La tutela cautelare nel processo amministrativo con particolare riguardo al limite della non irreversibilità e interinalità

La tutela cautelare nel processo amministrativo con particolare riguardo al limite della non irreversibilità e interinalità

Sommario: 1. Premesse generali – 2. Evoluzione storica – 3. La configurazione delle misure cautelari nella disciplina codicistica generale alla luce dei principi di interinalità e di non irreversibilità – 3.1. Le misure cautelari collegiali – 3.2. Le misure cautelari monocratiche – 3.3. Le misure cautelari anteriori alla causa –  3.4. La definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata – 3.5. L’irreversibilità della tutela cautelare e l’istituto della cauzione – 4. Conclusioni

 

 

Abstract

Il presente lavoro si pone l’obiettivo di indagare l’evoluzione della tutela cautelare nel nostro ordinamento, con particolare riguardo alle modulazioni in punto di interinalità e di non irreversibilità della stessa, allo scopo ultimo di determinare se l’impianto generale dell’attuale disciplina codicistica ha comportato una valorizzazione o un temperamento di tali principi.

1. Premesse generali

La tutela cautelare trova copertura negli artt. 24 e 111 della Costituzione, nei principi generali del diritto comunitario (di effettività della tutela giurisdizionale e dell’effetto utile delle disposizioni comunitarie) e, infine, negli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Per quanto riguarda la ratio della stessa, essa consiste nella necessità di evitare che la fisiologica durata del processo – connaturata all’esigenza di attuare i principi del contraddittorio tra le parti e dell’adeguata istruttoria – possa cagionare un danno a chi abbia subito un’illegittima lesione della propria sfera giuridica soggettiva.

Carattere pregnante del provvedimento amministrativo, infatti, è quello dell’esecutorietà, in virtù del quale quest’ultimo, poiché finalizzato alla tutela del pubblico interesse, fin dal momento in cui diviene efficace ed a prescindere dalla sua legittimità o meno, può essere posto in esecuzione.

Sulla base di tali premesse, risulta evidente l’essenzialità dello strumento cautelare, volto ad ottenere, in tempi celeri, una misura giudiziale che impedisca l’esecuzione del provvedimento impugnato, in attesa della definizione del giudizio di merito.

Il procedimento cautelare, dunque, costituisce la sede del delicato bilanciamento tra esigenze di effettività della tutela, intesa come rapidità della decisione, e pienezza della stessa, intesa quale rispetto del contraddittorio tra le parti.

2. Evoluzione storica

La disciplina in materia di giudizio cautelare previgente al Codice Amministrativo era estremamente frammentaria.

Il quadro di riferimento, infatti, era costituito da una pluralità di fonti, ravvisabili in diversi interventi legislativi succedutisi negli anni, nonché nei fondamentali principi enucleati dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale[1].

In particolare, la più risalente fonte dedicata al processo cautelare amministrativo fu l’art. 12 della legge 31 marzo 1889 n. 5992[2], per il quale la proposizione del ricorso aveva effetto sospensivo del provvedimento impugnato solo per “gravi ragioni”.

Successivamente, l’art. 39 del R.D. 26 giugno 1924 n. 1054 (Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato) ha confermato la possibilità, per il ricorrente, di chiedere la sospensione del provvedimento impugnato solo “per gravi ragioni, con decreto motivato dalla sezione sopra istanza del ricorrente”.

La legge 7 dicembre 1971 n. 1034 (istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali), all’art. 21, c. 7, ha previsto la facoltà per il soggetto che “abbia proposto ricorso giurisdizionale” di chiedere al giudice la sospensione dell’atto impugnato.

Le fonti normative riportate, dunque, delineavano una disciplina dell’istituto connotata dalle seguenti peculiarità:

a) la tutela cautelare si esauriva in un rimedio tipico e, segnatamente, nella sospensione del provvedimento impugnato con il ricorso giurisdizionale, non essendo consentito al giudice amministrativo adottare provvedimenti cautelari di contenuto diverso;

b) tale sospensione non costituiva un effetto automatico della proposizione del ricorso giurisdizionale, in quanto si riteneva pregiudizievole per l’interesse pubblico che l’esecuzione degli atti amministrativi potesse essere paralizzata da eventuali impugnazioni pretestuose ed aventi mero scopo dilatorio;

c) non si prevede una tutela cautelare ante causam, vale a dire antecedente alla proposizione del ricorso giurisdizionale[3].

Il giudizio cautelare, dunque, offriva tutela esclusivamente nel caso in cui fosse impugnato un atto a contenuto positivo, ossia idoneo ad incidere direttamente su un bene della vita già acquisito al patrimonio del ricorrente, paralizzandone gli effetti, in modo da pervenire alla definizione del giudizio senza che tale bene fosse compromesso in modo irreparabile.

La formulazione letterale dell’art. 21 della legge n. 1034/1971, infatti, contemplava esclusivamente la sospensione del provvedimento impugnato, in un’ottica conservativa in linea con il carattere demolitorio allora attribuito al processo amministrativo, senza alcun riferimento ad altri tipi di misura cautelare[4].

Lo strumento della “sospensiva”, tuttavia, non poteva essere utilizzato rispetto ad un vasto settore dell’attività amministrativa, rappresentato dai cc.dd. provvedimenti a contenuto negativo (diniego di concessione, diniego di autorizzazione, diniego di ammissione a gara o concorso, ecc.)[5][6].

