La temperata separatezza tra fase pubblicistica a monte e fase privatistica a valle nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici. Poteri d’ufficio e principio di parità delle armi.

La temperata separatezza tra fase pubblicistica a monte e fase privatistica a valle nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici. Poteri d’ufficio e principio di parità delle armi.

Sommario: 1. Il contratto pubblico. Brevi cenni. – 2. La procedura di evidenza pubblica: ratio ed iter. – 3. Annullamento in via di autotutela ex art. 21-nonies L. 241/1990. – 3.1. Sorte del contratto a valle dell’annullamento dell’aggiudicazione in via di autotutela e rapporti con la giurisdizione – 4. Annullamento giurisdizionale, sorte del contratto medio tempore stipulato e rapporti con la giurisdizione. – 5. La dichiarazione di inefficacia del contratto pubblico. Il dettato normativo di cui agli artt. 121 e 122 c.p.a. – 6. Mancata stipula del contratto pubblico.

 

1. Il contratto pubblico. Brevi cenni.

La via del potere autoritativo non è più l’unica e non è più necessariamente la migliore per il perseguimento del benessere collettivo e della “felicità pubblica”. Superata la originaria diffidenza del legislatore nei confronti di un ente pubblico che si ammanta di vesti privatistiche , oggi il ricorso allo strumento privatistico e consensuale in luogo di quello imperativo è sempre possibile per la P.A., a condizione che garantisca l’ottimale soddisfacimento dell’interesse pubblico. L’amministrazione è, per tale scopo, tenuta ad effettuare una valutazione costi-benefici, onde verificare e dimostrare adeguatamente in sede motivazionale le ragioni della migliore funzionalità della strada non autoritativa . Deve valutare e spiegare, a titolo esemplificativo, se sia meglio comprare o espropriare, stipulare una locazione piuttosto che requisire, ecc…

Per vero, il contratto pubblico è posto a presidio di una pluralità di interessi pubblici tra loro anche contrastanti, ragion per cui è necessario sempre garantire un equo bilanciamento sia sotto il profilo sostanziale sia sotto il profilo della tutela giurisdizionale.

Innanzitutto, viene in rilievo l’interesse alla certezza e stabilità dei rapporti contrattuali di cui sia parte una P.A.

In secondo luogo, si tratta di tutelare in modo effettivo la posizione soggettiva del ricorrente, finanche a garantirgli la possibilità del conseguimento del bene della vita.

In terzo luogo, non va dimenticato l’opposto interesse dell’aggiudicatario alla conservazione del rapporto contrattuale.

Il contratto in parola è oggi l’espressione più moderna ed europea dell’azione amministrativa che, in applicazione del principio di sussidiarietà, mira al perseguimento del pubblico interesse, senza sacrificare inutilmente – sotto la clava ottocentesca del potere iure imperii – interessi legittimi e aspettative qualificate dei cittadini.

La nozione è tradizionalmente intesa come un ossimoro, una contraddizione in termini se si considera che mette insieme il concetto privatistico per antonomasia (il contratto) – espressione dell’autonomia negoziale, della libertà di autoregolarsi – con l’aggettivo “pubblico” che è negazione del precedente, il public power unilaterale, l’imperatività, l’autoritarietà.

Tale discrasia è, a ben vedere, solo apparente. La Pubblica Amministrazione è infatti – si dice – una e doppia, gode di due capacità. È, cioè, soggetto di diritto pubblico, un’autorità che utilizza gli strumenti autoritativi del diritto pubblico, ma anche soggetto di diritto privato. Ed al pari di ogni altro cittadino dell’ordinamento, di ogni altro autore del diritto, fa ricorso agli strumenti privatistici. Tale seconda evenienza si realizza proprio quando l’Amministrazione stipula un contratto, quando dismette i comodi panni del potere pubblico ed agisce iure privatorum.

La disciplina dei contratti pubblici contempla, perciò, sia norme pubblicistiche sia regole di diritto comune in quanto, quando la P.A. sceglie il contraente e poi stipula il contratto, fa un contestuale uso di potere pubblico e di autonomia negoziale.

La predetta convivenza di norme di diritto pubblico e di diritto privato in tema di contratti pubblici e la necessità di non inquinare i due piani di indagine spiega importantissimi riflessi, oltre che sul piano della regime giuridico, sul piano di riparto della giurisdizione. Ne deriva una netta cesura tra procedimento amministrativo di evidenza pubblica e stipula del contratto con il vincitore della gara.

