La step-child adoption da parte di coppie dello stesso sesso.

La step-child adoption da parte di coppie dello stesso sesso.

Con “step-child adoption” si indica la possibilità riconosciuta ad un soggetto di adottare il figlio minore, naturale o adottivo, del proprio partner.

Tale possibilità, nel nostro ordinamento, è stata riconosciuta con la legge n. 184 del 1983 recante la disciplina della cd. adozione in casi particolari, in favore delle coppie eterosessuali, sposate o conviventi more uxorio (queste ultime a partire dal 2007).

Attraverso l’istituto dell’adozione in casi particolari il legislatore ha voluto tutelare il rapporto di fatto creatosi tra il minore e uno o più soggetti con cui in precedenza ha sviluppato legami affettivi, nonché i minori che si trovano in particolari situazioni di disagio.

Le ipotesi in cui si può adottare un minore facendo ricorso a questo tipo di adozione sono indicate in modo tassativo dal legislatore, il quale stabilisce[1] che i minori possono essere adottati: da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre; dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge; quando il minore si trova in condizioni di handicap ai sensi della l. n. 104/1992 ed è orfano di entrambi i genitori; in caso di constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

Nei casi di cui alle lettere a), b) e d) l’adozione è consentita anche ai single.

La procedura risulta semplificata rispetto a quella per l’adozione ordinaria, infatti, la domanda di adozione ex art. 44 l. n. 184/1983 deve essere presentata presso il Tribunale per i minorenni del luogo in cui si trova il minore[2], il quale deve accertare che l’adozione risponda all’interesse del minore, verificare che tra egli e gli adottanti può stabilirsi un rapporto genitoriale solido, valutata l’idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione patrimoniale ed economica, la salute e l’ambiente familiare degli adottanti. Rispetto all’adozione ordinaria non occorre accertare lo stato di abbandono del minore, non si confrontano coppie disponibili all’adozione e non è previsto un periodo di affidamento preadottivo.

In questo scenario assume rilevanza quanto disposto dalla l. n. 76/2016 (c.d. legge Cirinnà), che ha introdotto in Italia le unioni civili tra persone dello stesso sesso, specificando[3] che “[…] le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi […] si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica […] alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184”, impedendo, quindi, con riferimento alle coppie omosessuali l’applicazione dell’art. 44, comma primo, lett. b) l. n. 184/1983 (adozione del figlio del coniuge).

A sopperire alle carenze del legislatore ha provveduto la giurisprudenza degli ultimi anni, che ha applicato la disciplina dell’adozione in casi particolari anche alle coppie omosessuali, interpretando estensivamente quanto stabilito alla lettera d) dell’art. 44, comma primo, l. n. 184/1983.

Il primo a proferire in merito è stato il Tribunale per i Minorenni di Roma che, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta da parte di una donna di adottare la figlia naturale della compagna, con la sentenza n. 299/2014 (emessa ancor prima dell’entrata in vigore della legge Cirinnà), ha disposto[4] farsi luogo all’adozione della bambina da parte della ricorrente. Più nello specifico, il Tribunale ha dichiarato[5] che “non si può non tenere conto delle situazioni che sono da tempo cristallizzate […] non si tratta di concedere un diritto ex novo […] ma di garantire la copertura giuridica di una situazione di fatto già esistente da anni, nell’esclusivo interesse di una bambina che è da sempre cresciuta e stata allevata da due donne, che essa stessa riconosce come riferimenti affettivi primari, al punto tale da chiamare entrambe mamma”. Il Tribunale ha messo in evidenza[6] che “una lettura dell’art. 44, co. 1, lett. d) che pretendesse di discriminare coppie omosessuali si porrebbe in conflitto con il dato costituzionale […] e si porrebbe in contrasto con  gli artt. 14 e 8 della CEDU” e che “la ratio legis […] è quella di consentire […] la realizzazione del preminente interesse del minore [7].

Successivamente anche la Corte di Cassazione[8] ha affermato che “poiché all’adozione in casi particolari […] possono accedere sia le persone singole che le coppie di fatto, l’esame de requisiti e delle condizioni imposte dalla legge […] non può essere svolto neanche indirettamente dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente” e ha quindi precisato che “l’adozione in casi particolari, di cui all’art. 44, comma primo, lett. d), l. n. 184 del 1983, presuppone la constatata impossibilità di affidamento preadottivo […] e può essere disposta allorché si accerti, in concreto, l’interesse del minore al riconoscimento di una relazione affettiva già instaurata e consolidata con chi se ne prende stabilmente cura, non avendo invece alcuna rilevanza l’orientamento sessuale dell’adottante”.

