La tutela dell’interesse collettivo in materia di ambiente, concorrenza e servizi pubblici

La tutela dell’interesse collettivo in materia di ambiente, concorrenza e servizi pubblici

Premessa

Gli interessi collettivi sono soggettivizzati in capo a gruppi sociali stabilmente organizzati in enti che istituzionalmente perseguono, come fine costitutivo prevalente, se non esclusivo, la tutela degli interessi della collettività che rappresentano. L’interesse collettivo è dunque assorto quale species del più ampio genus dell’interesse legittimo.

Gli interessi in discorso si sostanziano dunque in posizioni soggettive giuridicamente rilevanti, la cui titolarità è in capo ad organizzazioni di tipo associativo, legittimate ad agire per la tutela non di interessi particolaristici dei singoli componenti, bensì di interessi comuni agli iscritti, riferibili alla sfera categoriale presa in considerazione.

Non parliamo dunque della sommatoria degli interessi individuali degli iscritti, ma della sintesi degli stessi in un interesse collettivo e qualitativamente differente rispetto a quello in capo ai singoli.

Se non vi è dubbio riguardo la titolarità in capo alle organizzazioni pubbliche deputate con ruolo istituzionale alla cura degli interessi categoriali, il problema si pone nel riconoscere legittimità agli organismi esponenziali cd. spontanei, si pensi alle associazioni non riconosciute o comitati, che nella prassi operano in qualità di difensori e sono reputati tali dalla coscienza sociale. La giurisprudenza ha inteso rinvenire fondamento giustificativo processuale in capo ad enti esponenziali di interessi collettivi attraverso molteplici pronunce giurisprudenziali.

Riferimenti normativi

La tutela dell’interesse collettivo ha avuto consacrazione legislativa a partire dalla materia ambientale; il legislatore ha riconosciuto espressamente la legitimatio ad causam, oltre che la facoltà di intervenire nei giudizi per danno ambientale, in favore degli organismi di tipo associativo a carattere nazionale, individuati dall’apposito decreto ministeriale sulla base della rappresentatività, come misurata dagli indici di elaborazione ex artt. 13 e 18 co.5 della l. 349 del 1986, istitutiva del Ministero dell’Ambiente. Nonostante tale volontà, volta a dirimere le controversie interpretative nell’ambito di applicazione, sono sorti alcuni dubbi in ordine alla portata della legittimazione processuale accordata agli enti collettivi. Alcune pronunce giurisprudenziali circoscrivevano il novero dei soggetti legittimati ad adire il giudice amministrativo per ottenere l’annullamento dei provvedimenti illegittimi lesivi di interessi ambientali, alle sole associazioni inserite nel decreto ministeriale di cui poco sopra.

Altre teorie esegetiche sono giunte a combinare gli artt. 13 e 18 della legge, pervenendo alla creazione di un doppio binario. Il potere ministeriale di accertare l’effettività rappresentativa di un ente non può infatti precludere la possibilità di verificare la sussistenza della legittimazione processuale caso per caso, ad opera del giudice amministrativo o ordinario, sulla base degli indici di rappresentatività.

In alternativa, l’esclusione degli enti non oggetto di matrice pretoria potrebbe rilevarsi incostituzionale, venendo ad essere in contrasto con gli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione. L’amministrazione non può dunque selezionare in via esclusiva i soggetti legittimati ad agire, impedendo l’accesso alla tutela giurisdizionale agli enti esponenziali di posizione soggettiva differenziata e qualificata, configurabili come interessi di rilevanza collettiva. Per tale motivo si è preferito optare per una visione estensiva e non restrittiva, rilevandosi in alternativa contrastante anche coi canoni comunitari riguardanti la tutela giurisdizionale in tema ambiente.

Sul vulnus legislativo, si è espressa la giurisprudenza che ha creato due filoni contrapposti, volti a riempire il vacuum della legge. Da un lato si è creato l’indirizzo processualistico restrittivo, che circoscrive l’id est, cioè l’oggetto dell’impugnazione, ai soli provvedimenti ambientali puri, cioè adottati nell’ambito di procedimenti specifici e direttamente previsti dalla regolamentazione della materia ambiente, in base alla normativa di settore. Questa impostazione esclude dunque dalla legittimazione ad agire le associazioni avverso gli atti amministrativi di natura urbanistica e di edilizia, poiché quest’ultimi toccano solo indirettamente i profili ambientali.

La tesi estensiva ha invece rimesso alle singole associazioni di tutela ambientale che intendano agire, il compito di individuare gli atti amministrativi che possono risultare lesivi del bene ambiente. Il bene ambiente è visto però in una prospettiva polivalente, gli atti con finalità lesiva possono anche non essere strettamente afferenti alla normativa ambientale, purchè possano ripercuotersi in termini negativi sul bene dell’ecosistema ambientale.

A partire dagli anni ’70, l’esigenza di accordare una protezione agli interessi di preminente rilievo riferibili alla generalità dei consociati, trascendenti i limiti di un rapporto strettamente individuale, ha indotto dottrina e giurisprudenza a ricercare soluzioni volte a rinvenire le posizioni differenziate e qualificate in capo ai singoli, ricollegabili agli interessi diffusi, e tutelabili come singoli in giudizio.

Risvolti giurisprudenziali

La Corte di Cassazione nella sentenza n.1463 del 1979 distinse i beni collettivi indivisibili, in cui è impossibile una situazione giuridica di vantaggio vantata da un singolo, dai beni collettivi divisibili, suscettibili di frazionamento da parte di singoli soggetti.