Era pertanto evidente l’insufficienza del modello cautelare originario ad offrire una tutela piena ed effettiva del ricorrente. Pertanto, recependo l’orientamento sempre più consolidato del Consiglio di Stato[7] e della stessa Corte Costituzionale[8], nonché grazie alle spinte provenienti dall’ordinamento comunitario[9], a partire dall’ultimo decennio dello scorso secolo, la giurisprudenza amministrativa ha attribuito alle misure cautelari una funzione non più limitata alla sola sospensione dell’atto impugnato, ma altresì impositiva, attraverso le c.d. ordinanze propulsive[10], dell’obbligo per l’Amministrazione di riesaminare il provvedimento amministrativo, tenendo conto dei criteri adottati dal giudice amministrativo nella motivazione dell’ordinanza (c.d. remand)[11].

In tal modo, dunque, per via giurisprudenziale, iniziava a delinearsi una tutela cautelare atipica.

Il principio di atipicità delle misure cautelari è poi stato definitivamente codificato con l’adozione della L. n. 205 del 2000, di riforma della giustizia amministrativa.

Tale legge, in particolare, all’art. 3, modificativo dell’art. 21, c. 7, L. n. 1034 del 1971, ha espressamente introdotto la previsione di misure atipiche, idonee ad “assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso”, così superando la concezione della tutela cautelare incentrata sulla sospensione dell’atto impugnato e riconoscendo dignità normativa alle misure cautelari di contenuto positivo[12].

Proprio grazie alla sua natura atipica, il ricorrente poteva ottenere mediante lo strumento cautelare utilità che non avrebbe potuto ottenere all’esito del giudizio di merito, ancora ancorato ad una concezione impugnatoria e tipica (vd. p. 3, sub nota 4)[13].

La medesima norma, inoltre, ha introdotto nel processo amministrativo la possibilità di subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare richiesta dal ricorrente alla prestazione di una cauzione “nel caso in cui dall’esecuzione del provvedimento cautelare derivino effetti irreversibili”.

Essa, dunque, si fondava sull’assunto che dalla misura cautelare potessero derivare effetti irreversibili, che mirava a temperare mediante l’imponibilità della cauzione.

In virtù di tali caratteristiche, la tutela cautelare disegnata dalla L. n. 205 del 2000 veniva in considerazione, nella sostanza, quale misura affatto interinale e strumentale al giudizio di merito, essendo essa stessa suscettibile di cristallizzare – anche in modo irreversibile – un nuovo assetto di interessi, rendendo finanche superata la necessità di una decisione sul merito della domanda[14].

Attraverso l’introduzione del giudizio cautelare atipico, dunque, il fulcro della tutela era traslato dal provvedimento da sospendere alla sentenza da emanare[15].

A tal riguardo, rilevante è il ruolo assunto dalle misure sostitutive: si pensi, in particolare, a quelle adottate nei giudizi sul silenzio[16], in cui il potere cautelare atipico può finanche sostituire il potere amministrativo laddove ammesso (es. attività a contenuto vincolato o a bassa discrezionalità).

Alla luce dell’assetto normativo e giurisprudenziale delineatosi prima dell’entrata in vigore del Codice Amministrativo, dunque, si è parlato di «rivoluzione» della funzione dello strumento cautelare, da mezzo solo conservativo dello status quo a mezzo con cui viene conseguita la tutela[17][18].

Dall’esposto quadro di riferimento emerge che, tra i profili più delicati che necessitavano di un intervento chiarificatore del Legislatore vi era, in particolare, la natura della tutale cautelare e, segnatamente, il carattere interinale e strumentale della stessa rispetto al giudizio di merito.

3. La configurazione delle misure cautelari nella disciplina codicistica generale alla luce dei principi di interinalità e di non irreversibilità

L’asimmetria tra cautela e merito nella giurisdizione amministrativa è stata definitivamente superata con l’adozione del D.lgs. n. 104 del 2010 (“Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo”).

Con specifico riguardo all’istituto cautelare, in attuazione del superiore principio di effettività della tutela[19], il Legislatore ha operato una risistemazione organica, riconducendo ad unità la disciplina frammentaria previgente e riconoscendo allo stesso un ruolo cruciale all’interno del processo amministrativo, nonché valorizzando nettamente l’interinalità della decisione cautelare[20].

Il c.p.a., infatti, conferma l’atipicità delle misure cautelari introdotta con L. n. 205 del 2000 e dedica a queste ultime numerose disposizioni[21].

Segnatamente, il fulcro della disciplina è contenuto nel Titolo II del Libro II (artt. 55-62), ma ulteriori norme, altrettanto rilevanti, sono ravvisabili in altre parti del Codice [22].

Con specifico riferimento alle disposizioni dettate dagli artt. 55-62, il codice individua tre tipi di provvedimento cautelare[23], ossia: l’ordinanza cautelare collegiale (art. 55 c.p.a.), il decreto monocratico in corso di causa (art. 56 c.p.a.) e il decreto monocratico anteriore alla causa (art. 61 c.p.a.) [24].

In ognuno di tali procedimenti è ravvisabile la tendenza legislativa, in direzione opposta a quella dell’autonomia della cautela affermatasi nel vigore della disciplina previgente, ad enfatizzare il carattere provvisorio e strumentale della decisione cautelare, confermando appieno la proiezione verso la definizione con sentenza del giudizio ed il conseguente assorbimento della fase cautelare.

3.1. Le misure cautelari collegiali

L’articolo 55 c.p.a., che disciplina il procedimento cautelare “ordinario”, collegiale, conferma il carattere atipico dei relativi provvedimenti, potendo il ricorrente richiedere, con il ricorso di merito o con distinto ricorso notificato alle altre parti, “l’emanazione di misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma in via provvisoria, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso”.

Dal tenore testuale della norma, si evince altresì che il Legislatore chiarisce da subito il carattere interinale attribuito alla tutela cautelare, definito dai successivi commi della medesima disposizione.

Sempre il co. 1, inoltre, individua il presupposto imprescindibile del periculum in mora che deve necessariamente ricorrere, congiuntamente al fumus boni iuris di cui al c. 9, per l’accoglimento dell’istanza[25].

