L’accertamento del rapporto nel processo amministrativo: il ruolo del giudizio di ottemperanza

L’accertamento del rapporto nel processo amministrativo: il ruolo del giudizio di ottemperanza

La maturata concezione di rapporto amministrativo ha avuto tra le sue più importanti conseguenze quella di ridisegnare i confini del sindacato del giudice amministrativo rispetto agli atti e ai comportamenti attuati dalla pubblica amministrazione nell’esercizio dei poteri autoritativi.

La nuova fisionomia dell’interesse legittimo come interesse a un bene della vita e non alla semplice legalità ha, infatti, consentito un’interpretazione più elastica delle norme aventi ad oggetto i poteri del giudice.

Più in particolare questo fenomeno si spiega prendendo le mosse da due elementi: da un lato, la rinnovata concezione dell’interesse legittimo come coacervo di guarentigie poste a tutela della posizione del privato e, dall’altro, i limiti e vincoli più stringenti posti all’agire amministrativo, che in una lettura unitaria, danno vita alla ridefinizione di rapporto amministrativo.

I limiti posti all’amministrazione, tuttavia, si atteggiano in maniera differente a seconda che il potere si concretizzi in atti vincolati o in atti discrezionali.

Per quanto attiene all’attività vincolata, l’amministrazione procedente è tenuta al rispetto dei principi sanciti dalla legge nonché e, quindi, la decisione finale non è frutto di alcuna scelta, ricorre in tal senso lo schema norma-fatto-effetto.

Mentre, per la discrezionalità è necessaria una distinzione preliminare, in quanto questa si distingue in amministrativa, tecnica e mista, anche se lo schema unitario che ricorre è norma-potere-effetto. Nelle ipotesi di discrezionalità amministrativa, la pubblica amministrazione opera in due distinti momenti: il primo analitico e il secondo valutativo, ovverosia di ponderazione e scelta degli interessi coinvolti.

Nella discrezionalità amministrativa tale schema opera appieno, mentre nelle ipotesi di discrezionalità tecnica opera il solo momento analitico.

Deve, infine, aggiungersi che non mancano ipotesi in cui al momento di valutazione tecnica consegua un momento di discrezionalità amministrativa, ed è proprio in questi termini che si configura la discrezionalità cosiddetta “mista”.

Tali differenze strutturali si riflettono anche nella struttura del giudizio amministrativo di cognizione e, di conseguenza, anche e soprattutto sui poteri del giudice e sugli effetti delle pronunce che questi può adottare.

Tuttavia, tali poteri e tali effetti si ampliano e divengono più incisivi qualora si versi nell’ipotesi del giudizio di ottemperanza disciplinato dagli articoli 112 e seguenti del Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.

Il giudizio di cui si tratta rientra, infatti, nelle ipotesi di giurisdizione estesa al merito e, pertanto, implica poteri maggiormente penetranti in capo al giudice amministrativo.

In caso di attuazione elusiva, inesatta o incompleta della sentenza o di totale inerzia dell’amministrazione condannata, l’ottemperanza rappresenta il principale rimedio esecutivo per la parte vittoriosa. La finalità di tale azione è, infatti, quella di ottenere l’adempimento dell’obbligo accertato giudizialmente.

Si tratta, quindi, di comprendere entro quali limiti e in quali modalità ciò possa avvenire.

Preliminarmente, occorre richiamare l’art. 34, comma 1, lettera d) del codice del processo amministrativo che dispone che il giudice, nei casi di giurisdizione estesa al merito, può adottare un nuovo atto ovvero modificare o riformare quello impugnato.

La norma conferisce un potere molto esteso al giudice nel giudizio di ottemperanza, il quale, però, si atteggia diversamente a seconda che l’atto impugnato abbia contenuto vincolato o discrezionale. Il giudice, infatti, a seguito dell’individuazione dell’effetto conformativo e dei suoi contenuti, è chiamato ad adottare le misure più idonee al fine di far conseguire alla parte l’utilità richiesta.

E, quindi, nei casi che riguardano atti vincolati, che costituiscono le ipotesi più agevoli da risolvere, l’art. 114, comma 4, lettera a), c.p.a., fornisce soluzioni che incidono sul contenuto dell’atto, che può essere determinato giudizialmente, fino alla diretta emanazione dell’atto stesso in sede giurisdizionale.

Tale impostazione risulta perfettamente conforme al principio di separazione dei poteri e consente al giudice di agire senza invadere la sfera riservata alla pubblica amministrazione, in quanto in dette ipotesi il potere poteva essere esercitato legittimamente solo in un determinato modo, essendo assenti momenti valutativi.

Maggiormente articolata risulta la soluzione degli atti discrezionali, in quanto in questo ambito il giudice è maggiormente esposto a invadere la sfera di dominio riservata all’amministrazione e può esercitare il proprio sindacato solo a determinate condizioni.

L’annullamento del provvedimento amministrativo discrezionale, infatti, costituisce un’ipotesi di sentenza che contiene una regola incompleta in quanto l’effetto conformativo copre solo la parte dei poteri già esercitati dall’amministrazione e, quindi, non può estendersi all’intero rapporto controverso; ciò in quanto al giudice è sempre preclusa la possibilità di sconfinare nel merito amministrativo.

Tale impostazione tradizionale è, tuttavia, mutata recentemente in seno alla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha ammesso, entro precisi limiti, l’esercizio di un sindacato maggiormente incisivo anche con riferimento agli atti caratterizzati da un alto tasso di discrezionalità (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1321).

La materia in cui ciò è avvenuto è quella dei concorsi universitari in cui, a seguito di numerosi ricorsi aventi ad oggetto l’esclusione del medesimo candidato, il giudice amministrativo si è spinto sino alla ammissione diretta del candidato, alla luce di condotte dilatorie e pretestuose dell’amministrazione resistente. Quest’ultima, infatti, pur a seguito di numerose sentenze di annullamento, aveva reiterato la propria condotta con la designazione di diverse commissioni esaminatrici che aveva dato plurimi responsi negativi con motivazioni sempre più capziose, vanificando, di fatto, il dictum giudiziale.

La citata sentenza dimostra come la nuova concezione dell’interesse legittimo e del rapporto amministrativo abbia conferito una diversa consistenza all’interesse legittimo degno di una tutela effettiva anche sul piano processuale.


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