La tutela dei lavoratori fragili
Spesso i miei articoli traggono origine dall’attività di consulenza legale da me prestata.
Nell’ultimo periodo, essendomi messa a disposizione tramite una Pagina Social di Diritto, Cultura ed Informazione, ho avuto modo di relazionarmi con alcuni pazienti oncologici in trattamento con la cosiddetta Multiterapia del Dott. Di Bella; sono persone veramente straordinarie, non solo perché reggono il peso di un male insidioso ed ancora estremamente aggressivo, ma soprattutto perché hanno deciso di esercitare una libertà a mio avviso fondamentale: la libertà di scegliere come curarsi, sempre secondo scienza e coscienza, ma senza dogmi inconfutabili.
Ebbene, una di questi pazienti oncologici, mi ha voluto esporre una sua preoccupazione inerente la propria attività lavorativa: l’azienda per cui lavora è in liquidazione, e sta esternalizzando i propri servizi, lei teme che, presso il nuovo datore di lavoro, la sua condizione di lavoratrice fragile possa non essere adeguatamente presa in considerazione.
È stato un immenso piacere per me dedicare del tempo alla mia interlocutrice, e fornirle informazioni rassicuranti circa le tutele esistenti nel nostro Ordinamento. Ho effettuato delle ricerche ad hoc, ed ho avuto modo di mettere insieme una sorta di “mini guida” che ho reso quale consulenza scritta alla lavoratrice, e che traduco ora nel presente contributo, confidando che tanti pazienti oncologici e, più in generale, tanti lavoratori fragili possano trarne utilità.
Anzitutto, vi è da dire che esistono alcune norme legislative e contrattuali che prevedono una tutela specifica per i lavoratori affetti da patologia neoplastica ma, nella maggior parte dei casi, la difesa del diritto al lavoro è contenuta in norme che riguardano, in generale, tutte le persone disabili cui sia stata riconosciuta una certa percentuale di invalidità o uno stato di handicap grave.
Si può dunque affermare che i lavoratori oncologici sono normativamente ricompresi in un più ampio genus, che è quello dei lavoratori fragili per motivi di salute tali da rendere più o meno invalidante la propria condizione.
Vediamo nello specifico quali diritti vengono contemplati in favore di questa ampia categoria di lavoratori.
COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO: la Legge n. 68/1999 sul collocamento dei disabili, prevede che la persona con invalidità riconosciuta superiore al 46% ha diritto ad iscriversi nelle liste speciali del collocamento obbligatorio. Le imprese e gli enti pubblici, hanno l’obbligo di assumere gli iscritti nelle liste speciali in numero proporzionale alle dimensioni della singola impresa o ente. Pertanto, anche i malati di cancro, cui sia stata riconosciuta un’invalidità superiore al 46%, hanno diritto ad essere assunti obbligatoriamente ai sensi di detta normativa.
SEDI DI LAVORO E MANSIONI: nel caso di assunzione per concorso in un ente pubblico, il malato riconosciuto invalido con percentuale superiore al 67%, può scegliere prioritariamente la sede più vicina al proprio domicilio tra quelle disponibili, ed ha diritto di precedenza nella scelta della sede nel caso in cui decida di chiedere il trasferimento (art. 21 L. 104/1992). Se, invece, è stato riconosciuto lo stato di handicap in situazione di gravità, il lavoratore malato, dipendente pubblico o privato, ed il familiare che lo assiste, hanno diritto ad ottenere, compatibilmente con le esigenze del datore di lavoro, il trasferimento alla sede di lavoro più vicina al domicilio del malato, e non possono essere trasferiti contro la loro volontà (art. 33 L. 104/1992).