Con riguardo al primo requisito, in particolare, è onere del ricorrente allegare “di subire un pregiudizio grave ed irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione sul ricorso”.

Anche sotto tale profilo, emerge la chiara interinalità della misura cautelare, cui è attribuita una funzione solo provvisoria e strumentale rispetto alla decisione sul merito.

Per quanto riguarda, invece, il secondo requisito, il co. 9 demanda specificamente all’ordinanza cautelare di motivare «in ordine alla valutazione del pregiudizio allegato» e di indicare i profili che «ad un sommario esame, inducono ad una ragionevole previsione sull’esito del ricorso».

La norma, dunque, anche con riguardo al fumus boni iuris, valorizza la strumentalità della misura cautelare rispetto al merito, in quanto non si limita a prescrivere un mero accertamento sulla non manifesta infondatezza della pretesa[26], ma richiede una valutazione, sebbene sommaria, circa l’ammissibilità e la fondatezza dello stesso ricorso.

Oltre che in relazione ai presupposti di legge, l’art. 55 esalta il rapporto accessorio tra cautela e merito in ulteriori passaggi.

Il co. 4, in particolare, stabilisce che la presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza di merito è condizione di procedibilità della decisione sull’istanza cautelare[27].

Il co. 10, inoltre, prevede la possibilità che il Collegio, in sede di esame della domanda cautelare, qualora ritenga “che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio di merito”, anziché accordare la misura cautelare, provveda direttamente con la fissazione della data di discussione del ricorso nel merito.

Ed ancora, il co. 11 sancisce che, quando l’ordinanza dispone una misura cautelare, fissa anche la data di discussione del ricorso nel merito. Lo stesso è previsto per il caso in cui l’accoglimento sia stato disposto in appello.

Dunque, la pronuncia di un’ordinanza di accoglimento implica una necessaria accelerazione del giudizio verso la definizione nel merito.

Ciò, da un lato, evidenzia l’effetto provvisorio della cautela, e, dall’altro lato, disincentiva l’anticipazione per via cautelare delle utilità che solo dalla sentenza possono provenire.

Ai sensi del co. 12, inoltre, in sede di esame della domanda cautelare, “il collegio adotta, su istanza di parte i provvedimenti che necessari per assicurare la completezza dell’istruttoria e l’integrità del contraddittorio”.

In tal senso, dunque, al giudizio cautelare è attribuita una funzione garantista del corretto svolgimento del successivo giudizio merito, potendo costituire l’occasione di esaminare le istanze istruttorie e ordinare l’integrazione del contraddittorio.

Sempre con riguardo alla necessaria connessione tra provvedimenti cautelari e decisione del merito del ricorso, ed in linea con il nuovo regime di inderogabilità della competenza[28], il co. 13 stabilisce che il TAR adito possa concedere misure cautelari solo qualora ritenga sussistente la propria competenza, dovendo in caso contrario promuovere d’ufficio il relativo regolamento, indicando il diverso Tribunale ritenuto competente.

3.2. Le misure cautelari monocratiche

L’art. 56 c.p.a., nel tentativo di conciliare garanzia del contraddittorio (presupponendo la notifica e il deposito del ricorso) ed esigenze di celerità, prevede, al co. 1, che “Prima della trattazione della domanda cautelare da parte del collegio, in caso di estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio, il ricorrente può, con la domanda cautelare o con distinto ricorso notificato alle controparti, chiedere al presidente del tribunale amministrativo regionale, o della sezione cui il ricorso è assegnato, di disporre misure cautelari provvisorie.”[29] Il periculum è legato dalla norma, quindi, all’impossibilità di attendere la camera di consiglio ex art. 55 c.p.a.[30]

Da un punto di vista strutturale, dunque, il giudizio cautelare presidenziale è strumentale tanto rispetto all’adozione della misura collegiale, quanto alla decisione di merito ed è, pertanto, caratterizzato da una c.d. “doppia strumentalità”[31].

Rispetto alla prima, infatti, il co. 4, nel prevedere che le misure cautelari provvisorie sono concesse con decreto motivato non impugnabile, stabilisce che lo stesso deve necessariamente fissare la data della camera di consiglio nei termini di cui all’art. 55 c.p.a.

Ferma restando la loro revocabilità o modificabilità su istanza delle parti resistenti o controinteressate, l’efficacia di tali misure è, infatti, rigidamente circoscritta nel tempo e viene comunque a cessare se il collegio non provvede in camera di consiglio sulla domanda cautelare[32].

Con riguardo alla seconda, invece, emblematica è la previsione che, anche in questo caso, la presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza di merito sia condizione di procedibilità della domanda cautelare.

Così come per le misure collegiali, invero, l’introduzione di una previsione apposita, volta a instaurare un raccordo necessario tra l’istanza cautelare e la fase di decisione nel merito, mira a scongiurare l’eventualità che il giudizio si estingua per perenzione una volta che sia stata presentata l’istanza cautelare, nonché, soprattutto, che l’assetto degli interessi definito in sede cautelare assuma un indebito carattere di stabilità.

3.3. Le misure cautelari anteriori alla causa

L’art. 61 c.p.a., come anticipato (vd. p. 9, sub nota 24), generalizza l’istituto delle misure cautelari anteriori alla causa, disponendo che in caso di eccezionale gravità ed urgenza (quindi in una situazione di periculum rafforzato anche rispetto alle misure presidenziali in corso di causa), tale da non consentire neppure la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie con decreto presidenziale, il soggetto legittimato al ricorso può proporre istanza[33] per l’adozione, con decreto, delle misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare in corso di causa.

