La tutela del diritto dei minori affidati alla continuità affettiva
Sommario: 1. Introduzione. Artt. 1 e 2 l. n. 184/1983 –2. Tipologie di affidamento familiare e competenza. Art. 4 l. n. 184/1983. – 3. I diritti del minore, della famiglia di origine e della famiglia affidataria. Art. 5 l. n. 184/1983 – 4. Art. 9 l. n. 184/1983
1. Introduzione. Artt. 1 e 2 l. n. 184/1983
L’istituto dell’affidamento familiare è regolamentato dalla legge 04 maggio 1983, n. 184[1] e ha subito un ulteriore impulso ad opera della legge 19 ottobre 2015, n. 173[2]. Si tratta di un intervento finalizzato a fronteggiare situazioni di temporanea inabilità dei genitori esercenti la responsabilità ed a garantire al minore le cure e l’affetto necessario per un periodo di tempo determinato.
In particolare, l’art. 1, I comma, l. n. 184/1983[3] sancisce il diritto del minore a crescere nell’ambito della propria famiglia. Tale disposizione, peraltro, è contenuta anche nell’art. 1 della legge 28 marzo 2001, n. 149[4], il cui IV comma prevede che “quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’eduzione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge”[5], con riferimento all’affidamento familiare ed all’adozione.
In quest’ottica, ex art. 2 l. n. 1983/184[6], il minore, temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo alla sua crescita ed al suo sviluppo, può essere affidato ad un’altra famiglia, ad una persona singola o ad una comunità di tipo familiare; in alternativa, è consentito il ricovero del minore presso un istituto di assistenza, pubblico o privato, nella sua Regione di residenza (ex art. 3 l. n. 184/1983[7]).
2. Tipologie di affidamento familiare e competenza. Art. 4 l. n. 184/1983
Si distinguono due tipologie di affidamento familiare: consensuale e giudiziale.
Quanto al primo, si realizza quando i genitori, il genitore esercente la responsabilità o il tutore manifestano il loro consenso. In questo caso, ex art. 4 l. n. 184/1983[8], l’affidamento è disposto dal Servizio Sociale territorialmente competente, sentito il minore che abbia compiuto gli anni dodici ed, in considerazione delle sue capacità di discernimento, anche se di età inferiore.
L’affidamento giudiziale, per converso, si caratterizza per il mancato consenso della famiglia di origine del minore ed è disposto dal Tribunale per i Minorenni.
In via generale, il provvedimento che dispone l’affidamento deve indicare dettagliatamente le motivazioni per cui è stato emesso, la verosimile durata dell’affido, le modalità di esercizio dei poteri riconosciuti al soggetto affidatario ed il Servizio Sociale a cui è attribuita la vigilanza.
L’affidamento familiare cessa con un provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato l’interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di temporanea difficoltà della famiglia di origine che lo ha determinato o nell’ipotesi in cui la prosecuzione rechi pregiudizio al minore. Trascorso il periodo di durata previsto o in presenza delle indicate circostanze, il Giudice Tutelare richiede, se necessario, al competente Tribunale per i Minorenni l’adozione di ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore.
3. I diritti del minore, della famiglia di origine e della famiglia affidataria. Art. 5 l. n. 184/1983
Nell’attivazione e nella realizzazione del progetto di affido, ex art. 1 l. n. 173/2015[9], se ritenuta rispondente all’interesse del minore, è tutelata la continuità delle relazioni socio-affettive che si sono consolidate durante il periodo di affidamento.
Riguardo al progetto di affidamento, il minore non ha solo il diritto ad essere ascoltato ed informato sulle relative modalità di attuazione, ma anche quello a mantenere rapporti con la sua famiglia di origine e con quella affidataria.
La famiglia di origine ha il diritto ad essere informata sulle finalità dell’affidamento, ad essere coinvolta nelle fasi del progetto di affido, a disporre di un sostegno per superare le difficoltà che hanno determinato la situazione di affido, nonché a mantenere i rapporti con il minore secondo i tempi e le modalità concordate dal Servizio Sociale. Inoltre, la famiglia di origine deve aiutare il minore nelle fasi di realizzazione del progetto e rispettare le modalità di incontro con il figlio.
