La successione delle leggi penali nel tempo: tempus commissi delicti

La successione delle leggi penali nel tempo: tempus commissi delicti

Uno dei corollari al principio di legalità di cui all’art. 25 Cost. è sicuramente l’irretroattività della legge penale. Il tempus commissi delicti assume una certa rilevanza ed è retto da uno dei principi cardine in ambito penale: tempus regit actum. Tale dictat garantisce i consociati dall’essere puniti per fatti che non siano previsti come reati dalla legge. Il nostro ordinamento si caratterizza per un sempre maggiore aggiornamento e mutamento delle norme penali. I serrati ritmi dell’evoluzione del diritto penale rendono necessario districarsi tra le molte leggi vecchie e nuove che vi succedono e capire quale applicare ad ogni caso concreto che si presenta innanzi alla Giustizia.

L’art. 2 c.p. diviene un’utile bussola per orientarsi nel caso di un mutamento della legislazione penale. Il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole asserisce che una nuova disposizione di legge regolante un determinato reato non può essere applicata a quello commesso anteriormente alla sua entrata in vigore se prevede un trattamento in peius per il reo. Il principio di retroattività della lex mitior prevede invece che la nuova norma abolitrice di una disposizione penale si applica anche ad un reato anteriormente commesso, e se medio tempore è intervenuta condanna ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali. Nessun problema sembra configurarsi, dunque, nel caso di introduzione di una nuova norma incriminatrice o nel caso di abolitio criminis.

Maggiori dubbi lascia, invece, l’interpretazione dei commi 3 e 4 dell’art. 2 c.p. Nello specifico, in caso di mutamento del regime penale, ossia in caso di successione di norme che modificano il reato, si dovrebbero applicare i due principi enunciati pocanzi. Se fra la normativa previgente e quella successiva si riscontrano delle differenze, al reo verrà applicata la disposizione più favorevole tra le due, fatto salvo il giudicato. Tuttavia, questo non è un principio generale, al comma 3 vi è una deroga. Qualora la disposizione di legge successiva preveda per il reato la sola pecuniaria, diversamente dalla pena della reclusione prevista dalla disposizione di legge precedente, la pena detentiva si convertirà nella corrispondente pena pecuniaria ai sensi dell’art. 135 c.p., indipendentemente che sia intervenuto un giudicato sul punto o meno. Viene prevista la possibilità di superare il giudicato che diviene, pertanto, flessibile, alla luce di un doveroso bilanciamento dei valori costituzionalmente tutelati e l’inflessibilità delle sentenze cristallizzate.

Un caso emblematico che ha posto un punto fermo sulla questione è stato il caso Scoppola. La sent. 236/2011 ha sancito, in seguito a ricorso del condannato, che il trattamento peggiorativo andava eliminato in virtù del mutamento del regime del normativo che prevedeva una pena inferiore per il reato ascrittogli. In seguito, molte altre decisioni si sono conformate a questa.

Un’ulteriore questione relativa all’art. 2 c.p. è quella del revirements della giurisprudenza. Accade sovente che la Corte di Cassazione abbia interpretato in modo estensivo delle norme, ricomprendendovi fattispecie altrimenti non penalmente rilevanti. Una lettura innovativa dell’art. 7 CEDU pare legittimi una retroazione della norma sfavorevole solo quando ciò era già ragionevolmente prevedibile nel momento della commissione del fatto ai fini di evitare un’eccessiva frustrazione dell’affidamento dei consociati.

Importante, pertanto, è l’individuazione del tempus commissi delicti. Si annoverano tre tesi sul tema: la teoria dell’evento, la teoria mista e la teoria della condotta che afferma che tale periodo  coinciderebbe con il momento del compimento dell’atto criminoso (tesi oggi prevalente in dottrina e giurisprudenza). Ossia, nel momento in cui si compie l’azione o l’omissione sussumibile sotto la competente norma penale. Una volta accertato questo criterio si deve declinare per le varie tipologie di reato. Per quanto concerne i reati istantanei coincide con il compimento dell’azione tipica, nei reati omissivi impropri coincide con l’inizio dell’omissione contraria all’obbligo giuridico, nei reati omissivi propri coincide alternativamente con il termine ultimo per agire o con il momento in cui si verifica l’impossibilità di adempiere.

Un’importante questione è sorta in relazione all’introduzione nel 2009 del reato di atti persecutori relativamente al fatto se debbano essere considerati anche quei comportamenti posti in essere prima dell’entrata in vigore della norma, in virtù della natura abituale del reato e della reiterazione delle condotte criminose. Si sono susseguite varie interpretazioni a riguardo. Secondo un primo orientamento ogni condotta sia antecedente sia successiva all’entrata in vigore della nuova disposizione penale era da ricomprendere sotto la predetta fattispecie. La giurisprudenza prevalente, invece, ritiene che debbano sussumersi sotto al reato di atti persecutori le sole condotte poste in essere dopo la sua, escludendo la retroazione della nuova disciplina.

Concludendo, la tematica del tempo di commissione del reato, nella sua importanza, non è affatto scevra di punti problematici che i cultore della materia di volta in volta tentano di interpretare al meglio per una corretta applicazione della disciplina penale, pur all’interno dei confini dettati dall’art. 2 c.p. in materia.


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