L’Adunanza Plenaria 16 del 2020 si pronuncia e fa chiarezza sugli obblighi dichiarativi dei partecipanti alla gara

L’Adunanza Plenaria 16 del 2020 si pronuncia e fa chiarezza sugli obblighi dichiarativi dei partecipanti alla gara

Premessa: i requisiti di partecipazione alla gara. I requisiti necessari per ogni operatore economico al fine di partecipare alla gara di appalto sono indicati nel codice dei contratti pubblici, d.lgs 50/2016, agli articoli 80 ed 83. Occorre, tuttavia, precisare come la sistematica del codice non distingue tra requisiti di carattere generale e speciale, traendo in inganno sia gli operatori del mercato che gli interpreti. Il codice, infatti, all’art. 80 chiama “cause di esclusione” quelli che, in realtà, sarebbero i requisiti di partecipazione generale, mentre chiama “criteri di selezione” i requisiti di ordine speciale. Ragion per cui, prima di analizzare i requisiti necessari va chiarito che: l’art. 80 indica i requisiti generali che tutti gli operatori devono possedere per poter partecipare ad una gara, mentre l’art. 83 precisa i requisiti particolari che occorrono agli operatori che intendano partecipare a “quella” particolare gara indetta da “quella” stazione appaltante.

Premesso quanto sopra, è necessario distinguere tra due grandi tipologie di requisiti necessari per la partecipazione alla gara: quelli soggettivi e quelli oggettivi. Sono soggettivi quei requisiti di ordine generale attinenti all’onestà e affidabilità morale che, in loro mancanza, si traducono in cause di esclusione dalla gara obbligatorie e non possono introdursi ulteriori ipotesi da parte della stazione appaltante. Sono oggettivi i requisiti attinenti alla capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa ed in tal caso la stazione appaltante potrà aggiungere ulteriori requisiti più restrittivi di quelli previsti dalla legge, ma a condizione che vengano rispettati i limiti della logicità e ragionevolezza.[1]

I gravi illeciti professionali ex art. 80. La norma sopra indicata, al comma 5 lettera c) ha previsto, quale causa di esclusione dalle gare di appalto, la fattispecie dei gravi illeciti professionali. In particolare, la norma prevede l’esclusione dell’operatore economico allorché questi si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali idonei a rendere dubbia la sua integrità o affidabilità.[2]

Nell’alveo degli illeciti citati rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che ne hanno causato la risoluzione anticipata; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; aver fornito, anche solo per negligenza, informazioni false e fuorvianti suscettibili di influenzare la decisione sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione.

Si tratta di una pletora di ipotesi notevolmente più ampia rispetto a quella prevista dal previgente codice, includendo diverse ipotesi, anche diverse dall’errore o dalla negligenza, che intervengono anche nella fase di gara e non solo nella fase di esecuzione contrattuale. La norma, tuttavia, ha sollevato diverse questioni controverse.

In primo luogo, ci si è chiesti se alla luce della nozione più ampia di illecito, possano rilevare anche gli illeciti anticoncorrenziali sanzionati dall’AGCM, con conseguente esclusione dalla gara. Sul punto, le linee guide dell’ANAC, in particolare la numero 6, prevede che la stazione appaltante debba valutare anche i provvedimenti da parte dell’autorità antitrust ai fini dell’esclusione eventuale di un concorrente; in senso analogo anche parte della giurisprudenza amministrativa[3]. Un orientamento di senso opposto, invece, ha ritenuto che le sanzioni dell’AGCM non rientrino nell’alveo della norma suindicata.[4] Sul punto, va detto che un argomento a favore del primo orientamento, che ritiene che le stazioni appaltanti possano escludere le imprese per tali motivi, deriverebbe dal considerando 101 della direttiva 2014/24 nonché l’art, 57 comma 4 della stessa; da tali riferimenti normativi, infatti, emerge che le cause di esclusioni facoltative (come l’illecito antitrust) sono definite tali perché esse, anche ove venga accertato l’illecito, non sono automatiche ma possono essere valutate autonomamente dalle amministrazioni aggiudicatrici.[5]

Altra questione ha riguardato la risoluzione sub iudice. In particolare, come visto l’art. 80 alla lettera c) del comma 5 prevede l’esclusione dell’impresa per le carenze che ne hanno causato la risoluzione anticipata. Ciò posto, l’esclusione opera anche se la risoluzione del precedente rapporto è ancora sub iudice? Il dubbio sorge dalla lettera della norma, che fa riferimento ad una risoluzione non contestata in giudizio o confermata all’esito di un giudizio. Sul punto, la prevalente giurisprudenza ritiene che la norma autorizzi l’esclusione anche nei i casi in cui la stazione appaltante dimostri che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti, ragion per cui ad una impresa non basta contestare in giudizio la risoluzione per evitare l’esclusione, potendo la stazione appaltante sempre ricorrere a tale sanzione valorizzando la clausola normativa di chiusura e, pertanto, dimostrando con mezzi adeguati i fatti che rendano comunque dubbia l’affidabilità e l’integrità del concorrente.

