La tutela restitutoria

La tutela restitutoria

Come previsto dall’art. 948 c.c., il proprietario della cosa può rivendicarla da chiunque la possieda o la detenga, proseguendo l’esercizio dell’azione anche nell’ipotesi in cui il possessore o il detentore, dopo il suo esperimento, abbiano cessato la relazione con la cosa. In questa ipotesi, chi ha smesso di possedere o detenere è tenuto a recuperare il bene a proprie spese o, in mancanza, a corrisponderne il valore, oltre al risarcimento del danno.

La norma disciplina così l’azione di rivendicazione, ovvero quello strumento predisposto dal legislatore al fine di consentire al soggetto che si afferma proprietario della cosa, ma non ne ha il possesso o la detenzione, di acquisire la disponibilità della medesima, in modo tale da ricostituire la corrispondenza tra la situazione di fatto e quella di diritto.

Il legittimo proprietario ha l’onere di dimostrare il diritto di proprietà sul bene, e dunque l’esistenza, la validità e l’efficacia del titolo posto a fondamento della sua pretesa.

Il titolo è quindi un elemento costitutivo dell’azione di rivendicazione, la cui prova deve essere fornita dall’attore e l’eventuale insussistenza rilevata d’ufficio del giudice.

In caso di acquisto a titolo derivativo, in particolare, dovrà essere dimostrata anche la validità dell’acquisto del proprio dante causa, e così via fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, nel quale il diritto nasce ab origine in capo all’acquirente ed in relazione al quale non vi è pertanto la necessità di verificare la legittimità dei precedenti acquisti.

Allo scopo di fornire la prova richiesta, tuttavia, l’attore potrà servirsi del principio di accessione nel possesso di cui all’art. 1146, comma 2, c.c., in base al quale il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti. In sostanza, l’attore potrà dimostrare di aver acquisito il diritto di proprietà sul bene mediante usucapione sommando il proprio possesso a quello del suo dante causa.

Per quanto riguarda i beni mobili, d’altra parte, l’attore che agisce in rivendicazione potrà richiamare l’art. 1153 c.c., dimostrando la proprietà del bene mediante il ricorso alla regola del possesso vale titolo.

Attraverso l’azione di rivendicazione si perviene quindi all’accertamento del diritto di proprietà sul bene, allo scopo di far condannare chi lo possiede o detiene alla sua restituzione.

Legittimato attivo all’azione è dunque colui il quale afferma di essere proprietario della res, senza tuttavia averne il possesso o la detenzione; è legittimato passivo, invece, colui il quale, avendo il possesso o la detenzione della cosa, è obbligato a restituirla.

Sulla base di quanto sancito dall’art. 1586 c.c. in tema di locazione, la giurisprudenza ha tuttavia ritenuto che il detentore, laddove sia convenuto in giudizio con l’azione di rivendicazione, possa chiedere di essere estromesso dal processo indicando il nome del soggetto per conto del quale detiene il bene (c.d. laudatio auctoris); trattasi, in particolare, di un’ipotesi di intervento del terzo su istanza di parte, ex art. 106 c.p.c.

Affinché il possessore sia legittimato passivo dell’azione di rivendicazione, è sufficiente che possieda il bene al momento della proposizione della relativa domanda; il giudizio, come detto, potrà proseguire nei suoi confronti anche se successivamente all’esercizio dell’azione si sia spogliato del bene, dovendo in questo caso recuperarlo a proprie spese o comunque corrisponderne il valore; il proprietario, in ogni caso, potrà chiedere la restituzione del bene al nuovo possessore.

Il procedimento che si attiva con l’azione petitoria ha carattere ordinario ed è a cognizione piena, essendo volto ad accertare il diritto di proprietà sul bene.

Secondo quanto ritenuto dalla S.C., la sentenza che accoglie la domanda di rivendicazione, condannando il convenuto alla restituzione del bene, ove passata in giudicato, preclude, in un successivo giudizio tra le stesse parti, la possibilità per il convenuto di far valere un diritto reale di godimento su quella cosa, in quanto, diversamente, si rimetterebbe in dubbia la natura indebita del possesso, la cui illegittimità è presupposta da detto giudicato.

