La tutela dell’utilizzatore nel contratto di leasing finanziario: quale azione per i vizi del bene locato in mancanza di una clausola di collegamento?

La tutela dell’utilizzatore nel contratto di leasing finanziario: quale azione per i vizi del bene locato in mancanza di una clausola di collegamento?

Con sentenza n. 19785/2015 le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sono intervenute in materia di leasing finanziario, al fine di delineare la tutela esperibile dall’utilizzatore del bene locato.

Nello specifico, i punti salienti della questione hanno riguardato la natura giuridica del contratto di leasing, nell’ambito del più ampio schema negoziale che lo lega al contratto di compravendita, per poi individuare il tipo di azioni spettanti al soggetto locatario, al quale viene consegnato un bene viziato.

Al fine di ricostruire la vicenda è opportuno delineare i tratti essenziali del contratto di leasing (o locazione finanziaria).

Leasing finanziario: definizione e natura giuridica. La fattispecie contrattuale de qua non trova disciplina tipica nel Codice civile, atteggiandosi piuttosto come un contratto socialmente tipico, particolarmente frequente nella prassi commerciale.

Si definisce leasing quel contratto di locazione finanziaria ove un soggetto “utilizzatore” incarica un altro soggetto, normalmente una società di leasing “concedente”, ad acquistare un bene presso un terzo “fornitore”, dietro versamento di un canone periodico in favore del secondo.

Questa particolare fattispecie trova la sua ratio nell’esigenza di agevolare gli scambi commerciali ove l’acquisto di beni mobili e immobili avviene per il tramite di società che dispongono di ampia liquidità, restituendo il corrispettivo sotto forma di canone.

Al riguardo la causa del leasing finanziario viene individuata “nell’acquisto di beni, remunerato attraverso la corresponsione di canoni periodici”.

È opportuno altresì evidenziare la differenza strutturale della nostra fattispecie negoziale rispetto il leasing operativo e il sale and lease back (leasing di ritorno).

Nel primo caso viene a mancare la figura intermedia del concedente, essendo invece la società fornitrice ad elevata standardizzazione a concedere il bene all’utilizzatore, dietro versamento del canone. Nel sale and lease back, invece, colui che aliena il bene alla società di leasing è lo stesso utilizzatore (di norma un imprenditore bisognoso di liquidità), il quale può continuare a godere del bene passato in proprietà del concedente, dietro pagamento del canone periodico.

Appare subito evidente la differenza rispetto al leasing finanziario.

Quest’ultimo, invero, realizza una duplice dinamica negoziale: da un lato si ha un contratto di locazione finanziaria stipulato tra l’utilizzatore e il concedente (la società di leasing), dall’altro un contratto di compravendita (o fornitura) stipulato tra il concedente e il fornitore del bene.

Orbene, il problema della tutela concessa all’utilizzatore contro eventuali vizi del bene – e dunque i tipi di azioni di cui egli può disporre – passa attraverso la puntuale individuazione del rapporto giuridico che lega le due vicende contrattuali, essendo poco nitido se si tratti di un contratto unitario plurilaterale ovvero di un collegamento negoziale, in cui i due negozi costituiscono momenti separanti di un unico scopo economico-individuale.

La differenza non è di poco conto, in considerazione del fatto che, se non si accogliesse la natura del rapporto trilatero, l’estraneità dell’utilizzatore al contratto di compravendita, tipica del collegamento negoziale, gli impedirebbe di esperire l’azione di risoluzione da inadempimento. Ciò in mancanza di una clausola espressa che attribuisca “al terzo” utilizzatore la posizione sostanziale del concedente, al fine di sostituirsi allo stesso nell’esercizio dell’azione.

La soluzione cui perviene il Supremo Giudice è nel senso del collegamento negoziale.

La ragione di questa scelta può individuarsi nell’impossibilità di scrutare in questa dinamica una vicenda trilatera, ove le tre parti dell’operazione dovrebbero confluire nell’unico rapporto contrattuale.

Differentemente, nel caso che ci occupa, è incontrovertibile l’estraneità dell’utilizzatore alla vicenda contrattuale dell’acquisto, essendo solo il concedente la parte comune ad entrambi i negozi.

