La tutela del terzo contro gli accordi fra pubblico e privato: una questione aperta

La tutela del terzo contro gli accordi fra pubblico e privato: una questione aperta

Quali rimedi spettano al terzo leso da un accordo amministrativo concluso fra un privato e la p.a.?

Che cosa accade se l’Amministrazione e un privato si accordano per espropriare il bene di un terzo o per autorizzare un’attività che lede i diritti del terzo?

Il tema sotteso dalla questione è duplice: da una parte, quello “istituzionale” degli accordi amministrativi introdotti dall’art. 11 della legge sul procedimento (l. n. 241/1990) con la novella del 2005. Dall’altra, quello controverso della tutela, procedimentale e processuale, spettante al terzo, estraneo all’accordo fra privato e p.a. ma interessato dagli effetti (negativi) di quell’accordo.

Come noto, l’art. 11, l. 241/1990, contempla i c.d. accordi integrativi (o determinativi del contenuto) e sostitutivi. Si tratta di accordi con i quali la p.a. determina d’accordo col privato interessato il contenuto di un provvedimento discrezionale ovvero adotta col privato una convenzione che fa stato in luogo del provvedimento in questione. Tali determinazioni a concludere l’accordo devono avvenire, secondo la legge, nel corso del procedimento amministrativo, già avviato dalla p.a. per adottare il provvedimento richiesto, sentite le osservazioni e le proposte dei partecipanti al procedimento (art. 11 cit.).

Il primo, classico, problema posto dalla norma è stato quello della tipicità o atipicità degli accordi. Si è detto, cioè, che, poiché tipico è il potere amministrativo (in omaggio al principio di legalità forte), ugualmente tipici devono essere gli accordi: la tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza ha negato, dunque, che tali accordi possano ispirarsi al principio di libertà negoziale, ex art. 1322 c.c., il quale sancisce che le parti possono stipulare qualsiasi accordo, purché meritevole di tutela secondo l’ordinamento. Tale tipicità si riflette sulla libertà di contenuti: si è detto, quindi, che gli accordi amministrativi possono disporre solo su contenuti corrispondenti a quelli del provvedimento che mirano a sostituire o “integrare”.

Il secondo, principale, problema è quello della natura giuridica dell’accordo ex art. 11 cit.

Sin dalla comparsa della norma, si sono registrate due tesi al riguardo. La prima, c.d. privatistica, muove dall’assunto della incompatibilità fra consenso e potere pubblicistico. Si tratta, invero, di un’impostazione che vede nel potere pubblico un’attività riservata allo Stato e ai sui enti territoriali, caratterizzata dalla idoneità di incidere unilateralmente nella sfera del privato, in funzione del prevalente interesse pubblico. Tale tesi porta, quindi, a negare natura provvedimentale ad accordi fra p.a. e privato: dove c’è bilateralità, non può esserci potere. A sostegno di tale posizione si è sottolineato che la legge sul procedimento parla di “accordi”, termine che richiama la definizione di contratto fissata dal codice civile (“il contratto è l’accordo…”: art. 1321 c.c.).

Una seconda tesi propugna, invece, la natura pubblicistica di tali accordi. Essi sono atti autoritativi concordati col privato. A sostegno di questa posizione, si è sottolineato che la stessa norma richiama l’interesse pubblico, necessariamente da perseguire mediante l’accordo amministrativo. La legge prevede, inoltre, un obbligo di forma dell’accordo analoga a quella provvedimento, nonché un obbligo di stipulazione dell’accordo da parte del soggetto deputato all’adozione dell’atto amministrativo corrispondente (art. 11, commi 1-2, l. cit.).

Secondo tale impostazione, la tesi privatistica rivela alcuni vizi logici: anzitutto, si è detto che l’identità fra potere e autoritarietà non corrisponde all’evoluzione dello Stato democratico, nel quale sono sempre più ampi gli spazi di partecipazione al potere amministrativo (si pensi alla partecipazione al procedimento, all’obbligo della p.a. di comunicare al privato l’inizio di un procedimento che lo vede coinvolto, all’obbligo della p.a. di tenere in considerazioni gli interessi del privato, assieme con l’interesse pubblico, nell’adozione del provvedimento: c.d. comparazione degli interessi). La norma, inoltre, richiama l’imprescindibile interesse pubblico a cui l’accordo deve mirare.

Sembra, in sintesi, di gran lunga preferibile la tesi pubblicistica alla luce del contesto normativo. La stessa legge sul procedimento è indice, invero, di un processo di partecipazione alla formazione dell’atto amministrativo, che vede il privato coinvolto e partecipe.

La natura dell’accordo, lungi dall’essere l’oggetto di un’indagine teorica, ha però riflessi sulla tutela. E, infatti, in linea di principio, spetta al giudice ordinario la tutela avverso atti privatistici lesivi, mentre compete al giudice amministrativi la tutela avverso gli atti procedimentali.

Questa prima difficoltà è superata, oggi, dalla previsione dell’art. 133, c.p.a., il quale stabilisce che “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge (…) le controversie in materia di (…) formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo”.

Resta, tuttavia, irrisolta una seconda questione legata alla natura, privata o pubblica, degli accordi in oggetto.

