prescrizioni imposte al sorvegliato speciale, al vigilato ed al controllato. Dal raffronto tra le stesse, balza all’occhio come in alcuni casi le restrizioni imposte al soggetto sottoposto alla misura di prevenzione siano addirittura più stringenti rispetto a quelle imposte agli individui sottoposti alla misura di sicurezza od alla pena sostitutiva, nonostante questi ultimi, a differenza del primo, siano stati condannati con sentenza passata in giudicato.

In tale prospettiva, occorre premettere che l’art. 3 della Costituzione, stigmatizzando il principio di eguaglianza, richiede che situazioni uguali vengano disciplinate in modo uguale e situazioni differenti vengano disciplinate in modo differente. Nel contesto qui delineato, è evidente che ci si trova dinanzi a situazioni differenti, poiché del tutto differenti sono i presupposti applicativi delle misure in esame. Difatti, pur essendovi delle innegabili analogie con la ratio sottesa alle misure di sicurezza[21], la disciplina ed il concetto di pericolosità sociale sotteso all’applicazione delle stesse sono differenti. Invero, nelle misure di sicurezza il requisito della commissione di un reato, assente nelle misure di prevenzione, svolge un duplice ruolo: da un lato figura come presupposto per l’applicazione della misura insieme alla pericolosità sociale, dall’altro rappresenta uno degli elementi su cui basare il giudizio di pericolosità stesso[22]. Sotto tale aspetto parte della dottrina e della giurisprudenza[23] hanno sospettato che la disciplina delle misure di prevenzione personali comporti delle sostanziali discriminazioni e, dunque, l’elusione del principio di eguaglianza e del principio di presunzione di non colpevolezza. Riguardo quest’ultimo profilo, vi è chi parla di misura di prevenzione personale quale “surrogato della condanna penale impossibile”[24], ritenendo che essa intervenga nel momento in cui non sia raggiunta la prova per sostenere l’accusa nel procedimento penale ordinario. Anche in virtù della incidenza della stessa sulla libertà personale (pacificamente affermata dalla giurisprudenza costituzionale[25]), viene messa in discussione la stessa natura ante o praeter delictum della sorveglianza speciale[26].

L’orientamento citato è condiviso in linea di principio da alcuni giudici della Corte EDU, primo fra tutti Pinto de Albuquerque[27]. Il percorso logico seguito parte dalla considerazione della effettiva incidenza dell’istituto in esame sulla libertà personale del prevenuto. Il giudice definisce “bizzarro” il modo di ragionare della Corte Costituzionale che, proprio nelle occasioni in cui ha affermato l’incidenza delle misure di prevenzione personali sulla libertà personale, ha al contempo mancato di esaminare la compatibilità delle stesse con il principio di presunzione di non colpevolezza, in base all’assunto per cui le stesse non si basano sulla colpevolezza e non incidono sulla valutazione della responsabilità penale dell’imputato[28]. La giurisprudenza ha costantemente affermato l’autonomia e la totale indipendenza dei due giudizi, ordinario e di prevenzione, senonché le prove raccolte nel primo possono essere utilizzate nel secondo in quanto potenzialmente indicative della pericolosità del soggetto. Anche una sentenza di assoluzione potrebbe così essere posta alla base dell’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, a scapito del suddetto principio di autonomia dei giudizi.

Secondo tale impostazione[29], dunque, l’utilità delle misure di prevenzione si manifesterebbe sostanzialmente nel punire coloro i quali dovessero essere assolti per insufficienza di prove.

Quanto detto, pone certamente dei grossi dubbi circa la compatibilità della disciplina della sorveglianza con i principi citati, nella misura in cui sia idonea a determinare delle sostanziali discriminazioni, lesive pertanto delle libertà fondamentali dell’individuo che ne subisce gli effetti.

