La speciale tenuità del fatto e le sue forme. Brevi spunti per una giustapposizione fra l’art. 131-bis c.p. e l’art. 34 d.lvo 274/2000
Sommario: 1. Le formulazioni normative della speciale tenuità del fatto: l’articolo 131-bis c.p. e l’articolo 34 d.lvo 274/2000 a confronto – 2. La diversa ratio a fondamento degli istituti inerenti al fatto esiguo – 3. Il contrasto giurisprudenziale sull’applicabilità dell’articolo 131-bis c.p. al Giudice di pace
1. Le formulazioni normative della speciale tenuità del fatto: l’articolo 131-bis c.p. e l’articolo 34 d.lvo 274/2000 a confronto.
L’art. 34 d.lvo 274/2000, rubricato “Esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto” prevede, per i soli reati di competenza del Giudice di Pace, la possibilità di escludere la procedibilità del reato. Si tratta di una misura avente natura processuale, in quanto, allorché il fatto sia ritenuto di lieve tenuità, conseguirà l’impossibilità di procedere con l’azione processuale. Ai fini del perfezionamento della fattispecie, occorre che vi sia la contestuale presenza di un’esigua offesa al bene giuridico protetto dalla norma e l’ occasionalità del fatto. È stato sostenuto che una criticità dell’istituto in questione risiederebbe nell’eccessiva discrezionalità che il legislatore ha attributo al Giudice di Pace, non determinando il peso specifico che tali parametri devono assumere nella valutazione della tenuità[1]. Peraltro, lo spazio di apprezzamento del Giudice sarebbe suscettibile di aumentare, in considerazione del fatto che la valutazione del fatto deve essere condotta sulla componente oggettiva e soggettiva del medesimo. Pertanto, la norma viene a coinvolgere anche i profili soggettivi, in quanto la misura è subordinata ad un “basso grado della colpa o intensità del dolo”. Infine, in occasione della ponderazione, il Giudice dovrà tenere di conto anche l’eventuale pregiudizio che il corso del giudizio comporterebbe alle esigenze di studio, scuola, lavoro, o salute dell’imputato.
Notevolmente divergenti dai predetti requisiti risultano i presupposti applicativi di una più recente innovazione normativa in tema di tenuità del fatto: l’articolo 131 bis codice penale. In particolare, il d.lvo n. 28 del 16 marzo 2015 ha introdotto la causa di non punibilità per fatti caratterizzati da disvalore lieve. La stessa è disciplinata all’art. 131 bis c.p. e , trattandosi di causa di non punibilità, ha natura sostanziale. In particolare, è previsto che tale causa di non punibilità sia applicabile ai reati di competenza del Giudice ordinario, per i quali sia prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero a quei reati per i quali sia prevista la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena. All’interno di tali limiti edittali, da valutarsi indipendentemente dalle circostanze attenuanti e/o aggravanti ad eccezione di quelle ad effetto speciale, la punibilità è esclusa allorché vi sia presenza congiunta della particolare esiguità del danno (o del pericolo) e della non abitualità del comportamento. La relazione di accompagnamento al d.lvo n. 28 del 16 marzo 2015 chiarisce che il primo presupposto (definito “indice criterio”) per valutare la sussistenza della particolare esiguità del danno consiste in due ulteriori “indici-criteri”, rappresentati dalla “modalità della condotta” e “dall’esiguità del danno o del pericolo”[2]. La relazione, inoltre, precisa che nella valutazione di tale presupposto non rilevano il grado e l’intensità della colpevolezza, pertanto si esclude ogni riferimento all’elemento soggettivo nella valutazione sulla sussistenza della fattispecie.
Per quanto concerne il presupposto della non abitualità del comportamento, la dottrina maggioritaria è concorde nel ritenere che essa venga a coincidere con l’incensuratezza dell’imputato. Tuttavia, secondo un’alternativa opinione, più aderente all’interpretazione letterale della Relazione di accompagnamento al d.lvo n. 28 del 2015, la presenza di precedenti giudiziari non sarebbe ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, qualora sussistano gli altri presupposti. Si osserva che tale parametro registra uno scarto considerevole rispetto all’ “occasionalità” della condotta prevista dall’art. 34d.lvo 274/2000[3], posto che la valutazione sull’articolo 131 bis c.p. non coinvolge i requisiti soggettivi della condotta.
