La tendenziale incedibilità dei crediti vantati nei confronti dello Stato
L’art. 1260, co. 1, c.c. sancisce il principio della libera cessione dei crediti stabilendo che il trasferimento del credito può avvenire anche senza il consenso del debitore e, pertanto, solo in virtù di un accordo fra cedente e cessionario.
Tanto poiché, di regola, per il debitore ceduto è indifferente adempiere nei confronti di un soggetto piuttosto che di un altro.
In linea generale è suscettibile di cessione anche un credito futuro purché sia determinato o determinabile ed, in tal caso, l’accordo si perfeziona con la manifestazione del consenso del cedente e del cessionario, mentre l’effetto traslativo si realizza quando il credito viene ad esistenza secondo i principi di cui agli artt. 1348 e 1472 c.c., posto che prima di tale momento sorgono solo effetti obbligatori.
L’art. 1260 c.c. prevede, altresì, tre casi di incedibilità dei crediti: quando essi hanno carattere strettamente personale, quando la cessione è vietata dalla legge o quando essa è esclusa su accordo delle parti.
Tra i casi di cessione vietata dalla legge rientrano divieti di carattere oggettivo, ed uno di essi è ravvisabile dal combinato disposto dell’art. 9 l. n. 2248 del 1865, all. E, con gli artt. 69 e 70 del R.D. n. 2440 del 1923, da cui si desume il limite della cedibilità dei crediti vantati verso lo Stato o altre Pubbliche Amministrazioni.
L’art. 9 suddetto sancisce che: “sul prezzo dei contratti in corso non potrà avere effetto alcun sequestro, né convenirsi cessione, se non vi aderisca l’amministrazione interessata”.
Da tale assetto normativo si ricava che la cedibilità dei crediti vantati nei confronti di una P.A. soggiace ad una disciplina derogatoria rispetto alla ordinaria disciplina del c.c.
Infatti sembra potersi affermare che la cessione dei crediti vantati verso lo Stato o altre Pubbliche Amministrazioni sia inefficace senza il consenso espresso, ovvero la preventiva adesione, del soggetto pubblico – debitore ceduto.
Detto altrimenti, affinché la cessione sia opponibile alla P.A. debitrice è necessario che l’ente esprima il proprio consenso espresso alla cessione.
Vero che l’art. 70 del R.D. n. 2240/1923 richiama espressamente l’art. 9 su indicato con riferimento a “somme dovute dallo Stato per somministrazioni, forniture ed appalti”, ma sembra potersi ricavare che il divieto di cessione senza l’adesione della P.A. si applichi a tutti i rapporti di durata.
Infatti in essi, e non anche nei contratti ad esecuzione istantanea, si ravvisa l’esigenza di evitare che durante l’esecuzione possano venir meno le risorse finanziarie al soggetto obbligato e così possa essere compromessa l’ulteriore e regolare prosecuzione del rapporto.
La disciplina speciale della cessione del credito verso la P.A. testé citata prevede anche una peculiare forma per l’atto di trasferimento.
L’art 69, commi 1 e 3, del R.D. n. 2440/1923 statuisce che: “Le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno, i pignoramenti, i sequestri e le opposizioni relative a somme dovute dallo Stato, nei casi in cui sono ammesse dalle leggi, debbono essere notificate all’amministrazione centrale ovvero all’ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento…Le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno e gli atti di revoca, rinuncia o modificazione di vincoli devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata, autenticata da notaio”.
Ciò significa che: 1) è necessaria una scrittura privata autenticata da un notaio o un atto pubblico (Cass. civ., n. 844 del 2002); 2) la notifica della cessione deve avvenire nelle forme previste ex lege, ovvero nelle forme degli atti processuali (Cass. civ. n.5493 del 2013; contra Cass. civ., n. 20144 del 2005, che considera la notifica atto a forma libera).
Lo stesso dicasi anche per la costituzione di pegno.
Dunque, il mancato rispetto di queste modalità comporta l’inefficacia e l’inopponibilità della cessione alla P.A. debitore ceduto.
La giurisprudenza maggioritaria, in linea con l’indirizzo della Suprema Corte di Cassazione, è dell’avviso che la cessione dei crediti vantati verso la Pubblica Amministrazione si perfezioni con la notifica all’ente della sola dichiarazione unilaterale di cessione ma, perché sia opponibile al debitore, deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata e deve essere accettata (Cass. civ. n. 13481 del 2002; TAR Campania, n. 7201 del 2003).
La Corte nomofilattica, inoltre, ritiene che la disciplina della cessione dei crediti verso lo Stato sia riferibile alla P.A. nel suo complesso e, quindi, anche agli enti locali (Cass. civ. n. 11041 del 1996).
In ordine, infine, alla cedibilità di crediti futuri sembrerebbe non ci siano regole specifiche ulteriori se non quella propria delle garanzie per crediti futuri (pegno e fideiussione omnibus) le quali sono valide purché il loro oggetto sia determinabile, cioè si fissi un importo massimo da garantire.
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Gemma Mariano
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