In vista delle esigenze di stretta correlazione tra cautela e merito che informano la disciplina codicistica, se la misura viene concessa, il provvedimento di accoglimento deve essere notificato dal richiedente alle altre parti entro il termine perentorio stabilito dal giudice, che non deve in ogni caso superare i cinque giorni, e l’efficacia della misura (che è comunque revocabile o modificabile su istanza della parte cui è stata notificata da presentarsi con le forme dell’istanza di cautela monocratica) è subordinata alla notifica del ricorso, corredato di domanda cautelare, entro quindici giorni dall’adozione delle misure ante causam e al relativo deposito nei successivi cinque giorni, unitamente all’istanza di fissazione dell’udienza di merito.

Il co. 5 specifica, inoltre, che la misura concessa anteriormente all’instaurazione della causa perde effetto con il decorso di sessanta giorni dalla sua emissione, dopo di che restano efficaci le sole misure cautelari che siano confermate o disposte in corso di causa.

È evidente, dunque, il carattere ontologicamente provvisorio di tale istituto, che conferma che le misure cautelari diverse da quella collegiale hanno esclusivamente la funzione di garantire il ricorrente per il tempo necessario ad ottenere non già la decisione sul merito, bensì, ancora prima, l’ordinanza collegiale o la misura cautelare monocratica in corso di causa.

3.4. La definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata

La funzione interinale del giudizio cautelare emerge altresì dall’art. 60 c.p.a., che stabilisce che “In sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, salvo che una delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione. […]”.

Tale norma, dunque, contempla un’ipotesi di rito speciale accelerato che si innesta sul processo cautelare con possibile decisione immediata del giudizio nel merito già in sede di esame della domanda cautelare, al ricorrere dei relativi presupposti.

La definizione della causa segue ad una cognizione non già sommaria, bensì piena ed è indice della predilezione del Legislatore per la composizione della lite nel merito, sottolineando così ancora una volta l’inidoneità del giudizio cautelare, sommario, a sostituire l’accertamento nel merito.

3.5. L’irreversibilità della tutela cautelare e l’istituto della cauzione

In contrapposizione rispetto alla valorizzazione, sinora analizzata, dell’interinalità della tutela cautelare, si pone l’eventualità che quest’ultima produca “effetti irreversibili”[34].

In tal caso, per ogni procedimento cautelare, il c.p.a. prevede che il giudice possa disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, cui subordinare la decisione sulla misura cautelare (cfr. art. 55, c. 2, art. 56, c. 3 e art. 61, c. 5, c.p.a., che limita l’istituto in discorso al caso dell’accoglimento dell’istanza).

Solo nel caso di cautela collegiale, “La concessione o il diniego della misura cautelare non può essere subordinata a cauzione quando la domanda cautelare attenga a diritti fondamentali della persona o ad altri beni di primario rilievo costituzionale.”.

A causa dei peculiari interessi in gioco nel processo amministrativo, l’istituto della cauzione ha trovato, tuttavia, scarsa applicazione pratica, soprattutto in considerazione del fatto che il pregiudizio arrecato all’interesse pubblico dalla sospensione di un provvedimento amministrativo è spesso ben più gravoso di quello garantibile con tale strumento.

Alla luce dell’impostazione sistematica del Codice, dunque, deve escludersi che il Legislatore abbia inteso attribuire alla tutela cautelare il carattere della irreversibilità.

Al contrario, gli effetti irreversibili che dovessero prodursi in seguito alla decisione cautelare devono essere intesi quale alterazione del modello cautelare astratto che il c.p.a. mira a scongiurare, nel caso in cui si verifichi, mediante l’istituto della cauzione.

Sulla scorta delle considerazioni esposte, pertanto, sembra possibile affermare che, sebbene il nostro ordinamento conosca specifiche ipotesi in cui la misura cautelare è idonea a produrre effetti irreversibili (in particolare nel caso di cui al D.l. n. 115 del 2005, convertito con L. n. 168 del 2005 già esaminato a p. 7, sub nota 18), l’irreversibilità non è suscettibile di assurgere a caratteristica qualificante di tale tutela, che costituisce, secondo la disciplina generale, un mero incidente nel giudizio principale avente natura interinale, cioè provvisoria, quindi ontologicamente inidonea a produrre effetti stabili.

4. Conclusioni

In definitiva, alla luce dell’esame dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale, è possibile affermare che il c.p.a., in discontinuità rispetto all’autonomia della cautela desumibile dalla disciplina previgente, ha correlato strettamente la tutela cautelare alla decisione di merito, di cui, in virtù dei principi di interinalità, non irreversibilità e strumentalità che la informano, assicura in via provvisoria gli effetti, successivamente assorbiti dalla sentenza definitiva.

Il giudice, dunque, può assicurare che la situazione sostanziale non venga modificata in attesa della decisione di merito e può altresì anticipare gli effetti della stessa, ma non può in alcun caso produrre, mediante il provvedimento cautelare, effetti qualitativamente diversi o quantitativamente maggiori di quelli conseguibili con la sentenza.

La conferma del carattere provvisorio e non irreversibile delle misure cautelari e della strumentalità delle stesse rispetto al giudizio principale, tuttavia, non è affatto indice di una svalutazione di tali misure.

Alla tutela cautelare, al contrario, è attribuita una funzione cruciale all’interno dell’attuale impianto normativo, in quanto unica sede suscettibile di realizzare un proficuo contemperamento tra i superiori principi di effettività della tutela e garanzia del contraddittorio tra le parti che sono a fondamento del processo amministrativo.

Proprio la possibilità, invero, che, in una fase di cognizione sommaria, al giudice sia attribuito anche un potere conformativo (come avviene con la tecnica del remand già esaminata) e che alla P.A. sia imposto l’obbligo di adeguarsi alle relative statuizioni, anche qualora ciò comporti un bilanciamento degli interessi coinvolti totalmente nuovo e diverso dall’originario, rende oltremodo imprescindibile uno stretto legame con il giudizio di merito, al fine della definitiva composizione della questione giuridica controversa e, più in generale, della garanzia di una maggiore certezza nei rapporti tra i privati cittadini e la Pubblica Amministrazione.