Ai fini del perfezionamento della fattispecie di cui all’articolo 131 bis c.p., infine, occorre verificare la sussistenza dei requisiti negativi. Pertanto, non deve sussistere alcuna delle situazioni elencate all’art. 131 bis comma 2 c.p., infatti in caso contrario l’essenza particolarmente tenue dell’offesa verrebbe ad escludersi ex lege. Inoltre, non deve ricorrere alcuno dei requisiti indicati al comma 3 dell’art. 131 bis c.p., atteso che in presenza di tali circostanze il comportamento illecito è da presumersi abituale.
Giova, fin da subito, ricordare che la causa di non punibilità in commento è fondata su una logica squisitamente deflativa. Tale scelta legislativa, tuttavia, è esente da perplessità. Infatti, come emerge dall’osservazione delle prassi concorde dei Tribunali di primo grado, l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. così come concepito dal legislatore del 2015 discende in modo (abbastanza) automatico dalla mera presenza dei presupposti normativi. Pertanto, potrebbe ritenersi, in sostanza, che l’art. 131 bis c.p. realizzi un’ipotesi di abolitio criminis atipica, a discapito delle tradizionali funzioni del diritto penale ed a tutto vantaggio del più pragmatico principio di economia processuale.
2. La diversa ratio a fondamento degli istituti inerenti al fatto esiguo
Ambito peculiare, in riferimento al quale affiora la differente ratio dei due istituti in tema di fatto esiguo, è il ruolo riconosciuto alla persona offesa. Quest’ultima nel sistema di giurisdizione di pace gode di un potere eccezionalmente ampio, sia durante la fase delle indagini preliminari in caso di archiviazione, sia nel successivo dibattimento, capace di influire sulla discrezionalità del Giudice. Tale circostanza è avallata dalla stessa lettera della norma, la quale prevede che “Nel corso delle indagini preliminari, il giudice dichiara con decreto d’archiviazione non doversi procedere per la particolare tenuità del fatto, solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento” inoltre, “Se e’ stata esercitata l’azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l’imputato e la persona offesa non si oppongono”. Soprattutto nella fase del dibattimento, il potere riconosciuto alla persona offesa si estende fino al punto di vincolare il giudice stesso, tanto che, per certa dottrina, all’opposizione dell’offeso si attribuisce un’importanza tale da valere in via sostanziale, come presupposto necessario per l’applicazione della fattispecie in parola[4]. Viceversa, nel contesto dell’articolo 131 bis c.p. alla persona offesa non è riconosciuta una tale rilevanza, atteso che essa, ai sensi dell’art. 469 I bis co. cod. proc. pen., non ha diritto di opporsi; possedendo, al massimo, un mero e generico diritto ad interloquire in camera di consiglio.
