La tutela cautelare d’urgenza nel procedimento assembleare: il difficile coordinamento con l’art. 2378 c.c.

La tutela cautelare d’urgenza nel procedimento assembleare: il difficile coordinamento con l’art. 2378 c.c.

Il provvedimento cautelare d’urgenza previsto dall’art. 700 c.p.c., in quanto “norma di chiusura” della materia cautelare, si configura come un rimedio a carattere meramente residuale, azionabile solo ove non sussistano strumenti ad hoc. In ambito societario, copiosa giurisprudenza ne testimonia l’impiego per la protezione di interessi tra loro differenziati, comunque non tutelabili attraverso strumenti cautelari tipici[1].

In virtù di tale principio, problemi particolari si pongono con riguardo al coordinamento del citato rimedio con quello previsto dall’art. 2378 c.c., in tema di impugnazione delle delibere assembleari. La norma consente di richiedere, contestualmente all’impugnazione della delibera (seppur con separato ricorso), la sospensione della relativa esecuzione. Come appare evidente dalla formulazione della norma, il provvedimento cautelare previsto dall’art. 2378 si riferisce strettamente all’anticipazione degli effetti della sentenza di merito e, dunque, dell’eventuale annullamento (o declaratoria di nullità) della delibera impugnata. L’applicabilità dell’art. 700 deve, pertanto, intendersi tassativamente preclusa ove sia volta ad ottenere, quale petitum, un provvedimento che cauteli il diritto soggettivo già leso dalla delibera invalida, anticipando gli effetti della sentenza di merito (e, dunque, ove presupponga l’avvenuta deliberazione)[2].

Ferma la necessaria presenza dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora[3], va, invece, indagata la possibilità di impiego dello strumento cautelare atipico prima che avvenga la deliberazione, con riguardo agli atti ad essa preliminari[4]. Secondo un primo orientamento, ammettere una simile soluzione sarebbe possibile solo ritenendo, coerentemente al principio di residualità, che l’intervento su fasi ed atti prodromici si fondi su un interesse non corrispondente al diritto leso dalla futura delibera, da cui risulterebbe, altrimenti, assorbito, anche in termini di tutela. A tal fine, essi dovrebbero essere dotati di una propria portata lesiva, autonoma rispetto all’eventuale lesione cagionabile dalla delibera ai diritti dell’azionista[5], cosicché l’interesse procedimentale leso, verrebbe considerato anch’esso un diritto soggettivo. Tale ricostruzione è ben delineata da una giurisprudenza particolarmente rappresentativa del Tribunale di Milano, che ha ammesso la tutela cautelare ex art. 700 per ordinare al presidente dell’assemblea di ammettere al voto alcune azioni (il cui voto era oggetto di delega)[6].

Oltre all’esercizio del voto, gli esempi possono essere i più vari: si pensi alla convocazione dell’assemblea. Essa è stata, per lo più, intesa dalla giurisprudenza come un mero elemento prodromico del procedimento, la cui portata lesiva confluisce in altri provvedimenti o fasi (da un lato, nella deliberazione dell’assemblea adottata a seguito della convocazione, e, dall’altro, ove convocata dall’organo amministrativo, nella delibera di quest’ultimo che ne dispone la convocazione, impugnabile sempre ai sensi dell’art. 2378)[7], con decisioni che indirettamente confermavano l’inconsistenza del rimedio atipico, al quale va, comunque, sempre preferito quello tipico. Proprio in tema di convocazione, tuttavia, si rileva anche un recentissimo decreto del Tribunale di Milano, relativo alla complessa vicenda della trasformazione della Banca Popolare di Sondrio in s.p.a., il quale, conformemente all’orientamento sopra esposto, ha accolto il ricorso ex art. 700 di un socio, disponendo, con provvedimento inaudita altera parte, la sospensione della convocazione dell’assemblea (limitatamente ad alcuni punti all’ordine del giorno)[8].

La difficoltà concreta di tale ricostruzione è, tuttavia, proprio l’individuazione di una possibile lesione del diritto soggettivo del socio che non sia in alcun modo riconducibile, ex post, alla lesione cagionabile dalla delibera. Di tale provvedimento non dovrebbe, in altri termini, essere possibile la censura, mediante l’impugnazione della delibera stessa, dal cui vizio, in quanto atto conclusivo del procedimento assembleare, risulterebbe anch’essa inficiata.

