La teoria dei poteri impliciti

La teoria dei poteri impliciti

La teoria dei poteri impliciti è quella teoria in forza della quale ad un soggetto può attribuirsi un potere diverso da quello espressamente riconosciutogli, a condizione che tale potere implicito sia dotato di un collegamento teleologico-funzionale con i poteri esplicitamente attributi al soggetto in questione. Ne discende che, in alcune ipotesi, il potere implicito rappresenta uno strumento per un esercizio ancora più efficace anche di un potere esplicito.

La teoria dei poteri impliciti  si sviluppa nell’ambito degli ordinamenti di Common law, che ammettono l’esistenza di Costituzioni flessibili e di poteri impliciti non esplicitamente riconosciuti nei testi costituzionali, e rinviene la propria fonte nella c.d. implied powers clause, contenuta nella Costituzione degli Stati Uniti d’America. Siffatta “clausola dei poteri impliciti” attribuiva al Congresso il potere di emanare tutte le leggi necessarie e opportune per l’esercizio dei poteri enumerati nella pertinente sezione della Carta costituzionale e di tutti quelli espressamente attribuiti dalla stessa al Governo degli Stati Uniti. In tal maniera i medesimi “poteri espliciti” potevano essere attuati in modo più pregnante, attraverso un processo di armonizzazione con i poteri configurati “per implicito”, anch’essi concretamente esercitati.

Il potere amministrativo viene esercitato unilateralmente dalla Pubblica amministrazione, senza la necessità del  consenso del destinatario del provvedimento. Esso è tendenzialmente  tipico, nel senso che non può configurarsi un’Amministrazione che decida di svolgere date attività, se queste non sono state alla medesima attribuite dalla legge. Il potere è anche una figura organizzatoria, attraverso cui si esercita una determinata potestà, come nel caso del Parlamento (“potere” legislativo), il quale esercita la potestà e funzione legislativa.

In ambito pubblicistico, la separazione dei poteri è uno dei princìpi essenziali del costituzionalismo liberale, nella scansione tra forme di Stato e forme di governo. L’idea della separazione dei poteri è riconducibile a Montesquieu, il quale ha evidenziato l’esigenza che le funzioni legislativa, esecutivo- amministrativa e giurisdizionale siano affidate a organi diversi, in posizioni di indipendenza tra essi, per evitare un pregiudizio alla libertà e per limitare al minimo le interferenze funzionali tra organi.

Il concetto di poteri impliciti può reputarsi anche di origine comunitaria e unionale, attraverso un’interpretazione a contrariis del’art. 5 del Trattato, il quale stabilisce che i poteri (le competenze) dell’Unione europea siano disciplinati dal principio di attribuzione, secondo il quale l’Unione agisce solo nei limiti delle competenze conferite alla stessa dagli Stati membri nei Trattati per il raggiungimento degli obiettivi ivi stabiliti. La normativa unionale adesso menzionata disciplina i poteri espliciti, con la contestuale previsione che questi ultimi si possano superare, ove gli obiettivi comuni della UE siano raggiungibili attraverso poteri non espressamente attribuiti.

Va precisato che, nel diritto unionale, emerge una prevalenza del principio di funzionalizzazione, in base al quale i poteri riconosciuti alle Autorità non sono indicati puntualmente dalla fonte normativa, la quale ha un’impostazione di carattere teleologico, nel senso che indica gli scopi che l’Autorità competente deve perseguire. In virtù di tale principio, alle Autorità è riconosciuta la possibilità di utilizzare ogni mezzo per realizzare lo scopo che la fonte normativa ha attribuito a esse.

I poteri impliciti sono ammessi dal diritto dell’Unione Europea anche in base ad altre prescrizioni del Trattato, tra cui l’art. 308, il quale prevede la c.d. clausola di flessibilità che sancisce che, quando è necessario raggiungere degli obiettivi di rilevanza comunitaria, anche se il Trattato non ha riconosciuto alla Commissione determinati poteri, che consentano il conseguimento di siffatti obiettivi, essa può desumerli da tale clausola di flessibilità.

Si aggiunga che l’articolo 352, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) stabilisce le basi per l’uso di poteri impliciti, perché permette all’Unione di adottare, in determinate circostanze, misure relative a una politica o a un obiettivo definiti nei Trattati, ma per i quali non le sono stati conferiti poteri specifici. Occorre che il Consiglio dell’Unione europea, dopo aver ricevuto l’approvazione del Parlamento europeo, voti all’unanimità a favore delle misure appropriate, sulla base di una proposta della Commissione europea.