La Cassazione, a riguardo, non solo richiama la Convenzione di Ottawa che descrive la vicenda economica de qua come incorporante due distinti contratti, rispettivamente richiamati nella L.259/1993 comma 1 lett. a), ma sottolinea altresì la bilateralità sia del contratto di leasing che di quello di fornitura, ove il primo è legato al secondo da clausole che stabiliscono specifici obblighi, tra cui la cessione da parte del concedente di eventuali diritti nascenti da responsabilità del fornitore.

La circostanza secondo cui, nella maggior parte dei casi, la scelta e la consegna del bene avvengano nell’ambito di un contatto diretto tra utilizzatore e fornitore, non esclude il principio generale di cui all’art.1372 c.c. a mente del quale “il contratto produce effetti tra le parti”.

Non di meno, tale circostanza si pone alla base della scelta demandata all’autonomia privata di inserire nel contratto di leasing la suddetta clausola di collegamento con cui l’utilizzatore può sostituirsi all’acquirente/concedente per l’ipotesi di inadempimento del contratto di compravendita.

In questo caso non appare necessario ricorrere alla disciplina sul mandato, con riferimento all’art.1705 comma 2 c.c., il quale, pur affermando che i terzi non hanno alcun rapporto con il mandante, consente a quest’ultimo di sostituirsi al mandatario nei diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato.

Siffatta norma viene ad essere sostituita dalla clausola convenzionale di collegamento che conferisce effetti obbligatori a favore del terzo utilizzatore, il quale, nel caso di bene viziato, ben potrà sostituirsi al concedente e far valere i diritti di azione normalmente riconosciuti al mandante.

Appurata la natura strutturale del leasing quale fattispecie di collegamento negoziale, la Cassazione ha ritenuto di dover ulteriormente approfondire la questione con riguardo a quelle situazioni ove la clausola di collegamento non sia prevista nel contratto di leasing.

Dal punto di vista tecnico, l’essenza causale del collegamento negoziale consente di ritenere che il limite degli effetti del contratto tra le parti (art.1372 c.c.) potrebbe trovare una giusta deroga nello scopo unitario perseguito, tanto che la funzionalità dell’intera vicenda contrattuale verrebbe ad essere compromessa dall’invalidità dell’uno o dell’altro negozio, in attuazione del principio simul stabunt simul cadent.

È però indiscutibile che, dal punto di vista giuridico, ci si trovi al cospetto di due negozi distinti, la cui causa unitaria non è sufficiente per produrre effetti sulle sopravvenienze e quindi attribuire all’utilizzatore l’azione di risoluzione spettante al concedente.

Ciò non significa, tuttavia, che l’utilizzatore rimanga sprovvisto di tutela in caso di vizi della cosa locata.

Prima di pervenire alla soluzione individuata dalle Sezioni Unite può essere utile compiere una breve digressione sulle c.d. azioni edilizie in materia di compravendita.

Le azioni edilizie nel contratto di compravendita. Il contratto di compravendita è di certo il tipo negoziale più utilizzato nella pratica commerciale.

Senza soffermarsi su una disamina puntuale del contratto e dei suoi effetti, basti qui evidenziare come il legislatore abbia voluto approntare una tutela specifica in capo all’acquirente che si veda consegnato un bene viziato.

L’art.1490 c.c. contempla una specifica garanzia in capo al venditore qualora la cosa sia affetta da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano il valore in maniera apprezzabile.

L’art.1492 comma 1 c.c. prosegue affermando che l’acquirente ha due rimedi dinnanzi alla consegna di un bene viziato: la risoluzione del contatto (actio redhibitoria) o la riduzione del prezzo (actio quanti minoris). È sempre previsto il risarcimento del danno (art.1494 c.c.)

Secondo un’importante pronuncia della Suprema Corte (Corte di Cassazione – Sezioni Unite civ. sent. n.11748 del 3 maggio 2019), che è andata a sciogliere i dubbi in merito alla natura giuridica di detta tutela, le azioni edilizie non costituiscono un rimedio avverso l’inadempimento che, di contro, legittimerebbe l’acquirente ad esperire le azioni di cui all’art.1453 c.c., tra cui la risoluzione con prescrizione decennale, bensì una forma di garanzia accessoria apprestata dal venditore, il quale può considerarsi adempiente per il sol fatto di aver provveduto alla consegna del bene.