Il lavoratore malato di cancro ha diritto ad essere assegnato a mansioni adeguate al suo stato di salute ed alla mutata capacità lavorativa, ed in caso di aggravamento delle sue condizioni di salute, con conseguente riduzione o modifica della capacità di lavoro, ha diritto ad essere assegnato a mansioni equivalenti o anche inferiori, mantenendo in ogni caso il trattamento economico e giuridico corrispondente alle mansioni di provenienza, se più favorevoli. Solamente nel caso in cui il lavoratore disabile non possa essere assegnato a mansioni confacenti al suo stato di salute, il datore di lavoro potrà risolvere il rapporto di impiego.
PERMESSI E CONGEDI: il malato riconosciuto portatore di “handicap in situazione di gravità” ha il diritto di usufruire di permessi lavorativi retribuiti, analoga facoltà è concessa anche al familiare che assiste il malato. L’art. 33 della L. 104/1992 fissa i limiti dei permessi come segue:
– il lavoratore con disabilità può assentarsi dal lavoro per 2 ore giornaliere o 3 giorni mensili a scelta;
– il familiare che assiste la persona malata può assentarsi per 3 giorni al mese sempre che il malato non sia ricoverato.
Inoltre, il malato al quale sia stata riconosciuta un’invalidità superiore al 50%, ha diritto a 30 giorni all’anno (anche non continuativi) di congedo retribuito per cure mediche connesse con lo stato di invalidità (art. 7 D. lgs. 119/2011).
Tali permessi si sommano ai giorni di malattia (cosiddetto periodo di comporto) previsti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) applicato alla categoria di appartenenza. L’art. 42 del D. lgs. 151/2001 riconosce al coniuge convivente con il malato con handicap in situazione di gravità il diritto ad un periodo di congedo retribuito, continuativo o frazionato, per un massimo di due anni nell’arco dell’intera vita lavorativa. In mancanza del coniuge, o in caso di impossibilità a prendersi cura del congiunto, detto congedo retribuito può essere fruito dal genitore anche adottivo e non convivente, dal figlio (purché convivente con il genitore), o dal fratello o sorella convivente con il soggetto con handicap in situazione di gravità. Anche in assenza di riconoscimento dello stato di invalidità o di handicap in situazione di gravità, il lavoratore ha diritto ad un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge, o di un parente entro il secondo grado, o del convivente, purché la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica (art. 4 L. 53/2000).
I dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le patologie invalidanti e, quindi, la patologia neoplastica, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni. Durante tale periodo, il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcuna attività lavorativa. Il congedo non è computato nell’anzianità di servizio, né ai fini previdenziali; comunque, il lavoratore può procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria (art. 4 L. 53/2000).
Il congedo biennale non retribuito non è cumulabile con l’analogo congedo biennale retribuito.
Alcuni CCNL del settore del pubblico impiego tutelano specificamente i malati di cancro prevedendo che, per patologie gravi che richiedano terapie salvavita come la chemioterapia, i giorni di ricovero ospedaliero o di trattamento in day hospital, ed i giorni di assenza per sottoporsi alle cure, siano esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia normalmente previsti, e siano retribuiti interamente. Ciò non solo prolunga indirettamente il periodo di comporto (spazio di tempo durante il quale il datore non può licenziare il lavoratore malato e la cui durata è stabilita dal CCNL di settore) evitando in taluni casi il licenziamento, ma garantisce al lavoratore il mantenimento dello stipendio che, altrimenti, dopo un certo periodo di assenza per malattia, sarebbe ridotto o azzerato. In altri CCNL, invece, il periodo di comporto viene aumentato fino al 50% in caso di ricovero ospedaliero o di accertata necessità di cura per patologie gravi come quella oncologica.
Sia i dipendenti pubblici (DM 206/2009) che quelli privati (D.M. Lavoro 11/1/2016) sono espressamente esclusi dall’obbligo di reperibilità qualora l’assenza sia riconducibile a patologie gravi che richiedono terapie salvavita o a stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta (superiore o pari al 67%).