Ad onta della sostanziale differenziazione tra potere pubblicistico e contratto privato, vengono, quindi, tradizionalmente affidate alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie afferenti alla procedura pubblicistica di evidenza pubblica di scelta del contraente, costituente esplicazione di un potere pubblicistico-autoritativo a cui si giustappone l’interesse legittimo del privato; mentre le controversie relative alla validità ed esecuzione del contratto pubblico, involgendo posizioni giuridiche aventi la consistenza di diritti soggettivi, sono devolute alla cognizione del G.O.

2. La procedura di evidenza pubblica: ratio ed iter.

La procedura di stipula di un contratto pubblico è normalmente preceduta da un procedimento amministrativo, detto procedura di evidenza pubblica , che ne ricalca la disciplina.

Tale obbligo di procedimentalizzazione della scelta del contraente limita la capacità di agire della P.A., la quale, a differenza dei privati, non può scegliere liberamente la propria controparte contrattuale ma soggiace a speciali vincoli di natura pubblicistica, volti a tutelare lo stesso interesse dell’amministrazione nella scelta del miglior offerente, poiché nella procedura devono essere evidenziate le ragioni di interesse pubblico che orientano l’attività discrezionale di selezione del contraente. Dall’altro lato, la pubblicizzazione della scelta del contraente permette di promuovere il fondamentale principio comunitario della concorrenza insieme alla par conditio tra i competitori, nella misura in cui viene consentito a tutti gli operatori economici dell’Unione Europea di partecipare a parità di condizione alla cd. “gara europea”.

Strettamente connesso al predetto vincolo, è poi l’ulteriore obbligo per la P.A. di scegliere la procedura pubblica tra quelle positivizzate dal codice dei contratti pubblici. Questa imposizione nella procedura di scelta del contraente è tutt’altro che priva di effetti. Al contrario, provoca un profondo snaturamento delle regole che normalmente precedono la fase di formazione del contratto, la cd. fase prenegoziale.

Ed infatti, nel diritto civile questa fase si caratterizza per la presenza di regole di comportamento che i contraenti sono tenuti a rispettare, pena il mero obbligo di risarcimento in capo di chi ne contravviene; nel diritto dei contratti pubblici, le predette regole di condotta si trasformano in regole di validità, con la conseguenza che l’eventuale inosservanza della normativa contemplata dal codice di cui al d.lgs. n. 50/2016 è causa, non solo dell’invalidità dell’aggiudicazione all’esito della procedura di evidenza pubblica, bensì anche del travolgimento del contratto eventualmente stipulato a valle.

Atto primordiale della gara pubblica è la cd. determina a contrarre con cui si valuta l’interesse dell’amministrazione a stipulare un certo contratto, con certe finalità, un certo contenuto e con il contraente scelto in futuro. Segue, di regola, la pubblicazione del bando , considerato l’atto iniziale della procedura in senso stretto di scelta del contraente la quale culminerà con l’atto di aggiudicazione definitiva, un provvedimento amministrativo con rilevanza esterna per effetto del quale la P.A. dichiara in modo definitivo la sua scelta in ordine al miglior offerente (avvenuta sulla base del criterio fissato nel bando di gara).

All’aggiudicazione fa seguito la stipulazione del contratto, che si definisce “pubblico” in ragione dell’interesse perseguito e della necessaria partecipazione al contratto del soggetto di diritto pubblico, ma quanto ad essenza, natura e disciplina, è un atto squisitamente privatistico.

Proprio il momento della stipula del contratto assume il ruolo di “spartiacque” fra la primaria fase pubblicistica, caratterizzata dalla sequenza procedimentale di atti preordinati alla scelta del miglior offerente, retta da regole di diritto pubblico e dall’attribuzione di poteri autoritativi in capo all’amministrazione, e la fase negoziale, di cui la prima ne costituisce il presupposto, retta unicamente da regole civilistiche e qualificata dall’instaurazione di un rapporto giuridico paritetico tra le parti involgendo diritti soggettivi ed obblighi reciproci.

La statuizione di cui al co. 6 dell’art. 32 del d. lgs. n. 50/2016 è indicativa in tal senso: “l’aggiudicazione non equivale ad accettazione dell’offerta”. I due momenti sono separati. Sicchè, nel Nuovo Codice si continua ad abbracciare l’opzione scelta dal legislatore del 2006 che, cambiando rotta rispetto a quanto disciplinato dalla vecchia normativa sulla contabilità di Stato del 1923-24, non vuole in alcun modo la sovrapposizione tra il segmento finale della fase pubblicistica (aggiudicazione) e quello iniziale della fase privatistica (stipula).

