L’adozione in casi particolari e la c.d. adozione mite
L’adozione in casi particolari è una forma di tutela del minore che si contrappone alla c.d. adozione legittimante e che comporta la non interruzione dei rapporti con la famiglia di origine, famiglia con la quale il minore mantiene un rapporto significativo e che, in casi particolari, previsti dalla legge, può anche essere revocata.
Con l’adozione in casi particolari il minore si vede riconosciuto un legame con i genitori adottivi senza annullare, però, il rapporto con la propria famiglia di origine.
L’adozione in casi particolari è prevista:
– quando il minore è orfano di entrambi i genitori e l’adottante è un suo parente entro il sesto grado o una persona a lui legata da un rapporto stabile e duraturo preesistente alla morte dei genitori;
– quando l’adottante è il coniuge del genitore anche adottivo del minore;
– quando il minore, orfano di padre e madre, è riconosciuto affetto da “minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva che è causa di difficoltà di apprendimento di relazione od integrazione lavorativa, tale da determinare una condizione di svantaggio sociale o di emarginazione” (art. 3 co. 1 L. 104/1992);
– quando il minore è in impossibilità di affidamento preadottivo.
Tale tipo di adozione, che non recide il vincolo di parentela con la famiglia biologica, inizia a produrre i suoi effetti dalla data della sentenza che l’ha pronunciata e, da tale momento, al cognome del minore adottato si aggiunge quello della famiglia adottiva, famiglia che, sempre da quel momento, ha il diritto di esercitare la potestà genitoriale così come ha il diritto/dovere di istruire, educare e mantenere il minore.
Il rapporto adottivo che si viene ad instaurare riguarda solo l’adottante e l’adottato e non si estende alle rispettive famiglie.
Conseguentemente, quindi, l’adottato acquista i diritti ereditari esclusivamente nei confronti dell’adottante (non accade l’inverso) e partecipa alla divisione ereditaria dei beni di quest’ultimo al pari di ogni altro figlio. Gli adottanti, invece, non acquistano alcun diritto ereditario su eventuali beni dell’adottato.
Assimilabile ai casi di adozione in casi particolari è la c.d. “adozione mite”, una forma di adozione pensata per risolvere determinate situazioni di incertezza che possono crearsi quando la famiglia biologica non risulta idonea a rispondere ai bisogni educativi del minore.
Anche nei casi di adozione mite non si interrompe il rapporto di filiazione con la famiglia d’origine, anzi, a tale rapporto se ne aggiunge un altro che è, appunto, quello con i c.d. adottanti, soggetti a cui spetta, anche in questo caso, la potestà genitoriale.
L’obiettivo ti tale tipo di adozione è quello di creare un rapporto stabile tra il minore e la famiglia alla quale viene affidato senza, tuttavia, far venir meno il rapporto con la famiglia in cui è nato.
L’istituto dell’adozione mite, non disciplinato dal nostro ordinamento, deriva da un’interpretazione estensiva dell’art. 44, lett. d), della L. n. 184/1983 rubricata “ diritto del minore ad una famiglia”.
E’ dunque un istituto di carattere giurisprudenziale, nato per accogliere l’invito della Corte CEDU di preservare, dove possibile, il legame tra minore e famiglia d’origine, così che l’adozione legittimante possa essere presa in considerazione solo in casi estremi e, cioè, in tutti quei casi dove lo stato di abbandono risulta “endemico e radicale” e vi è, da parte della famiglia biologica, un’incapacità assoluta ed irreversibile di prendersi cura del figlio.
Ed infatti, proprio con l’ordinanza n. 1476/2021 la Suprema Corte ha aperto le porte, anche in Italia, alla c.d. adozione mite, procedura di adozione con modalità graduali, che può concludersi anche con il ritorno del minore nella famiglia d’origine.
La decisione alla quale sono giunti gli Ermellini ha alla base le sentenze Zhou contro Italia (2014) ed S.H. contro Italia (2015), sentenze con le quali è stato stabilito che integra violazione dell’art. 8 CEDU la mancata adozione, da parte delle autorità nazionali, di misure adeguate e sufficienti a garantire il rispetto del diritto del genitore di vivere con i propri figli.
Secondo tali pronunce è necessario, infatti, che gli Stati adottino tutte le misure concrete per permettere al minore di vivere con i genitori biologici o, nel caso in cui ciò non fosse possibile, di preservare il legame tra genitori biologici e minore anche nei casi in cui vi siano condizioni di parziale compromissione dell’idoneità genitoriale.
L’ordinanza n. 1476/2021 è dunque il punto di arrivo di un percorso già intrapreso dai giudici della Suprema Corte con l’ordinanza n. 3643/2020 con la quale gli stessi avevano già stabilito che “l’adozione legittimante è l’estrema ratio a cui si deve pervenire quando non si ravvisa alcun interesse per il minore di conservare una relazione con i genitori biologici, attesa la condizione di abbandono materiale e morale nella quale si troverebbe a vivere”.
La Corte, così, ha finalmente affermato il principio di diritto al quale tutti i Tribunali per i minorenni dovranno conformarsi, prevedendo che: «L’adozione cd. legittimante che determina, oltre all’acquisto dello stato di figlio degli adottanti in capo all’adottato, ai sensi dell’art. 27, comma 1°, l. 4 maggio 1983, n. 184, la cessazione di ogni rapporto dell’adottato con la famiglia d’origine, ai sensi del terzo comma, coesiste nell’ordinamento con la diversa disciplina dell’ “adozione in casi particolari”, prevista dall’art. 44, l. n. 184/1983, che non comporta l’esclusione dei rapporti tra l’adottato e la famiglia d’origine; in applicazione degli artt. 8 CEDU, 30 Cost., 1 1. n. 184/1983 e 315 bis, comma 2, c.c., nonché delle sentenze in materia della Corte EDU, il giudice chiamato a decidere sullo stato di abbandono del minore, e quindi sulla dichiarazione di adottabilità, deve accertare la sussistenza dell’interesse del medesimo a conservare il legame con i suoi genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, costituendo l’adozione legittimante una extrema ratio cui può pervenirsi nel solo caso in cui non si ravvisi tale interesse. Il modello di adozione in casi particolari, e segnatamente la previsione di cui all’art. 44, lett d), l. n. 184/1983, può, nei singoli casi concreti e previo compimento delle opportune indagini istruttorie, costituire un idoneo strumento giuridico per il ricorso alla cd. “adozione mite”, al fine di non recidere del tutto, nell’accertato interesse del minore, il rapporto tra quest’ultimo e la famiglia di origine».
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Avv. Maria Adele Sposato
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