FERIE O RIPOSO SOLIDALI: dal 2015 la legge (art. 24 D. Lgs. 151/2015) prevede che, per solidarietà ed a titolo gratuito, i lavoratori possono cedere giornate di ferie o riposo “solidali” ai colleghi di lavoro in difficoltà, in modo da consentire loro di assistere i figli minori che, per particolari condizioni di salute, necessitano di cure costanti. Alcuni CCNL di settore ed alcuni contratti aziendali, nel regolamentare e dare pratica attuazione alla disciplina di riposi e ferie solidali (denominati anche Banca Ore Solidali) hanno ampliato la portata della norma prevedendo una disciplina di maggior favore per i lavoratori in difficoltà, riconoscendo il diritto a fruire di permessi solidali, non solo per ragioni di assistenza di figli minori, ma anche per altre situazioni di necessità dello stesso lavoratore, per “gravi e comprovati motivi documentabili”.
ORARI DI LAVORO: il malato di cancro, oltre ad avere diritto al part time, può evitare di prestare la propria attività lavorativa in orario notturno presentando al datore di lavoro la certificazione, rilasciata dal medico competente, che dichiari la sua non idoneità al lavoro notturno. Inoltre, nel caso in cui l’inidoneità alla prestazione di lavoro notturno (sempre accertata dal medico competente) sopraggiunga a causa del peggioramento delle condizioni di salute, il lavoratore già addetto al lavoro notturno potrà chiedere ed ottenere dal datore di lavoro di essere assegnato al lavoro diurno, in altre mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili (D. Lgs. 66/2003). Infine, è previsto espressamente il divieto di lavoro notturno per il lavoratore che assista un malato riconosciuto in stato di handicap grave.
MODALITÀ DI SVOLGIMENTO DEL LAVORO: Durante le cure, il lavoratore malato di cancro, se lo desidera, può chiedere al datore di lavoro di svolgere la propria attività da casa o da altro luogo diverso dalla sede di lavoro. La richiesta di telelavoro o di smart working, se accolta, deve essere formalizzata in un accordo scritto che definisca le attività da espletare e le modalità di svolgimento, le mansioni, gli strumenti, i rientri periodici in ufficio e le riunioni cui presenziare, l’eventuale termina della modalità di telelavoro e la relativa reversibilità con il rientro in ufficio su richiesta del datore di lavoro o del dipendente. E’ bene sapere che se il telelavoro viene proposto dal datore, ma il lavoratore è contrario, questi ha la facoltà di rifiutare l’offerta e ciò non costituirà, di per sé, motivo di risoluzione del rapporto di lavoro, né di modifica delle condizioni del rapporto di impiego preesistente.
LAVORATORI AUTONOMI: i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata Inps, se costretti a sospendere l’attività lavorativa a causa della patologia e delle terapie oncologiche, hanno diritto all’indennità di malattia (per circa due mesi all’anno) ed eventualmente all’indennità di degenza ospedaliera. Per i liberi professionisti iscritti a proprie Casse Previdenziali di Ordine, il regolamento di ciascuna cassa può prevedere forme diverse di assistenza economica (ad esempio, provvidenze assistenziali straordinarie per eventi di malattia gravi che impediscono in tutto o in parte, per un certo periodo di tempo, lo svolgimento dell’attività professionale).
CONTRIBUTI: il lavoratore malato cui sia riconosciuta una invalidità superiore al 74%, indipendentemente dalla causa dello stato di invalidità (L. 388/2000, art. 80 co. 3), ha diritto, per il calcolo degli anni di servizio a fini pensionistici, al beneficio di 2 mesi di contribuzione figurativa per ogni anno di lavoro effettivamente svolto in condizioni di invalidità fino al limite massimo di sessanta mesi di contributi figurativi nell’intera vita lavorativa. Il diritto alla contribuzione figurativa matura a partire dal momento in cui al lavoratore è riconosciuta un’invalidità superiore al 74% e non per gli altri periodi di lavoro. Ad esempio il lavoratore assunto nel 2003 e divenuto invalido nel 2010 ha diritto alla contribuzione figurativa ai fini pensionistici dal 2010 e non dal 2003.