4. Osservazioni conclusive

Lungi dal voler esprimere giudizi aprioristici e perentori, in questa sede si vuole sollevare qualche interrogativo circa le ragioni della mancata valutazione di tale problematica da parte della giurisprudenza, che si è dimostrata spesso evasiva rispetto al tema de quo. Probabilmente la necessità – imposta da ragioni di politica criminale – di garantire l’operatività di misure idonee non solo a reprimere le condotte anti-sociali, ma anche a prevenirne le relative manifestazioni, impone di sacrificare altre forme di tutela, riferibili alle libertà fondamentali dell’uomo. Senonché in un ordinamento quale il nostro, di matrice garantista, ispirato dal fine ultimo di tutela della persona umana in tutte le sue molteplici manifestazioni, il sacrificio della libertà personale dell’individuo si pone quale extrema ratio, nella prospettiva di un equo bilanciamento con gli altri interessi coinvolti[30], che nella materia in esame non sembra essere giustificato, vista la natura indiziaria dei dati posti alla base dell’applicazione delle misure di prevenzione personali.

Sarebbe auspicabile, rispetto alla problematica descritta, un ripensamento della disciplina della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza da parte del legislatore, che miri a garantirne il pacifico inserimento nel quadro delle garanzie costituzionali previste in tema di libertà personale, fugando ogni dubbio sulla funzione che gli strumenti in esame paiono dissimulare, ossia quella di anticipazione di pena nei confronti di individui sospettati per determinate fattispecie di reato, per i quali non si abbiano elementi probatori tali da sostenere l’accusa in un procedimento penale ordinario.

 

 

 

 

 