In particolare, le questioni individuate da dottrina e giurisprudenza possono essere così riassunte.

La tesi privatistica implica l’applicabilità agli accordi delle norme del codice civile sul contratto; ne consegue che l’accordo “viziato” è assoggettabile ai rimedi contrattuali: annullamento, nullità, rescissione, risoluzione, inefficacia. La tesi pubblicistica, al contrario, rende applicabile agli accordi le norme sul provvedimento, con i relativi rimedi contro i vizi di legittimità: annullabilità (art. 21 octies, l. 241 cit., con i limiti di cui al comma 2), nullità (art. 21 septies), risarcimento (art. 30 c.p.a.), condanna pubblicistica al rilascio del provvedimento (ibidem). Aderendo alla tesi pubblicistica, del provvedimento-accordo si potrà chiedere, per di più, alla p.a. di riesaminare, in via di autotutela, il provvedimento illegittimo o, ancora, si potrà chiedere all’amministrazione sovraordinata la riforma del provvedimento in sede di ricorso gerarchico. Così facendo, il privato potrà ottenere un intervento della p.a. nel merito del provvedimento lesivo, potere che sfugge, invece, al controllo del giudice sul contratto (laddove si ritenesse che l’accordo sia un negozio privato).

Ebbene, veniamo ora alla aperta questione degli accordi ex art. 11 lesivi del terzo.

La stessa norma in questione prende in considerazione i terzi, stabilendo che l’accordo è sempre adottato nell’interesse pubblico e senza pregiudizio dei diritti di terzi. In verità, l’espressione “diritti” è fuorviante, perché tralascia che laddove vi sia accordo in attuazione del potere (tesi pubblicistica) non vi è diritto, ma interesse legittimo del terzo.

Ciò precisato, occorre constatare che anche la diatriba circa la posizione e le tutele del terzo riflette la dicotomia fra natura pubblica o privata dell’accordo amministrativo.

Si pensi a un provvedimento espropriativo o impositivo adottato d’accordo fra p.a. e privato interessato, in danno del terzo; oppure, si pensi a un provvedimento ampliativo per il soggetto interessato (un permesso, una concessione), ma dannoso o limitativo per un soggetto estraneo al rapporto.

Se si adotta la tesi privatistica, l’accordo ex art. 11 sarà, in particolare, soggetto al principio di relatività dei contratti: il contratto è l’accordo fra le parti che non produce effetti – salvo casi eccezionali: contratto in favore di terzo, contratti a effetti reali, trascrizione, pubblicità – per il terzo (artt. 1321 e 1372 c.c.). Il terzo leso può quindi far valere – innanzi al giudice amministrativo, in quanto giudice esclusivo dell’accordo – l’inefficacia del contratto nei suoi confronti e la responsabilità del privato e della p.a. per i danni patiti dall’accordo. Si pensi all’accordo amministrativo che dispone un’autorizzazione a costruire, in lesione del terzo, titolare di un diritto di non edificazione: per es. il proprietario di un albergo che non vuole vedersi ostruita la vista sul paesaggio dalla costruzione di un immobile troppo alto.

Se si adotta tesi pubblicistica, invece, il terzo leso è titolare di un interesse legittimo al corretto esercizio del potere pubblico e disporrà delle azioni di tutela avverso gli atti della p.a. In particolare, secondo la dottrina, il terzo potrà impugnare il provvedimento con effetti diretti sulla propria sfera giuridica in quanto nullo per difetto assoluto di attribuzione: si pensi al caso della p.a. e del privato che si accordino per espropriare il bene di un terzo; in tal caso, l’Amministrazione non ha in astratto potere di agire, con la conseguenza che l’atto è radicalmente nullo, tamquam non esset.

Sempre stando alla tesi pubblicistica, il terzo potrà impugnare l’accordo avente effetti indiretti sulla sua sfera per chiederne l’annullamento, nonché il risarcimento del danno: il caso è quello della procedura di gara o all’affidamento concordato di una concessione che escluda ingiustamente i terzi, questione sempre attuale.

È quindi evidente che dalla soluzione della prima questione (natura dell’accordo) passa la soluzione della seconda (tutele del terzo).

Alla luce delle osservazioni svolte, tuttavia, pare senz’altro preferibile riconoscere agli accordi amministrativi natura pubblicistica. Con ciò, la questione più complessa delle tutele del terzo pare trovare una soluzione: verso l’accordo lesivo il terzo potrà disporre di ogni azione tesa a far dichiarare il vizio dell’accordo, di ogni azione costitutiva demolitoria dell’accordo, di tutte le azioni di condanna, anche risarcitorie; infine, il terzo disporrà di ogni strumento di ricorso amministrativo in riforma del provvedimento-accordo lesivo della sua posizione.


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Simone Risoli

Gennaio 1991, Avvocato, laureato nel 2015 presso l'Università degli Studi di Milano, già tirocinante presso le sezioni civili e penali del Tribunale di Milano e la Prima Corte di Assise, cultore della materia presso il Dipartimento Beccaria dell'Università degli studi di Milano, già collaboratore presso la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

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