La stratificazione giuridica di Taiwan: evoluzione ed influenze storiche
Abstract. Il presente contributo analizza il processo di sviluppo e trasformazione del sistema giuridico taiwanese, esaminando il periodo storico che va dal 1895 al 2000. La ricerca si concentra sulle tre fasi principali che hanno caratterizzato questa evoluzione: il periodo coloniale giapponese (1895-1945), l’implementazione del diritto della Repubblica di Cina (1945-1987) e la fase di democratizzazione e modernizzazione giuridica (1987-2000). L’analisi evidenzia come il sistema legale taiwanese sia il risultato di un complesso processo di legal transplantation che ha integrato elementi del diritto occidentale, principalmente attraverso la mediazione giapponese e l’influenza tedesca, con le tradizioni giuridiche locali. Particolare attenzione viene dedicata all’analisi delle riforme del Codice Civile degli anni ’90, che rappresentano il culmine del processo di adattamento del diritto alle specifiche esigenze della società taiwanese contemporanea.
Sommario: 1. Sovranità contesa: il caso Taiwan − 2. Introduzione storica − 3. Il periodo di dominazione giapponese (1895-1945) − 4. La dominazione cinese: considerazioni
1. Sovranità contesa: il caso Taiwan
Secondo la narrazione storica ufficiale di Taipei, Taiwan non aveva un governo centrale prima del XVII secolo. Fu solo a partire da quel periodo che l’isola cominciò ad essere registrata nella documentazione europea, quando gli esploratori portoghesi, durante il loro passaggio, battezzarono il territorio come Ilha Formosa, un nome che in portoghese significa “isola bella”. Successivamente, un gruppo di marinai olandesi, durante la loro espansione coloniale, fondò il porto di Taoyuan, che in cinese significa “baia terrazzata”, una località che divenne un importante punto di approdo per numerosi immigrati cinesi provenienti dalla provincia del Fujian. Questi ultimi erano in fuga dal caos provocato dalla caduta della dinastia Ming nel 1644, evento che segnò l’inizio di una serie di conflitti ed instabilità interne in Cina. Nel 1683, l’imperatore della dinastia Qing, Kangxi, conquistò Taiwan, assoggettandola – definitivamente – al dominio dell’Impero Qing. A partire da quella data, Taiwan divenne parte integrante dei territori imperiali cinesi, segnando l’inizio di un lungo periodo di amministrazione cinese che sarebbe durato quasi due secoli. Questo dominio cinese, tuttavia, fu interrotto nel 1895 con il Trattato di Shimonoseki, in seguito alla guerra sino-giapponese, che comportò la cessione di Taiwan al Giappone “in perpetuo”[1]. Taiwan passò, così, sotto il controllo di un potere straniero. Il trattato venne stipulato alla fine di un conflitto armato, e la sua cessione “in perpetuo” al Giappone sollevò, in seguito, questioni di legittimità, soprattutto da parte della Cina, che ritenne questo accordo come ingiusto ed imposto attraverso circostanze di disparità di potere. Nel contesto giuridico internazionale, l’atto di cedere un territorio attraverso un trattato di pace, come quello di Shimonoseki, solleva numerosi interrogativi sul rispetto dei princìpi di sovranità ed autodeterminazione dei popoli. Durante il periodo giapponese, Taiwan subì una significativa trasformazione sotto il controllo di Tokyo. L’amministrazione giapponese impose una forma di governo manu militari, ovvero un governo che utilizza il potere militare come strumento principale per il controllo di un territorio, senza l’applicazione di leggi civili o amministrative ordinarie, ma con l’uso di misure coercitive ed il ricorso a strutture ed istituzioni militari per l’amministrazione quotidiana. Durante tale periodo, il Giappone, pur non dichiarando un’annessione formale della sua nuova colonia, esercitò il controllo attraverso il dispiegamento delle sue forze armate e la creazione di una struttura amministrativa strettamente dipendente da essa. Le leggi nipponiche furono imposte sulla popolazione, mentre la cultura cinese fu progressivamente soppressa in favore di una cultura giapponese che mirava ad integrare Taiwan come parte di un impero coloniale giapponese più ampio. Il governo giapponese esercitò, quindi, una sovranità de facto che, però, fu contestata dalla Cina e da altre potenze internazionali e si scontrò con il princìpio di autodeterminazione dei popoli.
In questo contesto giuridico, l’occupazione manu militari fu vista come una forma di dominazione senza il pieno riconoscimento della legittimità del passaggio di sovranità, soprattutto da parte della Cina, che considerava Taiwan come parte integrante del proprio territorio. La sovranità giapponese su Taiwan si inserisce in un contesto di dominio coloniale che ha sollevato dubbi sulla validità e sulla giustizia di tale occupazione, in particolare alla luce delle circostanze che avevano portato alla cessione del territorio nel 1895, con la stipula del suddetto Trattato di Shimonoseki. Inoltre, la Dichiarazione del Cairo del 1943, emanata durante la Seconda Guerra Mondiale dagli Alleati (Stati Uniti, Regno Unito e Repubblica della Cina), esprimeva l’intenzione di restituire Taiwan alla Cina, che nel frattempo, dal 1912, era diventata una Repubblica sotto la guida del Kuomintang (KMT). La dichiarazione, tuttavia, aveva un valore puramente politico e non giuridico.
Nel suo testo, gli Alleati affermavano che Taiwan, insieme ad altri territori precedentemente ceduti dal Giappone alla Cina, sarebbe dovuta tornare sotto il controllo cinese una volta concluso il conflitto. Nonostante la Dichiarazione del Cairo del 1943 esprimesse l’intenzione politica degli Alleati di restituire Taiwan alla Cina, essa non aveva valore giuridico vincolante poiché non si trattava di un trattato internazionale ratificato dalle parti coinvolte e non prevedeva una concreta base giuridica per la restituzione. Tale principio, successivamente ribadito nella Dichiarazione di Potsdam del 1945, imponeva al Giappone l’accettazione delle condizioni stabilite nella Dichiarazione del Cairo. Tuttavia, nessuno di questi documenti costituiva un atto formale di trasferimento di sovranità, lasciando la questione dello status giuridico di Taiwan irrisolta nel diritto internazionale. Dopo la sconfitta giapponese nella Seconda guerra mondiale, il 25 ottobre 1945, Taiwan fu posta sotto amministrazione militare della Repubblica di Cina (ROC), allora riconosciuta come il governo legittimo della Cina. Tuttavia, questo trasferimento avvenne in base a un’occupazione militare e non mediante un trattato formale che sancisse definitivamente il passaggio di sovranità. Il Trattato di San Francisco del 1951, stipulato tra le Potenze Alleate ed il Giappone, sancì la rinuncia di quest’ultimo a qualsiasi pretesa su Taiwan. Tuttavia, il trattato non specificò a quale entità dovesse essere trasferita la sovranità sull’isola. Successivamente, con il Trattato di Taipei del 1952, il Giappone confermò formalmente tale rinuncia, senza però riconoscere espressamente la Repubblica di Cina (ROC) come legittima detentrice di tale sovranità. Questa lacuna giuridica ha generato un perdurante stato di ambiguità nella qualificazione internazionale dello status dell’isola, con rilevanti implicazioni nel diritto internazionale.