In tema di contratti pubblici, una delle questioni forse più dibattute nell’ultimo decennio sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza vede come protagonisti proprio i due segmenti appena delineati ed il loro rapporto, più in particolare attiene alle ripercussioni determinate sul contratto dall’annullamento del provvedimento di aggiudicazione.

In parziale temperamento della separatezza tra fase pubblicistica a monte e fase privatistica a valle, appare dubbio, in primo luogo, se a seguito della stipula la p.a. resti titolare di poteri di autotutela pubblicistica ex artt. 21-quinquies e nonies della L.241/1990 e quali effetti sul contratto derivino dal loro eventuale esercizio.

In secondo luogo, va chiarito se la demolizione del procedimento amministrativo a valle ad opera del giudice comporti anche il travolgimento del contratto medio tempore stipulato.

La risoluzione di questi due quesiti implica di affrontarne un altro, ossia individuare chi sia il giudice competente a conoscere della sorte del contratto, se il G.A. oppure il G.O.

Un altro interrogativo, da ultimo, si pone ad esclusione dei precedenti ed in un momento anteriore: l’annullamento dell’aggiudicazione illegittima genera un vero e proprio obbligo in capo alla P.A. di stipulare il contratto? In altri termini, si tratta di verificare se nel “limbo” intercorrente tra la fase di aggiudicazione e quello della (eventuale) stipula del contratto, sussista un potere discrezionale dell’amministrazione di decidere se procedere alla stipula oppure no ovvero sia identificabile un vero e proprio obbligo giuridico a detta stipula, in quanto tale coercibile ex art. 2932 c.c.

3. Annullamento in via di autotutela ex art. 21-nonies L. 241/1990.

Il legislatore del 2016 (ma anche quello del 2006) ha omesso di precisare se, dopo l’aggiudicazione definitiva della gara, residui in capo all’amministrazione procedente il potere di intervenire in autotutela e quali effetti si producano sul contratto.

I termini della questione vanno distinti in due fasi, tra il periodo ante vigenza del Nuovo Codice e quella immediatamente successiva.

Vigente il vecchio codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs n. 163/2006, si deve rendere conto di un acceso contrasto interpretativo di origine pretoria nato per relegare entro confini applicativi certi e definiti il potere di revoca dell’aggiudicazione, da un lato e il diritto di recesso dal contratto di appalto pubblico, dall’altro. Questa determinazione avrebbe permesso di chiarire fino a quando per la p.a. procedente ci sarebbe stata ancora possibilità di intervenire in via di autotutela e quando, in applicazione del principio di parità delle parti, avrebbe dovuto optare per lo strumento di diritto comune.

Orbene, alla tesi del Consiglio di Stato che incoraggiava la perduranza in capo alla p.a. della legittimità nell’esercizio del potere di revoca degli atti di gara, anche quando questa si era già conclusa con l’atto di aggiudicazione, facevano da contraltare le antitetiche argomentazioni della Suprema Corte di Cassazione secondo cui le vicende successive alla chiusura della procedura di evidenza pubblica danno luogo a mere questioni privatistiche in ordine alla validità e all’efficacia del contratto. Ed infatti, il perfezionamento del contratto determina l’instaurazione tra le parti contraenti di un rapporto giuridico paritetico, caratterizzato da diritti soggetti e obblighi reciproci, sicchè il potere unilaterale di scioglimento da quel vincolo negoziale da cui nasce, deve qualificarsi solo in termini di recesso.

A componimento del contrasto insorto, interviene l’Adunanza Plenaria la quale, con la pronuncia n. 14 del 2014, sostiene che è sempre possibile l’autotutela pubblicistica, ove non è praticabile l’autotutela privatistica. La Plenaria sposa, dunque, una tesi mediana che, in applicazione del principio di specialità, non priva l’amministrazione della possibilità di agire in autotutela. Al contrario, conferma la persistenza del potere di annullamento d’ufficio e del potere di revoca quale regola generale, valevole in assenza di una speciale previsione privatistica in tema di recesso.

Di conseguenza, il supremo Consesso esclude l’operatività della revoca per gli appalti di lavori pubblici, stante la sussistenza del diritto di recesso al riguardo, mentre la conferma per gli appalti di servizi e forniture, per le concessioni ed i contratti attivi.