 

 

 


[1] Meritano di essere riportate, in particolare, le seguenti pronunce, risalenti agli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso:
– Sentenze n. 284 del 1974, n. 227 del 1975, e n. 8 del 1982, con cui la Corte costituzionale ha affermato che il procedimento cautelare è “un elemento connaturale” del sistema di tutela giurisdizionale, intimamente compenetrato con il processo di merito davanti alla giurisdizione amministrativa, nel quale maggiormente si avverte la necessità di uno strumento che consenta di anticipare, sia pure provvisoriamente, l’effetto della decisione finale, permettendo che questa intervenga re adhuc integra, in tal modo assicurando la soddisfazione dell’interesse che risulta meritevole di tutela. Da cui la esplicita esclusione della “libera disponibilità del legislatore di limitare (od eliminare) il potere strumenta-le di sospensione degli atti impugnati”.
– Ad. Plen. n. 1 del 1978, con cui il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sull’appellabilità delle ordinanze cautelari, nel rispondere positivamente, ne affermava la natura decisoria argomentando che esse risolvono, in contraddittorio tra le parti, una specifica controversia, dettano il regolamento giuridico del conflitto di pretese ed attribuiscono ai soggetti in contesa un concreto vantaggio garantito dalla legge.
Si precisa nella pronuncia che la qualifica di incidentale attribuita alle relative istanze sta ad indicare esclusivamente la necessaria incidenza delle stesse nell’ambito del giudizio d’impugnazione e sottolinea la finalità della misura cautelare, che è quella di stabilire una regolamentazione transitoria della situazione dedotta in giudizio.
– Altra pronuncia dell’Adunanza Plenaria che ha contribuito in modo rilevante alla costruzione della odierna tutela cautelare è la n. 6 del 1982 sulla esecuzione delle ordinanze di sospensione. Il Consiglio di Stato, nell’affermare l’inapplicabilità dell’articolo 27, n. 4 del testo unico del 1924 (che attribuisce alla giurisdizione di merito del Cons. Stato la materia dei ricorsi volti ad ottenere l’adempimento del giudicato) alla esecuzione delle ordinanze di sospensione, ha argomentato che il giudizio cautelare ha carattere rigorosamente unitario e non può pertanto scindersi in procedimento di cognizione e procedimento di esecuzione. Si aggiunge che il processo cautelare si compie soltanto con l’attuazione della misura cautelare, rispetto alla quale la fase di cognizione in senso stretto è riguardata come momento necessario, ma non finale, del processo.
[2] Meglio conosciuta come legge Crispi istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato.
[3] Lacuna colmata con l’art. 245 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, per il solo settore degli appalti pubblici e, in via generale, con l’art. 61 del Codice del Processo Amministrativo.
[4] In generale, tutta la struttura del giudizio amministrativo – anche, dunque, con riguardo al merito – era concepita dalla L. TAR in chiave impugnatoria e rigorosamente tipica. L’unica azione concessa, infatti, era quella tesa all’annullamento del provvedimento in relazione ai vizi riscontrati in base ad un controllo estrinseco.
[5] Sul piano della situazione soggettiva configurabile in capo al privato, gli atti a contenuto positivo corrispondono gli interessi c.d. oppositivi (o statici), che tendono alla conservazione di una situazione di vantaggio, incisa dall’atto amministrativo.
Agli atti a contenuto negativo, invece, corrispondono gli interessi pretensivi (o dinamici) dei privati, con i quali si aspira ad ottenere dall’amministrazione il provvedimento ampliativo richiesto.
[6] A tal riguardo, si osservava – in senso ostativo alla possibilità della tutela cautelare – che l’unico effetto di un atto negativo (ad esempio, il diniego di concessione) era quello di lasciare immutata la situazione giuridica del destinatario, impedendo al soggetto di acquisire il bene della vita cui egli aspirava.
L’eventuale sospensione dell’atto impugnato non avrebbe portato al ricorrente alcun effetto utile, posto che un effetto utile sarebbe potuto derivare soltanto dalla condanna della pubblica amministrazione ad emanare il provvedimento richiesto dal privato (nel caso, il rilascio della concessione richiesta).
[7] Di fondamentale importanza è la decisione n. 17 del 1982, con cui l’Adunanza Plenaria ha affermato che il giudice amministrativo può sospendere in sede cautelare provvedimenti negativi quali la non ammissione ad un esame (il caso sottoposto al Consiglio concerneva, appunto, la mancata ammissione di un candidato agli esami di maturità). In particolare, la motivazione della pronuncia rileva che “se la Corte costituzionale ha riconosciuto alla funzione di conservazione della res integra la dignità della tutela costituzionale”, e se l’interesse al ricorso “non si concentra unicamente nel risultato formale dell’annullamento dell’atto impugnato, ma include fra le sue componenti anche l’affidamento in ordine alle attività che l’amministrazione è tenuta a svolgere e dalle quali potrà derivare il soddisfacimento dell’interesse sostanziale”, la tutela cautelare deve essere ammessa anche attraverso un’ordinanza che disponga l’ammissione del candidato all’esame di maturità con riserva, “sino all’esito del ricorso e degli eventuali ulteriori provvedimenti”.
L’ordinanza di sospensione, operando sull’effetto preclusivo del provvedimento di non ammissione e consentendo quindi l’ammissione condizionata del candidato all’esame, serve ad evitare che il tempo occorrente per il processo vanifichi la tutela giurisdizionale.
In tal modo veniva ad essere finalmente superato l’orientamento che precludeva la sospensione dei provvedimenti negativi, motivato dalla presunta inidoneità di essi a produrre effetti lesivi, e dall’impossibilità di ordinare all’amministrazione un obbligo di facere, stante la natura cassatoria del giudizio amministrativo.