Nel 1949, a seguito della vittoria del Partito Comunista nella guerra civile cinese, la Repubblica Popolare Cinese (RPC) fu proclamata a Pechino, mentre il governo nazionalista della ROC si ritirò a Taiwan, stabilendo lì la propria amministrazione. Da allora, la RPC ha sempre rivendicato Taiwan come parte integrante del proprio territorio, sostenendo che l’isola non abbia mai cessato di essere una provincia cinese.
La questione della rappresentanza della Cina nelle istituzioni internazionali fu risolta con la Risoluzione 2758 delle Nazioni Unite del 1971, che riconobbe la RPC come “l’unico rappresentante legittimo della Cina” presso l’ONU ed espulse la ROC dall’organizzazione. Tuttavia, la risoluzione non menzionava Taiwan né stabiliva esplicitamente che l’isola fosse parte della RPC, lasciando, ancora una volta, la questione irrisolta. Il Kuomintang (KMT), il partito nazionalista cinese, governò Taiwan con un regime autoritario per decenni, instaurando una legge marziale che rimase in vigore per un lungo periodo di 38 anni, dal 1949 fino al 1987. La legge marziale era una misura straordinaria che conferiva al governo il potere di sospendere diritti civili fondamentali, limitando le libertà individuali, imponendo censura sui media ed autorizzando azioni repressive contro ogni forma di dissenso politico. Questa misura venne introdotta dal KMT per mantenere il controllo assoluto su Taiwan, considerata la continuazione legittima della Repubblica di Cina (ROC), in un contesto di guerra civile con la Repubblica Popolare Cinese (RPC). Durante i decenni sotto legge marziale, il KMT perseguì una politica di isolamento internazionale, mentre si concentrava sulla creazione di uno stato-nazione forte e sulla difesa della propria legittimità come governo della “Cina legittima”.
Dal 1949, il governo della Repubblica di Cina (ROC) ha esercitato il suo controllo sovrano su Taiwan, sull’arcipelago delle Quemoy (Kinmen) e sulle isole Matsu, basandosi sul principio dell’uti possidetis. Questo principio, che letteralmente significa “come possiedi, continuerai a possedere”, è un concetto consolidato nel diritto internazionale che stabilisce che, in assenza di accordi espliciti sullo status di un territorio, il possessore del territorio ha il diritto di mantenerne il controllo e, se lo desidera, di annetterlo. Nel caso di Taiwan, la situazione non riguarda un territorio conquistato in senso stretto, ma più correttamente un territorio liberato, dato che la maggior parte della popolazione dell’isola aveva radici cinesi, essendo di etnia Han e proveniente dalla provincia del Fujian. Tale princìpio implica che, quando un territorio non ha una titolarità giuridica definita (come nel caso di Taiwan dopo la fine della guerra civile cinese e la cessione di Taiwan al Giappone nel 1895), esso rimane sotto il controllo del suo attuale possessore. Pertanto, il governo della ROC, che ha continuato a governare Taiwan dopo il ritiro delle truppe nazionaliste dalla Cina continentale, ha acquisito una sovranità de facto sull’isola. In base al principio giuridico della terra nullius (terreno che non appartiene a nessuno), un territorio che non ha un sovrano riconosciuto può essere acquisito per occupazione, ossia attraverso l’esercizio di autorità sovrana sul territorio stesso.
Poiché il governo taiwanese ha esercitato una piena sovranità su Taiwan, comprese le sue istituzioni politiche, la difesa e l’amministrazione territoriale, è lecito concludere che l’isola sia un’entità giuridica con status sovrano ed indipendente dal punto di vista internazionale, nonostante la Repubblica Popolare Cinese (RPC) continui a rifiutare tale realtà. D’altro canto, la Repubblica Popolare Cinese (RPC) ha sempre avanzato la sua pretesa su Taiwan, considerandola una provincia ribelle e negandone la sovranità. Tale posizione si basa sulla dottrina del “principio di una sola Cina“, secondo cui Taiwan sarebbe parte integrante del territorio cinese e non potrebbe esistere come entità separata. Tuttavia, sotto il profilo del diritto internazionale, le rivendicazioni della RPC su Taiwan non sono sostenute da principi giuridici consolidati, per una serie di motivi sostanziali.
In primo luogo, la RPC non può legittimamente invocare il Trattato di pace tra la Repubblica di Cina e il Giappone del 1952, che ha sancito la rinuncia del Giappone alla sovranità su Taiwan.
Tale trattato, infatti, stabiliva che il Giappone avrebbe rinunciato ad ogni diritto su Taiwan senza indicare a favore di quale Stato il controllo del territorio sarebbe stato trasferito. Questo non implica automaticamente che Taiwan debba essere considerato parte della RPC, poiché il trattato non ha mai esplicitamente definito Taiwan come territorio cinese.
In secondo luogo, la RPC nega il diritto del governo della ROC di concludere trattati internazionali a nome della Cina. Questo è stato confermato dalla summenzionata Risoluzione 2758 delle Nazioni Unite (1971), che ha riconosciuto la RPC come l’unico rappresentante legittimo della Cina all’interno dell’ONU, escludendo così la ROC. Tuttavia, la negazione del diritto di quest’ultima di trattare a livello internazionale non implica che la RPC possa acquisire la sovranità su Taiwan.
