La successione di norme penali nel tempo. Il rapporto fra il giudicato ed il principio di retroattività della norma più favorevole

La successione di norme penali nel tempo. Il rapporto fra il giudicato ed il principio di retroattività della norma più favorevole

In ordine alla limitazione dell’efficacia nel tempo delle norme penali, assume primaria rilevanza il principio di irretroattività. Esso, infatti, impone il divieto di applicare la legge penale a fatti commessi prima della sua entrata in vigore, così riflettendo l’esigenza fondamentale connessa all’originaria affermazione del principio di legalità, del quale costituisce un corollario, secondo cui era gravemente lesivo per la libertà del cittadino consentire allo Stato di punire successivamente un fatto, che al momento della sua commissione non costituiva reato.

Come noto, il principio in esame si applica a tutte le leggi ai sensi dell’art. 11 delle preleggi. Esso, tuttavia, assume rango costituzionale soltanto rispetto al diritto penale come si desume dall’art. 25, co.2, Cost. Per quanto concerne la legislazione ordinaria, il principio di cui trattasi trova riconoscimento nell’art. 2 del codice penale. In particolare, il primo comma afferma il divieto di punire comportamenti considerati illeciti da una legge emanata in seguito alla loro realizzazione. Questa disposizione si riferisce al fenomeno della nuova incriminazione, che ricorre quando una legge introduce un reato prima inesistente. Da tale punto di vista il principio di irretroattività si salda con il principio di legalità, fondendosi nella formula ‘nullum crimen, nulla poena sine praevia lege penali‘. I commi successivi al primo, invece, appaiono ispirati al diverso principio della retroattività di un’eventuale norma favorevole successivamente emanata. Specificamente, il secondo comma contempla l’operatività del principio di retroattività della successiva norma penale abolitiva, al cui funzionamento non osta l’eventuale giudicato di condanna intervenuto in ordine alla fattispecie criminosa vigente al momento del fatto. Altresì, il quarto comma, relativo all’ipotesi di successione di leggi penali solo modificative, prevede l’applicazione della legge più favorevole, ancorché entrata in vigore successivamente alla commissione del fatto, destinata a retroagire, salvo lo sbarramento costituito dall’intervenuto giudicato penale.

Proprio in merito ai rapporti intercorrenti fra il giudicato ed il principio di retroattività della norma più favorevole si è accesa una pregnante diatriba giurisprudenziale sia a livello interno che sovranazionale, della quale occorre esaminare i tratti salienti. Tale conflittualità trae origine dal ‘mito’ della immutabilità del giudicato penale (così come definito da autorevole dottrina: vedi Viganò). L’intangibilità del giudicato ha a lungo rappresentato un punto fermo nell’ordinamento giuridico italiano, in quanto posto a presidio di fondamentali ragioni di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici. Secondo l’opinione tradizionale, la sentenza irrevocabile avrebbe la funzione di cristallizzare l’applicazione della legge penale al caso singolo. La stessa sarebbe passibile di deroghe soltanto nei casi stabiliti dalla legge, i più importanti dei quali sono rappresentati dalle ipotesi di ‘abolitio criminis’ per successione di leggi (ex art. 2, co.2, c.p.) oppure di declaratoria di illegittimità costituzionale.

Tuttavia, sul piano legislativo sono state introdotte ulteriori e significative deroghe, in particolare quella prevista dall’art. 2, co. 3, c.p., in base al quale la sopravvenuta modificazione normativa di pena detentiva in pecuniaria, consente al giudice di incidere sul giudicato. Il principio di cui trattasi ha subìto delle notevoli modifiche al fine di garantire maggiore tutela all’individuo in ordine a valori costituzionali ritenuti preminenti (rispetto all’intangibilità del giudicato), quali quelli di legalità della pena, libertà personale e finalità rieducativa della pena. Assume rilievo, a tal proposito, la decisione adottata dalla Corte Edu sul caso Scoppola, la quale ha concluso per la desumibilità dall’art. 7 CEDU del principio che impone l’applicazione retroattiva della norma più favorevole entrata in vigore dopo la commissione del fatto. Ebbene la Corte Cost., intervenuta sul punto, pur prendendo atto della statuizione dei giudici europei, aveva sostenuto che la stessa Corte di Strasburgo non ha concluso nel senso che quel principio debba operare incondizionatamente e senza deroga. Difatti, è proprio la Corte Edu che ammette esplicitamente che il principio non operi più, o in maniera vincolante per gli ordinamenti nazionali, allorché sia intervenuta una sentenza di condanna definitiva. Tuttavia, la stessa Consulta tramite la sentenza n. 210/2013, sempre in relazione al caso Scoppola, ha effettuato una parziale inversione di tendenza rispetto al proprio orientamento precedente. Il Giudice delle leggi ha asserito che l’ordinamento nazionale conosce ipotesi di flessione dell’intangibilità del giudicato, che proprio la legge prevede nei casi in cui sul valore costituzionale ad esso intrinseco si debbano ritenere prevalenti valori opposti, ugualmente di dignità costituzionale, nei cui confronti il legislatore, però, intende assicurare un primato.

Tali rilievi sono stati recepiti e sviluppati dalle Sezioni Unite della Cassazione tramite la sentenza n. 18821/2014. I Supremi Giudici, innanzitutto, come premessa hanno affermato l’assoluta importanza del giudicato, dovuta alle fondamentali funzioni che svolge attinenti alla certezza del diritto ed alla stabilità dell’assetto dei rapporti giuridici. Tuttavia, osserva la Corte, i suddetti valori insiti nel giudicato devono ritenersi soccombenti rispetto ai principi di legalità della pena e di libertà personale. Trattasi, infatti, di esigenze il cui soddisfacimento è richiesto anche in fase esecutiva. La restrizione della libertà del condannato deve essere legittimata, durante l’intero lasso temporale della sua durata, da una legge che sia conforme alla Costituzione, dovendo, fra le altre cose, assolvere la funzione rieducativa sancita dall’art. 27, co.3, Cost. A tal riguardo, la Cassazione ha inoltre individuato nell’incidente d’esecuzione lo strumento processuale idoneo a consentire l’intervento correttivo sul giudicato. In conclusione occorre rilevare che nel caso di specie, le SS.UU., in attuazione dei principi dettati dalla Corte Edu nella sentenza sul caso Coppola, nonché alla luce dei principi sanciti dalla Corte Cost. (sent. 210/2013), hanno in concreto modificato il giudicato applicando la legge penale più favorevole.


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