Tale difficoltà è giustificata da un dato teorico fondamentale: gli interessi meramente procedimentali (ad es. all’esercizio del voto) non possono assurgere a diritti soggettivi, autonomamente rilevanti e tutelabili in sede giudiziale, in quanto privi di una portata esterna al procedimento assembleare, ma restano meramente tesi a perfezionarne l’iter. Solo l’adozione di una delibera invalida, quale momento di perfezionamento di tale iter (seppur viziato), è in grado di produrre effetti lesivi nei confronti dei soci, vincolando anche gli assenti ed i dissenzienti[9].

Un diverso e secondo orientamento, sostiene, invece, coincidenti l’interesse tutelabile ex ante (anche attraverso il provvedimento d’urgenza) e quello tutelabile ex post (mediante la normale impugnazione della delibera). La tutela ex ante sarebbe finalizzata, pertanto, ad evitare che il diritto del socio venga leso con l’adottanda delibera[10]. La tutela di cui all’art. 2378, pur nella sua natura ex post, è pensata, tuttavia, come strumento di cautela unico ed omnicomprensivo. Tale orientamento, pare, pertanto, ancor meno convincente del primo, in quanto incompatibile con la necessaria residualità dello strumento atipico.

L’inquadramento teorico e la linea di confine tra le varie fattispecie risultano, pertanto, tuttora fumosi: alla luce di quanto si è detto, potrebbe ritenersi, infatti, che la tutela ex art. 2378 non necessiti, in realtà, di ulteriori integrazioni. In tal caso, l’eventuale provvedimento si configurerebbe non come cautelare, bensì, parallelamente a quanto avviene nell’ambito della volontaria giurisdizione, meramente tutorio: come forma di prevenzione dell’illegalità[11]. Al contrario, volendosi ugualmente ammettere l’esistenza di uno spazio residuo rispetto all’art. 2378, ai fini del ricorso ad una tutela ex ante nella forma del provvedimento ex art. 700 c.p.c., sarebbe necessaria, piuttosto, un’analisi empirica, finalizzata a valutare caso per caso se sia concretamente individuabile un interesse autonomo in nessun modo tutelabile ex post attraverso l’impugnazione (e la sospensione dell’esecuzione) della delibera, spingendo l’interprete su un terreno particolarmente rischioso ed incerto.

Il richiamo ai citati decreti del Tribunale di Milano suggerisce, peraltro, l’analisi di un ulteriore snodo della problematica. Ci si chiede, segnatamente, se il provvedimento cautelare in parola, strumentale ed anticipatorio, richieda necessariamente la successiva proposizione della domanda di merito (e, dunque, se i suoi effetti siano destinati a caducarsi in caso di mancata presentazione della relativa domanda).

Se detta strumentalità è evidente nel caso dell’art. 2378, che, dopo la Riforma del 2003, ha risolto le incertezze sul punto, richiedendo contestualmente la presentazione della citazione e del ricorso, ed imponendo, dunque, di ritenere il cautelare inscindibilmente legato alla proposizione di una domanda di merito; per i provvedimenti ex art. 700, in assenza di altre previsioni, potrebbe eventualmente presumersi che resti ferma l’applicabilità dell’art. 669-octies, sesto comma c.p.c.[12].

In coerenza con quanto si è sin ora detto, volendosi ammettere la configurabilità di una tutela atipica ante causam, dovrebbe ritenersi astrattamente individuabile un interesse a proporre la domanda nel merito, distinto da quello fondante l’impugnazione della delibera, senza tuttavia che il ricorrente debba ritenersi obbligato a procedervi. Riprendendo il citato esempio giurisprudenziale, il giudizio di merito avrebbe dovuto avere ad oggetto l’accertamento del diritto di voto[13]. A ben vedere, tuttavia, il socio, dopo l’accoglimento della delibera, ha perso l’interesse a proseguire con un’azione di merito, avendo già avuto piena soddisfazione del suo interesse, esercitando il voto in assemblea. Sarà eventualmente la controparte a valutare l’opportunità di impugnare la delibera così adottata.

Viene pertanto meno la natura stessa dello strumento, trovando piuttosto conferma l’inconsistenza dell’ammissione di una tutela ante causam con finalità, appunto, anticipatorie.

In conclusione, va precisato che profilo ben distinto da quanto sin ora trattato è quello relativo agli atti posti in essere in conseguenza della delibera, ai quali è senz’altro applicabile la cautela in parola (come avviene, ad esempio, per la sottoscrizione di un aumento di capitale[14]), ove il fumus prospettato dall’attore non attenga a vizi della delibera stessa, in sé, valida ed efficace. Il principio applicabile resta, dunque, il medesimo.