Anche la famiglia affidataria, come il minore e la famiglia di origine, ha diritto ad essere informata sulle finalità dell’affidamento e su ogni aspetto del progetto proposto, nonché ad essere coinvolta nelle fasi di recupero e/o di reinserimento del minore nella sua famiglia di origine.
Inoltre, ai sensi dell’art. 5, I comma, l. n. 184/1983[10], la famiglia affidataria “deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile, o del tutore, ed osservando le prescrizioni eventualmente stabilite dall’autorità affidante”. Infine, deve collaborare con gli operatori del Servizio Sociale ed “agevolare i rapporti tra il minore e i suoi genitori e favorirne il reinserimento nella famiglia di origine” (III comma), salvo il caso in cui questo sia pregiudizievole per il minore o nel caso in cui l’autorità giudiziaria abbia posto a carico della famiglia di origine vincoli di non frequentazione con il minore.
4. Art. 9 l. n. 184/1983
A mente dell’art. 9 l. n. 184/1983[11], chiunque può segnalare all’autorità pubblica situazioni di abbandono di minori di età. I pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio e coloro che esercitano un servizio di pubblica necessità devono riferire al Tribunale per i Minorenni sulle condizioni dei minori che versano in situazione di abbandono, di cui vengono a conoscenza in ragione del proprio ufficio. Tuttavia, la situazione di abbandono può essere accertata anche dal giudice ex officio.
Tanto premesso, chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente un minore nella sua abitazione, qualora l’accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi e decorso tale periodo, deve segnalarlo al Giudice Tutelare, che provvederà a trasmettere gli atti al Tribunale per i Minorenni. L’omissione di questa segnalazione può determinare l’inidoneità ad ottenere affidamenti (familiari o adottivi). Ugualmente, il genitore che affidi a chi non sia parente entro il quarto grado, il figlio minore per un periodo non inferiore a sei mesi, deve fare la medesima segnalazione; in mancanza, tale omissione può provocare sia la decadenza della responsabilità genitoriale, ex art. 330 c.c., sia l’apertura della procedura di adottabilità.
[1] Legge 04 maggio 1983, n. 184[1], recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”.
[2] Legge 19 ottobre 2015, n. 173, recante “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare”.
[3] Art. 1 l. n. 184/1983: “Il minore ha diritto di essere educato nell’ambito della propria famiglia.Tale diritto è disciplinato dalle disposizioni della presente legge e dalle altre leggi speciali”.
[4] Legge 28 marzo 2001, n. 149, recante “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile”.
[5] Art. 1 l. n. 149/2001: “1. Il titolo della legge 4 maggio 1983, n. 184, di seguito denominata “legge n. 184”, è sostituito dal seguente: “Diritto del minore ad una famiglia”. La rubrica del Titolo I della legge n. 184 è sostituita dalla seguente: “Principi generali”. L’articolo 1 della legge n. 184 è sostituito dal seguente: “Art. 1. – 1. Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia. Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell’opinione pubblica sull’affidamento e l’adozione e di sostegno all’attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma. Quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’eduzione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge. Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento”.”.
[6] Art. 2 l. n. 184/1983: “Il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un’altra famiglia, possibilmente con figli minori, o ad una persona singola, o ad una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l’educazione e l’istruzione.Ove non sia possibile un conveniente affidamento familiare, è consentito il ricovero del minore in un istituto di assistenza pubblico o privato, da realizzarsi di preferenza nell’ambito della regione di residenza del minore stesso”.
[7] Riguardo a quest’ultima ipotesi, l’art. 3 della l. n. 184/1983 sancisce che “L’istituto di assistenza pubblico o privato esercita i poteri tutelari sul minore ricoverato o assistito, secondo le norme del capo I del titolo X del libro I del codice civile, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore, ed in tutti i casi nei quali l’esercizio della potestà dei genitori o della tutela sia impedito. All’istituto di assistenza spettano i poteri e gli obblighi dell’affidatario di cui all’articolo 5. Nel caso in cui i genitori riprendano l’esercizio della potestà, l’istituto deve chiedere al giudice tutelare di fissare eventualmente limiti o condizioni a tale esercizio”.