La violazione di tale diritto da parte della RPC non giustifica l’annessione di Taiwan né sul piano del diritto internazionale né sul piano del diritto consuetudinario.
In terzo luogo, la RPC ha sempre rifiutato la validità del Trattato di San Francisco (1951), in cui il Giappone ha formalmente rinunciato alla sua sovranità su Taiwan. Tuttavia, il rifiuto della RPC di riconoscere il trattato non cambia il fatto che il Giappone abbia, effettivamente, rinunciato ad ogni diritto su Taiwan e che quest’ultima sia rimasta senza un sovrano legittimo, rendendolo così, una terra nullius. Se consideriamo Taiwan come terra nullius, possiamo applicare il principio di occupazione: un territorio senza sovrano può essere acquisito da chi esercita un controllo effettivo su di esso. La ROC ha esercitato tale controllo su Taiwan dal 1949 e ha consolidato la sua sovranità con il tempo, attraverso la creazione di istituzioni politiche e la difesa del territorio, rendendo il controllo della ROC su Taiwan legalmente legittimo e difficile da contestare.
Infine, l’applicazione dei principi di prescrizione ed occupazione nel caso di Taiwan è incompatibile con le rivendicazioni della RPC. Questi princìpi presuppongono che il territorio sia stato acquisito in base a trattati che abbiano validità giuridica e siano stati riconosciuti internazionalmente.
Poiché la RPC ha rifiutato i trattati di pace che hanno sancito la rinuncia della sovranità giapponese su Taiwan, e non ha esercitato un controllo effettivo sull’isola, non può invocare tali principi per giustificare la sua pretesa sovranazionale su di essa. La comunità internazionale riconosce, quindi, che Taiwan, attraverso l’esercizio di sovranità stabile ed ininterrotta, sia una nazione sovrana ed indipendente, a prescindere dalle rivendicazioni della RPC.
Nel 1987, un cambiamento significativo avvenne sotto la presidenza di Chiang Ching-kuo, figlio di Chiang Kai-shek, che aveva governato Taiwan per anni sotto il regime autoritario. Chiang Ching-kuo, pur mantenendo la leadership del KMT, decise di avviare un processo di liberalizzazione politica e di apertura verso una democrazia parlamentare. Fu in questo contesto che, con un ordine presidenziale, venne ufficialmente revocata la legge marziale, ponendo fine a quasi quattro decenni di autoritarismo. Questo passo rappresentò una svolta storica, poiché aprì la strada ad una serie di riforme democratiche, tra cui la liberalizzazione del sistema politico, la creazione di un sistema multipartitico e l’introduzione di elezioni libere e democratiche.
La transizione ad una democrazia parlamentare con elezioni libere e competitive ha significato una distanza crescente dalla realtà della Repubblica Popolare Cinese (RPC), che sotto il Partito Comunista ha continuato a mantenere un sistema politico autoritario e centralizzato.
Taiwan ha continuato a svilupparsi come una società democratica, con una società civile attiva e libertà di espressione, in contrasto con la RPC, dove le libertà politiche ed individuali sono fortemente limitate e sotto il controllo del partito unico. Questo cambiamento storico taiwanese ha avuto un’importante influenza sulle relazioni tra l’isola e la Cina continentale, rappresentando un modello di transizione pacifica verso la democrazia nell’Asia orientale.
2. Introduzione storico-giuridica
Si noti che, nel corso della storia, la cultura taiwanese è stata profondamente influenzata da una serie di potenze straniere, che hanno contribuito a plasmare la sua identità unica e multiforme. Taiwan ha vissuto numerosi cambiamenti politici e territoriali, che hanno determinato il suo sviluppo culturale e sociale. Nel periodo compreso tra il 1624 e il 1661, Taiwan fu una colonia europea, in particolare sotto il controllo dei Paesi Bassi. Durante questo periodo, i colonizzatori olandesi introdussero diverse pratiche agricole e commerciali, influenzando in modo significativo le dinamiche locali.
A partire dal 1661, Taiwan divenne un regno sotto il dominio di Koxinga, un condottiero cinese che, dopo aver scacciato gli olandesi, fondò una dinastia locale, la c.d. dinastia Zheng, con l’intento di rivendicare e difendere Taiwan come un avamposto contro l’espansione della dinastia Qing, che stava consolidando il suo dominio sulla Cina continentale. Tale dinastia, conosciuta anche come il “regno di Tungning” (dal nome della sua capitale, Tungning, nell’attuale provincia di Fujian, prima che Koxinga si stabilisse a Taiwan), durò fino al 1683, quando la dinastia Qing sconfisse i discendenti di Koxinga, annettendo Taiwan sotto il loro controllo, ponendo fine alla breve esistenza di questo regno. Questo periodo segnò l’avvio di un’intensificazione dell’influenza culturale cinese, determinata dall’immigrazione di un numero significativo di coloni provenienti dalla Cina. Tale fenomeno comportò la diffusione ed il progressivo radicamento, nel territorio, di tradizioni culturali, religiose e linguistiche, con implicazioni di rilievo sotto il profilo storico e giuridico.
Nel 1684, Taiwan fu, dunque, annessa dalla dinastia Qing e divenne una prefettura dell’Impero cinese. Durante il dominio Qing, che durò fino alla fine del XIX secolo, Taiwan divenne un importante centro agricolo e commerciale, con la coltivazione di riso, tè e canna da zucchero che divenne predominante. La cultura cinese, soprattutto quella proveniente dalle province costiere del Fujian e del Guangdong, influenzò sempre di più la popolazione locale. Nel 1895, a seguito della firma del Trattato di Shimonoseki, che pose fine alla Prima guerra sino-giapponese, il Giappone assunse il controllo del territorio. In virtù delle disposizioni del trattato, la Dinastia Qing cedette formalmente Taiwan all’Impero giapponese, sancendo l’inizio di un periodo di dominio coloniale giapponese sull’isola.