Una volta affermato che il processo cautelare si compie con l’attuazione della misura cautelare (n. 6 del 1982), e venuta meno la necessaria attinenza della sospensione al carattere impugnatorio del giudizio (n. 17 del 1982), il passo era breve per la successiva evoluzione rappresentata dalla decisione n. 14 del 1983, con la quale l’Adunanza Plenaria affermava che in sede cautelare il giudice amministrativo può ordinare all’Amministrazione la restituzione di quanto detenuto senza titolo (nel caso deciso si trattava della restituzione di un terreno oggetto di un provvedimento di occupazione d’urgenza sospeso dal giudice amministrativo).
[8] La Corte costituzionale, con  sentenza additiva del 28 giugno 1985, n. 190, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 21 u.c. L. 1034 del 1971 nella parte in cui, limitando l’intervento d’urgenza del giudice amministrativo alla sospensione del provvedimento impugnato, non consentiva allo stesso di adottare, nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego rientranti nella giurisdizione esclusiva, i provvedimenti d’urgenza più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito nei casi nei quali si abbia fondato motivo di ritenere che nelle more del giudizio il diritto del ricorrente sia minacciato da un grave pregiudizio.
Sebbene a seguito della contrattualizzazione del pubblico impiego (eccezione fatta per limitate categoria di personale rimaste assoggettate al regime di diritto pubblico: art. 2, 2° e 3° comma, e art. 3 D. lgs. 30 marzo 2001, n. 165) e della correlativa attribuzione del contenzioso alla giurisdizione al giudice ordinario (art. 45 D. lgs. 31 marzo 1998, n. 80), la rilevanza di tale pronuncia si sia di molto ridotta, è da tenere presente che essa ha costituito la premessa per la successiva evoluzione, intervenuta con la decisione del Consiglio di Stato di seguito citata.
Con ordinanza n. 1 del 2000, infatti, l’Adunanza Plenaria si è soffermata sulla tutela cautelare in materia di giurisdizione esclusiva. Ha affermato, in particolare, che i diritti soggettivi, anche di natura patrimoniale, possono ottenere dal giudice amministrativo tutela giurisdizionale, anche d’urgenza, potendo essere ordinata l’effettuazione di una prestazione da parte dell’amministrazione, o l’emanazione di un ordine di pagamento.
Non meno rilevanti per il riconoscimento dell’atipicità della tutela cautelare nel processo amministrativo, inoltre, sono state la sentenza della Corte Costituzionale n. 175 del 1991 e la successiva ordinanza n. 179 del 2002, in cui la Corte riporta e condivide “l’ampliamento interpretativo della sospensione dell’atto impugnato che si è verificata nel tempo […] e, progressivamente, ad opera della graduale evoluzione della giurisprudenza del Tribunale Amministrativo Regionale e del Consiglio di Stato […].”.
[9] La Corte di Giustizia, con la sentenza “Factortame” del 19 giugno 1990, n. 213, contribuì a riconoscere una tutela cautelare atipica, affermando l’obbligo per gli Stati membri di garantire una tutela effettiva anche in sede cautelare da parte dei giudici amministrativi.
[10] Il modello classico di ordinanza propulsiva è ben rappresentato da una recente pronuncia del TAR Lazio, Roma, sez. I, 8 febbraio 2010 n. 1658, ord.: “Le ordinanze cautelari possono avere un’efficacia propulsiva … consistente nell’ordine, rivolto all’amministrazione, di esercitare nuovamente una determinata potestà, onde pervenire all’adozione di un atto, emendato dai vizi riscontrati in sede di cognizione giurisdizionale”.
[11] Tramite il “remand”, dunque, il G.A. impone alla P.A. la rinnovazione del procedimento amministrativo, riesaminando il provvedimento impugnato, integrando l’istruttoria o riconsiderando alcuni profili di fatto o di diritto che appaiano suscettibili di maggiore approfondimento.
Al riguardo, esplicativa è, tra le varie, la recente pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 febbraio 2013, n. 651, secondo cui “Nel giudizio amministrativo, la circostanza per cui l’ordinanza di sospensione di un diniego sia stata adottata attraverso la c.d. tecnica del “remand”, ossia mediante la fissazione delle coordinate operative e sistematiche cui informare la concreta riedizione del potere, non consente all’Amministrazione di limitare la propria attività conformativa alla mera rimozione del provvedimento negativo oggetto di impugnativa, altrimenti venendo meno il “continuum” funzionale (anche in chiave procedimentale) che necessariamente deve intercorrere fra il “jussum” giudiziale (quand’anche impartito nella forma dell’ordinanza cautelare atipica) e le conseguenze conformative, risolventisi nella riedizione del potere, secondo l’assetto delineato attraverso il comando del giudice.”.
[12] Meritano di essere menzionate altresì le previsioni che stabiliscono la definizione rapida del giudizio attraverso il processo accelerato previsto per le “materie sensibili” dall’articolo 4 (art. 23 bis, comma 3 L. TAR) ed alla sentenza in forma semplificata prevista dall’art. 9 (art. 26, comma 4 L. TAR).
Rilevante è poi l’espressa previsione di cui all’art. 3 (art. 21 L. TAR) della motivazione dell’ordinanza cautelare con riguardo, oltreché alla valutazione del pregiudizio, anche ai profili che inducono a una ragionevole previsione sull’esito del ricorso. Lo stesso articolo ha introdotto, in relazione ai casi di estrema gravità ed urgenza, la previsione delle misure cautelari provvisorie con provvedimento monocratico di competenza del presidente della sezione.
