La successione di leggi penali nel tempo e i reati ad evento differito.  Le Sezioni Unite, 24 settembre 2018, n. 40986

La successione di leggi penali nel tempo e i reati ad evento differito. Le Sezioni Unite, 24 settembre 2018, n. 40986

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affrontato l’annoso tema della legge penale applicabile ai reati -definiti come “reati ad evento differito”- per i quali intercorre un notevole lasso di tempo tra la realizzazione della condotta da parte del reo e la verificazione dell’evento conseguente alla condotta stessa.

La questione si pone quando, in tale arco temporale, intervenga una modifica normativa riguardante il reato di riferimento. L’interprete deve interrogarsi, quindi, su quale sia la legge applicabile al caso di specie.

La pronuncia è scaturita nell’ambito di un caso di “omicidio stradale”: il decesso della vittima è avvenuto a distanza di qualche mese dall’incidente ma nel frattempo, con la legge n. 41 del 2016, il legislatore è intervenuto a modificare la disciplina del reato de quo: ha inserito la nuova fattispecie dell’art. 589 bis c.p., con la quale ha elevato a reato autonomo l’omicidio colposo con violazione del Codice della strada, inasprendo notevolmente il trattamento sanzionatorio di tali fatti.

Proprio in ragione della modifica, l’autore del fatto veniva condannato nel giugno del 2017 con sentenza di applicazione pena per il reato di cui al nuovo art. 589 bis c.p.

Avverso la sentenza la difesa dell’imputato ricorre al supremo Consesso, denunciando l’erronea applicazione della legge penale: la più sfavorevole disciplina dettata dall’art. 589 bis c.p. è stata introdotta in epoca successiva alla condotta ascritta all’imputato, mentre all’epoca di tale condotta era in vigore una disciplina più favorevole, in quanto l’art. 589, secondo comma, prevedeva una circostanza aggravante laddove la nuova disposizione prevede un’autonoma fattispecie incriminatrice. Ciò violerebbe il principio di irretroattività della legge penale previsto all’art. 25 Cost e 2 c.p., oltre che all’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché quello di retroattività della legge penale più favorevole, ad oggi pacificamente ricondotto agli articoli 2 e 3 della Carta Costituzionale.

Anche la quarta Sezione, rimettente, si pone il problema: si applicherà la legge vigente al momento in cui è stata posta in essere la condotta oppure quella vigente al momento dell’evento morte?

Le teorie generali, illustrate dai giudici, sono due: la prima, la teoria “della condotta” ritiene che, in caso di successione di leggi penali, è applicabile, se più favorevole, la legge vigente al momento – per l’appunto- della condotta. L’altra e diversa teoria, definita “dell’evento”, sostiene invece che, ai fini dell’applicazione della disciplina di cui all’art. 2 c.p., il tempus commissi delicti vada collocato al momento della consumazione del reato, che coincide, anche per i reati a forma libera- come quello di cui ci si occupa- con il verificarsi dell’evento tipico previsto.

La giurisprudenza prevalente, nonché la Sezione rimettente, propendono per il criterio della condotta: questo risponderebbe all’esigenza di necessaria conoscibilità e prevedibilità del precetto penale da parte del reo, in altre parole dell’esigenza della “calcolabilità” delle conseguenze giuridico-penali della propria condotta: nel momento in cui egli si determina a commettere un fatto deve essere in grado di conoscere di quale reato risponderà e quale sarà la sanzione a cui sarà sottoposto. Il criterio dell’evento, al contrario, si pone in contrasto con il principio di uguaglianza, posto che deriverebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti autori di una medesima condotta nello stesso momento solo per il fatto che l’evento del reato si sia verificato in tempi diversi per ragioni a loro non riferibili.

A ben vedere, che sia il momento della condotta o quello dell’evento ad assumere rilevanza per la determinazione del tempus commissi delicti non è agevolmente risolvibile perché manca in realtà, nella disciplina penalistica sostanziale e processuale, una definizione proprio del concetto di “commissione del reato”.

Si pone, a questo punto, un altro problema, di ordine interpretativo: quando un fatto può dirsi “commesso”?