Il Trattato di Shimonoseki (conosciuto in giapponese come Shimonoseki Jōyaku, 下関条約), firmato il 17 aprile 1895 tra la Cina Qing e il Giappone, pose formalmente fine alla Prima guerra sino-giapponese (1894-1895), un conflitto che ebbe come principale causa la rivalità per il controllo della Corea (Joseon 朝鮮), un territorio considerato di influenza tradizionale della Cina. Mentre la dinastia Qing (清朝) aveva per secoli mantenuto una supervisione sulla Corea, il Giappone, che negli ultimi decenni aveva intrapreso una rapida modernizzazione e industrializzazione sotto la Restaurazione Meiji (明治維新), riuscì a prevalere militarmente. La guerra, dunque, segnò il tramonto del predominio cinese sull’Asia orientale e l’ascesa del Giappone come nuova potenza regionale. Le principali disposizioni del trattato comprendevano, in primo luogo, la cessione di Taiwan (compreso l’arcipelago delle isole Pescadores, anche note come Penghu) dal Regno di Qing al Giappone, il che segnò l’inizio del dominio coloniale giapponese su Taiwan, che sarebbe durato fino al 1945. In secondo luogo, il trattato sancì l’indipendenza della Corea, liberandola dalla sfera di influenza cinese, e stabilì che la Cina non avrebbe più esercitato alcuna sovranità su di essa. Questo atto aprì la strada per l’instaurazione del dominio giapponese in Corea, che divenne una colonia ufficiale nel 1910. Inoltre, la Cina dovette accettare riparazioni finanziarie pesantissime, pari a 200 milioni di tael[2] d’argento, come risarcimento per i danni di guerra, una somma che avrebbe aggravato ulteriormente le difficoltà economiche del paese. In aggiunta, la Cina fu costretta a cedere la penisola di Liáodōng (comprendente la città di Dàlián) al Giappone, oltre a concedere importanti diritti economici e territoriali, tra cui la costruzione di ferrovie e l’accesso commerciale a regioni chiave della Manciukuè (Manchuria, 滿洲).
Le conseguenze giuridiche e politiche del trattato furono devastanti per la dinastia Qing. La sconfitta militare e la firma del trattato rappresentarono “un’umiliazione nazionale”, alimentando il malcontento popolare e contribuendo al progressivo indebolimento del regime imperiale, che sarebbe stato rovesciato nel 1911 dalla Rivoluzione Xinhai (辛亥革命). Contestualmente, il trattato consolidò il Giappone come potenza imperialista in Asia, segnando l’inizio di un’espansione territoriale che avrebbe avuto effetti determinanti per i decenni successivi. Il Giappone non solo avrebbe invaso la Cina nel 1937, ma avrebbe anche giocato un ruolo centrale nella Seconda guerra mondiale.
Durante il periodo coloniale giapponese, che durò fino al 1945, Taiwan subì un’importante trasformazione. Il Giappone modernizzò l’isola, costruendo infrastrutture, industrializzando l’economia e cercando di assimilare la popolazione taiwanese alla cultura giapponese. Nonostante l’imposizione della lingua giapponese e della cultura nipponica, gli effetti di questo periodo sono ancora visibili in vari aspetti della vita quotidiana e nella memoria storica di Taiwan. Alla conclusione della Seconda guerra mondiale, l’isola fu restituita alla Repubblica di Cina (ROC), che allora esercitava la sovranità sul continente cinese. Tuttavia, in seguito alla guerra civile cinese, che si concluse nel 1949 con la vittoria del Partito Comunista Cinese (PCC) e la fondazione della Repubblica Popolare Cinese (RPC), il governo della ROC si ritirò a Taiwan, dove ne mantenne il controllo. Durante questo periodo, Taiwan divenne un bastione di resistenza al comunismo, consolidando una stretta alleanza con gli Stati Uniti ed adottando un sistema politico di tipo repubblicano. Dal 1949 al 1991, essa fu l’unica provincia della Repubblica di Cina (ROC) che rimase sotto il suo controllo effettivo, mentre la RPC rivendicava l’intero territorio cinese. Durante questo periodo, la ROC dichiarò di mantenere la sua sovranità su tutta la Cina, ma il suo controllo si limitava effettivamente solo a Taiwan, Penghu, Jinmen e Mazu[2].
I primi codici di diritto moderno implementati a Taiwan sono stati, in effetti, il risultato diretto della modernizzazione giuridica del Giappone durante il periodo Meiji, che ha rappresentato il primo esempio di adozione del diritto occidentale in Asia orientale. Il Giappone, infatti, è stato pioniere nell’introduzione e nell’adozione di leggi moderne, adattate dalle tradizioni giuridiche occidentali, come parte di un processo di trasformazione giuridica che ha incluso la traduzione, la codificazione e la sistematizzazione di norme legali di origine europea. Sebbene Taiwan, sotto il controllo giapponese dal 1895 al 1945, abbia adottato codici giuridici moderni influenzati dal sistema giapponese, è interessante notare che i codici giuridici effettivamente in vigore oggi derivano in gran parte dalle leggi della Cina Repubblicana (1911-1949), dopo il 1945.
Il diritto taiwanese moderno, pertanto, non solo riflette l’influenza diretta del Giappone, ma si inserisce anche in un quadro giuridico più ampio che include la tradizione giuridica cinese, che ha subito una significativa trasformazione nel periodo della Repubblica. L’importanza della “ricezione” del diritto occidentale nelle due potenze asiatiche, Giappone e Cina, è fondamentale per comprendere la formazione e l’evoluzione del sistema legale taiwanese. In questo contesto, la ricezione del diritto occidentale implica non solo la traduzione delle leggi straniere, ma anche l’ adattamento alle necessità locali, attraverso la codificazione di norme giuridiche e la trasposizione di istituti legali moderni nel sistema giuridico locale. Questo processo ha comportato un’accurata selezione delle norme giuridiche occidentali ritenute utili per il progresso e la modernizzazione dei sistemi legali di questi Paesi. La storia giuridica di Taiwan, quindi, deve essere esaminata non solo attraverso le lenti della tradizione giuridica cinese, ma anche in relazione alla “transplanted law” (diritto trapiantato) che ha caratterizzato il passaggio dal sistema giuridico tradizionale cinese ad un sistema più moderno. Lo sviluppo giuridico di Taiwan presenta caratteristiche distintive che lo differenziano chiaramente dall’evoluzione dei sistemi giuridici del Giappone e della Cina.
