La violenza all’interno del matrimonio e l’aggravante dei rapporti di coniugio

La violenza all’interno del matrimonio e l’aggravante dei rapporti di coniugio

Due gli importanti punti fermi che i giudici della Cassazione ribadiscono, in ambito di violenza domestica: da una parte la applicabilità dell’aggravante dei rapporti di coniugio al reato di violenze contro il coniuge, anche se questo è separato e senza che rilevi o meno la coabitazione tra il reo e la persona offesa; dall’altro, lato l’ordinamento penale vigente non giustifica i comportamenti violenti commessi ai danni del proprio coniuge in base alle differenze culturali.

Tali orientamenti confermano l’indirizzo della Suprema Corte, che negli anni ha sanzionato e punito i reati commessi all’interno del matrimonio, i quali  risultano in modo più netto deprecabili, in virtù del vincolo di coniugio, in relazione all’affermazione a livello costituzionale dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29 Cost). Lungi dal porsi in contrasto con i principi costituzionali, tale pronuncia si risolve piuttosto in un rafforzamento degli stessi nella misura in cui, coerentemente con il sistema ispirato al principio della solidarietà, conferisce alla norma che prevede l’aggravante di cui all’art. 577 c.p. la giusta valenza dispositiva.

Il rapporto coniugale implica, oltre ai doveri sanciti dal codici civile, anche gli obblighi di rispetto della persona, della sua dignità, del suo onore e della libertà, funzionali all’impegno del matrimonio. Qualora uno dei coniugi subisca da parte dell’altro continue violazioni dei propri diritti personalissimi, esse giustificheranno l’intervento dell’ordinamento, qualora si integrino gli estremi della separazione per intollerabilità della convivenza o qualcuno dei reati in materia di famiglia o di persona. La violenza  domestica, verbale, fisica e sessuale che si esercita contro le donne in alcune coppie di coniugi contraddice la natura stessa dell’unione coniugale: si pensi alla grave mutilazione genitale della donna in alcune culture. Nel corso del 2020, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito determinati importanti principi costituzionali in materia di matrimonio e, in relazione  alla parità morale e giuridica dei coniugi, ha condannato il modo di agire di due mariti che hanno generato comportamenti violenti ai danni delle loro mogli, con due sentenze, emesse con distanza di alcuni mesi l’una dall’altra.

Con la  sentenza del 26 febbraio 2020, n. 7950, la Suprema Corte di Cassazione, aveva formulato conclusioni analoghe e concordanti rispetto alla sentenza pronunciata da parte della stessa Corte, nel mese di aprile, respingendo il ricorso di un marito, accusato di maltrattamenti in famiglia e di violenza sessuale ai danni della moglie.

Con la recente sentenza del 29 di aprile 2020, n. 13273,  i Giudici Supremi, hanno riconosciuto l’applicabilità dell’aggravante del rapporto di coniugio prevista dall’art. 577 c.p. per il reato di omicidio anche in presenza di comportamenti violenti contro la propria moglie. L’articolo 577 c.p. punisce con la pena dell’ergastolo l’omicida che abbia commesso il fatto contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l’altra parte dell’unione civile o contro la persona stabilmente convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva.