Sovente le coppie omosessuali, al fine di diventare genitori, si recano all’estero per ricorrere a tecniche di fecondazione assistita (a cui in Italia non possono accedere) o di maternità surrogata (in Italia vietata a chiunque). In materia è opportuno precisare che, se non vi sono ostacoli alla trascrizione dell’atto di nascita di un minore nato all’estero mediante fecondazione in vitro eterologa[9] e figlio, secondo la legge ivi vigente, di entrambi i soggetti della coppia omosessuale[10], la Corte di Cassazione con sentenza resa a Sezioni Unite[11] ha, invece, affermato che in Italia non può darsi luogo al riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero con cui è stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata[12] e il genitore d’intenzione, cittadino italiano, giacché tale riconoscimento trova ostacolo nel divieto di surrogazione di maternità, sancito dall’art. 12, comma sesto, l. n. 40/2004, quale espressione di un principio di ordine pubblico. In sostanza, la Corte di Cassazione ha negato la possibilità di trascrivere in Italia i provvedimenti giurisdizionali di Paesi stranieri di accertamento del rapporto di genitorialità tra il minore procreato all’estero con maternità surrogata e il genitore unito civilmente che non ha con egli alcun legame biologico (cd. genitore d’intenzione). Nonostante ciò, la Suprema Corte, nella medesima sentenza, ha ribadito che l’ordinamento offre altri strumenti idonei a consentire la costituzione di un legame giuridico con il genitore intenzionale e che, quindi, può essere conferito rilievo a tale rapporto genitoriale ricorrendo ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari prevista dall’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n.184/1993.

La possibilità, riconosciuta in via giurisprudenziale, alle coppie omosessuali di ricorrere all’adozione in casi particolari è stata ampiamente criticata, stante il fatto che in seguito ad essa al minore non viene riconosciuto alcun legame di parentela con gli altri componenti della famiglia, dalla cui successione viene escluso. In tema si è espressa recentemente la Corte Costituzionale[13], che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 55 l. n. 184/1983, nella parte in cui prevede che l’adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante, in quanto “il minore adottato ha lo status di figlio e non può essere privato dei legami parentali che il legislatore della riforma della filiazione ha voluto garantire a tutti i figli a parità di condizioni, perché tutti i minori possano crescere in un ambiente solido e protetto da vincoli familiari”. Secondo la Corte Costituzionale, non riconoscere i legami familiari con i parenti del genitore adottivo equivale a disconoscere l’identità del minore.

 

 

 

 

 


[1] Art. 44, comma primo, l. n. 184/1983.
[2] Art. 56 l. n. 184/1983.
[3] Art. 1, comma 20, l. n. 76/2016.
[4] Tribunale per i Minorenni di Roma sent. n. 299/2014, pag. 11.
[5] Tribunale per i Minorenni di Roma sent. n. 299/2014, pag. 9.
[6] Tribunale per i Minorenni di Roma sent. n. 299/2014, pag. 7.
[7] Tribunale per i Minorenni di Roma sent. n. 299/2014, pag. 6.
[8] Corte di Cassazione, sent. n. 12962/2016.
[9] La fecondazione avviene al di fuori del grembo materno, uno dei gameti appartiene ad un donatore anonimo.
[10] Cfr. Corte d’Appello di Torino, decreto del 29 ottobre 2014.
[11] Corte di Cassazione, Sez. Unite, sent. n. 12193/2019.
[12] In genere, se la coppia omosessuale è composta da donne, una di esse fornisce l’ovulo, che tramite fecondazione in vitro viene unito a spermatozoi appartenenti ad un donatore anonimo. Successivamente, l’ovulo così fecondato viene inserito nel grembo dell’altra, che porterà avanti la gravidanza; se la coppia omosessuale è composta da uomini, una donna provvede alla gestazione, uno o entrambi i gameti appartengono a donatori anonimi.
[13] Corte Costituzionale sent. n. 79/2022.

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Dott.ssa Lucia Sessa

Dottoressa in Giurisprudenza iscritta all'albo dei Praticanti Avvocati Abilitati presso l'Ordine degli Avvocati di Salerno e attualmente impegnata nello svolgimento della pratica forense.

Latest posts by Dott.ssa Lucia Sessa (see all)

Articoli inerenti