Volendo ripercorrere il ragionamento logico-giuridico posto a fondamento delle anzidette conclusioni, è utile partire dalla constatazione che, a contratto stipulato, l’unica via da percorrere è – secondo la Plenaria – quella del diritto privato, ragione per la quale, la norma speciale del recesso (laddove sussiste) consente di soddisfare in modo più appropriato le esigenze altrimenti presidiate dagli strumenti di diritto pubblico. Diversamente opinando, la norma di diritto privato perderebbe la sua ragion d’essere in quanto la p.a. tenderebbe a fare sempre uso della revoca ex art. 21-quinques, giacchè fonte di ben più contenuti esborsi economici.

Sviluppata l’evoluzione della problematica durante la prima fase, occorre, a questo punto, ridefinire la questione alla luce del Nuovo Codice dei contratti pubblici del 2016, nello specifico degli artt. 109 e 108 in materia di recesso e risoluzione negoziale.

L’art. 109 Nuovo Codice estende il diritto di recesso a tutti gli appalti (compresi servizi e forniture), così implicitamente eliminando il potere di revoca in tutte le ipotesi di affidamento di appalti pubblici.

L’analisi dell’art. 108 d.lgs. n. 50/2016 invece si presenta più complessa, attesa l’ambiguità sulla natura giuridica della “risoluzione” contemplata dalla norma. Alla tesi privatistica, che si fonda sul nomen scelto ed utilizzato dal dettato normativo, secondo la quale si tratterebbe di un istituto prettamente privatistico, una sorta di recesso speciale nonché derogatorio rispetto al modello codicistico, si contrappone la tesi pubblicistica la quale va al di là della denominazione, sostenendo, per contro, che anche a seguito di stipula del contratto residui un potere pubblico in capo alla p.a., trattandosi coerentemente di autotutela pubblicistica, atecnicamente definita “risoluzione”. Ma, alle due, preferibile appare invece una terza tesi, mediana, che considera la norma come composta da forme di annullamento officioso dell’aggiudicazione (comma 1 ) e, insieme, da forme di risoluzione negoziale (comma 2).

3.1. Sorte del contratto a valle dell’annullamento dell’aggiudicazione in via di autotutela e rapporti con la giurisdizione.

Sviscerato il tema nevralgico dell’ammissibilità dell’autotutela pubblicistica in capo alla stazione appaltante anche a seguito di stipula del contratto, resta da chiarire quali effetti sul contratto provochi l’auto-annullamento dell’atto di aggiudicazione illegittimo e se della sorte del contratto, nella specifica ipotesi di annullamento dell’aggiudicazione in autotutela, debba conoscere il G.O. o il G.A.

Il legislatore sul punto nulla dice, rimettendo ancora una volta la questione agli sforzi ermeneutici di dottrina e giurisprudenza.

Secondo un primo approccio, largamente minoritario, l’annullamento officioso degli atti di una procedura ad evidenza pubblica non provocherebbe alcun effetto caducante sull’atto negoziale stipulato a valle della procedura stessa. Secondo questa tesi, di conseguenza, spetta alla stazione appaltante adire la competente autorità giudiziaria per ottenere una pronuncia di inefficacia del contratto medesimo.

Sicchè, considerato che ai sensi dell’art. 133 co.1 lett. e) c.p.a., l’estensione della giurisdizione esclusiva del G.A. riguarderebbe – expressis verbis – solo l’inefficacia del contratto a seguito di annullamento ope iudicis dell’aggiudicazione illegittima e non anche l’inefficacia del contratto a seguito di annullamento in autotutela da parte della stazione appaltante, ne consegue che al fine di ottenere una pronuncia in tal senso, competente sarebbe unicamente il giudice civile.

Un siffatto assunto non sembra, tuttavia, suscitare larghi consensi perché appare ai più irragionevole postulare una differenziazione di disciplina e farla derivare dalla differenza tra annullamento giurisdizionale e annullamento in via di autotutela, optando per la reviviscenza dei poteri del giudice ordinario sulla sorte del contratto.

Sicchè, un secondo indirizzo interpretativo ritiene, da un lato, di concordare col primo quanto all’affermata assenza di automatici effetti caducanti sul contratto dopo l’annullamento in autotutela operato dalla stazione appaltante, ma poi se ne distacca individuando nel giudice amministrativo l’unico organo deputato a conoscere della sorte del contratto, dichiarandolo inefficace.

Il principio di semplificazione e concentrazione delle tutele a cui si ispira il c.p.a. impedisce, secondo la tesi in parola, una scissione dei giudizi a fronte dell’identità dell’oggetto della controversia.

Le pronunce che hanno aderito a questa seconda tesi si sono poi interrogate sulla natura della patologia da ascrivere al contratto stipulato in base ad un’aggiudicazione annullata in via di autotutela.