Oltre ad essere un’azione di condanna, essendo diretta ad ottenere la condanna del convenuto alla restituzione del bene, la rivendica ha inoltre carattere reale ed imprescrittibile; essa, infatti, può essere esperita contro chiunque possieda o detenga il bene in un dato momento e non incorre in prescrizione, salvi gli effetti dell’usucapione.

Ai fini dell’esercizio dell’azione di rivendicazione, osserva la giurisprudenza, non è invece necessario che l’attore dimostri di aver subito uno spossessamento violento o clandestino; si è ritenuto, infatti, che l’azione possa essere esercitata in luogo di quella personale di restituzione, ovvero anche quando l’attore abbia trasferito il bene in adempimento di un’obbligazione assunta contrattualmente, ove eventi successivi abbiano fatto venire meno il diritto dell’accipiens a disporre della cosa.

Anche l’azione di restituzione, come quella di rivendica, consente di ristabilire la relazione di fatto con la cosa; essa però, diversamente dalla rei vindicatio, non è dotata di una previsione normativa specifica e quindi non risulta dalla legge espressamente disciplinata, ma trova il proprio fondamento in alcune norme del codice civile, le quali sembrano presupporne l’esistenza.

Tale forma di tutela trova riconoscimento con riguardo a determinati rapporti contrattuali, in relazione ai quali l’ordinamento predispone in capo ad una delle parti un obbligo di restituzione del bene che ne costituisce l’oggetto.

Si pensi, ad esempio, al contratto di locazione, nel quale il conduttore è tenuto, ex art. 1590 c.c., alla restituzione della cosa al momento dello scioglimento del relativo rapporto; si consideri, d’altronde, il contratto di comodato, nel quale, ai sensi dell’art. 1803 c.c., il comodatario assume fin dall’inizio del rapporto l’obbligo di restituire la cosa ricevuta.

L’azione di restituzione, dunque, presuppone che l’attore agisca vantando un diritto alla restituzione della res derivante da uno specifico rapporto contrattuale; egli, pertanto, dovrà semplicemente dimostrare la sussistenza di tale obbligo, e quindi il venir meno del rapporto che giustifica la disponibilità della cosa, mentre non sarà tenuto a provare la sussistenza del diritto di proprietà sul bene.

Il procedimento che viene instaurato in tali ipotesi è anch’esso ordinario e a cognizione piena, salvo che non si verta in materia di locazione, per la quale è infatti previsto un procedimento ad hoc, parzialmente differente da quello ordinario.

Tanto premesso, sebbene l’azione di rivendica e quella di restituzione siano entrambe dirette a conseguire il medesimo risultato, ovvero il recupero del bene, le stesse si distinguono quanto ai presupposti e all’efficacia giuridica: mentre la rei vindicatio, infatti, ha come necessario presupposto la sussistenza di un diritto di proprietà sul bene, di cui l’attore si assume titolare, ed assume pertanto carattere reale, risultando esperibile nei confronti di chiunque possieda o detenga la cosa e determinando l’accertamento del diritto di proprietà e l’obbligo di restituzione del bene in capo al convenuto; l’azione di restituzione ha invece carattere personale, andando a fondarsi sul sopravvenuto venir meno di un titolo di detenzione, ed essendo di conseguenza esperibile esclusivamente contro il soggetto al quale la res era stata consegnata, senza che sia necessario dimostrare la sussistenza del diritto di proprietà sul bene, ma solo il venir meno del titolo giuridico che legittimava il convenuto alla detenzione.

Una tutela restitutoria è infine assicurata dalle norme poste a difesa del possesso e, in particolare, dalle azioni possessorie.

Nell’ambito di tali azioni vi rientrano tre differenti fattispecie, due delle quali destinate a garantire la restituzione del bene posseduto.