[1] Ad esempio, il diritto di consultare ed estrarre copia dei libri sociali e di documenti relativi all’amministrazione della società (Trib. Milano, Sez. Specializzata in materia di imprese, Ordinanza, 8 ottobre 2015, in Società, 2016, 6, 701, con nota di Bonavera; Trib. Milano, Sez. Specializzata in materia di imprese, Ord., 28 ottobre 2016).

[2] In giurisprudenza, Trib. Napoli, 4 agosto 2010, in Il Caso.it, che, riaffermando l’applicabilità della tutela cautelare tipica, esclude che possa essere proposto ricorso ex art. 700 quale rimedio azionabile da parte di soggetti non legittimati ai sensi dello stesso art. 2378; Trib. Padova, Ord., 10 gennaio 2012, in Società, 2012, 3, 337; da ultimo Trib. Roma, Sez. specializzata in materia di impresa, 3 agosto 2016.

È fatta salva, eventualmente, la controversa questione inerente la cd. delibera negativa (delibera, cioè, di non approvazione di una specifica proposta, che determina la persistenza dello status quo ante) la quale, pertanto, non sarebbe suscettibile di esecuzione. L’adozione di una delibera genera, infatti, di regola, l’obbligo per gli amministratori di porre in essere tutti i provvedimenti necessari alla sua attuazione. Tali motivi hanno posto dubbi circa l’opportunità di escludere l’applicabilità del rimedio ex art. 2378 a tale fattispecie, che espressamente si riferisce alla sospensione dell’esecuzione della delibera. In giurisprudenza, è stata sostenuta una posizione favorevole all’esclusione, ammettendosi, d’altra parte, la possibilità di sopperire all’inapplicabilità dello strumento tipico (art. 2378), con quello residuale ex art. 700 (Trib. Milano, Sez. Specializzata in materia d’imprese, Ord., 28 novembre 2014, in Giur. It., con nota di Monteverde, ed in Società, 2015, 6, 690, con nota di Di Bitonto, Gaboardi).

[3] Tali requisiti, ai fini del ricorso ex art. 700, sono diversamente declinati, essendo richiesta la prova di un “pregiudizio imminente ed irreparabile”.

[4] In dottrina si segnala Cavalli G., Assemblea e amministratori, in Nuova Giurisprudenza civile e commerciale, Bigiavi W., UTET, Milano, 2013. Prima della Riforma del 2003, la giurisprudenza prevalente la escludeva la tutela atipica ante causam: Trib. Roma, Ord., 12 marzo 2001, in Foro It. 2001, I, 1371 e in Società, 2001, 9, 1093; Trib. Cassino, 1 dicembre 2000, in Società 2001, 167, con nota di Collia. Di contrario avviso Trib. Monza, 17 aprile 2000, in Giur. Mil. 2000, 378.

[5] Libertini M., Mirone A., Sanfilippo P.M., L’assemblea di società per azioni, Artt. 2363-2379-ter, Giuffrè Editore, Milano, 2016. In giurisprudenza, Trib. Trieste, Sent., 8 giugno 2011, in Società, 2011, 8, 953, con nota di Roberti, che esclude la capacità lesiva della presentazione di liste irregolari di candidati per l’elezione di membri degli organi amministrativo e di controllo.

[6] Trib. Milano, Decr., 16 luglio 2012, in Società, 2013, 6, 707, con nota di Serafini.

[7] Trib. Bologna, Decr., 25 febbraio 2005; Trib. Santa Maria Capua Vetere, Ord., 16 marzo 2004; Trib. Modena 27 novembre 2003.

[8] Trib. Milano, Decr. 16 dicembre 2016.

[9] Serafini S., Nota al Decreto del Tribunale di Milano, 16 luglio 2012, in Società, 2013, 6, 707, ove ampi richiami in dottrina.

[10] Trib. Mantova, 20 dicembre 2007, in Il Caso.it, il quale ammette, nel caso di specie, relativo alla convocazione dell’assemblea, l’impiego della misura ex art. 700 era finalizzata ad evitare l’adozione di una delibera invalida potenzialmente produttiva di effetti la cui sospensione ex art. 2378 non sarebbe in grado di ovviare integralmente. Sul punto cfr. Villata S.A., Note sui provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2014, 601, ove ampi richiami di dottrina.

[11] Visentini G., L’assemblea, Dike, in corso di pubblicazione.

[12] Sul punto, cfr. Cavalli G., Assemblea e amministratori, cit. In giurisprudenza, Trib. Milano, 22 aprile 2011, in Giur. It., 2012, 100.

[13] Trib. Milano, Decr., 16 luglio 2012, cit.

[14] Trib. Bari, 19 ottobre 2010, in Società, 2011, 1, 10, con nota di Salafia.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Articoli inerenti