L’attività amministrativa, sul piano costituzionale, si basa sui princìpi di imparzialità e buon andamento ai sensi dell’art. 97 Cost.. Il progressivo emergere della compenetrazione fra diritto interno e diritto dell’Unione comporta la necessità che le pubbliche amministrazioni degli Stati, facenti parte dell’Unione, svolgano la propria attività in coerenza con l’ordinamento della medesima.

L’imparzialità e il buon andamento dell’Amministrazione presuppongono una relativa stabilità economica e, pertanto, è necessario che sia assicurato l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, come adesso previsto espressamente nell’articolo 97, 1°c. Cost..

Una lettura sistematica del testo costituzionale, realizzata in coerenza con la tavola di valori che emerge dall’ordinamento dell’Unione europea, implica una revisione rispetto al preesistente modello, secondo cui i privati sono al servizio dell’Amministrazione. Questa concezione, molto centrata sull’Amministrazione intesa come autorità, risale allo Statuto albertino e può dirsi tendenzialmente rimodulata con l’avvento della Costituzione repubblicana del 1948. Si è realizzato un percorso progressivo in cui si è pervenuti a una tutela focalizzata sulla persona, con la conseguenza che l’Amministrazione si pone al servizio proprio della persona in funzione della realizzazione di interessi pubblici. L’esercizio del potere amministrativo è funzionale alla tutela dell’interesse pubblico, inteso come interesse dell’insieme dei consociati, e quindi si riscontra un’inversione dei ruoli rispetto al paradigma “Stato-centrico” dello Statuto albertino.

L’attività amministrativa è soggetta al principio di legalità e questo già si desume dall’art. 113 Cost., secondo cui è possibile tutelarsi giurisdizionalmente avverso gli atti della pubblica amministrazione per la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, senza esclusioni o limitazioni a particolare mezzi di impugnazione o per specifiche categorie di atti.

Il principio di legalità dell’azione amministrativa comporta che la legge indichi l’interesse pubblico che l’Amministrazione deve perseguire e che stabilisca le condizioni e le modalità di esercizio del potere.

Pertanto, l’Amministrazione agisce per il conseguimento di risultati indicati dalla legge e la discrezionalità amministrativa, più o meno ampia, è funzionale al conseguimento di questi risultati, secondo una valutazione dei costi e dei benefici e un’attività di bilanciamento degli interessi presenti ed eventualmente contrapposti.

Il principio di legalità, cui l’Amministrazione deve adeguarsi, potrà essere inteso in senso più o meno intenso. L’esercizio dell’attività amministrativa può avvenire solo nelle ipotesi previste dalla legge e il potere dell’amministrazione può essere legittimamente configurato soltanto nei casi in cui emerga da una prescrizione di legge puntuale.

In alcuni casi, la realizzazione del fine pubblico presuppone che, accanto ai cosiddetti poteri espliciti, ossia previsti direttamente dalla legge, possa configurarsi la possibilità che l’amministrazione eserciti dei poteri impliciti e che questo esercizio sia legittimo proprio per consentire che l’interesse pubblico sia realizzato in maniera piena.

La considerazione in base a cui dal diritto dell’Unione emerge la legittimità della categoria dei poteri impliciti consente di propendere per la conclusione secondo cui, nell’ordinamento interno, possano essere legittimamente configurati ed esercitati poteri siffatti, in collegamento con normative primarie che indichino il fine che l’amministrazione deve perseguire, lasciando alla stessa la scelta delle modalità attraverso cui ottenere il risultato prescritto dalla legge. In un’ottica siffatta, il potere esplicito può essere supportato dal potere implicito per una realizzazione più proficua dell’interesse pubblico.

La necessità o l’opportunità di dare l’ingresso alla categoria in esame emerge con riferimento soprattutto alle Autorità amministrative indipendenti proprio per il carattere specificamente tecnico delle attività che queste svolgono e un riscontro in questo senso si ha nella pertinente giurisprudenza.

