La successione: il rifiuto dell’onere apposto su una disposizione testamentaria

La successione: il rifiuto dell’onere apposto su una disposizione testamentaria

La successione può definirsi come quel procedimento mediante il quale il patrimonio di un soggetto, a causa della sua fuoriuscita dall’ordinamento giuridico (non essendo più in vita nessuno può infatti essere titolare di capacità giuridica e di agire), viene a trasmettersi ad altri soggetti dotati di capacità giuridica (taluni ritengono come pure i concepiti e non ancora nati siano già titolari di veri e propri diritti successori, altri invece solo di mere aspettative sospensivamente condizionate all’evento nascita), soggetti che già in parte vengono rigidamente prederminati dalla legge, mentre in parte lasciati alla libera scelta del dante causa.

Ai sensi dell’art. 457 c.c., difatti la successione può essere legittima o testamentaria; il comma secondo dello stesso articolo sancisce la prevalenza della successione testamentaria rispetto a quella legittima, prevedendo che non abbia luogo quest’ultima se non manchi, in tutto o in parte, quella testamentaria.

Da non confondere come un tertium genus di successione è quella c.d. “necessaria“, che difatti non si qualifica come un autonomo istituto giuridico, ma semplicemente come elemento accessorio che deve accompagnare a fortiori sia la successione legittima che testamentaria, sancendo le quote c.d. indisponibili riconosciute di diritto ai legittimari,  e quindi quelle porzioni patrimoniali che devono necessariamente essere destinate (salvo rifiuto) agli stessi, non potendo essere oggetto di libera disposizione da parte del de  cuius.

Ratio della successione necessaria è che il patrimonio di un soggetto non si disperda, ma rimanga circoscritto a persone che presuntivamente intrattenevano con lui stretti legami affettivi.

La successione testamentaria poi, nello specifico, è quella che avviene mediante testamento, definito dall’art. 587 c.c. come atto revocabile, con cui taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o parte di esse.

Una delle forme che può assumere il testamento è quella del testamento olografo, ovvero di quell’atto che, ai sensi dell’art. 602 c.c., deve essere scritto, datato e sottoscritto di proprio pugno dal de cuius.

Ai sensi dell’art. 647 c.c., all’istituzione di erede può poi essere apposto un onereonere che laddove si riveli illecito od impossibile, ai sensi del comma terzo della norma, si considera come non apposto, rendendo altresì nulla la disposizione testamentaria, qualora sia stato il solo motivo determinante della stessa.

L’onere si qualifica, in particolare, come elemento accidentale ed accessorio rispetto al negozio testamentario, o in altre parole, come peso che grava su una disposizione a titolo gratuito (secondo altro orientamento dottrinario dovrebbe considerarsi invero quale negozio giuridico vero e proprio, avente causa variabile, e dunque “neutro”).

Ciò posto, occorre ora analizzare le conseguenze del rifiuto del beneficiario di un onere, consistente nel prestare a questi cura ed assistenza vita natural durante, apposto all’istituzione di erede: bisogna verificare cioè, se tale rifiuto, rendendo impossibile l’adempimento dell’onere in parola, comporti o meno la nullità dell’intera disposizione testamentaria.

In base ad una prima e superficiale lettura dell’art. 647, comma 3, c.c., parrebbe che l’impossibilità, dovuta al rifiuto del beneficiario, di adempiere l’onere da parte dell’erede, renderebbe nulla la disposizione testamentaria con cui gli è statariservata l’intera quota della parte disponibile.

In realtà, secondo un recente orientamento della Suprema Corte, la nullità della disposizione testamentaria, sancita dal terzo comma dell’art. 647 c.c., atterrebbe esclusivamente all’ipotesi in cui si tratti di impossibilità originaria dell’adempimento dell’onere, e non anche laddove si abbia impossibilità sopravvenuta.

Di talché tale ultima ipotesi trova disciplina nei generali principi della contrattualistica, ed in particolare nelle norme riguardanti la risoluzione ovvero l’estinzione dell’obbligazione, con conseguente eventuale liberazione dell’onerato a seguito di costituzione in mora del beneficiario (Cass. Civ., 16/05/2013, n. 11906).

La sopra richiamata sentenza quindi, applicando tale postulato in un caso analogo a quello in esame, ha sancito che allorché l’inadempimento dell’onere apposto ad una disposizione testamentaria, consistente nell’obbligo per l’erede di prestare assistenza e cura vita natural durante, sia reso impossibile dal rifiuto del beneficiario, non è configurabile la nullità della disposizione medesima ai sensi dell’art. 647, comma 3, c.c., previa messa in mora del beneficiario.


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