La dottrina ha giustificato la difformità del ruolo riconosciuto all’offeso valorizzando la funzione conciliativa, che il sistema del giudice di pace si impone di perseguire[5]. In particolare, l’assenza di punizione per il fatto esiguo, nell’ipotesi prevista all’art. 34 d.lvo 274/2000, assume significato specifico, calibrato sul rispetto del peculiare contesto delle logiche conciliative proprie del sistema di pace. Secondo questa opinione, l’eccezionale ruolo ricoperto della persona offesa trova giustificazione alla luce della particolare prospettiva dialogica, che viene ad istaurarsi fra reo e offeso, nel contesto del giudizio di pace, attuando il paradigma riparativo[6]. Pertanto, è stato autorevolmente sostenuto che l’autentico valore dell’assenza di punizione per fatti di lieve entità, sotto questa prospettiva, andrebbe colto in termini funzionali e teleologici, in riferimento alle dinamiche proprie della sanzione penale[7]. In altri termini, un diritto penale in cui la pena è sempre meno finalizzata a realizzare un’idea etico-metafisica di giustizia ed è sempre più concepita come strumento di tutela dei beni giuridici e quindi in funzione preventiva, non può non prevedere al suo interno istituti che escludono l’applicazione della pena allorquando al momento della sua irrogazione non sussistono esigenze di prevenzione generale/speciale[8]. Si supera, dunque, la corrente di pensiero che sosteneva la mancanza di integrazione del principio di offensività in presenza di un fatto tenue[9] e si giunge a ritenere che il fatto esiguo rappresenti un reato completo, sia nell’elemento oggettivo che in quello soggettivo, ma connotato da basso disvalore, talmente basso da non generare nella collettività esigenze di prevenzione, in quanto ritenuto non meritevole di pena. Il legislatore, nel riconosce alla persona offesa gli eccezionali poteri predetti, delega alla medesima il compito di assurgere a soggetto deputato a far venir meno l’interesse dell’ordinamento a perseguire la vicenda, qualora questa, a giudizio dell’offeso, si presenti così particolarmente esigua, per effetto di un’eventuale riconciliazione con il reo, da far venire meno l’interesse a proseguirla. L’importanza riconosciuta alla conciliazione con l’offeso conduce a ritenere che il meccanismo della tenuità previsto all’articolo 34 miri a realizzare le istanze della Restorative Justice[10],alla stregua di quell’insegnamento riparativo, che subordina la non punizione alla dimostrazione simbolica della risoluzione del conflitto nella coscienza sociale, la quale si realizza allorché l’agente abbia prestato quanto serva a quest’ultima per tranquillizzarsi e considerare cessati gli effetti del reato[11].
Al contrario, l’art. 131 bis c.p. è totalmente avulso da intenti riparativi. A conforto di tale conclusione depongono la sentenza n. 53683 del 28 Novembre 2017, che ha autorevolmente convalidato la ratio puramente deflativa del predetto, nonché la Relazione di accompagnamento al d.lvo n.28 del 2015, la quale chiarisce la bivalente funzione dell’istituto di “depenalizzazione in concreto” e di “alleggerimento del carico processuale”. In particolare, la Relazione ribadisce l’assoluta estraneità dell’istituto alla conciliazione, sottolineando la vocazione “squisitamente deflativa” del medesimo, in quanto nato per operare esclusivamente nella giustizia ordinaria, senza confronti con l’articolo 34 o altri istituti di mediazione a finalità conciliativa.
3. Il contrasto giurisprudenziale sull’applicabilità dell’articolo 131-bis c.p. al Giudice di pace
Le superiori considerazioni conducono a ritenere la sostanziale divergenza fra gli istituti esaminati, sia in riferimento ai presupposti applicativi, ma soprattutto in riferimento alla diversa ratio a fondamento delle norme: riparativa per l’articolo 34 e deflativa per l’articolo 131 bis codice penale[12]. Ciò posto, resta da verificare se due figure, così distanti fra loro, possano essere sovrapponibili, ovvero addirittura sostituibili, come è stato sostenuto, in presenza di reati di competenza del Giudice di Pace. In particolare, ci si è domandati se la mancata previsione di estensione dell’ambito di applicabilità del 131 bis c.p. ai reati “bagatellari” comportasse la violazione del principio di uguaglianza. Al riguardo, secondo un primo orientamento giurisprudenziale [13] , le norme rappresenterebbero un’ipotesi di concorso apparente fra norme, atteso che ambedue afferiscono alla medesima tematica della tenuità. I profili di assoluta diversità fra i due istituti permetterebbero