Di recente la questione è approdata alla Corte di giustizia, alla quale è stato chiesto se la normativa nazionale prevista alla lettera c) art 80 fosse coerente con la direttiva 2014/24 che esclude obbligatoriamente, in caso di risoluzione non contestata o confermata in giudizio, il concorrente per grave illecito professionale che abbia causato la risoluzione anticipata.

La Corte di Giustizia è intervenuta nel giugno 2019 precisando che la normativa europea osta ad una normativa nazionale dove la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un l’appalto impedisce all’amministrazione aggiudicatrice che abbia indetto una nuova gara di effettuare una valutazione sull’affidabilità dell’operatore cui si riferisce la risoluzione.[6]

L’Adunanza Plenaria 16/2020 sulle false dichiarazioni. Con la pronuncia n. 16 del 2020, l’Adunanza Plenaria si è occupata della possibilità di escludere automaticamente da una gara di appalto l’impresa che abbia fornito dichiarazioni false.

In particolare, l’oggetto del decisum ha riguardato sia il concetto di falsità, e cioè cosa debba intendersi per dichiarazione falsa, sia il rapporto tra l’art 80 comma 5 lettera c) e lettera f-bis) per quanto concerne la possibilità di espellere automaticamente l’impresa, ovvero la necessità che la PA valuti, volta per volta, se quella dichiarazione falsa, o inesatta, costituisca una dichiarazione idonea ad inficiare l’affidamento nei suoi confronti e, solo in tal caso, procedere all’espulsione. In altri termini, in presenza di un falso, l’espulsione è automatica o no? Ciò posto, il primo punto da chiarire è proprio il concetto di falsità. La sentenza affronta questo tema perché lo ritiene prodromico per la soluzione della questione fondamentale relativo all’automatismo espulsivo.

Il fatto oggetto di giudizio riguardava un’impresa che nel rendere una dichiarazione aveva sovrastimato la propria capacità economica ritenendo erroneamente che potesse fare affidamento sulla capacità finanziaria di un soggetto con cui aveva un avvalimento. In particolare, l’azienda aveva fatto leva su questo dato finanziario interpretando male la normativa, ritenendo di poter considerare anche il fatturato proveniente dall’impresa avvalente; tuttavia, pur scorporando la parte economica relativa a quest’ultima impresa il partecipante deteneva comunque il requisito richiesto, ma ciononostante era stato escluso dalla gara perché, secondo un orientamento giurisprudenziale costante, ogni dichiarazione falsa, a prescindere da una sua effettiva capacità di incidere sull’affidabilità dell’impresa o meno, dovrebbe comportare l’espulsione.

Ciò premesso, per quanto concerne il concetto di falso, la plenaria chiarisce che la falsità di una dichiarazione dev’essere predicabile rispetto ad un dato di realtà; ragion per cui la dichiarazione è falsa quando questa sia relativa ad una situazione fattuale in cui possa porsi da un punto di vista logico l’alternativa vero/falso. In altri termini, un pensiero può ritenersi vero o falso nel momento in cui la realtà cui esso si riferisce sia constatabile in rerum natura. Nel caso di specie, le dichiarazioni che vengono fatte dall’operatore economico in relazione all’esistenza e quantificazione dell’importo necessario per la partecipazione alla gara non sono riconducibili all’antitesi vero/falso.[7]

La plenaria quindi fa riferimento alla realtà fattuale che, però, nel caso di specie difetta di questo aggancio alla realtà fattuale che consenta di verificare se la dichiarazione sia vera o falsa, ciò perché la questione verte sulla interpretazione, più o meno opinabile, di una norma giuridica e dunque non sussiste in tal caso quell’alternativa tra vero e falso agganciata ad una realtà di fatto concreta.

Ciò chiarito, non è un caso che l’art. 80 comma 5 lettera c) quando fa riferimento alla dichiarazione falsa aggiunge un elemento specializzante e precisa “informazioni false o fuorvianti che siano idonee a influenzare le decisione sull’esclusione, la valutazione o l’aggiudicazione”; pertanto, la falsità richiesta dalla norma indicata, a differenza da quella indicata dalla lettera f), è solo quella idonea a sviare la PA dall’adozione di determinati provvedimenti. C’è uno stretto collegamento tra la procedura di gara e la capacità “truffaldina” della dichiarazione. Si parla appunto di dichiarazione sia falsa che fuorviante, che son concetti ben diversi, proprio perché quel che conta è la capacità della dichiarazione di sviare l’amministrazione e non la falsità in sé.[8]

Con questa prima presa di posizione la Plenaria perimetra la dichiarazione di falsità. Inoltre, tale definizione va valutata anche a fronte di un orientamento giurisprudenziale costante, che sostiene che l’impresa partecipante sia tenuta a dare ogni informazione attinente alla situazione economica della società che possa essere utile alla PA, superando l’elencazione individuata dalle linee guida ANAC che attuano l’art. 80; queste ultima, infatti, danno indicazioni su alcuni elementi in base ai quali vanno date le informazioni da parte degli operatori economici ma di carattere esemplificativo, perché l’operatore economico deve indicare tutti i fatti che possano essere di rilievo per far valutare alla PA la sua affidabilità.