La ratio delle azioni possessorie è quella di consentire una rapida tutela del possesso, lasciando tuttavia impregiudicato qualsiasi accertamento in ordine alla sussistenza o meno di un diritto sostanziale in capo al soggetto che agisce, quale la proprietà o altro diritto reale.

Tale forma di tutela è quindi rivolta esclusivamente a coloro i quali esercitano effettivi poteri sul bene e si caratterizza per la potenziale provvisorietà dei provvedimenti adottati, destinati come tali a soccombere dinanzi ad una situazione di diritto sostanziale sul bene.

I procedimenti possessori hanno natura bifasica, articolandosi in due fasi aventi caratteristiche e funzioni differenti.

Una prima fase, a cognizione sommaria e ad effetti anticipatori, è diretta a consentire l’emissione di quei provvedimenti urgenti che si rendono necessari a salvaguardare il possesso; la seconda fase, invece, ordinaria e a cognizione piena, è meramente eventuale e rimessa alla volontà della parte interessata, nonché volta ad accertare il merito possessorio.

Come previsto dall’art. 1168 c.c., in particolare, chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo; l’azione è altresì concessa a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l’abbia per ragioni di servizio o di ospitalità.

La norma disciplina così l’azione di reintegrazione, la quale è riservata al soggetto, possessore o detentore, che subisce la sottrazione violenta o clandestina del bene.

Mentre legittimato attivo dell’azione è dunque il possessore o il detentore qualificato della cosa, ovvero colui il quale ha la disponibilità della stessa per rispondere ad un interesse proprio, legittimato passivo è invece colui il quale ha acquisito il possesso della res in modo violento o clandestino.

Ai sensi dell’art. 1169 c.c., tuttavia, la reintegrazione può essere domandata anche contro chi è nel possesso in virtù di un acquisto a titolo particolare, fatto con la conoscenza dell’avvenuto spoglio.

L’azione di reintegrazione è quindi finalizzata a reintegrare in natura o per equivalente nel possesso il soggetto che sia stato vittima dello spoglio, consentendo al medesimo di ottenere la restituzione del bene sottratto, la distruzione delle opere che ne impediscono il godimento o l’esecuzione di quelle necessarie per il ripristino.

L’ultimo comma dell’art. 1170 c.c., invece, disciplina l’azione c.d. di spoglio semplice, la quale consente al legittimo possessore del bene di agire per ottenere la sua restituzione a fronte di uno spoglio non violento né clandestino.

Detto questo, è possibile che le azioni petitorie e quelle possessorie si intersechino tra loro, ponendo dunque la necessità di disciplinare il rapporto tra di esse intercorrente.

A tal proposito, l’art. 705 c.p.c. vietava al convenuto nel giudizio possessorio la possibilità di esercitare l’azione petitoria fino a quando il primo giudizio non fosse stato definito e la decisione eseguita.

La norma citata è stata censurata dalla Corte costituzionale, la quale ha evidenziato il rischio che tale limitazione possa finire per pregiudicare le ragioni del convenuto.

La Consulta, in particolare, ha dichiarato l’illegittimità costituzione del comma 1 dell’art. 705 c.p.c. nella parte in cui subordina la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria o all’esecuzione della decisione nel caso in cui ne derivi o ne possa derivare un pregiudizio irreparabile al convenuto.

Attualmente, dunque, il divieto sussiste purché il differimento non rechi al convenuto, titolare di un diritto reale sulla cosa, un sacrificio irrimediabile e non eliminabile con il successivo giudizio. 

Ne deriva, pertanto, che solo ragioni di particolare urgenza consentono al convenuto la possibilità di avviare un giudizio petitorio in pendenza di uno possessorio.

 

 

 

 

 


Sitografia
L’azione di restituzione e l’azione di rivendicazione: differenze (altalex.com)

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.
L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo. L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile. Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale. Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori. Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.

Latest posts by Avv. Riccardo Cuccatto (see all)

Articoli inerenti