di circoscrivere ambiti di applicazione separati e concorrenti; di talchè, le due norme non verrebbero a trovarsi in un rapporto di genere a specie, bensì di specialità reciproca o bilaterale. Ne deriva che l’articolo 131 bis c.p. potrebbe ritenersi applicabile ai reati di competenza del Giudice di Pace anche laddove non si fossero perfezionati i più stringenti requisiti previsti dall’art. 34 d.lvo 274/2000. Invero, la strada della specialità reciproca ha sollevato notevoli problematiche in riferimento, soprattutto, al regime di coordinamento che verrebbe ad instaurarsi fra le predette clausole. Segnatamente, tale dottrina minoritaria, tenendo conto della natura di istituto di diritto sostanziale riconosciuta all’art. 131 bis c.p.[14], avente carattere di maggior favore rispetto al più stringente art. 34 d.lvo 274/2000 e tale da qualificarlo come “lex mitior”[15], era giunta a ritenere, sulla scorta dell’art. 2 co. IV c.p., l’applicabilità della clausola di non punibilità per tutti reati, ivi compresi quelli di competenza del Giudice di Pace[16]. A sostegno di tale conclusione, si argomentava che diversamente opinando si sarebbe pervenuti alla paradossale conclusione per cui l’articolo 131 bis c.p. sarebbe stato irragionevolmente non operativo proprio verso quei reati dal minimo disvalore sociale, e perciò, ricompresi in quel sistema di delinquenza bagatellare proprio del Giudice di Pace. Al riguardo, è stato anche osservato che la mancata assoluzione dell’imputato, in presenza di un fatto tenue ad opera del Giudice di Pace, sarebbe stata contraria allo stesso art. 131 bis c.p., dal momento che questo è orientato a sottrarre dall’intervento penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena sulla base del principio di proporzionalità ed extrema ratio[17].
In senso diametralmente antitetico si è posto un secondo filone giurisprudenziale[18], peraltro maggioritario, il quale ravvisava fra l’art. 34 d.lvo 274/2000 e l’art. 131 bis c.p. la sussistenza di un concorso apparente fra norme, risolvibile in termini di rapporto di specialità. In particolare, all’art. 34 d.lvo 274/2000 tale dottrina attribuiva valore di norma speciale, in quanto espressiva della “speciale” finalità conciliativa propria della giurisdizione di pace. Ne derivava la conseguente esclusione della possibilità di surrogazione dell’art. 131 bis c.p. verso il sistema di Pace.
A sanare il contrasto giurisprudenziale insorto sul tema sono intervenute le supreme Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione con Sentenza Cass. Pen., SS. UU., Sent. 28 novembre 2017 (ud. 22 giugno 2017) n. 53683[19]. Alla stregua della citata Sentenza, nessuna delle predette teorie giurisprudenziali sarebbe stata capace di cogliere nel segno. Pertanto, pur aderendo formalmente alla tesi maggioritaria (par.3) ,perorandone la medesima conclusione, gli Ermellini avvallano, in sostanza, una terza via, per la quale “i molti elementi specializzanti e diversificativi fra gli istituti, valgono a qualificare il rapporto come “interferenziale”, e non certo come rapporto di specialità”[20]. Tale conclusione appare giustificata alla luce del principio di diritto, già proposto in precedenza dalla Corte Costituzionale, della c.d. “concreta applicabilità delle norme”[21], per il quale vige una “tendenziale osmosi fra il procedimento comune e quello dinanzi al giudice di pace, con il limite però della concreta applicabilità delle norme dell’uno nel perimetro dell’altro e viceversa”[22]. Pertanto, il giudizio sulla disapplicazione dell’art. 34 d.lvo 274/2000 non può essere condotto isolatamente, ma nella valutazione dovrà tenersi conto del suo inserimento in un sistema, quello del giudice di pace, soggetto a numerose istanze peculiari, quali quelle conciliative tutelate dall’art. 2 co. II d.lvo 274/2000. Ne deriva che, l’interpretazione delle norme deve garantire “la salvaguardia dell’autonomia dei connotati specializzanti del procedimento dinanzi al giudice di pace”[23]. Di talchè, ai sensi e per gli effetti dell’art. 16 c.p., alla luce di una lettura complessiva del d.lvo 274/2000, all’articolo 34 si addice la qualifica di legge penale speciale, in virtù delle peculiari istanze conciliative che come noto lo differenziano dal rito ordinario. Sotto questa prospettiva le Sezioni Unite giungono ad affermare il principio di diritto per il quale “ la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista all’art. 131 bis c.p. cod. pen., non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del Giudice di pace”[24].