[13] Ad oggi, invece, corollario del principio di effettività è ravvisato nel principio dell’atipicità e delle molteplicità delle forme di tutela. Nonostante alcune azioni siano specificamente disciplinate nel c.p.a., invero, qualora una diversa azione sia indispensabile per conferire piena tutela alle situazioni soggettive lese, allora non può escludersi l’ammissibilità di azioni atipiche, come riconosciuto da Cons. Stato, Ad. Plen., n. 15/2011 con riferimento all’azione di accertamento atipica.
[14] Nella vigenza della normativa pre-codicistica, infatti, era invalsa la prassi applicativa per cui la parte ricorrente, una volta ottenuta la misura cautelare ritenuta integralmente satisfattiva del proprio interesse, abbandonava l’iniziativa processuale, così pregiudicando l’accertamento completo ed esauriente proprio solo della pronuncia di merito (cfr., al riguardo, F. A. Bella, “Il procedimento cautelare”, in “Il nuovo processo amministrativo”, Giuffrè Ed., 2013, p. 552).
[15] Significativa in tal senso Cons. Stato, Sez. V, 19 febbraio 2007, n. 833.
[16] Vd. Cons. Stato, Sez. IV, 30 giugno 2006, n. 4239.
[17] Cfr. M.A. Sandulli, “La tutela cautelare”, p. 1145; in senso analogo, vd. D. Vaiano, “Pretesa di provvedimento e processo amministrativo”, cit., p. 738, secondo cui “con riferimento alle misure a contenuto positivo ormai compiutamente emerse nell’esperienza giurisprudenziale, si fatica non poco nell’ammettere che ci si trovi effettivamente di fronte a forme di tutela cautelare e del perché tutte le soluzioni che, forse inconsapevolmente, sono state progressivamente adottate dalla giurisprudenza nella concreta conformazione dell’istituto inducano a ritenere pressoché compiuto il percorso evolutivo del “giudizio cautelare a tutela degli interessi pretensivi” verso i procedimenti decisori (sommari), risultando le sue caratteristiche del tutto estranee alla logica propria dalla struttura e dalla funzione effettivamente cautelare, che sfociano in provvedimenti provvisori fino alla pronuncia del provvedimento decisorio finale.”.
[18] Al riguardo, di particolare rilevanza è il fatto che il Legislatore abbia specificamente statuito, con D.l. n. 115 del 2005, conv. nella l. n. 168 del 2005 (non abrogata dal c.p.a.), l’irreversibilità degli effetti del superamento delle prove (scritte e orali) degli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense in esito a provvedimento giurisdizionale, anche se cautelare, che abbia disposto l’ammissione alle medesime o la relativa ripetizione.
Tale disposizione costituisce l’espressa affermazione della idoneità delle misure cautelari a produrre effetti irreversibili, dimostrandone la compatibilità col sistema.
In tal senso, è decisiva la nota sentenza n. 108 del 2009, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riguardo alla norma in esame. La Corte, in particolare, argomentando sulla scorta del bilanciamento dei contrapposti interessi, sull’importanza dell’affidamento di coloro che, comunque, avevano superato le prove e sulla salvaguardia, attraverso tale superamento, dell’interesse pubblico sostanziale, ha rilevato che l’interesse pubblico all’accertamento, una volta soddisfatto, supera quello della definizione del processo.
La sentenza ha peraltro precisato che la disciplina non si applica ai concorsi pubblici, anche se prima facie la prevalenza del pubblico interesse all’accertamento potrebbe forse valere anche per la fase di preselezione a questi ultimi, invero, si pone per gli stessi la questione dei controinteressati, che potrebbero essere irreversibilmente pregiudicati dall’esito di un giudizio che resta, in ogni caso, meramente sommario.
In ogni caso, già prima dell’adozione della legge in esame, la giurisprudenza maggioritaria aveva adottato tale impostazione con riguardo alle ipotesi di sospensione giudiziale della non ammissione all’esame di maturità e conseguente ammissione con riserva che porta ad un esito favorevole delle prove d’esame (l’esito positivo di queste ultime assorbe il giudizio negativo relativo all’ammissione, così rendendo superflua la valutazione nel merito del ricorso).
In tali ipotesi, la misura cautelare, lungi dal configurarsi quale provvisoria ed interinale, costituisce evidentemente un provvedimento sommario, ma definitivo.
[19] E, nello specifico, per il contemperamento delle due facce del principio di effettività della tutela amministrativa, ossia l’effettività-accelerazione (intesa come la necessaria celerità della definizione del giudizio per evitare che i tempi del processo pregiudichino definitivamente la pretesa di chi ha ragione) e l’effettività intesa come pienezza della tutela, possibile, segnatamente, solo attraverso l’effettiva attuazione del contraddittorio tra le parti.
[20] Tra le pronunce che, anche prima dell’entrata in vigore del c.p.a., affermavano la strumentalità tra cautela e merito, emblematica è la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 aprile 2006, n. 1791, secondo cui la prima “non può, di regola, comportare effetti ulteriori rispetto a quelli determinati all’esito positivo del giudizio di merito.”.
[21] In ciò si distanzia dalle soluzioni adottate nel processo civile, ove il potere del giudice in sede cautelare si esprime anzitutto in una serie di misure tipiche e solo in via residuale nei modi atipici previsti dall’art. 700 c.p.c.