Gli interpreti riconoscono senza troppe incertezze l’esistenza e l’ammissibilità, in termini di legittimità, di poteri impliciti in capo alle Autorità amministrative indipendenti: tale esigenza, secondo alcuni Autori, è addirittura “imposta” dalla genericità e dall’indeterminatezza che caratterizza molte norme attributive di poteri (specie regolatori).

L’esercizio di poteri impliciti è ritenuto legittimo solo al ricorrere di specifici presupposti, uno dei quali concerne la “strumentalità” di tali poteri. Poteri siffatti, per poter essere considerati ammissibili e legittimi, devono mostrare un collegamento con “qualcosa” di esplicito. Tale collegamento viene normalmente declinato in termini di strumentalità, perché poteri innominati e atipici non possono esistere ed essere esercitati di per sé, ma solo se ed in quanto strumentali a “qualcos’altro”.

Una prima declinazione (definibile “forte” o “radicale”) della teoria dei poteri impliciti – della quale si rinvengono orme in ambito europeo – richiede, quale condizione di legittimo esercizio degli stessi, un nesso di strumentalità tra il singolo potere (implicito) che viene in rilievo e gli obiettivi e le finalità attribuite dalle norme alla singola Autorità amministrativa. A quest’ultima, in altre parole, dovrebbe riconoscersi la titolarità di tutti quei poteri, anche non espressamente riconosciuti e tipizzati dalle norme, che siano funzionali al conseguimento delle finalità alla stessa assegnate.

Secondo altra impostazione, più restrittiva, la strumentalità, quale caratteristica e condizione di legittimità dell’esercizio di poteri impliciti, deve, invece, essere valutata non già (o comunque non solo) in relazione alle finalità attribuite ad una specifica Autorità amministrativa, bensì, e soprattutto, in riferimento ai poteri espressamente riconosciuti da disposizioni normative all’Autorità stessa (e che potremmo chiamare «espliciti»).

L’ammissibilità di un potere implicito richiede che lo stesso sia strumentale al più effettivo ed efficace esercizio di un potere «esplicito» (ovvero codificato).

L’ammissibilità di poteri impliciti in capo ad un’Autorità amministrativa può sostenersi solo nella misura in cui gli stessi risultino strumentali all’esercizio di un potere e di una funzione espressamente previsti e attribuiti da una norma.

In tale ipotesi, infatti, il principio di legalità, benché parzialmente vulnerato, non viene del tutto pretermesso: lo specifico potere implicito individuato viene ritenuto legittimo e ammissibile in quanto elemento e condizione di effettività dell’esercizio di una funzione espressamente attribuita, a sua volta strumentale al conseguimento delle finalità individuate dalla legge.

L’Autorità amministrativa che faccia ricorso ad un potere implicito, in tale ipotesi, si limita a svolgere un’attività o a compiere un atto la cui effettuazione (o adozione) risulta necessaria all’esercizio effettivo di altra propria (espressamente attribuita) prerogativa.

Ove si acceda all’interpretazione propensa a riconoscere l’ammissibilità, in termini di legittimità, di quei poteri impliciti per i quali si rinvenga un nesso di strumentalità rispetto al complesso degli obiettivi da perseguire e degli interessi da tutelare, alcuni interpreti paventano il rischio di legittimare una pretermissione pressoché totale del principio di legalità. Si aggiunga che residua il rischio  di un contrasto non sanabile oltre che con il principio democratico e con quello di legalità, con altri princìpi e norme costituzionali.

La strumentalità di un potere implicito rispetto ad uno o più poteri “espliciti” costituisce un elemento che appare irrinunciabile, se non a prezzo di privare di collegamento l’esercizio del potere pubblico da qualsiasi riferimento normativo.

I poteri impliciti, da armonizzare con il principio di legalità, vengono in rilievo ogni volta in cui è prevista una competenza, ma non il relativo potere. Non esiste nel nostro ordinamento una disposizione simile all’art. 5 Trattato UE, né essa si può applicare direttamente perché l’art. 5 riguarda azioni del Consiglio dell’UE.

Si può ipotizzare, peraltro, che si possa mutuare il principio della possibile configurazione di poteri impliciti,  applicandolo nell’ordinamento interno laddove esso sia utile e spendibile.

Il nostro ordinamento è basato sul principio di legalità e l’ammissibilità di poteri impliciti mette in crisi tale principio, nello specifico l’aspetto della legalità sostanziale. Va rilevato che, per lungo tempo, il limite del principio di legalità si è considerato non superabile. Questa invalicabilità ha determinato chiusura verso la configurabilità di poteri impliciti.