[1] Cfr. Mattevi E., “ Esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto nel procedimento penale di pace: considerazione critiche tra obiettivi perseguiti e raggiunti alla luce dei principi costituzionali”, in Indice penale, 2009, pp. 169 ss.
[2] Cfr. Alberti G. “ Non punibilità per particolare tenuità del fatto”, in Diritto penale contemporaneo, 16 dicembre 2015; Tavassi L., “ I primi limiti giurisprudenziali alla “particolare tenuità del fatto””, in diritto penale contemporaneo, 2015; Cfr. Giacona I., “ la nuova causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis cod. pen.), tra esigenze deflattive e di bilanciamento dei principi costituzionali”, in Indice penale, 2016, pp. 38 ss. dove l’autore, discutendo sui parametri di valutazione dell’esiguità dell’offesa, asserisce che l’offensività potrà essere affermata con sufficiente sicurezza e univocità soltanto nelle situazioni limite di danno o pericolo manifestamente assai esiguo, ponendo seri problemi di concorso in caso di insufficienza dell’ offensività con l’art. 49 II comma cod. pen. . L’autore sottolinea dunque come nonostante l’ampiezza della formula ex art. 131 bis cod. pen. il vaglio di tenuità dell’offesa dipenda da criteri alla fine dei conti “assai generici” (cit. p. 44)
[3] Come noto la dottrina per interpretare l’occasionalità ai sensi dell’art. 34 d.lgs. 274/2000 ricorreva a tre teorie 1) quella oggettiva che identificava l’occasionalità con la mancanza di precedenti penali; 2) quella soggettiva che riteneva occasionale il fatto commesso sotto l’impulso del momento 3) quella intermedia, secondo cui il giudice doveva travalicare l’indicatore della reiterazione e analizzare tutti gli elementi che aveva a disposizione; Cfr. Turco, “i prodromi della riforma, in AA. VV. “La deflazione giudiziaria. Messa alla prova per gli adulti e proscioglimento per tenuità del fatto” Triggiani (a cura di) , 2014 pp. 177 ss. ;
[4] Bonini V. “ Il ruolo della persona offesa nella valutazione sulla particolare tenuità del fatto”, in la legislazione penale 3 maggio 2016
[5] Giova ricorda che la maggior caratteristica del procedimento penale davanti al giudice di pace risiede nella valorizzazione delle funzioni conciliative, che il Giudice di Pace deve promuovere fra le parti. Tale funzione viene consacrata nel art. 2 secondo comma, ai sensi del quale “ nel corso del procedimento il giudice di pace deve favorire, per quanto possibile, la conciliazione fra le parti”; la dottrina ha chiarito come tale obbligo di favorire la conciliazione debba essere inteso, per effetto del citato articolo, in senso attivo, per cui il Giudice di Pace non potrà limitarsi a ratificare passivamente la possibilità di conciliazione fra le parti, ma dovrà promuovere attivamente la conciliazione; Cfr. Mattevi E., “ Esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto nel procedimento penale di pace: considerazione critiche tra obiettivi perseguiti e raggiunti alla luce dei principi costituzionali”, in Indice penale, 2009, pp. 169 ss. . Inoltre, è stato autorevolmente sostenuto che l’ obbiettivo della conciliazione è raggiunto prevedendo la competenza del Giudice di Pace per fattispecie di reato per le quali non è prevista la sanzione detentiva, essendosi fatto ricorso a diversi nuovi protocolli sanzionatori, che utilizzano come pene principali non solo quella pecuniaria ma, anche le sanzioni della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità; Cfr. A. Di Martino “Sanzioni irrogabili dal giudice di pace”, in “Le conseguenze sanzionatorie del reato” G. De Francesco ( a cura di), Giappichelli editore, Torino, 2011 pp. 167 ss.