Dopo oltre quattro decenni di governo autoritario nel periodo post-bellico, Taiwan ha intrapreso un lungo processo di democratizzazione negli anni ’90, trasformandosi in uno Stato liberale e democratico. Questo cambiamento ha avuto un impatto profondo anche sul sistema giuridico, che ha subito numerose riforme ed adattamenti per riflettere i principi di stato di diritto, democrazia e protezione dei diritti umani. L’uso della codificazione e della traduzione del diritto occidentale, combinato con una riflessione critica sui contesti giuridici di altre giurisdizioni, ha permesso a Taiwan di forgiare una propria identità giuridica. Il processo di “trasposizione” del diritto occidentale (spesso denominato “recezione” o “trasplante” del diritto) è stato essenziale in questo sviluppo, poichè, in questo contesto, la traduzione non si è limitata alla mera trasposizione linguistica delle norme, ma ha comportato un’analisi ed un adattamento delle giurisprudenze straniere, in modo che queste rispondessero alle necessità giuridiche e sociali di Taiwan.
3. Il periodo di dominazione giapponese (1895-1945)
L’amministrazione giapponese di Taiwan costituì il primo e più significativo impulso allo sviluppo di un sistema giuridico moderno sull’isola. A seguito della Guerra Sino-Giapponese (1894-1895), il Trattato di Shimonoseki (馬關條約, Mǎguān Tiáoyuē) sancì la cessione di Taiwan e dell’arcipelago delle Pescadores dal Celeste Impero Qing (大清帝國, Dà Qīng Dìguó) all’Impero del Giappone (大日本帝國, Dai Nippon Teikoku). Prima dell’effettiva successione giuridica, i funzionari Qing tentarono di preservare il controllo cinese su Taiwan proclamando la Repubblica di Formosa (台灣民主國, Táiwān Mínzhǔguó) nel maggio 1895. Tuttavia, tale governo fu rapidamente disgregato dall’invasione giapponese, consolidando così il controllo nipponico. L’annessione di Taiwan avvenne, pertanto, in un periodo in cui la Cina Qing non aveva ancora completato la propria modernizzazione giuridica, che avrebbe avuto un’accelerazione solo con la riforma del Codice Penale Qing del 1902 e con la successiva adozione di codici ispirati ai modelli giuridici europei. Al contrario, il Giappone Meiji, già impegnato in un vasto processo di occidentalizzazione del diritto (法的近代化, hōteki kindaika), introdusse a Taiwan un sistema giuridico moderno basato sulla traduzione e recezione dei codici occidentali. Tuttavia, il governo dell’isola rimase interamente nelle mani delle autorità giapponesi, escludendo qualsiasi iniziativa legislativa da parte della popolazione locale. Solo con le riforme democratiche degli anni ’90 Taiwan avrebbe sviluppato un sistema giuridico autonomo.
Dal punto di vista della stratificazione sociale, la popolazione taiwanese era costituita prevalentemente da immigrati Han cinesi (漢人, Hànrén) e da aborigeni delle pianure, assimilati durante il periodo coloniale giapponese. Ciò nonostante, i popoli aborigeni delle montagne (高山族, Gāoshānzú) rimasero in larga parte esclusi dal processo di modernizzazione giuridica, in quanto il Giappone attuò una politica di separazione amministrativa nei loro confronti, mantenendo le loro strutture tribali e impedendo l’applicazione integrale del diritto coloniale.
Pertanto, per comprendere il sistema giuridico taiwanese sotto l’amministrazione giapponese, è necessario analizzare il contesto di modernizzazione legale (法制近代化, hōsei kindaika) in Giappone. Prima di acquisire Taiwan nel 1895, il Governo Meiji aveva avviato un’ampia riforma giuridica per adottare modelli normativi di derivazione europea. La modernizzazione giuridica era così radicale che il Giappone dovette coniare nuovi termini per concetti giuridici fondamentali, come “diritto” (権利, kenri). A partire dal 1869, il Giappone intraprese una sistematica traduzione dei codici giuridici francesi, seguita dall’adattamento delle legislazioni di altri paesi di diritto civile (civil law), tra cui la Germania. Per accelerare questo processo, furono invitati in Giappone eminenti giuristi europei, tra cui il francese Gustave Émile Boissonade, che contribuì alla redazione di importanti codici giuridici giapponesi. Parallelamente, il governo Meiji promosse un vasto programma di studio all’estero per i giuristi giapponesi, al fine di acquisire familiarità con il diritto occidentale e con la sua terminologia. I primi codici moderni giapponesi furono sviluppati sulla base della giurisprudenza europea continentale. In particolare:
Codice Penale del 1880 (刑法, Keihō): ispirato al modello francese e redatto con il contributo di Boissonade, segnò la prima vera rottura con il precedente diritto penale di stampo confuciano.
Codice di Procedura Penale del 1880 (刑事訴訟法, Keiji soshōhō): anch’esso di derivazione francese, disciplinava il processo penale secondo principi più moderni di giustizia procedurale.
Codice di Procedura Civile del 1890 (民事訴訟法, Minji soshōhō): adottato senza difficoltà nel 1891, era modellato sulla procedura civile tedesca.
Codice Civile del 1896-1898 (民法, Minpō): il primo progetto, basato sul modello francese, fu completato nel 1890 ma la sua attuazione venne rinviata. Il codice civile definitivo, influenzato dalla giurisprudenza tedesca, fu promulgato in due fasi: nel 1896 per le sezioni su “disposizioni generali” (総則, Sōsoku), “diritti reali” (物権, Bukken) e “obbligazioni” (債権, Saiken); nel 1898 per le parti su “diritto di famiglia” (親族, Shinzoku) e “successione” (相続, Sōzoku).
Dopo il 1895, il Giappone estese gradualmente il proprio sistema giuridico a Taiwan.
Tuttavia, l’applicazione delle leggi giapponesi sull’isola non fu uniforme, con differenze significative a seconda delle aree del diritto coinvolte. In particolare:
Diritto penale e amministrativo: introdotto immediatamente per rafforzare il controllo coloniale.
Diritto civile e commerciale: applicato in modo più graduale, con adattamenti per tenere conto delle consuetudini locali.
Diritto consuetudinario locale: alcune norme tradizionali, specialmente in materia di diritto familiare e successioni, continuarono ad essere riconosciute ed applicate sotto la supervisione giapponese.