La possibilità di tutela dinanzi il giudice civile per  il diritto del singolo fu configurata nell’ipotesi del diritto alla salubrità ambientale, inteso come tutela all’alterazione dell’integrità ambientale che potesse ripercuotersi sul suo diritto alla salute.

Uno strumento di tutela degli interessi ambientali diffusi efficace è quello di carattere inibitorio ex art 844 c.c., una norma che è stata interpretata dalla giurisprudenza in senso estensivo al fine di accordare protezione contro le immissioni anche a favore di chi non fosse proprietario o titolare di un diritto reale di godimento, considerando dunque tutti gli individui potenzialmente esposti ad un pregiudizio al diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost.

La sola tutela inibitoria non era abbastanza per tutelare efficacemente il bene dell’ambiente, soprattutto nel momento in cui determinate alterazioni interessavano larghi territori: basti pensare a situazioni locali di grave pregiudizio ambientale, come quella della c.d. Terra dei fuochi. Il legislatore è intervenuto con la configurazione del cd. danno ambientale, che è omnicomprensivo delle varie sfaccettature della nozione ambiente sviluppatasi nell’evolversi della giurisprudenza nazionale e comunitaria.

A riguardo, si ricorda l’art. 18 co.2 della legge 349/1986, che individua quale giudice competente il giudice ordinario. Il legislatore distingue il danno ambientale puro dal danno amministrativo erariale, consistente nella sola spesa che l’amministrazione deve sostenere per il ripristino della situazione allo stato antecedente e per il riparo della lesione ambientale cagionata dal comportamento doloso o colposo del funzionario; in questo caso la competenza è attribuibile alla Corte dei Conti. Il danno ambientale puro è invece la compromissione reale dell’equilibrio ambientale, di competenza della sfera del giudice ordinario.

In sede di legittimazione, gli enti pubblici territoriali possono vantare in concorrenza con lo Stato la titolarità del diritto al risarcimento del danno in materia ambientale. In sede penale invece, la legittimazione ad agire ex art. 311 del Testo Unico dell’Ambiente è esclusivamente in capo al Ministro dell’ambiente.

La tutela consumieristica

La tutela civile collettiva ha mostrato segnali di notevole sviluppo anche nel campo della tutela dei consumatori. Gli artt. 1341 e 1342 c.c. apprestavano solo una tutela a favore del singolo, volta a riparare una lesione negoziale. A colmare la lacuna è intervenuto il Codice del consumo, d.lgs. n.206 del 2005, che prevede accanto alla tutela inibitoria contro le clausole cd. abusive, anche una tutela atipica cautelare. La Manovra Monti del 2012 ha introdotto infine l’azione collettiva di classe a tutela dei consumatori. Affinché i diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti siano tutelabili attraverso l’azione di classe, ciascun componente della stessa, anche mediante associazioni o comitati di cui faccia parte, agisce per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno. L’art. 140 bis co. 2 specifica che l’azione tutela: i diritti contrattuali in cui una pluralità di consumatori versino nei confronti di una stessa impresa in situazione del tutto omogenea; i diritti del tutto omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto; i diritti al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.

Il decreto Monti (cd. decreto Liberalizzazioni) prevede l’esperibilità dell’azione di classe consumeristica anche a tutela degli interessi collettivi dei consumatori.

La class action nella P.A.

Una class action, simile ma sostanzialmente diversa, è stata introdotta nei confronti della pubblica amministrazione con la Legge Brunetta. La legge delega prevedeva un’altrettanta delega finalizzata a consentire agli interessati di agire in giudizio nei confronti dell’amministrazione, o nei confronti degli erogatori di servizi pubblici per quanto riguarda la violazione di obblighi o di standard qualitativi ed economici, o ancora nei confronti dell’amministrazione per l’omesso esercizio del potere di vigilanza e di controllo o per violazione di termini, inadempimenti, per così dire, che avessero arrecato nocumento ad interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di consumatori o utenti fruitori di servizi pubblici.

L’art. 4 co.2 lett. l, della legge Brunetta consentiva la proposizione dell’azione anche ad associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati, devolvendo la giurisdizione al giudice amministrativo. Prevedeva inoltre, all’esito dei giudizi, delle azioni ripristinatorie o risarcitorie, oltre che la previsione di strumenti e procedure idonei ad attivare l’accertamento di eventuali responsabilità.

La relazione governativa allegata alla legge spiega che, a differenza di altre tutele, non è stato possibile circoscrivere la legittimazione a ricorrere ad un elenco di enti rappresentativi degli interessi collettivi dei cittadini; nonostante ciò, emergono dei dubbi interpretativi in merito al richiamo della necessaria omogeneità degli interessi: la mancata fissazione degli elementi caratterizzanti dell’omogeneità rende generica la nozione creando così incertezze.


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Giovane giurista, laureata a 23 anni in giurisprudenza presso l'Università degli studi di Salerno nel febbraio 2017, con tesi in criminologia sulla tematica degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Votazione 105/110. Ho conseguito col massimo dei voti il Master in Criminologia presso l'Università degli studi di Padova nel settembre 2019, con tesi su Immigrazione e Sicurezza. Ho svolto il tirocinio forense presso uno studio specializzato in diritto penale ed il tirocinio giudiziario in Procura della Repubblica coadiuvando nella sua attività il Pubblico Ministero (Sez. reati contro la P.A. - reati contro l'economia). In tali esperienze ho sviluppato competenze elevate nel campo della redazione di atti e pareri giudiziari. Sono in preparazione per il concorso in magistratura. Scrivo su riviste giuridiche (Altalex, Salvis Juribus) e su giornali di news e cronaca politica. Curo una redazione musicale. Appassionata di musica, ho studiato solfeggio e pianoforte.

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