La tutela del legame familiare e il crescente ruolo del mediatore nella separazione
Con le “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento” (Legge 8 febbraio 2006 n. 54) il legislatore, nel regolamentare l’istituto dell’affidamento condiviso, ha preso atto del bisogno di appartenenza familiare del figlio rispetto ad entrambi i genitori, riconoscendo allo stesso il diritto di mantenere con entrambi un “rapporto equilibrato e continuativo” [1], a riceverne cure e educazione e, non da ultimo, a conservare significativi rapporti con le rispettive famiglie d’origine.
In ipotesi di separazione genitoriale tale diritto, infatti, può essere pienamente garantito al minore spesso solo se si addiviene ad un “affidamento condiviso”: per tale non intendendosi la regola della matematica divisione a metà da parte dei genitori dei compiti preordinati al soddisfacimento del benessere del figlio, bensì la conservazione delle reciproche e personali responsabilità dei genitori in quanto tali nei confronti del figlio stesso.
La consapevolezza dell’importanza e della necessità di mantenere il legame non solo genitoriale, ma anche familiare da parte del figlio ha condotto negli anni ad una crescente valorizzazione del ruolo del mediatore familiare che, prima del giudice, vada ad intervenire al fine di risolvere il conflitto tra le parti, quantomeno nella ricerca di una compiuta, congiunta ed efficace funzione genitoriale nei confronti del figlio.
Si evidenzia, dunque, il sorgere della necessità di porre in essere interventi specifici, indirizzati alle esigenze conflittuali delle famiglie e che tengano conto degli aspetti giuridici e psicologici emergenti caso per caso.
E’ sempre più condivisa l’idea che anche le famiglie caratterizzate da modelli di relazione altamente conflittuale possano far emergere una disposizione alla collaborazione [2], che non garantisce -ne questo è, del resto, l’obiettivo prefigurato e prefigurabile- un’eliminazione o la risoluzione integrale del conflitto genitoriale, ma l’indirizzamento verso una strada che possa permettere di meglio gestire la conflittualità insorta, nel precipuo interesse del figlio.
La sostituzione della logica antagonistica con quella collaborativa è possibile, però, solo attraverso l’ausilio di una figura terza e mediana, il mediatore familiare -appunto-, che in maniera imparziale proponga soluzioni di compromesso alle parti del conflitto, in particolar modo rispetto ai doveri di cura e educazione verso i figli.
Proprio questa nuova visione del rapporto genitoriale post-separazione ha permesso negli ultimi anni la diffusione nella cultura giuridica dell’idea che il processo di separazione debba condurre verso un nuovo progetto di vita che sia il più possibile condiviso dai suoi protagonisti e che rigeneri e muti i legami familiari senza che questi si dissolvano nella separazione dei genitori.
In quest’ottica, una risorsa sempre più necessaria per i genitori che hanno deciso di separarsi è la mediazione familiare, che, oltre che per deflazionare il carico giudiziario, è stata oggetto di particolare valorizzazione e attenzione nella Riforma Cartabia [3] per tutelare maggiormente e più efficacemente gli interessi dei soggetti coinvolti nelle controversie di separazione e divorzio attraverso il rafforzamento del valore giuridico degli accordi raggiunti dai coniugi proprio nel corso della mediazione familiare.
[1] Art. 337 ter, Codice civile [2] Dalla valutazione alla progettazione dell’intervento per coppie separate in consulenza tecnica d’ufficio, Gargano, Lubrano Lavadera, Malagoli Togliatti, 2006 [3] Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, attuativo della Legge 26 novembre 2021, n. 206
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