Nel complesso, il sistema giuridico giapponese trasformò profondamente l’ordinamento taiwanese, ponendo le basi per lo sviluppo di un sistema legale moderno. La codificazione e la traduzione delle norme giuridiche giapponesi in mandarino rappresentarono un primo passo nella formazione di una cultura giuridica autonoma a Taiwan, che avrebbe continuato ad evolversi dopo la fine del dominio giapponese nel 1945. La questione dell’adozione di normative giuridiche straniere e della selezione del modello normativo più idoneo per la trapiantazione giuridica (legal transplantation) nel contesto giapponese fu determinata dalle esigenze della classe dirigente del Giappone Meiji. Nel corso degli anni Settanta dell’Ottocento, il governo Meiji riconobbe la necessità di elaborare un sistema codificato di diritto positivo basato sulle tradizioni giuridiche occidentali. Questo processo di modernizzazione giuridica rispondeva a due esigenze fondamentali: da un lato, l’abolizione del regime di giurisdizione extraterritoriale (extraterritoriality), che limitava la sovranità giapponese a favore delle potenze occidentali; dall’altro, l’affermazione del Giappone come Stato sovrano e paritario nel consesso delle nazioni occidentali. Tuttavia, nonostante l’abbandono della maggior parte delle norme consuetudinarie giapponesi, vi furono due significative eccezioni in cui il principio della continuità giuridica prevalse sulla volontà di una completa recezione del diritto occidentale.
In primo luogo, il sistema familiare tradizionale giapponese (家制度, Ie seido) fu preservato nel Codice Civile del 1898, mantenendo l’impianto gerarchico in cui il capofamiglia (戸主, koshu) esercitava un potere assoluto sui membri della famiglia. Questa scelta non fu solo una questione di conservazione culturale, ma rispondeva all’esigenza politica di consolidare l’ideologia dello Stato-famiglia prebellico, secondo cui l’Imperatore era considerato il capo supremo di tutte le famiglie giapponesi, rafforzando così il principio dell’unità nazionale e della lealtà assoluta alla monarchia. Parallelamente, il Giappone Meiji adottò una struttura costituzionale fortemente accentrata, ispirandosi al modello autocratico dell’Impero prussiano piuttosto che alle tradizioni democratico-liberali di Francia e Inghilterra. Questa scelta si tradusse nella Costituzione Meiji del 1889, che sancì la preminenza del potere esecutivo, attribuendo all’Imperatore un’autorità quasi assoluta e consolidando un sistema statale in cui la sovranità non risiedeva nel popolo, ma esclusivamente nella figura imperiale. Entrambe queste scelte riflettevano una strategia politica consapevole, volta a bilanciare la modernizzazione giuridica con la conservazione dei fondamenti ideologici ed istituzionali del Giappone tradizionale.
Il governo giapponese non applicò automaticamente i codici moderni a Taiwan, in quanto l’isola non faceva parte del suo territorio al momento della loro redazione. La loro adozione nella Taiwan coloniale fu determinata in gran parte dalle necessità politiche degli imperialisti nipponici, i quali applicarono la loro esperienza nell’implementazione di tali codici in Giappone.
Secondo la prassi delle potenze coloniali occidentali, il governo Meiji istituì un sistema giuridico speciale per Taiwan, caratterizzato da una selettiva applicazione delle normative giapponesi[4].
Le aree del diritto relative alla struttura del potere statale, al ruolo della magistratura ed al sistema delle sanzioni penali vennero trasferite direttamente dalle leggi giapponesi, al fine di consolidare l’autorità coloniale. In queste aree, il sistema giuridico giapponese trovò una rapida applicazione, mirata a rafforzare il controllo e ad integrare la colonia nell’Impero giapponese. Al contrario, per le questioni che riguardavano la vita quotidiana della popolazione locale, come le transazioni commerciali, le questioni familiari e di successione, fu adottata una strategia più flessibile. In queste materie, furono mantenuti in vigore alcuni dei codici giuridici tradizionali taiwanesi, o comunque adattati in maniera tale da evitare una resistenza aperta alla dominazione imperiale. Pur essendo il Codice Penale, il Codice di Procedura Penale e il Codice di Procedura Civile giapponesi prebellici introdotti a Taiwan sin dalle fasi iniziali del dominio coloniale, in altre aree del diritto si mantenne una notevole influenza delle tradizioni locali, che vennero integrate con le disposizioni giuridiche moderne imposte dal Giappone. In tale contesto, l’applicazione della giurisprudenza giapponese avvenne in maniera selettiva, con l’obiettivo di assicurare un controllo coloniale efficace, evitando al contempo di suscitare resistenze significative o rivolte tra la popolazione taiwanese.
In tali circostanze, i colonizzatori adottarono le cosiddette leggi consuetudinarie, per disciplinare le questioni civili e commerciali a Taiwan, poiché tali norme apparivano più accettabili e compatibili con le abitudini della popolazione colonizzata. Nella Taiwan coloniale, il Codice Civile, Commerciale e Penale del 1898 ed il Codice Civile di Taiwan del 1908 stabilivano che le controversie civili e commerciali coinvolgenti cittadini giapponesi (o stranieri non cinesi) dovessero essere regolate dai codici civili e commerciali modernizzati giapponesi, mentre quelle che riguardavano esclusivamente i cittadini taiwanesi (o cinesi) o le terre di Taiwan dovevano essere risolte in conformità con le “vecchie consuetudini” di Taiwan, a meno che non fossero intervenute disposizioni legali che stabilissero altrimenti. Pertanto, le questioni civili e commerciali taiwanesi, così come le normative relative alla proprietà terriera, erano regolamentate secondo il diritto consuetudinario taiwanese, che veniva riconosciuto ed applicato dai tribunali coloniali o dagli organi amministrativi. Per agevolare i funzionari giapponesi nella determinazione dell’applicabilità delle leggi consuetudinarie taiwanesi nei singoli casi, il governo coloniale istituì la “Commissione per l’Indagine delle Leggi e delle Consuetudini di Taiwan“[5], con il compito di rintracciare e documentare le norme giuridiche derivanti dalle consuetudini locali.
Il Giappone applicò i risultati di questa ricerca per implementare il suo sistema giuridico a Taiwan, interpretando le tradizionali consuetudini locali con la giurisprudenza e la terminologia del diritto europeo moderno, in particolare quello tedesco. Pertanto, il diritto consuetudinario taiwanese, pur plasmato dai giuristi e funzionari giapponesi, risultava un prodotto della modernizzazione, e non una mera traduzione delle consuetudini locali. Così come il sistema giuridico giapponese prebellico era stato strutturato utilizzando terminologia e teorie giuridiche tradotte dalla giurisprudenza occidentale, il Giappone tentò di applicare lo stesso metodo a Taiwan.