[6]Tale ricostruzione appare senz’altro maggiormente condivisibile di quanto non siano le altre proposte. In particolare si ricorda la soluzione proposta dalla Commissione Giustizia al Senato, la quale prevedeva che l’ eventuale opposizione dell’offeso, poteva essere controbilanciata dalla possibilità per il giudice di applicare il successivo art. 35, al ricorrere di condotte riparatorie, valutabili ex officio, a prescindere dalla volontà punitiva della persona offesa; sul punto Cfr. Mattevi E., “ Esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto nel procedimento penale di pace: considerazione critiche tra obiettivi perseguiti e raggiunti alla luce dei principi costituzionali”, in Indice penale, 2009, pp. 169 ss.
[7]De Francesco G., “ Commento all’art. 34 Esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto” , in legislazione penale, 2001, pp. 193 ss.; De Francesco G., “ Illecito esiguo e dinamiche della pena”, in Criminalia, 2015, pp.199 ss.; Bartoli R., “ L’irrilevanza penale del fatto tra logiche deflattive e meritevolezza di pena”, in AA.VV. “Meritevolezza di pena e logiche deflattive”, G. De Francesco- E. Venafro (a cura di), Giappichelli Editore, Torino, 2002, pp. 101 ss.
[8] Bartoli R., “ L’irrilevanza penale del fatto tra logiche deflattive e meritevolezza di pena”, in AA.VV. “Meritevolezza di pena e logiche deflattive”, G. De Francesco- E. Venafro (a cura di), Giappichelli Editore, Torino, 2002, pp. 101 ss., cit. p. 108.
[9] Concordemente con la dottrina le Sezioni Unite hanno ritenuto la piena tipicità del fatto lieve, il quale si manifesta come fatto tipico, colpevole, antigiuridico e anche offensivo; Cfr. Alberti G. “ Non punibilità per particolare tenuità del fatto”, in Diritto penale contemporaneo, 16 dicembre 2015p.3 ; Dies R., “ Questioni varie in tema di irrilevanza penale del fatto per particolare tenuità”, in diritto penale contemporaneo, 13 settembre2015, p. 7
[10]In prima approssimazione, il lessema complesso giustizia riparativa sottende un sistema gius-filosofico autonomo che postula il superamento della concezione del reato come mera violazione di una norma giuridica e l’accoglimento, viceversa, di una visione allargata del fatto criminoso, per la quale il reato è una realtà molto più complessa, considerazione alla quale è più recentemente avvenuta anche la direttiva del 25 ottobre 2012 /29/UE, la quale ha sottolineato che il reato non è solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime, richiedendo, di convesso, da parte del reo l’attivazione di forme di riparazione del danno cagionato. La letteratura in tema di giustizia riparativa è sterminata, a titolo esemplificativo sulle origini del sistema cfr. Bouchard M. ,“Breve storia e filosofia della giustizia ripartiva”, in Questione giustizia, 2015, pp.66 ss. ; Donini M., “ Per una concezione post-riparatoria della pena. Contro la pena come raddoppio del male”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2013, pp 1163 ss. ;Mannozzi G., “La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia ripartiva e mediazione penale”, Giuffrè Editore, Milano, 2003; Mannozzi G., “ La visione di Raffaello: giustizia, filosofia, poesia e teologia”, in AA.VV. “Giustizia riparativa, ricostruire legami ricostruire persone” G. Mannozzi – G.A. Lodigiani (A cura di), Il Mulino, Bologna,2015, pp.235 ss.; Mannozzi G. , “Traduzione e interpretazione giuridica nel multilinguismo europeo : il caso paradigmatico del termine “ giustizia riparativa” e delle sue origini storico-giuridiche e linguistiche”, in rivista italiana di diritto e procedura penale, 2015 pp. 137ss.; Marshall T. F , “The evolution of restorative justice in Britain”, in Euoropean Journal on Criminal Policy and research, 1996, pp. 