Invero l’art.1476 comma 1 c.c. e l’art. 1477 comma 1 c.c. stabiliscono che uno degli obblighi principali del venditore è quello di consegnare il bene nello stato in cui si trova al momento della vendita, accanto all’ulteriore obbligo di garantire l’acquirente dai vizi e dell’evizione (art.1476 comma 1 n.3 c.c.). L’interpretazione che ne è stata ricavata è nel senso di ritenere adempiuto il contratto di compravendita nel momento in cui la cosa viene consegnata.

Depone in tal senso anche l’art.1456 c.c. che nell’affermare il principio res perit domino sancisce che, nei contratti che trasferiscono la proprietà di una cosa, il perimento della stessa, per causa non imputabile all’alienante, non libera l’acquirente dalla sua controprestazione.

Pertanto, affinché l’acquirente possa validamente esperire l’azione di garanzia è tenuto a denunciare il vizio entro 8 giorni dalla scoperta se si tratta di vizio occulto, ovvero dalla consegna se si tratta di vizio palese o facilmente riconoscibili.

In ogni caso l’azione si prescrive entro un anno dalla consegna, salvo che il compratore non sia convenuto in giudizio per l’adempimento, poiché in quel caso la garanzia può essere sempre fatta valere.

Con riguardo all’onere della prova, la giurisprudenza ha ritenuto di dover dare attuazione alla regola della “vicinanza”, gravando sull’acquirente l’onere di dimostrare che il bene è affetto da un vizio, per esso intendendosi l’imperfezione o difetto nel processo di produzione, che lo rendono inidoneo all’uso a cui è destinato.

In definitiva appare evidente come il legislatore, in ossequio al principio res perit domino, abbia investito l’acquirente di una tutela più gravosa in caso di vizio rispetto all’inadempimento generico, sia dal punto di vista prescrizionale (un anno anziché dieci) che dal punto di vista probatorio.

La soluzione delle Sezioni Unite in merito alla tutela dell’utilizzatore a cui non è stata trasferita la posizione sostanziale del concedente rispetto al contratto di compravendita. Il Supremo Consesso, con riguardo all’ipotesi in cui viene a mancare nel contratto di leasing una clausola di collegamento attributiva della posizione sostanziale in favore dell’utilizzatore, ha risolto la questione distinguendo due ipotesi.

La prima ipotesi è quella secondo cui l’utilizzatore non ha accettato la consegna del bene.

Qui, la mancata accettazione è equiparata a inadempimento del contratto di compravendita, o più esattamente a “mancata consegna”, spettando al concedente, in virtù del principio di buona fede e all’obbligo di protezione verso l’utilizzatore, di attivarsi per la risoluzione del contratto ai sensi dell’art.1453 c.c., a cui seguirà eventualmente anche quella del contratto di leasing.

La seconda ipotesi prevede invece l’accettazione da parte dell’utilizzatore del bene consegnato seppur viziato.

In questo caso il privato, non potendo agire direttamente per la risoluzione del contratto di vendita, né sospendere il pagamento dei canoni di locazione, sarà legittimato a esperire nei confronti del fornitore l’azione diretta per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa (l’azione di esatto adempimento).

Al contempo, il concedente che è stato informato sarà tenuto, in virtù di un dovere giuridico, ad esperire l’azione di risoluzione, ovvero l’actio quanti minoris di cui si è già visto.

In definitiva è possibile concludere che la fattispecie esaminata rappresenta una particolare tipologia di collegamento negoziale, nel quale la mancata previsione di una clausola di collegamento che attribuisce al soggetto terzo (l’utilizzatore) la facoltà di sostituirsi nella posizione giuridica sostanziale del concedente, ossia l’azione di risoluzione, non lo lascia sprovvisto di una tutale specifica, gravando pur sempre sulla società di leasing il dovere giuridico di attivarsi per elidere gli effetti delle sopravvenienze.


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