Inizialmente, il governo Meiji non riteneva necessario implementare un codice civile di tipo moderno, sebbene tale decisione fosse strettamente legata agli interessi politici dei colonizzatori giapponesi. Negli anni ’80 del XIX secolo esistevano compilazioni di leggi consuetudinarie giapponesi, ma la codificazione di tali leggi fu respinta nei primi anni dell’era Meiji, principalmente per risolvere tempestivamente le questioni legate all’extraterritorialità.
Nel periodo compreso tra il 1909 e il 1914, la Commissione si occupò della codificazione del diritto consuetudinario taiwanese al fine di redigere codici civili e commerciali per la popolazione, indipendentemente dal fatto che fossero taiwanesi o giapponesi, nel contesto del territorio coloniale di Taiwan. A differenza delle leggi consuetudinarie create sulla base di specifici casi giuridici, che non costituivano uno schema giuridico sistematico o dei precedenti giuridici vincolanti per i casi futuri, le bozze iniziali delle leggi civili e commerciali di Taiwan non solo codificavano le norme provenienti dalle consuetudini locali, ma includevano anche disposizioni tratte dai codici civili e commerciali di Giappone, Germania, Francia ed altri Paesi occidentali. La modernità di queste bozze di legge era, quindi, superiore rispetto alle leggi consuetudinarie tradizionali taiwanesi. Questo processo di codificazione e modernizzazione implicava che le pratiche giuridiche locali fossero interpretate attraverso la terminologia ed i concetti giuridici occidentali, esaminate sotto l’egida del diritto consuetudinario tramite le decisioni giudiziarie, ed infine riformate dalla “legislazione delle consuetudini”, con l’obiettivo di conferire certezza e progresso al sistema giuridico.
4. La dominazione cinese: considerazioni.
Dopo la resa del Giappone nella Seconda guerra mondiale, il governo della Repubblica di Cina (ROC), sotto la guida del Partito Nazionalista Cinese (Kuomintang, KMT), assunse l’amministrazione di Taiwan per conto delle Potenze Alleate. Contestualmente, tutti i cittadini giapponesi residenti sull’isola furono espulsi. L’arrivo a Taiwan di un vasto contingente di cinesi continentali, principalmente nel 1949, segnò un profondo mutamento politico e sociale: questi nuovi arrivati, noti come “continentali” (Mainlanders), si insediarono come classe dirigente del regime post bellico, mentre la popolazione locale, che aveva vissuto per cinquant’anni sotto l’amministrazione coloniale giapponese, fu designata con il termine di “taiwanesi nativi“. Analogamente a quanto fatto dai colonizzatori giapponesi a partire dal 1895, il governo nazionalista impose a Taiwan il proprio ordinamento giuridico, trasferendo integralmente i codici legali della Repubblica di Cina e l’esperienza giuridica maturata nel territorio continentale. Questa operazione si inseriva in una più ampia strategia di c.d. reintegrazione dell’isola nel territorio cinese, che prevedeva la sostituzione completa dell’ordinamento giuridico coloniale con quello della ROC. Tuttavia, sebbene il passaggio di sovranità fosse formalmente giustificato come una “retrocessione” di Taiwan alla Cina, il lungo periodo di separazione (1895-1945) aveva determinato un’evoluzione divergente tra le due entità, sia sul piano politico-istituzionale che su quello socio-economico, rendendo l’unificazione giuridica un processo ben più complesso di una semplice restaurazione dell’ordine precoloniale.
Nonostante l’imposizione dei codici della ROC fosse repentina e formalmente totale, l’applicazione concreta del nuovo ordinamento non incontrò significative resistenze tra la popolazione locale, in quanto il nuovo sistema giuridico risultava sorprendentemente affine a quello preesistente sotto il dominio giapponese. Questa somiglianza non fu frutto di una pianificazione, bensì di una singolare coincidenza storica. Durante il tardo periodo Qing, nel tentativo di abolire le giurisdizioni extraterritoriali occidentali, il governo cinese aveva avviato un processo di modernizzazione giuridica ispirato al modello giapponese, con il supporto di giuristi nipponici. Questo processo era, poi, proseguito durante l’epoca repubblicana, portando alla promulgazione, tra la fine degli anni Venti e la metà degli anni Trenta, di una serie di codici fondamentali, tra cui il Codice Civile, il Codice Penale e le relative normative procedurali.
Nella fase iniziale della Repubblica di Cina (ROC), una vasta quantità di manuali giuridici giapponesi venne tradotta in cinese. I codici della ROC, in particolare, furono ampiamente ispirati ai codici giuridici tedeschi, che i giuristi cinesi avevano potuto comprendere grazie all’influenza della letteratura giuridica giapponese. Diversamente da quanto avveniva sotto il dominio coloniale giapponese a Taiwan, il regime del Kuomintang (KMT) applicò in maniera estesa ed uniforme i codici giuridici cinesi moderni, senza eccezioni.
Questo approccio implicò l’introduzione di elementi più avanzati nel sistema giuridico taiwanese nel periodo post-bellico rispetto al periodo giapponese.
Un esempio rilevante riguarda il diritto di un cittadino di intentare causa contro gli organi amministrativi in base al Codice di contenzioso amministrativo (行政诉讼法, Xíngzhèng sùsòng fǎ) della ROC, una disposizione che non esisteva nel sistema giuridico di Taiwan durante l’occupazione giapponese, dove il contenzioso amministrativo era giuridicamente inammissibile. Inoltre, un altro esempio significativo riguarda la successione ereditaria. Secondo la legge consuetudinaria taiwanese (台湾习惯法, Táiwān xíguàn fǎ) durante il periodo coloniale giapponese, le figlie non avevano il diritto di ereditare i beni familiari dei genitori defunti. Tuttavia, con l’adozione del Codice Civile della ROC (民法, Mínfǎ), le donne acquisirono il diritto di ereditare il patrimonio familiare dei loro genitori defunti, sancendo un avanzamento nelle pratiche legali verso una maggiore equità di genere nel contesto giuridico taiwanese.