37 ss.; Mazzucato C., “ Ostacoli e “pietre d’inciampo” nel cammino attuale della giustizia ripartiva in Italia”, in AA.VV. “Giustizia ripartiva ricostruire legami, ricostruire persone”, G. Mannozzi- G.A. Lodigiani (a cura di), Il Mulino, 2015. pp. 119 ss.; Palazzo F., “ Giustizia riparativa e giustizia punitiva”, in AA.VV. “Giustizia ripartiva ricostruire legami, ricostruire persone”, G. Mannozzi- G.A. Lodigiani (a cura di), Il Mulino, 2015, pp.67 ss.; Wright M., “ Restorative justice: a new response to crime and conflicts”, in Mediares rivista semestrale sulla mediazione, 2011, pp.11 ss.; Zehr H. “Changing Lenses. Restorative justice for our times” , Herald Press, Scottdale, 1990 ;Zehr H.,“The little book of Restorative justice”, Good Books, New York, 2015
[11] Roxin C., “Risarcimento del danno e fini della pena” in Rivista italiana diritto e procedura penale 1987, cit. p.3 ss.; cfr. Roxin C., “Zur jὓngsten DisKussion ὓber Schuld, Prἃvention und Verantwortlichkeit im Strafrecht”, in Festschrift fὓr Bockelmann, Mὓnchen, 1979, pp. 279 ss.;
[12] Peraltro, al riguardo si osserva che anche il concetto stesso di “tenuità” sotteso alle due norme appare non coincidere. Infatti, alla stregua di quanto previsto all’art. 34 d.lvo 274/2000 è il “fatto” e non “l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma”, come invece previsto all’art. 131 bis c.p., a dover essere esiguo.
[13] Cfr. Cass. Pen. Sez. 5 n. 15579 del 13/01/2017, Bianchi, Rv. 269424; Cass. Pen.Sez. 5 n. 9713 del 12/01/2017, Rubiano, Rv. 269452; Cass. Pen. Sez. 2, n. 1906 del 20/12/2016 dep. 2017, Barranco, no mass; su tutte si noti Cass. Pen. SS. UU, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593
[14] La natura sostanziale dell’art. 131 bis è sancita dalla c.d. “sentenza Tushai” (Cass. Pen. Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593), la quale ammette l’applicabilità dell’art. 131 bis ai procedimenti penali pendenti al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 28 del 2015.
[15] L’art. 131 bis c.p. può valutarsi come un regime complessivamente più favorevole rispetto all’art. 34 d.lvo 274/2000 in quanto l’art. 131 bis c.p. è disancorato dall’opinione della persona offesa e gode, quindi, di una più ampia concedibilità ed altresì il predetto si fonda su presupposti meno stringenti di quanto non siano quelli previsti ex art. 34 d.lvo 274/2000.
[16] Cass. Pen. , sez. V 12 gennaio 2017n. 9713.
[17] Mola I. “ La mancata estensione dell’art. 131 bis c.p. ai reati di competenza del giudice di pace: un sospetto di incostituzionalità, in Giurisprudenza Penale 18.2.2016, cit. p. 4
[18] Cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 54173 del 28/11/2016, Piazza, Rv. 268754; Cass. Pen. Sez. 5, n. 55039 del 20/10/2016, Sawires, Rv. 268865; Cass.Pen.Sez. 5, n47518 del 15/09/2016, Bruno, Rv. 268452.
[19] Con ordinanza n. 20245 del 4 aprile 2017 la III Sezione penale di Cassazione aveva rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione : “ se l’art. 131 bis c.p. cod. pen. sia applicabile nei procedimenti che si svolgono davanti al giudice di pace”. Come noto, il fatto aveva ad oggetto il ricorso depositato dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia avverso la sentenza del giudice di pace di Verona, che aveva dichiarato non punibili, ex art. 131 bis c.p., una coppia di genitori, rei di non aver adempiuto all’obbligo di impartire l’istruzione elementare al figlio minore.
[20] Cass . Pen. SS. UU. sent. n. 53683/2017 cit. pp. 9 ss.
[21] Corte Cost. ord. n. 47 10 Marzo 2014.
[22] Cass . Pen. SS. UU. sent. n. 53683/2017
[23] Cass . Pen. SS. UU. sent. n. 53683/2017
[24] Cass . Pen. SS. UU. sent. n. 53683/2017 cit. p. 13
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