In relazione al reato di violenza sessuale, il motivo addotto dal marito ricorrente in Cassazione si basava sul fatto che il giudice di secondo grado non aveva considerato la c.d. variabile culturale, che in alcuni contesti può avere valore di scriminante sulla base del fatto che un determinato comportamento punito dall’ordinamento italiano sia consentito ed anzi incoraggiato in altre culture. La Suprema Corte di Cassazione, ha però respinto i tentativi di difesa del marito e, dopo avere valutato il contesto di umiliazione e sopraffazione messi in atto in modo continuativo dal marito nei confronti della donna, è arrivata alla conclusione che si dovesse considerare integrato il reato di violenza sessuale con costrizione attraverso l’utilizzo della violenza. A parere della Suprema Corte quando vi sono determinati valori primari come la libertà sessuale e l’integrità fisica, non sono ammesse nell’ambito del nostro sistema penale, valutazioni di carattere culturale, dal momento che “nessun sistema penale potrà mai abdicare, in ragione del rispetto di tradizioni culturali, religiose o sociali del cittadino o dello straniero, alla punizione di fatti che colpiscano o mettano in pericolo beni di maggiore rilevanza, come i diritti inviolabili dell’uomo garantiti e i beni ad essi collegati tutelati dalle fattispecie penali, che costituiscono uno sbarramento invalicabile contro l’introduzione, di diritto e di fatto, nella società civile, di consuetudini, prassi, costumi che tali diritti inviolabili della persona, cittadino o straniero, pongano in pericolo o danneggino”. Secondo la Cassazione, dunque, la difesa  e la valorizzazione della cultura devono cedere il passo qualora si pongano in contrasto con i diritti della persona garantiti dall’articolo 2 della Costituzione. La Suprema Corte ha altresì precisato che: “Ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psicofisico idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi in contrario l’esistenza né di un rapporto di coppia coniugale o para coniugale tra le parti, e né la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, laddove risulti la prova che l’agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione ed umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest’ultima al compimento di atti sessuali”. Non esiste, difatti, un diritto al rapporto sessuale in relazione al rapporto coniugale e non si può imporre o esigere una prestazione senza il consenso del coniuge. 

In relazione al reato di lesioni personali la recente sentenza dello scorso aprile ha sancito l’applicabilità dell’aggravante prevista dall’art 577 c.p. al reato di violenze contro il coniuge se pure separato, purchè non sia intervenuta sentenza di divorzio. Il caso vedeva due imputati essere stati condannati per i reati di lesioni personali aggravate per avere usato violenza fisica e gravi minacce contro la propria moglie. Sebbene tra gli imputati e le persone offese intercorresse una separazione legale oramai definita, i giudici del merito affermavano, per entrambi gli imputati, l’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 577 c.p., ritenendola applicabile in un contesto in cui intercorreva tra l’imputato e la persona offesa un rapporto di coniugio sia pure ormai superato dalla separazione in corso di definizione. La Corte aveva, invero, già avuto modo di affermare più volte – sin dalla pronuncia risalente al 1971 – che la circostanza aggravante del rapporto di coniugio si fonda sul valore morale, sociale e giuridico della qualità di coniuge per i doveri che comporta (si veda: Sez. 1 n. 1622 del 20.10.1971, dep. il 1970, Baracco, RV 120536). A parere degli ermellini “Il rapporto di coniugio è una circostanza speciale, di natura soggettiva, che ha il suo fondamento nel vincolo coniugale, unicamente preso in considerazione dell’art. 577 c.p., al di fuori della ulteriore circostanza dell’eventuale coabitazione”.  Tale orientamento, lungi dal risolversi in un ingiustificato trattamento a discapito del coniuge separato, si fonda sull’assunto secondo cui il regime di separazione legale tra i coniugi attenua il complesso degli obblighi nascenti dal matrimonio eliminando segnatamente quello della coabitazione, ma non elimina lo status di coniuge con i corrispondenti obblighi personali e permanenti che lo costituiscono, status che si perde solo con lo scioglimento del matrimonio. Pertanto il rapporto di coniugio, anche quando si interrompe, non può dirsi cessato in considerazione del rilievo che esso continua ad avere, che impone il rispetto di quei doveri che il matrimonio legittima e che persistono per tutta la sua durata. Difatti, la ratio dell’articolo 577 c.p. riposa nell’evidente necessità di apportare una tutela rafforzata alle persone che vivono o hanno vissuto un rapporto di tipo familiare e ciò non solo per la ripugnanza che l’azione contraria a detto legame suscita, ma anche per la insidiosità delle relazioni che su di esso possono innescarsi, e che non svaniscono necessariamente con la cessazione della convivenza.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Claudia Ruffilli

Claudia Ruffilli, nata a Bologna il 21 aprile 1992. Ho conseguito il diploma di maturità classica presso il Liceo Classico Marco Minghetti di Bologna. Nel 2017 ho conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bologna. Ho svolto la pratica forense presso uno Studio Legale ed un tirocinio formativo presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Nel 2019 ho conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte di Appello a Bologna, dove lavoro.

Articoli inerenti