Così, si è ipotizzato trattarsi di un contratto annullabile ex art. 1425 c.c., essendone la validità inficiata da un vizio nel processo di formazione della volontà della stazione appaltante. Il contratto, per questo motivo, continuerà a spiegare effetti fino al momento della pronuncia di annullamento da parte della stazione appaltante, la sola legittimata ad agire per l’annullamento, con conseguente impossibilità di garantire una tutela piena ai terzi lesi dall’aggiudicazione illegittima.

Sicchè, si è allora abbracciata l’altra soluzione che considera il contratto (fondato su un provvedimento invalido ed annullato) nullo per contrarietà a norme imperative, con conseguente inefficacia retroattiva e possibilità di far vale tale nullità (sopravvenuta) da chiunque vi abbia interesse.

In conclusione, il contratto stipulato a valle di una procedura di evidenza pubblica annullata in sede di autotutela è un contratto che ancora spiega i suoi effetti, affetto da nullità sopravvenuta e la cui efficacia dipenderà da una pronuncia in cui sarà lo stesso giudice a decidere se e come operare un “salvataggio” totale o parziale dei suoi effetti.

Un’ulteriore impostazione , nata per sopperire alle criticità emerse in seno alla tesi tradizionale, ritiene che successivamente all’annullamento dell’aggiudicazione, il contratto divenga inefficace (inefficacia relativa).

In particolare, secondo i sostenitori della tesi in esame – che trova largo seguito nella coeva giurisprudenza amministrativa – la caducazione, in sede giurisdizionale (o amministrativa), di atti della fase di formazione della volontà contrattuale della stazione appaltante finirebbe per privare quest’ultima, con efficacia ex tunc, della legittimazione a negoziare. Pertanto, l’organo amministrativo che stipula il contratto, una volta venuto a cadere, con effetto ex tunc, uno degli atti del procedimento costitutivo della volontà dell’amministrazione (come la deliberazione a contrattare, il bando o l’aggiudicazione), si troverebbe nella condizione di aver stipulato injure, cioè privo della legittimazione che gli è stata conferita dai precedenti atti amministrativi.

La categoria dogmatica entro cui ricondurre il vizio che inficia il contratto non sarebbe dunque l’annullabilità, bensì l’inefficacia. Nei contratti ad evidenza pubblica, infatti, gli atti della serie pubblicistica e quelli della serie privatistica sono indipendenti quanto alla validità; i primi condizionerebbero, però, l’efficacia dei secondi, di modo che il contratto diverrebbe ab origine inefficace se uno degli atti del procedimento venisse meno per una qualsiasi causa.

Infine, vi è un ultimo indirizzo, avallato dalla giurisprudenza amministrativa immediatamente precedente l’emanazione del cod. app., che, giungendo a conclusioni diametralmente opposte ai primi due, sostiene il travolgimento del contratto a seguito dell’annullamento della sua aggiudicazione. Le ragioni della previsione del descritto automatico effetto caducante risiederebbero nella stretta consequenzialità funzionale tra contratto e aggiudicazione, di cui il primo ne costituisce l’indefettibile presupposto, tale che simul stabunt, simul cadent.

Il venir meno di un atto della sequenza procedimentale ad evidenza pubblica determinerebbe, dunque, la produzione di un effetto viziante “a cascata”, per cui l’annullamento dell’atto a monte (l’aggiudicazione) causerebbe, quale conseguenza naturale e indefettibile, quindi senza necessità di una pronuncia che disponesse sul punto, la caducazione automatica dell’atto a valle ad esso consequenziale (il contratto).

In punto di giurisdizione, quest’orientamento prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sia per l’annullamento dell’aggiudicazione sia per la conseguente sorte del contratto, quale conclusione più ragionevole fra tutte ed al tempo stesso la più coerente alla luce del quadro vigente.

Ad avvalorare l’assunto, poi, si richiama la norma di cui all’art. 133 co.1 lett. e) c.p.c., nella parte in cui non pratica alcuna differenziazione in sede di annullamento. Ne deriva, di conseguenza, che il legislatore, non specificando se si tratti di annullamento giurisdizionale o in autotutela, li avrebbe ragionevolmente considerati entrambi in guisa tale da ricomprenderli in egual modo nell’ambito della giurisdizione esclusiva del G.A.

4. Annullamento giurisdizionale, sorte del contratto medio tempore stipulato e rapporti con la giurisdizione.

Ulteriore questione è verificare se il contratto medio tempore stipulato cada automaticamente al venir meno degli atti della procedura ad evidenza pubblica per effetto di una pronuncia giudiziale.

