La valutazione del danno psichico
E’ pacifico ormai in dottrina e giurisprudenza (si pensi già alla sent. Cass. Civ. 13547/2009 o Cass. Civ. 14402/2011) che i danni da pregiudizio esistenziale devono essere risarciti in quanto danni non patrimoniali, ex art. 2059 c.c..
Sono proprio dottrina e giurisprudenza a stabilire che, al fine di ottenere un esauriente e completo risarcimento del danno non patrimoniale, bisogna necessariamente tenere in considerazione il pregiudizio del “fare areddituale” del soggetto nella sua totalità, la compromissione della sua sfera non patrimoniale, che può manifestarsi attraverso una modifica della personalità tanto negativa da sconvolgere l’esistenza dell’individuo danneggiato, le abitudini di vita, le relazioni interpersonali interne ed esterne al nucleo familiare senza però necessariamente trascendere in conclamate patologie, ma una modifica che rappresenti un cambiamento tale da condizionare lo scorrere naturale della vita. Risarcire il danno non patrimoniale vuol dire quindi anche considerare il grado di sofferenza che il soggetto è costretto a patire, non solo quando essa resta nel sostrato più intimo, ma soprattutto quando degenera nel c.d. danno biologico (Cass. 7844/2011). Il d.p.r. n 37/2009 infatti stabilisce che per la richiesta di risarcimento relativa ad un danno da sofferenza e turbamento dello stato d’animo, non bisogna trascurare i profili psichici che si riflettono sull’andamento della vita quotidiana.
Si possono quindi distinguere tre categorie di danno non patrimoniale: psichico o biologico di natura psichica, esistenziale e morale.
La prima categoria riguarda quei casi in cui il soggetto danneggiato ha subito un trauma di tale rilevanza da aver avuto necessità di una valutazione diagnostica, insomma un soggetto che ha patito un pregiudizio tanto grave da avere un’appartenenza nosologica precisa in seguito ad una diagnosi clinica.
Premesso che la valutazione del danno psichico o danno biologico di natura psichica è complessa perché non si manifesta in modo tangibile non riguardando il soma ma la psiche, è possibile approcciarne un esame attraverso un’analisi simmetrico-analogica con quanto disposto dall’art. 1223 c.c.. Quest’ultimo, infatti, disciplina il risarcimento del danno in materia di inadempimento di obbligazioni (danno patrimoniale, sul versante opposto) ed indica come elementi essenziali, affinché si abbia un risarcimento danni, la perdita subita in conseguenza dell’evento (danno emergente) ed il mancato guadagno (lucro cessante). Ecco, secondo il medesimo ragionamento, è possibile sostenere la risarcibilità del danno psichico qualora emerga la lesione dell’integrità fisica (intesa come danno emergente) e le conseguenti mancate utilità non patrimoniali (lucro cessante).
Ad ogni modo la menomazione conseguente al trauma deve essere tale da impedire al soggetto di attendere alle proprie attività quotidiane di vita.
In termini pratici, la quantificazione del danno non patrimoniale segue le Linee Guida tracciate nelle tabelle del Tribunale di Milano (4020/2018), idonee ad essere assunte come parametro generale orientativo perché far riferimento a criteri rigidi non risulta plausibile considerando che il pregiudizio esistenziale è certamente variabile, nonché individuale, personale e soggettivo.
La personalità di un individuo, infatti, è un costrutto in continuo divenire, è complessa e si sviluppa attraverso le interazioni con l’ambiente esterno che a sua volta influisce sulla determinazione dello sviluppo personale attraverso un dinamico e vicendevole scambio. Dall’osservazione clinica emergono stretti legami tra peculiari eventi di vita e l’insorgenza di determinate patologie e cambiamenti di umore e personalità, considerando che ogni individuo ha una risposta diversa ai diversi stimoli esterni.
La difficoltà che riguarda la valutazione del danno psichico ai fini della risarcibilità è legata al fatto che quest’ultimo non si manifesta esteriormente, è una infermità mentale, una condizione patologica che sovverte la struttura psichica che risulta ridotta o comunque compromessa.
La seconda categoria, invece, quella di danno esistenziale deriva, nello specifico, dalla lesione di diritti costituzionalmente garantiti ed altera in senso peggiorativo il modo di essere di una persona, il suo equilibrio psicologico, il suo stile di vita relazionale e il modo di vivere gli affetti, condizionando in modo fortemente incidente la qualità della vita, la progettualità e le aspettative. Anche riguardo al danno esistenziale facciamo riferimento alla personalità e al suo sviluppo.
Il danno morale invece riguarda un turbamento psichico transeunte, destinato a finire e determinato dall’illecito. Rappresenta infatti un’autonoma categoria di danno poiché non incide sulla salute psichica del soggetto.
Se si potesse pensare al rapporto tra le tre categorie attraverso una rappresentazione grafica, si potrebbe immaginare una piramide al cui vertice sarebbe collocato il danno psichico, sovraordinato perché determina una psico-patologia conclamata, nel mezzo della piramide si collocherebbe il danno esistenziale che altera e compromette la qualità della vita, e sul fondo della piramide si troverebbe il danno morale che è legato ad un momento doloroso per il soggetto, ma che non inficia sulla vita quotidiana e di relazione.
La valutazione del danno è affidata al consulente tecnico d’ufficio o di parte specializzato in materia che collabora fornendo il proprio sapere specialistico.
In ambito civile è chiamato ad esprimersi sul nesso causale, necessario e fondamentale anche per ricostruire il funzionamento della persona prima e dopo l’evento; sulla sussistenza effettiva del danno; sulla quantificazione; sulla permanenza o temporaneità. In materia penale può esser chiamato a valutare la sussistenza del danno come elemento essenziale o accessorio del reato, è meno frequente che lo si interpelli in via extragiudiziale.
Ad ogni modo il danno può valutarsi come gravissimo, grave, medio, moderato e lieve in relazione a tutti gli aspetti coinvolti quali l’assetto psicologico e della personalità, le relazioni familiare ed affettive, le attività di riposo e creative, ricreative, le relazioni sociali, nonché le attività di autorealizzazione. Bisogna quindi approfondire ed accertare effettivamente quanto siano davvero compromesse.
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Felicita La Peccerella
Dott.ssa in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a ciclo unico presso l'Università di Roma "La Sapienza")
Formazione specialistica approfondita attraverso un corso intensivo di preparazione alla magistratura (Scuola Greco-Pittella, Roma)
Praticante Avvocato presso il Foro di Benevento
Esperta in Psicologia Giuridica in ambito civile e penale (adulti e minori) in seguito ad un Master Universitario di II livello (Istituto Skinner- Università Europea di Roma)
Socia dell'associazione CAMMINO (Camera Nazionale Avvocati per la persona, le relazioni familiari e i minorenni)
Copywriter
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