ESTERNALIZZAZIONE: da ultimo, mi soffermo brevemente sul tema evidenziato dalla mia interlocutrice: cosa succede in caso di esternalizzazione?
Ebbene, l’esternalizzazione è procedura che solitamente riguarda le aziende in fallimento/liquidazione, o che siano intenzionate alla cessione/trasferimento dell’attività aziendale. Come ci suggerisce la denominazione, si ha esternalizzazione ogni volta che si decide (o si è costretti) di affidare a terzi, fuori dalla compagine aziendale, servizi o funzioni/attività.
Solitamente i lavoratori seguono le sorti dell’azienda, pertanto non viene necessariamente messo in discussione il posto di lavoro.
I lavoratori fragili, mantengono tutte le tutele sin qui esaminate anche in caso di esternalizzazione, quindi presso il nuovo datore di lavoro. In caso di soppressione del posto per esternalizzazione del servizio, in presenza di un valido ed effettivo giustificato motivo oggettivo, il licenziamento, anche dell’assunto obbligatoriamente (lavoratore fragile) è legittimo, a condizione che il datore di lavoro dimostri l’insussistenza di altre mansioni – anche inferiori – compatibili con lo stato di salute del lavoratore cui poterlo adibire. Per quanto riguarda l’elemento del repechage (cioè il mancato esperimento di verificare residue possibilità di impiego), viene utilizzato dai Giudici quale criterio di decisione al fine della graduazione della sanzione economica da irrogare al datore di lavoro. Il datore che svolge alcuna verifica sull’esistenza di mansioni diverse cui poter adibire l’assunto obbligatoriamente, è solitamente stabilita in 15 mensilità di retribuzione globale di fatto.
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Ci sono delle occasioni in cui si ha realmente la sensazione che il proprio lavoro possa essere utile al prossimo. Avere dedicato del tempo a rendere una consulenza ad una lavoratrice fragile, è stata l’occasione per dare autentica nobiltà a questa mia Professione.
I pazienti oncologici sono soggetti la cui quotidianità è stravolta da ogni punto di vista: la diagnosi, gli interventi chirurgici invasivi e spesso mutilanti, la terapia devastante, l’incertezza dell’esito.
È difficile, quando si versa in tali condizioni, riuscire ad avere piena cognizione di quali diritti e di quali tutele l’Ordinamento contempli.
Significa perciò rendere un autentico servizio sociale informare questi soggetti, rendere loro agevolmente fruibile tutto ciò che devono sapere per poter continuare a conservare un minimo di normalità nella loro quotidianità profondamente trasformata.
Ecco perché sono particolarmente soddisfatta di questo mio articolo e dell’utilità che esso potrà avere.
È importante che i lavoratori fragili sappiano che il Diritto c’è; ogni volta che gli articoli 3 (correttamente inteso) e 32 della nostra Costituzione vengono implementati, la Società tutta compie un notevole passo in avanti.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
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Avv. Ivana Consolo
Sono l'Avv. Ivana Consolo ed esercito la Professione Forense presso il Foro di Catanzaro dall'anno 2010.
Mi sono laureata nell'anno 2007 presso l'Università degli Studi "Magna Graecia" di Catanzaro, conseguendo il voto di 110/110 e Lode Accademica, con una tesi in Diritto di Famiglia dal titolo: "La capacità di discernimento del minore e la riforma dell'adozione".
Il mio ambito di attività è costituito prettamente dal Diritto Civile in ogni suo settore.
Lavoro in autonomia presso il mio Studio Professionale, sito in Catanzaro, Viale De Filippis n. 38; sono altresì Mediatore per la Società di Mediaconciliazione Borlaw.
Da sempre ho una naturale abilità nella scrittura, e per questo sono qui, ad offrire a chi avrà la bontà di leggere, ciò che periodicamente redigo.
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