La risposta a tale quesito di diritto sostanziale va ricercata nel codice del processo amministrativo, il quale agli artt. 121 e 122, in combinato disposto con l’art. 133, assegna al giudice amministrativo il potere di decidere se dichiarare l’inefficacia del contratto all’esito dell’esplicazione di una gara d’appalto annullata in via giurisdizionale .

In altri termini, in questi casi la dichiarazione di inefficacia del contratto non è automatica. Non scaturisce quale naturale effetto dell’intervenuto annullamento in via giurisdizionale dell’atto di aggiudicazione definitiva.

Conseguenza immediata del predetto annullamento non è la declaratoria di inefficacia del contratto, bensì l’insorgenza in capo al G.A. del potere (discrezionale) di valutare se il contratto debba conservare ancora i suoi effetti oppure esserne ragionevolmente privato.

Ciò equivale a dire che il legislatore ha voluto estendere (così come si legge nel dettato di cui all’art. 133 co. 1 lett. e) c.p.a) la giurisdizione amministrativa anche al vaglio dell’inefficacia del contratto consequenziale all’annullamento dell’aggiudicazione dallo stesso pronunciata, muovendo dalla presa di coscienza che il rapporto dedotto nel giudizio inaugurato da chi impugna gli atti di una procedura di gara è sempre caratterizzato dalla compresenza inscindibile tra provvedimento illegittimo e contratto stipulato a valle dello stesso.

La soluzione abbracciata dal legislatore appare, peraltro, perfettamente coerente con un giudizio di spettanza, se si considera che, ai fini del conseguimento specifico del bene della vita (aggiudicazione), occorre innanzitutto demolire il provvedimento illegittimo ed il contratto nelle more già eventualmente stipulato.

L’inefficacia positivizzata dal legislatore agli artt. 121 e 121 c.p.a. è stata definita, sul piano sostanziale, un’efficacia a cd. geometrie variabili perché la sua operatività cambia a seconda della maggiore o minore gravità delle violazioni consumate dalla stazione appaltante, con conseguente facoltà o dovere del G.A. di dichiarare il contratto inefficace.

5. La dichiarazione di inefficacia del contratto pubblico. Il dettato normativo di cui agli artt. 121 e 122 c.p.a.

Un’approfondita disamina della disciplina delle procedure ad evidenza pubblica che ne valorizzi la struttura bifasica (pubblicistica e privatistica), evidenza come la connessione esistente tra l’illegittimità dell’aggiudicazione e contratto attenga al piano fattuale del rapporto negoziale, non a quello dell’atto, sicchè il vizio procedimentale non impinge alla struttura del negozio, ma attiene elusivamente al relativo piano effettuale.

Questa conclusione è la sola, del resto, in grado di fornire una soluzione idonea a consentire il costante bilanciamento degli interessi pubblici che deve guidare l’interprete nella valutazione della convenienza della declaratoria di inefficacia del contratto.

Il codice del processo amministrativo contempla due tipologie di inefficacia, quella che va dal giudice dichiarata obbligatoriamente, una volta accertata la gravità delle violazioni commesse dalla stazione appaltante e quella cd. facoltativa per i casi residui.

Passando alla normativa di dettaglio, l’art. 121 c.p.a tipizza i casi di inefficacia cd. obbligatoria, rinvenibili nella omessa pubblicità del bando o dell’avviso con cui si indice una gara (lett. a e b) e al mancato rispetto dei termini cd. di stand still e/o del termine di sospensione automatica in pendenza di impugnativa in sede giurisdizionale dell’aggiudicazione.

Nel primo caso, le violazioni attenterebbero ai principi di trasparenza dell’azione amministrativa, essendo potenzialmente idonei a minare la correttezza della procedura di affidamento. Nel secondo caso, la violazione potrebbe precludere la garanzia di un utile esercizio della tutela giurisdizionale dei terzi di fronte ad un’aggiudicazione illegittima.

In presenza di una simile categoria di violazioni, il G.A., pertanto, dovrà dichiarare l’inefficacia del contratto, precisando in questa sede se tale declaratoria di inefficacia è limitata alle sole prestazioni che devono ancora essere eseguite alla data della pubblicazione del dispositivo oppure se opera in via retroattiva.