[8] Art. 4 l. n. 184/1983: “L’affidamento familiare è disposto dal servizio locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e, se opportuno, anche di età inferiore. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto. Ove manchi l’assenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore, provvede il tribunale per i minorenni. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile. Nel provvedimento di affidamento familiare debbono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell’esercizio dei poteri riconosciuti all’affidatario. Deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell’affidamento ed il servizio locale cui è attribuita la vigilanza durante l’affidamento con l’obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare od il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi del primo o del secondo comma. L’affidamento familiare cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato l’interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia di origine che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi pregiudizio al minore. Il giudice tutelare, trascorso il periodo di durata previsto ovvero intervenute le circostanze di cui al comma precedente, richiede, se necessario, al competente tribunale per i minorenni l’adozione di ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore. Il tribunale, sulla richiesta del giudice tutelare o d’ufficio nell’ipotesi di cui al secondo comma, provvede ai sensi dello stesso comma”.
[9] Art. 1 l. n. 173/2015: “1. All’articolo 4 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, dopo il comma 5 sono inseriti i seguenti: «5-bis. Qualora, durante un prolungato periodo di affidamento, il minore sia dichiarato adottabile ai sensi delle disposizioni del capo II del titolo II e qualora, sussistendo i requisiti previsti dall’articolo 6, la famiglia affidataria chieda di poterlo adottare, il tribunale per i minorenni, nel decidere sull’adozione, tiene conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria. 5-ter. Qualora, a seguito di un periodo di affidamento, il minore faccia ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad altra famiglia o sia adottato da altra famiglia, è comunque tutelata, se rispondente all’interesse del minore, la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento. 5-quater. Il giudice, ai fini delle decisioni di cui ai commi 5-bis e 5-ter, tiene conto anche delle valutazioni documentate dei servizi sociali, ascoltato il minore che ha compiuto gli anni dodici o anche di età inferiore se capace di discernimento”.
[10] Art. 5 l. n. 184/1983: “L’affidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile, o del tutore, ed osservando le prescrizioni eventualmente stabilite dall’autorità affidante. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 316 del codice civile. L’affidatario deve agevolare i rapporti tra il minore e i suoi genitori e favorirne il reinserimento nella famiglia di origine. Le norme di cui ai commi precedenti si applicano, in quanto compatibili, nel caso di minori ospitati presso una comunità alloggio, o ricoverati presso un istituto”.
[11] Art. 9 l. n. 184/1983: “Chiunque ha facoltà di segnalare alla autorità pubblica situazioni di abbandono di minori di età. I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità, debbono riferire al più presto al tribunale per i minorenni sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengono a conoscenza in ragione del proprio ufficio. La situazione di abbandono può essere accertata anche d’ufficio dal giudice. Gli istituti di assistenza pubblici o privati devono trasmettere semestralmente al giudice tutelare del luogo, ove hanno sede, l’elenco di tutti i minori ricoverati con l’indicazione specifica, per ciascuno di essi, della località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche del minore stesso. Il giudice tutelare, assunte le necessarie informazioni, riferisce al tribunale per i minorenni sulle condizioni di quelli tra i ricoverati che risultano in situazioni di abbandono, specificandone i motivi. Il giudice tutelare, ogni sei mesi, procede ad ispezioni negli istituti ai fini di cui al comma precedente. Può procedere ad ispezioni straordinarie in ogni tempo. Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l’accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al giudice tutelare, che trasmette gli atti al tribunale per i minorenni con relazione informativa. L’omissione della segnalazione può comportare l’inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l’incapacità all’ufficio tutelare. Nello stesso termine di cui al comma precedente uguale segnalazione deve essere effettuata dal genitore che affidi stabilmente a chi non sia parente entro il quarto grado il figlio minore per un periodo non inferiore a sei mesi. L’omissione della segnalazione può comportare la decadenza dalla potestà sul figlio a norma dell’articolo 330 del codice civile e l’apertura della procedura di adottabilità”.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Sara Ionà
- Laurea Magistrale in Giurisprudenza (LMG/01) presso l'Università degli Studi di Roma, "RomaTre", Dipartimento di Giurisprudenza, Corso di
Laurea Magistrale, con tesi di laurea in diritto penale, "Le situazioni preclusive dei benefici penitenziari (art. 4-bis ord. penit.)".
- Praticante Avvocato Abilitata al patrocinio.
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