La testimonianza indiretta: origini, caratteristiche, curiosità
“Dei fatti da provare il testimone può avere una conoscenza diretta o indiretta”.[1] Nel primo caso egli ha percepito personalmente, tramite uno dei cinque sensi di cui è provvisto, il fatto stesso. Nella successiva ipotesi, egli è venuto a conoscenza del fatto per il tramite di una rappresentazione che gli hanno fornito a voce, per iscritto, con immagini o gestualità.
Il fenomeno della testimonianza indiretta affonda le sue radici nel passato: nel diritto romano era nota come testimonianza de auditu ed i giuristi del tempo erano restii a ritenerla ammissibile[2], nel periodo medioevale si discuteva del teste de uditu alieno[3]che si contrapponeva al teste de auditu proprio. “Un generale ingresso della testimonianza indiretta nel processo penale è derivato dall’affermazione del libero convincimento del giudice, codificato espressamente dal Décret concernant la police de sureté, la justice criminelle et l’étabilissemen tdes jurés del 1791 dell’Assemblea Costituente francese, che segnava il traguardo ideale più avanzato dell’illuminismo riformatore, nel campo della procedura penale”.[4]
Nel sistema anglosassone “si afferma che nella testimonianza indiretta il fatto da provare è stato conosciuto dal testimone “per sentito dire” (hearsay).”[5]
Il codice di procedura penale regolamenta l’istituto della testimonianza indiretta, al fine di prevenirne un uso arbitrario, oltre a confermarne testualmente l’ammissibilità, sicché il legislatore risponde ai suggerimenti della dottrina, la quale sollecitava, e tutt’oggi ancora sollecita, un intervento onde sopperire alle lacune.
Posto che la testimonianza consiste in una narrazione che qualcuno fa della propria esperienza sensoriale, in merito a specifiche circostanze, davanti al giudice e alle parti[6] potrebbe risultare ossimorica l’espressione “testimonianza indiretta”. Questo perché l’aggettivazione “indiretta” sottolinea l’esistenza di un filtro della percezione altrui e si porrebbe in contrasto con il concetto di “testimonianza, poiché la testimonianza in senso proprio sarebbe solo quella di chi ha direttamente appreso”.[7] In verità, questa osservazione si risolve in un mero equivoco. Non c’è dubbio che il testimone de relato riferisce di un fatto di cui non ha una immediata percezione sensoriale, ma di cui è venuto a conoscenza tramite altri soggetti. Ergo, a caratterizzare il momento genetico di questa tipologia di testimonianza è la trasmissione di informazioni da un soggetto ad un altro, ossia un’operazione comunicativa. Da qui si evince che anche il testimone “per sentito dire” pone in essere un’attività di percezione sensoriale, dunque la sua è una testimonianza vera e propria, dal momento che postula un actus de presentia (alla dichiarazione altrui) ed una declaratoria de scientiae (della dichiarazione altrui).[8]
Solitamente si suole impiegare come sinonimo di testimonianza indiretta la testimonianza de auditu, tuttavia quest’ultima concerne esclusivamente deposizioni in cui il teste riporta percezioni di tipo auditivo, qualunque sia il tipo di espressione verbale colta.
Al contrario, il testimone indiretto, non riporta qualsiasi atto linguistico appreso, bensì enunciati che siano descrittivi dell’esperienza sensoriale del proprio autore. A prescindere dalla tipologia di esperienza percettiva vissuta dal testimone de relato (tattile, visiva, uditiva) “la testimonianza indiretta si connota perciò per l’attitudine a veicolare all’interno del giudizio dichiarazioni extraprocessuali anch’esse di natura testimoniale”.[9] Nel senso che “la testimonianza de relato è sostanzialmente la testimonianza processuale di una testimonianza che, pur essendosi esaurita dell’ambito extraprocessuale, finisce per incunearsi nel processo attraverso una sorta di nuntiatio”.[10]
In definitiva, il fatto che la deposizione testimoniale abbia ad oggetto dichiarazione extra dibattimentali di natura testimoniale è condizione necessaria ma non sufficiente per la configurazione della testimonianza de relato.
Proprio in quanto questa tipologia di testimonianza si risolve in una conoscenza “di seconda mano” (oggetto di prova è la testimonianza stessa della persona protagonista di un’esperienza diretta) i sistemi probatori di qualsiasi epoca storica hanno assunto un atteggiamento pressoché diffidente nei riguardi della stessa. Difatti, la testimonianza in sé, come già anticipato, essendo il risultato di intensa attività neuro-psichica (“l’essere umano non è un “videoregistratore ad alta fedeltà degli eventi”[11]) è difficilmente obiettiva, a fortiori presenta dei problemi gnoseologici ed una debolezza epistemica la testimonianza indiretta, che si “serve” del patrimonio conoscitivo altrui. In queste circostanze, il rischio che il teste possa inconsciamente auto-ingannarsi è elevato: una volta immessa nel flusso comunicazionale, la notizia subisce delle deformazioni. Secondo gli studi psicologici del campo, la distorsione del contenuto informativo è conseguenza della tendenza a memorizzare meglio le affermazioni piuttosto che le qualificazioni dell’informazione, a mantenere solo i dettagli consoni alle aspettative del soggetto ricevente… le dinamiche che si azionano sono molteplici.