In deroga a quanto appena illustrato, l’art. 121 c.p.a. ciò nondimeno prevede la possibilità che il contratto, ancorchè basato su una procedura di gara condotta per il tramite di violazioni considerate “gravi” dalla norma stessa e per le quali dunque è giustificato e doveroso il travolgimento degli effetti del futuro atto negoziale, di rimanere efficace allorquando il giudice individui ed accerti la sussistenza di “esigenze imperative connesse a un interesse generale che imponga il mantenimento del contratto” (comma 2).
Per interesse generale al mantenimento in vita del contratto per esigenze imperative non deve intendersi il mero interesse pubblico della P.A, bensì quello dell’intera collettività alla conservazione degli effetti del contratto preordinata a una celere realizzazione dell’opera o, in generale, della commessa pubblica.

Altra deroga è prevista al comma 5 dell’art. 121, ove si fa menzione delle ipotesi in cui, al ricorrere delle gravi violazioni di cui alle sole lettere a) e b) inerenti a una carenza di trasparenza della procedura, non segue una declaratoria di inefficacia del contratto quando la stazione appaltante abbia: con atto motivato anteriore all’avvio della procedura di affidamento, dichiarato di acconsentire alla succedanea procedura senza previa pubblicazione del bando o avviso con cui si indice la gara; pubblicato un avviso volontario per la trasparenza preventiva in cui manifesta l’intenzione di concludere il contratto, relativamente a quelli di rilevanza comunitaria o sotto soglia; concluso il contratto scaduto il termine di almeno dieci giorni a decorrere dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell’avviso di cui alla lett. b).

Qualora il giudice, nonostante l’accertamento delle predette gravi violazioni, decida di conservare comunque gli effetti del contratto pubblico oppure di limitare temporalmente la loro inefficacia, deve applicare, cumulativamente o alternativamente, le sanzioni alternative di cui all’art. 123 c.p.a. Tali sanzioni sono di due tipi: una di carattere pecuniario, rapportata al valore del contratto; l’altra incidente sulla durata del rapporto contrattuale e volta a ridurlo da un minimo del 10% ad un massimo del 50% della durata residua alla data di pubblicazione del dispositivo.

Fuori dai casi indicati dall’art. 121 c.p.a., invece, il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva può scegliere se dichiarare o no inefficace il contratto. Per operare la scelta tra conservare il contratto o privarlo degli effetti, ai sensi dell’art. 122 c.p.a. dovrà all’uopo valutare: il tipo di vizio riscontrato, lo stato di esecuzione del contratto, l’eventuale presenza di una domanda di subentro nel contratto e, per ultimo, la sussistenza della buona fede (oggettiva) del terzo contraente.

Quanto al primo profilo, il vizio individuato dovrà essere tale da garantire sia l’annullamento dell’aggiudicazione che l’aggiudicazione in favore del ricorrente senza necessità di rinnovo della gara. I due aspetti infatti, annullamento della aggiudicazione e spettanza della stessa in favore del ricorrente, non sono inscindibili, cioè tali per cui al verificarsi del primo si verifichi anche il secondo. Ciò si verifica solo laddove nella graduatoria il ricorrente segua immediatamente l’operatore economico nei confronti del quale è stata annullata l’aggiudicazione. Nel condurre questa valutazione ad hoc di tipo discrezionale all’esito della quale si subordina l’efficacia o, al contrario, l’inefficacia del contratto, il giudice deve altresì valutare, quanto al secondo elemento, se il contratto sia stato già eseguito ovvero stia per ultimarsi o ancora se la sua esecuzione si ponga in uno stadio avanzato e, in ogni caso, tale per cui possa ancora essere di interesse per il ricorrente (e non a suo svantaggio, né tantomeno contrario all’interesse pubblico). Infine, deve essere stata proposta la domanda di subentro nel contratto da parte del ricorrente, altrimenti l’inefficacia sarebbe fine a sé stessa dal momento che non si può coartare il ricorrente al subentro.

Un altro delicato aspetto problematico afferente alla dichiarazione di inefficacia del contratto è se essa necessiti anche della domanda di parte. Sul punto, il dato letterale non dice nulla e non aiuta. Anzi, proprio la mancata menzione di quella è stata uno degli argomenti a sostegno della tesi reiettiva.

Al riguardo la prevalente giurisprudenza ha, invece, fornito risposta affermativa al quesito sollevato, sulla base del fatto che l’inefficacia è una pronuncia che incide traumaticamente sul rapporto negoziale, di conseguenza necessita di una espressa volontà in tal senso e di una altrettanto espressa pronuncia. Questa tesi giurisprudenziale supera agevolmente l’argomento letterale (l’assenza di alcun cenno nella norma sulla citata necessità della domanda di parte) promuovendo una diversa lettura dell’art. 121 c.p.a., incentrata a valorizzare la contestualità delle statuizioni del giudice – annullamento aggiudicazione e inefficacia del contratto – in omaggio alla logica del simultaneus processus, senza voler apporre alcuna deroga al principio della domanda.