Il Procuratore generale della Repubblica aderisce all’orientamento della quarta Sezione, ma propone alla Corte di sollevare una questione di legittimità costituzionale- in relazione all’art. 3 Cost- dell’art. 2, quarto comma, c.p., nella parte in cui, nel sancire l’applicazione della legge più favorevole, fa riferimento alla commissione dell’intero “reato”, inteso quindi nella “triade dei suoi elementi costitutivi, condotta – nesso causale – evento naturalistico” e non al “fatto”, termine invece utilizzato ai commi 1 e 2 dello stesso art. 2 c.p., ma anche dall’art. 25 Cost. Ciò renderebbe incompatibile l’applicabilità del criterio della condotta ai reati di evento qualora quest’ultimo sia differito nel tempo e, dopo la realizzazione della condotta, sopravvenga una disciplina punitiva meno favorevole.

Le Sezioni Unite respingono la richiesta avanzata dal Procuratore sulla questione di legittimità costituzionale e affermano che nella disposizione codicistica il riferimento al “reato”, e non al “fatto”, non assume la valenza ad esso attribuita. E allora la Corte compie una eccellente disamina dei criteri interpretativi a disposizione dello studioso e ne fa uso in relazione all’art. 2 c.p.:con il termine “fatto” il primo e il secondo comma dell’art. 2 c.p. evocano la fattispecie non (o non più) penalmente sanzionata, mentre il termine “reato” di cui al quarto comma indica quella penalmente sanzionata (e assoggettata al regime della successione di leggi penali). La valenza dei richiami al “fatto” e al “reato” nell’art. 2 c.p., scrive la Corte, “convergono nell’individuazione di un’area semantica dell’espressione “reato commesso” nella quale è riconducibile, in via interpretativa, il criterio della condotta, senza fuoriuscire dall’ambito dei significati autorizzati dal testo legislativo, ossia dai quarto comma dello stesso art. 2 c.p.”

Nell’individuazione delle ragioni dell’adesione al secondo orientamento quindi la Corte fa uso, in primo luogo, degli strumenti dell’interpretazione letterale, coadiuvata da quella sistematica delle norme di riferimento; in secondo luogo procede alla valorizzazione dei principi che governano la successione di leggi penali, anche di matrice costituzionale.

Posto che la ratio di garanzia del principio di irretroattività della norma più sfavorevole è quello relativo alla necessaria valutabilità delle conseguenze penali della condotta dell’uomo, punto di riferimento temporale essenziale a garantire tale la conoscibilità, prevedibilità, ma soprattutto “calcolabilità” è proprio il momento della condotta.

Da qui, fa notare la Corte, un’importante conseguenza: spostare in avanti l’operatività del principio, correlandolo all’evento del reato, determinerebbe, qualora alla condotta interamente posta in essere nella vigenza di una legge penale sia sopravvenuta una normativa penale più sfavorevole, la sostanziale retroattività di quest’ultima rispetto al momento in cui è effettivamente possibile per la persona “calcolare” le conseguenze penali del proprio agire.

L’identificazione, ai fini della successione di leggi penali, del tempus commissi delicti con quello della condotta tipica, trova conferme in altri importanti ambiti penali: l’art. 7 Cedu, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, e cioè con l’esigenza che, nel momento in cui un imputato ha commesso l’atto che ha dato luogo all’azione penale, esistesse una disposizione legale che rendesse l’atto punibile e che la pena imposta non abbia superato i limiti fissati da tale disposizione (Corte Edu, sentenza 22 giugno 2000, Coéme c. Belgio, § 145)

Ma ancora, sarebbe richiesto dalla funzione costituzionale attribuita alla pena: quanto alla funzione di prevenzione generale, questa può in concreto estrinsecarsi solo nel momento in cui il soggetto si determina ad agire; quanto alla funzione rieducativa desumibile dall’art. 27 Cost., in base alla quale ognuno dei consociati deve essere posto in grado di adeguarsi liberamente o meno alla legge penale, conoscendo in anticipo – sulla base dell’affidamento nell’ordinamento legale in vigore al momento del fatto – quali conseguenze afflittive potranno scaturire dalla propria decisione. Come precisato in passato anche dalla Corte Costituzionale, tale aspettativa sarebbe manifestamente frustrata qualora il legislatore potesse sottoporre a sanzione criminale un fatto che all’epoca della sua commissione non costituiva reato, o era punito meno severamente (Corte Cost., sent. n. 364 del 1988).

Di seguito, il principio di diritto enunciato, ritenuto ampiamente condivisibile: “In tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta”.


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