Queste modifiche legali riflettono un cambiamento fondamentale nel sistema giuridico, in cui la tradizione legale giapponese venne sostituita da una moderna codificazione che, pur mantenendo elementi di origine occidentale, mirava ad integrare e rafforzare i diritti individuali e collettivi all’interno della struttura statale post-bellica.
Tuttavia, mentre il sistema legale della ROC era stato concepito per essere applicato a tutto il territorio cinese, la sua implementazione nella Cina continentale risultò inefficace a causa della prolungata instabilità politica e dell’inefficienza amministrativa del governo nazionalista. Paradossalmente, la più rigorosa applicazione delle riforme giuridiche giapponesi a Taiwan dal 1923 in poi aveva, di fatto, preparato il terreno per l’introduzione del sistema normativo della ROC dopo il 1945. Così, nonostante il cambio di regime, i taiwanesi continuarono ad applicare un diritto moderno, di matrice giapponese, senza soluzione di continuità. Né i codici giapponesi né quelli della ROC, tuttavia, erano stati originariamente concepiti per Taiwan o per la sua popolazione, bensì erano strumenti giuridici sviluppati per soddisfare le esigenze politiche ed amministrative di stati centrali che consideravano l’isola un territorio da integrare sotto la propria sovranità.
Alla fine del 1949, i codici legali della Repubblica di Cina (ROC) cessarono di essere applicati nella Cina continentale sotto il controllo del Partito Comunista Cinese (PCC), ma continuarono ad essere in vigore a Taiwan, dove il governo della ROC si era rifugiato. Sebbene il governo della ROC rimanesse formalmente quello riconosciuto come il legittimo per tutta la Cina, la situazione a Taiwan, caratterizzata da un territorio, una popolazione ed un contesto politico differenti, rendeva di fatto il sistema giuridico taiwanese distinto ed autonomo rispetto al resto della Cina. Pertanto, il sistema giuridico taiwanese si sviluppò in un contesto unico, dove la tradizione della ROC veniva applicata ed adattata alle nuove circostanze politiche, economiche ed internazionali, in un equilibrio tra continuità e cambiamento.
Lo sviluppo più significativo nel diritto taiwanese è rappresentato dalla revisione dei codici della Repubblica di Cina (ROC), originariamente trapiantati dalla Cina Repubblicana, che sono stati successivamente adattati con un riferimento esplicito alle teorie giuridiche di ordinamenti stranieri. Il Codice Civile della Repubblica di Cina (ROC), promulgato nel 1929 durante il periodo della Cina Repubblicana, ha subito una revisione significativa negli anni ’90 grazie all’intervento del Legislative Yuan, l’organo legislativo unicamerale di Taiwan. Questo processo di revisione è avvenuto sotto la presidenza di Lee Teng-hui. Durante gli anni ’90, il sistema legislativo di Taiwan, ormai sotto un governo democraticamente eletto e completamente separato dalla Repubblica Popolare Cinese, si è concentrato su una revisione ed adattamento del Codice Civile della ROC per rispondere alle mutate esigenze sociali ed economiche del Paese. In particolare, le modifiche al Codice Civile hanno riguardato ampie sezioni del “Libro delle Obbligazioni”, ampiamente rielaborato nel 1999, con la nuova versione entrata in vigore nel 2000. La revisione ha comportato l’integrazione di normative moderne che regolano in modo più efficace le attività economiche e sociali prevalenti nella Taiwan contemporanea.
[1] Sul punto, vd. John Robert Shepherd, Statecraft and Political Economy on the Taiwan Frontier, 1600–1800 (Stanford: Stanford University Press, 1993), xviii.
[2] Un tael (两, liǎng) era una tradizionale unità di peso utilizzata in Cina, corrispondente approssimativamente a 37,3 grammi di argento.
[3] La giurisdizione della ROC si estendeva effettivamente solo a Taiwan, Penghu (un arcipelago situato nel Mar Cinese Orientale tra Taiwan e la Cina continentale), Jinmen (un gruppo di isole vicino alla città di Xiamen, sulla costa sud-orientale della Cina), e Mazu (un arcipelago situato a nord di Taiwan, vicino alla costa cinese).
[4] Sul punto, vd. Edward I-te Chen, Il tentativo di integrare l’impero: una prospettiva legale, in L’Impero Coloniale Giapponese 1895–1945, a cura di Ramon H. Myers e Mark R. Peattie (Stanford: Stanford University Press, 1984), pp. 240–47.
[5] Vd. Okamatsu, Santarō. Provisional Report on Investigations of Laws and Customs in the Island of Formosa. Kobe, 1900.
Bibliografia
https://treaties.un.org/doc/publication/unts/volume%20136/volume-136-i-1832-english.pdf – testo del Trattato di San Francisco del 1951 (versione inglese);
https://www1.udel.edu/History-old/figal/hist371/assets/pdfs/potsdam.pdf – testo della Dichiarazione di Potsdam (versione inglese).
Sitografia
https://www.taiwanbasic.com/treaties/Shimonoseki.htm – Testo del Trattato di Shimonoseki (versione inglese);
https://2001-2009.state.gov/r/pa/ho/time/wwii/107184.htm – Testo della Dichiarazione del Cairo del 1943 (versione inglese);
https://web-archive-2017.ait.org.tw/en/un-res-2758-voted-to-admit-communist-china.html – Testo della Risoluzione 2758 – (versione inglese);
https://worldjpn.net/documents/texts/docs/19520428.T1E.html – Trattato di pace tra il Giappone e la Repubblica di Cina – (versione inglese);
http://taiwandocuments.org/taipei01.htm – Trattato di Taipei – (versione inglese).
Per un maggiore approfondimento sul tema, si consiglia:
Lamley, Harry J. Taiwan Under Japanese Rule, 1895–1945: The Vicissitudes of Colonialism. In Taiwan: A New History, a cura di Murray A. Rubinstein, 201, 203–204. Armonk, NY: M.E. Sharpe, 1999.
Rubinstein, Murray A., ed. Taiwan: A New History. 1st ed. Illustrated. Armonk, NY: M.E. Sharpe, 2007.
Tan, Poh-Ling, ed. Asian Legal Systems: Law, Society and Pluralism in East Asia. Sydney: Butterworths, 1997.
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