Decisivo ai fini della sostenibilità della tesi positiva, è stato poi l’argomento di carattere dogmatico, che, nel tentativo di inquadrare l’inefficacia a geometrie variabili in una delle categorie civilistiche, esclude che possa essere attratta dall’orbita della nullità-sanzione, della quale infatti non possiederebbe due requisiti essenziali e cioè l’originarietà dell’inefficacia e l’obbligatorietà della rilevazione giudiziale. All’opposto, essa attribuisce al giudice un potere discrezionale ben accentuato, oltre alla possibilità di una dichiarazione in inefficacia non retroattiva.

Ciò induce a concludere che non si tratterebbe di una domanda dichiarativa in senso tecnico, ma la dichiarazione di inefficacia del contatto si sostanzierebbe in una pronuncia costitutiva inquadrabile nel genus delle risoluzioni negoziali necessitanti di domanda di parte.

6. Mancata stipula del contratto pubblico.

Resta, infine, da chiarire se sussiste un vero e proprio obbligo giuridico in capo alla p.a. procedente di stipulare il contratto pubblico. Allora, possono individuarsi ipotesi in cui la stazione appaltante, una volta scelto definitivamente il contraente all’esito della procedura di evidenza pubblica, decida di non stipulare?

Ebbene, secondo un primo approccio minoritario, la posizione giuridica ricavabile in capo al privato scelto a seguito dell’aggiudicazione definitiva avrebbe la consistenza di diritto soggettivo, giacchè dall’aggiudicazione scaturirebbe un vero e proprio vincolo preliminare obbligatorio, tutelabile anche in forma specifica ex art. 2932 c.c., con conseguente riconducibilità della responsabilità della p.a. nell’alveo della responsabilità contrattuale (e non precontrattuale).

Diversamente, un secondo approccio ermeneutico sostiene la rilevanza cangiante dell’atto di aggiudicazione a seconda del tipo di procedura scelta.

Infine, l’impostazione maggioritaria parte dal rilievo di cui al co. 6 dell’art. 32 del d.lgs. n. 50/2016 a sostegno della necessaria cesura tra la fase pubblicistica a monte e quella privatistica a valle. Da tale assunto, la tesi in parola ha tratto l’importante considerazione che l’aggiudicazione si sostanzia in un provvedimento amministrativo che, in quanto tale, amplia la sfera soggettiva del privato il quale diviene così titolare di un interesse legittimo oppositivo alla sua conservazione e, al contempo, di un interesse legittimo pretensivo alla stipula del contratto.

Sulla base di tali presupposti, intervengono la Suprema Corte di Cassazione, prima, ed il Consiglio di Stato, poi, a sostegno della giurisdizione esclusiva del G.A. in ordine alla cognizione delle controversie concernenti la legittimità dei comportamenti e degli atti afferenti a una procedura di affidamento assunti, non solo durante l’aggiudicazione, ma anche nel lasso di tempo compreso tra l’aggiudicazione stessa e la stipula del contratto, perché aventi ad oggetto l’esercizio di un potere pubblico, suscettibile di far derivare una situazione di interesse legittimo del privato (e non di diritto soggettivo), dal momento che la stazione appaltante, anche ad aggiudicazione intervenuta, conserva il suo potere di non procedere alla stipula del contratto in presenza di valide e motivate ragioni di interesse pubblico.

In questo senso, anche la revoca degli atti di gara o la “pretesa alla stipula” sono attratte dall’orbita della giurisdizione amministrativa.

Recentemente, la giurisdizione del g.a. sopra descritta è stata parzialmente circoscritta, in accoglimento di un’interpretazione restrittiva della nozione di procedura di affidamento, ad opera delle Sezioni Unite del 2018. Secondo questo parziale revirement sul punto, nel dettaglio, resta la giurisdizione esclusiva del g.a. per tutte le questioni insorte prima dell’atto di aggiudicazione. Successivamente all’emanazione del provvedimento amministrativo conclusivo della procedura di gara pubblica, si seguirebbe il normale criterio di riparto della giurisdizione imperniato sulla distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo, con la conseguente devoluzione al G.A. delle controversie afferenti all’esercizio del potere pubblico, ed al G.O. delle vicende inerenti l’esecuzione del contratto.


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