Nonostante queste problematiche “deve essere escluso che il legislatore abbia valutato la testimonianza indiretta come del tutto incapace di fornire conoscenza”.[12]
“Se il legislatore avesse considerato la testimonianza indiretta come inidonea a fornire qualsivoglia forma di conoscenza si sarebbe servito di una regola diversa: avrebbe sempre condizionato l’uso della prova di secondo grado all’avvenuta escussione del teste di primo grado”.[15]
Quid iuris in ipotesi di contrasto tra dichiarazioni del teste di riferimento e quelle del teste de relato?[17]
All’esito della valutazione delle due deposizioni, il giudice potrebbe ritenere maggiormente attendibile la testimonianza indiretta, in luogo di quella diretta, se supportata da ulteriore ed adeguato materiale probatorio.
[1] P. Tonini, Manuale di procedura penale, ventesima edizione, Giuffrè, 2019, cit. p. 289.
[2] Orientamento riscontrabile nell’ambito del processo penale romano nel periodo di Cicerone, secondo cui on sono ammesse dichiarazioni dei testes de auditione, che riferiscono affermazioni udite da terzi circa i fatti oggetto del giudizio. A riguardo, E. Costa, Cicerone giureconsulto, Vol. II, Zanichelli, Bologna, 1927, p. 146).
[3] La distinzione effettuata da Baldo è ripresa da Prospero Farinacci.
[4] A. Balsamo, A. Lo Piparo, La prova “per sentito dire”: la testimonianza indiretta tra teoria e prassi applicativa, Giuffrè, 2004, cit., p.91.
[5] P. Tonini, Manuale di procedura penale, ventesima edizione, Giuffrè, 2019, cit. p. 290.
[6] F. Cordero, Ideologie del processo penale, Milano, 1966, p. 227.
[7]AA.VV., Digesto delle discipline penalistiche, Aggiornamento 3°, 2005, voce “Testimonianza Indiretta”, cit., p. 1675.
[8] E. Dosi, La prova testimoniale, struttura e funzione, Milano, 1974, p. 114.
[9]AA.VV., Digesto delle discipline penalistiche, Aggiornamento 3°, 2005, voce “Testimonianza Indiretta”, cit., p. 1676.
[10] E. Dosi, La prova testimoniale, struttura e funzione, Milano, 1974, cit., p. 115.
[11] AA.VV., Digesto delle discipline penalistiche, Aggiornamento 3°, 2005, voce “Testimonianza Indiretta”, cit., p. 1677.
[12] R. Aprati, Prove contraddittorie e testimonianza indiretta, Padova, CEDAM, 2007, cit., p. 57.
[13] L. Fadalti, La testimonianza nel giudizio penale, (Teoria e pratica del diritto. Sez. III, Diritto e procedura penale, 165) Milano, Giuffrè, 2008, p. 114 e 115.
[14]Cass., sez., VI, 24 ottobre 2003, n. 46795.
[15] L. Fadalti, La testimonianza nel giudizio penale, (Teoria e pratica del diritto. Sez. III, Diritto e procedura penale, 165) Milano, Giuffrè, 2008, cit., p. 58.
[16] P. Tonini, Manuale di procedura penale, ventesima edizione, Giuffrè, 2019, p. 293.
[17]P. Ferrua, Anamorfosi del processo accusatorio, in Studi del processo penale, II, Torino, 1992, p. 99.
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Alessia Aversa
Scopre presto la sua passione per la scrittura, così la coltiva iscrivendosi al Liceo Classico.
Durante gli studi liceali, viene selezionata per effettuare due brevi programmi operativi nel Regno Unito, tra cui stage lavorativo presso un ufficio di consulenza d'affari.
Consegue la maturità classica con il massimo dei voti, elaborando la Tesi: "La parola come strumento di accesso relativistico alla realtà" e dimostrando già un’attenzione particolare per le potenzialità performative delle parole.
Frequenta la Facoltà di Legge dell'Università degli Studi di Bari "Aldo Moro" e sostiene esami extra-curriculari in psicologia sociale e filosofia morale.
Consegue la Laurea in Giurisprudenza Magistrale cum laude e menzione alla carriera accademica, discutendo la Tesi in Diritto Processuale Penale: "La manipolazione della memoria del testimone".
In quest'ultima confluiscono non solo studi giuridici relativi all'istituto della testimonianza ed alla cross-examination, ma anche studi -da autodidatta- di psicologia della testimonianza, scienza della memoria e neuroscienze.
Anche in materia testimoniale, sottolinea la rilevanza delle potenzialità delle parole, in quanto tese alla ricostruzione della verità processuale.
Iscritta al Registro Praticanti Avvocati dell'Ordine di Bari, svolge la pratica forense presso uno Studio Legale che opera in ambito civile e penale, fornendo anche consulenza a società.E' selezionata come tirocinante per l'ufficio legale e contenzioso di ARPA Puglia, dove attualmente svolge un'attività intensa e proficua.
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