In tempi più recenti, si ammette la configurabilità della categoria in esame, purché l’azione amministrativa sia idonea allo scopo da raggiungere e non contrasti con la legge. Eventuali deroghe alla legalità formale e sostanziale vanno  giustificate, in relazione ad altri principi quali il buon andamento, l’imparzialità, la trasparenza, ecc. Peraltro, è forse possibile individuare in maniera ancora più pregnante la ragion d’essere dei poteri impliciti, ritenendo che i medesimi, lungi dal rappresentare una deroga al principio di legalità, siano una più penetrante attuazione del medesimo.

Si configurano poteri attribuiti con una riserva di legge assoluta e, in tale ipotesi,  vi è una delimitazione dettagliata dell’ambito del potere già secondo la legge, senza che fonti secondarie intervengano a scopo integrativo o attuativo. In altri ipotesi, i poteri vengono attribuiti dal Legislatore in modo da lasciare un apprezzabile  ambito di discrezionalità all’Amministrazione, quando si adoperi il meccanismo della riserva di legge relativa. Tale discrezionalità non confligge con la legalità, ma la presuppone.

Ove, sul piano legislativo, sia assente l’attribuzione di poteri, appare configurabile una mancanza di previsione e di ammissibilità di poteri espliciti, con la conseguenza che, a fortiori, non sono ammessi neanche quelli impliciti.

I ragionamenti effettuati possono essere traslati e sviluppati nella stessa prospettiva non solo negli esempi delle autorità amministrative indipendenti (su cui ci sono le pronunce giurisprudenziali), ma anche in tema, ad esempio di  tutela decisoria  dell’Amministrazione. Originariamente, il potere di autotutela si scontrava con l’assenza di una base normativa che ne legittimasse espressamente l’esercizio. Per giustificarne il riconoscimento, dottrina e giurisprudenza facevano, quindi, ricorso proprio alla teoria dei poteri impliciti o al principio del cd. contrarius actus, espressione alternativa di ogni potere di amministrazione attiva. In una fase successiva, il legislatore  ha inteso colmare tale lacuna normativa con l’introduzione del capo IV bis della L. 7 agosto 1990, n. 241.

La costruzione di “poteri impliciti” rappresenta una risposta alla “crisi della legge”, da intendersi come incapacità della stessa di predefinire, in settori caratterizzati da elevato tecnicismo e soggetti a continua evoluzione, un sistema completo e preciso di regole e di comportamenti tali da consentire ai destinatari di valutare “ ex ante” i propri e gli altrui comportamenti in termini di liceità o illiceità.

La costruzione della categoria di poteri in esame si giustifica anche perché si avverte l’esigenza di svincolare la gestione di determinati settori sensibili, implicante una posizione, non già di imparzialità amministrativa, quanto di neutralità rispetto agli interessi in gioco, dal condizionamento degli organi politici. Da questo contesto è scaturita la necessità di assegnare funzioni spesso non amministrative in senso classico, ma di tipo regolatorio, contenzioso e sanzionatorio, a soggetti in grado di assicurare un esercizio “terzo”, tecnicamente adeguato. Questo insieme di elementi storico – giuridici ha creato i presupposti per la nascita delle Autorità amministrative indipendenti.

Le Autorità indipendenti sono organismi amministrativi dotati di particolari cognizione tecniche, coniate per la cura di settori sensibili, coinvolgenti la tutela di interessi di particolare rilievo costituzionale, e munite di una peculiare posizione di neutralità rispetto agli interessi medesimi, nonché di sostanziale indipendenza dal potere esecutivo.

Alle Autorità Amministrative indipendenti, nate alla fine degli anni ‘90 per assicurare una corretta applicazione del principio di concorrenza e trasparenza in settori particolarmente sensibili e dotati di alto tecnicismo, vengono attribuiti non soltanto i poteri espressamente previsti dalla legge ma anche i cd. poteri impliciti.