[22] Esse, in particolare, stabiliscono: il dies ad quem dell’efficacia del provvedimento cautelare, pari a trenta giorni, qualora venga dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice che lo ha emesso (art. 11, c. 7, c.p.a.) o il difetto di competenza territoriale dello stesso (art. 15, c. 7, c.p.a.); l’inderogabilità, anche per l’adozione dell’ordinanza cautelare, della competenza territoriale del giudice di primo grado (art. 13, c. 4, c.p.a.); la possibilità, in pendenza del regolamento di competenza, di reiterare l’istanza al T.A.R. indicato come competente dal giudice preventivamente adito, nel caso in cui quest’ultimo dichiari la propria incompetenza territoriale (art. 15, c. 6, c.p.a.), nonché in ogni caso la riproponibilità della domanda dinanzi al giudice dichiarato competente (art. 15, c. 8, c.p.a.); la possibilità per il giudice di pronunciare “provvedimenti cautelari interinali” nelle more dell’integrazione del contraddittorio (art. 27, c. 2, c.p.a.); il termine finale di efficacia delle misure cautelari adottate nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, pari a sessanta giorni, qualora le altre parti si oppongano alla trattazione in detta sede (art. 48, c. 2, c.p.a.); la riduzione, su accordo delle parti, del termine per la fissazione dell’udienza di discussione da sessanta a quarantacinque giorni, “se l’udienza di merito è fissata a seguito di rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare” (art. 71, c. 5, c.p.a.); la facoltà del giudice dell’impugnazione, al ricorrere dei presupposti di legge e salvo quanto previsto dall’art. 111 c.p.a., di disporre la sospensione della sentenza gravata e le altre misure cautelari ritenute opportune (art. 98, c. 1, c.p.a.); la riserva della medesima facoltà per il Consiglio di Stato in caso di ricorso per Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione (art. 111 c.p.a.).
La disciplina cautelare in materia di “riti abbreviati relativi a speciali controversie” (Libro IV, Titolo V, c.p.a), invece, è contenuta negli artt. 119, cc. 3 e 4, 120, cc. 6, 8, 8-bis, 8-ter e 11 e 125, c. 2, c.p.a.
[23] Cui si aggiunge il già menzionato decreto interinale nelle more dell’integrazione del contraddittorio di cui all’art. 27, c. 2, c.p.a.
[24] L’art. 61 c.p.a. ha l’importante merito di aver conferito portata generale all’istituto della tutela cautelare ante causam. In precedenza, infatti, tale istituto trovava nel nostro ordinamento un’applicazione solo settoriale. Nello specifico, a seguito della sentenza 29 aprile 2004, C-202/03, con cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva dichiarato l’incompatibilità comunitaria dell’omessa previsione nel nostro sistema di giustizia amministrativa di un provvedimento cautelare anteriore alla causa, tale misura era stata introdotta limitatamente alla materia degli appalti con l’adozione del D.lgs. n. 163 del 2006.
[25] Sotto tale profilo, alcuna innovazione rilevante è stata apportata dal Codice, che conferma la disciplina previgente.
[26] Seguita, invece, dalla giurisprudenza prima e dopo l’entrata in vigore della L. n. 205 del 2000.
[27] salvo che essa debba essere fissata d’ufficio”, come per le controversie in materia di pubblici lavori, servizi o forniture di cui all’art. 120 c.p.a.
[28] Il codice, invero, facendo fronte a taluni problemi che si erano posti nel vigore della precedente disciplina, affronta la questione (rilevantissima da un punto di vista pratico) del regime della competenza in sede cautelare.
Il previgente criterio della derogabilità della competenza territoriale consentiva alla parte di scegliere a quale giudice proporre l’azione e, soprattutto, la domanda cautelare (che veniva frequentemente rivolta al TAR il cui orientamento giurisprudenziale era considerato di maggior favore). Si riteneva, infatti, che quest’ultima potesse essere decisa anche da un giudice incompetente, ancorché fosse stata depositata l’istanza per il regolamento di competenza
Il c.p.a., in netta discontinuità rispetto al passato, sancisce il principio generale della inderogabilità della competenza e lo ribadisce espressamente con riferimento all’ipotesi in cui sia proposta un’istanza cautelare (art. 16, c. 1; ma anche art. 55, c. 13, ai sensi del quale «il giudice adito può disporre misure cautelari solo se ritiene sussistente la propria competenza»).
[29] Ai sensi del co. 2, inoltre, il Presidente o un magistrato da lui delegato verifica che la notificazione del ricorso si sia perfezionata nei confronti dei destinatari o almeno della parte pubblica e di uno dei controinteressati (è questa una differenza rispetto alla disciplina generale dell’incidente cautelare collegiale) e provvede con decreto motivato non impugnabile (in quanto la decisione sarà riconsiderata in tempi molto brevi, in sede di camera di consiglio).
[30] La norma non accenna, invece, al fumus, che tuttavia deve necessariamente sussistere, in quanto coessenziale alla misura cautelare.
[31] Cfr. R. Leonardi, “La tutela cautelare nel processo amministrativo”, Milano, 2011, p. 215.
[32] Sul punto, è esplicativa la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 20 febbraio 2012, n. 909, secondo cui “Nel giudizio amministrativo il decreto cautelare è un provvedimento giurisdizionale provvisorio che viene concesso, prima della trattazione della domanda cautelare nella sede ordinaria, per il caso di estrema gravità, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio. Ne consegue che, ove l’interessato rinunci alla trattazione dell’istanza cautelare, il decreto perde efficacia. Diversamente opinando si verificherebbe un’inammissibile ultrattività di una misura interinale che non tollera la prosecuzione di effetti giuridici una volta realizzatesi le condizioni per la regolare trattazione, in contraddittorio, della domanda cautelare.”.
[33] Al Presidente del TAR competente per il giudizio, che provvede – personalmente o tramite un magistrato da lui delegato – con decreto non impugnabile.
[34] Con riguardo alla nozione di “irreversibilità”, giova sottolineare che, a seguito della storica sentenza della Corte di Cassazione civile, SS.UU., 22 luglio 1999 n° 500, che ha sancito la risarcibilità degli interessi legittimi, essa non può più essere considerata coincidente con la nozione di irreparabilità del danno.

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