[1] Sul tema della libertà personale cfr. A. CERRI, Libertà personale, in Dir. Cost. Enc. Giur., 1991.
[2] Sulla disciplina delle misure di prevenzione cfr. F. MENDITTO, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali, 2019, Giuffrè.
[3] Sull’evoluzione storica delle misure di prevenzione cfr. G. AMATO, Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, 1967, Giuffrè.
[4] Precisamente all’art. 4 d.lgs. 159/11.
[5] Sul tema della pericolosità sociale cfr. A. Martini, Il mito della pericolosità. Alla ricerca di un senso compiuto del sistema della prevenzione personale, in Rivista italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 2 giugno 2017.
[6] Corte Cost. n. 27/59.
[7] Art. 25, comma 3 Cost.: << Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge >>.
[8] Art. 2 Prot. 4 CEDU: << Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliervi liberamente la sua residenza. Ognuno è libero di lasciare qualsiasi Paese, compreso il suo. L’esercizio di questi diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono previste dalla legge e costituiscono, in una società democratica, misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e libertà altrui. I diritti riconosciuti al paragrafo 1 possono anche, in alcune zone determinate, essere oggetto di restrizioni previste dalla legge e giustificate dall’interesse pubblico in una società democratica >>.
[9] Sul medesimo tema v. Guzzardi c. Italia, Corte EDU, 6 novembre 1980.
[10] Sul punto cfr. F. VIGANO’, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, in Diritto Penale Contemporaneo, fasc. 3/2017.
[11] De Tommaso c. Italia, Corte EDU, 23 febbraio 2017. Par. 117.
[12] Art. 5 CEDU: << Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, salvo che nei casi seguenti e nei modi prescritti dalla legge: a. se è detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente; b. se è in regolare stato di arresto o di detenzione per violazione di un provvedimento emesso, conformemente alla legge, da un tribunale o per garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge; c. se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorità giudiziaria competente, quando vi sono ragioni plausibili per sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati per ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di fuggire dopo averlo commesso; d. se si tratta della detenzione regolare di un minore decisa per sorvegliare la sua educazione o della sua detenzione regolare al fine di tradurlo dinanzi all’autorità competente; e. se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo; f. se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione. Ogni persona arrestata deve essere informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e di ogni accusa elevata a suo carico. Ogni persona arrestata o detenuta, conformemente alle condizioni previste dal paragrafo 1 (c) del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura. La scarcerazione può essere subordinata ad una garanzia che assicuri la comparizione della persona all’udienza. Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima. Ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione ad une delle disposizioni di questo articolo ha diritto ad una riparazione >>.
[13] Art. 13 Cost.: << La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva >>.
[14] Art. 117, primo comma Cost.: << La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali >>.
[15] Corte Cost. n. 24/2019. Par. 12.
[16] Art. 3 Cost.: << Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese >>.
[17] Sul tema cfr. G. Illuminati, La presunzione d’innocenza dell’imputato, 1979, Bologna.
[18] Art. 27 Cost.: << La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte >>.
[19] Sul punto cfr. E. ZUFFADA, La Cassazione scardina in via interpretativa l’automatismo applicativo delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale: verso una nuova questione di legittimità costituzionale?, in Diritto Penale Contemporaneo, 23 settembre 2019.
[20] Art. 228 c.p.: << La sorveglianza della persona in stato di libertà vigilata è affidata all’autorità di pubblica sicurezza.  Alla persona in stato di libertà vigilata sono imposte dal giudice prescrizioni idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati. Tali prescrizioni possono essere dal giudice successivamente modificate o limitate.
La sorveglianza deve essere esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona alla vita sociale. La libertà vigilata non può avere durata inferiore a un anno.
Per la vigilanza sui minori si osservano le disposizioni precedenti, in quanto non provvedano leggi speciali >>.
[21] Sul tema cfr. P. Nuvolone, Misure di prevenzione e misure di sicurezza, in Enc. Dir., XXVI, 1977, Giuffrè.
[22] Sul tema della pericolosità sociale cfr. M. AMISANO, L’uso del linguaggio nella pericolosità, Le Monnier Univesità, 2017.
[23] Sul punto cfr. M. CORTESI, Le misure di prevenzione, in Il sistema di prevenzione penale, Giappichelli, 2011; nonché l’opinione parzialmente dissenziente del giudice PINTO DE ALBUQUERQUE nella sentenza De Tommaso c. Italia, del 23 febbraio 2017.
[24] Cfr. M. Cortesi ult. op. cit.
[25] V. Corte Cost. nn. 2 e 11 del 1956.
[26] Cfr. M. Cortesi ult. op. cit.
[27] V. opinione parzialmente dissenziente del Giudice Pinto de Albuquerque alla sentenza De Tommaso c. Italia, Corte EDU, del 23 febbraio 2017.
[28] Cfr. ex plurimis: Corte Cost. nn. 2 e 11 del 1956.
[29] Cfr. PINTO DE ALBUQUERQUE cit.
[30] Corte Costituzionale, sentenza n. 11 del 3 luglio 1956. Sul punto la Consulta afferma: << Il diritto di libertà personale non si presenta come illimitato potere di disposizione della persona fisica, bensì come diritto a che l’opposto potere di coazione personale, di cui lo Stato è titolare, non sia esercitato se non in determinante circostanze e con le dovute forme. In nessun caso pertanto l’individuo può essere privato o limitato nella sua libertà se questa privazione o restrizione non risulti astrattamente prevista dalla legge, se un regolare giudizio non sia a tal fine instaurato e se non vi sia un provvedimento dell’Autorità giudiziaria che ne dia le ragioni. L’art. 13 della Costituzione, sottraendo all’autorità amministrativa, salvo casi eccezionali di necessità e di urgenza, i provvedimenti restrittivi della libertà personale, esprime un precetto concreto e categorico con efficacia invalidante nei confronti delle disposizioni che con esso contrastino. Pertanto sono costituzionalmente illegittimi gli articoli dal 164 al 176 del T.U. delle leggi di p.s., concernenti la disciplina dell’ammonizione, disposizioni tutte fra di loro connesse e organicamente dirette all’emanazione di un provvedimento restrittivo della libertà personale >>.

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