Fondamentale per la diffusione delle Authorithies è, altresì, il processo di progressiva abdicazione dello Stato dall’intervento diretto nell’economia.  L’assunzione da parte dello stesso, per effetto di processi di privatizzazione avviati in modo organico negli anni ’90, di un ruolo di arbitro in economia, c.d. Stato regolatore, ha reso necessaria l’istituzione di soggettività pubbliche indipendenti. Alle Autorità indipendenti è stato affidato il compito di stimolare un processo di autentica liberalizzazione, volto ad assicurare l’apertura dei mercati.

I tecnicismi spinti propri dei contenuti delle attività delle Autorità amministrative indipendenti implicano la conseguenza che il Legislatore non è in grado di prescrivere in modo puntuale e sistematico l’intera gamma dei poteri che queste possono esercitare.

 Da questo emerge, anche in rapporto alle sfaccettature varie che le situazioni concrete possono assumere, la possibilità e forse l’indispensabilità di porre accanto ai poteri espliciti questa categoria dei poteri impliciti, la quale consente una più efficace esplicazione delle finalità che sono perseguite dalle Autorità indipendenti. Può individuarsi in queste osservazioni una descrizione del fondamento dei poteri impliciti.

Il banco di prova per il riconoscimento di detti poteri impliciti alle Autorità indipendenti è stato quello dei poteri ispettivi, in particolare della Banca d’Italia, non espressamente previsti da alcuna disposizione di legge. La giurisprudenza ha ritenuto che i poteri ispettivi siano strettamente connessi e connaturati al potere di vigilanza e controllo, riconosciuti in capo alle Authorithies. In proposito, il Consiglio di Stato, con due importanti sentenze, le nrr. 2533 e 6770 del 2003, ha affermato che la descrizione dei poteri delle Autorità Indipendenti viene fatta dal Legislatore in modo generico ed è necessario che questa attribuzione di poteri venga valutata con elasticità e duttilità.

In argomento, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha avuto due atteggiamenti. Da un alto, si è affermato che, nel riconoscere poteri ispettivi impliciti, non si realizza alcuna deroga al principio di legalità, perché bisogna interpretare le norme in modo ampliativo e corretto. Dall’altro, si è sottolineato che il principio di legalità con riferimento alle Autorità Indipendenti ha un’intensità minore, poiché tutte queste Autorità sono state costruite mediante un programma legislativo aperto: la legge individua lo scopo, mediante un’architettura normativa teleologica, lasciando dette Autorità libere di individuare i mezzi migliori per realizzare il fine che la legge ha ad esse attribuito.

Lo stesso Consiglio di Stato ha, però, ritenuto di affermare che i poteri impliciti, come riconosciuti in capo alle Autorità indipendenti, incontrano alcuni limiti.

Il primo limite fondamentale, avente carattere generale poiché è tipico del potere amministrativo, è rappresentato dalla proporzionalità: i poteri vanno esercitati in modo proporzionale rispetto all’obiettivo da raggiungere.

L’altro limite è rappresentato dall’assenza di una previsione legislativa: si può parlare di poteri impliciti, quando la legge non sancisce poteri speciali per quelle Autorità.

Il terzo limite, che accomuna poteri impliciti e poteri regolatori, attiene all’aggravio procedimentale. A riguardo, il Consiglio di Stato afferma che queste Autorità possono esercitare poteri impliciti e regolamentari, ma solo assicurando una maggiore garanzia procedimentale, come prevista dalla legge 241/90. Più precisamente, le garanzie procedimentali di cui alla legge 241/90 devono essere rispettate anche quando la disposizione che le prevede le esclude per talune categorie di atti. Si pensi, per esempio, che l’art. 13 della l. 241/90 esclude l’applicazione delle norme sulla partecipazione nel caso di atti normativi. Tale esclusione non vale rispetto alle Autorità indipendenti, le quali devono fare partecipare i soggetti interessati alla formazione degli atti regolamentari. Inoltre, il Consiglio di Stato pretende che l’adozione di atti normativi di queste Autorità sia preceduta da consultazioni.

Pertanto, l’aumento e l’aggravio delle garanzie procedimentali rappresentano una condizione di legittimità dell’atto delle Autorità Indipendenti e il modo attraverso cui è colmata la carenza di legittimazione democratica di queste autorità.

La giurisprudenza dominante esclude poteri impliciti in capo ad autorità amministrative che non siano Autorità indipendenti, poiché il principio di legalità ha un momento di crisi solo con riferimento a esse e non anche rispetto ad altre che pure esercitino poteri di vigilanza.


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