La testimonianza del prossimo congiunto dell’imputato

La testimonianza del prossimo congiunto dell’imputato

Il tema della testimonianza del prossimo congiunto dell’imputato, disciplinata ai sensi dell’art 199 c.p.p. ha costituito per molto tempo una questione delicata nel nostro ordinamento.

Va in primo luogo ricordato che la testimonianza, ai sensi dell’art 194 c.p.p. non è altro che la dichiarazione resa in giudizio da chi ha una conoscenza, diretta o indiretta, di un fatto oggetto di prova e che non vanta alcun interesse personale nel processo penale. Considerata nel nostro sistema come un mezzo di prova, la testimonianza viene assunta con il sistema dell’esame incrociato (cross examination) e sanziona penalmente tutti coloro che violino l’obbligo di rispondere secondo verità.  

Tuttavia si è sentita l’esigenza di dover bilanciare da un lato l’interesse della Giustizia all’accertamento dei fatti e dall’altro la protezione del vincolo familiare. Per tal ragione è stato privilegiato il legame affettivo intercorrente tra la persona a conoscenza dei fatti e l’imputato, consentendo ai prossimi congiunti di quest’ultimo di astenersi dal deporre.

In un primo momento il Codice Penale aveva delineato la figura del “prossimo congiunto” limitandosi ad una categoria di familiari che comprendeva solamente gli “ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli e le sorelle, gli affini dello stesso grado, gli zii e i nipoti”. Tuttavia, in considerazione delle nuove strutture familiari che recentemente si sono formate, non si è potuto fare a meno di ampliare l’elenco tassativo dei prossimi congiunti.

Ed infatti con la piena equiparazione della convivenza more uxorio al rapporto coniugale, con il riconoscimento delle Unioni Civili di persone dello stesso sesso (con la Legge Cirinnà n. 76 del 2006) e con la piena equiparazione della figura del figlio adottato con quello naturale e legittimo, è stata estesa la facoltà di deporre anche al convivente more uxorio, al coniuge omosessuale e all’adottato, sia pur limitatamente ai fatti appresi dall’imputato o verificatisi durante la convivenza o l’unione civile.

Ma vieppiù che anche il coniuge separato, divorziato o nei cui confronti è intervenuta una sentenza di annullamento ha libera facoltà di astenersi dal deporre su fatti appresi o accaduti durante il vincolo matrimoniale. 

Tuttavia l’obbligo di rendere testimonianza permane per i prossimi congiunti che abbiano presentano denuncia, querela o istanza nei confronti dell’imputato ovvero qualora essi stessi, o i loro prossimi congiunti, siano persone offese dal reato. 

Ai fini dell’esercizio di tale diritto vi è però un preventivo obbligo da parte del Giudice di avvertire il prossimo congiunto, prima dell’esame testimoniale, della facoltà di astenersi dal deporre. Al riguardo la Cassazione ha precisato che “la violazione dell’obbligo di avvertire il prossimo congiunto dell’imputato o dell’indagato della facoltà concessa dall’art 199 c.p.p. importa nullità relativa, che ai sensi dell’art. 182 c.p.p. deve essere eccepita dalla parte che assiste all’atto, prima del compimento dello stesso” (Cass. Pen. 12 aprile 2010). 

Una questione abbastanza dibattuta sul tema ha inoltre riguardato l’applicazione o meno della causa di non punibilità, disciplinata ai sensi dell’articolo 384 comma 1 c.p.p., ai prossimi congiunti che, pur rinunciando al loro privilegio di astenersi dal testimoniare, dichiarino comunque il falso.

Orbene un recente orientamento ha escluso l’applicazione dell’esimente a colui che, pur potendo beneficiare di un diritto quale quello dell’astensione dal deporre, ha comunque deciso di rinunciarvi preferendo rivestire l’ufficio di testimone a tutti gli effetti, con conseguente obbligo di dire la verità.

Caso contrario, qualora il prossimo congiunto che ha reso dichiarazioni mendaci –  su fattispecie incriminatrici tassativamente elencate ai sensi dell’articolo 384 comma 2 c.p.p. – non è stato avvertito preventivamente del suo diritto, può invocare l’applicazione della causa di non punibilità.  


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