Dunque, la PA dovrà verificare se l’informazione sia falsa, se idonea a sviarla e se il comportamento abbia inciso sulla sua affidabilità e se sia o meno prevista dalla normativa. Una tale valutazione dovrà essere effettuata dall’amministrazione e non per la prima volta dal giudice perché, in caso contrario, si violerebbe il principio per cui il giudice non può pronunciarsi su questioni sulla quale ancora non si è pronunciata la PA. Se, invece, la stazione appaltante si è pronunciata sulla rilevanza delle informazioni sarà sempre possibile il giudizio ma con tutti i limiti tipici del giudizio di legittimità.[9]

Ciò premesso, la questione maggiormente attesa riguardava il rapporto tra le due norme indicate in precedenza. In particolare: mentre l’art. 80 lett c-bis prevede che l’indicazione di informazioni false, fuorvianti o omissive, devono essere valutate dalla PA nel giudizio di affidabilità dell’operatore, la lettera f-bis prevede una causa di esclusione automatica nell’ipotesi di documentazione o informazione non veritiera.[10] Sul punto, fino ad ora la giurisprudenza ha costantemente ritenuto che qualunque dichiarazione falsa dovesse portare alla esclusione del partecipante senza che la PA potesse valutare la rilevanza della informazione, anche nelle ipotesi, come nel caso di specie, in cui l’operatore avesse comunque i requisiti, facendo leva sul dato letterale della lettera f-bis.

Nonostante fosse rinvenibile un differente dato testuale tra le due ipotesi, in quanto la lettera f-bis parla di documentazione o dichiarazione non veritiere mentre la lettera c-bis parla di informazioni, la plenaria ha evidenziato come non sia utile questa distinzione lessicale perché, in realtà, i documenti e le dichiarazioni non sono altro che un veicolo di informazioni, quindi gli spazi normativi descritti dalle fattispecie in realtà si sovrappongono descrivendo una medesima area normativa.

Orbene, la sovrapposizione normativa nel nostro ordinamento è risolvibile tramite il principio di specialità ex art 15 delle preleggi, il quale è in grado di risolvere una antinomia tra norme. Nonostante anche in tal caso, applicando detto criterio, è possibile una sovrapposizione, nella norma prevista dalla lettera c-bis c’è un elemento specializzante, perché si parla di informazioni false e fuorvianti ma indirizzate all’adozione di provvedimenti da parte della stazione appaltante in tema di esclusione, valutazione o aggiudicazione, ed è in ciò che si rinviene l’elemento specializzante. Quindi, ogni qual volta l’informazione falsa fornita dall’operatore economico sia in grado di fuorviare la PA nell’adozione della tipologia di provvedimenti indicati dovrà applicarsi la lettera c-bis e non la lett. f-bis, ribaltando in tal modo la giurisprudenza amministrativa prevalente.[11]

La conseguenza è di rilievo perché: mentre la lettera f-bis prevede l’espulsione automatica, la lettera c-bis richiede la valutazione da parte della PA sulla idoneità e rilevanza delle informazioni nell’ambito del giudizio di affidabilità. Pertanto, l’espulsione automatica non riguarda qualsiasi dichiarazione falsa, come era fino ad oggi, ma riguarda soltanto alcune dichiarazioni: quelle obiettivamente false senza margine di opinabilità, che non siano finalizzate all’adozione dei provvedimenti indicati.

Ciò chiarito l’Adunanza Plenaria ha concluso enunciando i seguenti principi di diritto:

– la falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lettera c) [ora c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50;

– in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo;

– alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico;

– la lettera f-bis) dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lettera c) [ora c-bis)] della medesima disposizione.

In conclusione, a seguito della decisione in commento dell’ipotesi prevista dall’art. 80, co. 5, lettera f-bis non resta praticamente nulla, trattandosi di ipotesi di non agevole individuazione, essendo difficile trovare informazioni che non siano rese al fine di provocare una decisione inerente alla gara.

 

 

 

 


[1] Cfr. R. GIOVAGNOLI, manuale di diritto amministrativo, IV edizione, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano 2018.
[2] D.lgs 50 del 2016, art. 80, co. 5, lett. c), c-bis), c-ter), c-quater): “la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità; c-bis) l’operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione; c-ter) l’operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa; c-quater) l’operatore economico abbia commesso grave inadempimento nei confronti di uno o più subappaltatori, riconosciuto o accertato con sentenza passata in giudicato;”
[3] Cfr. TAR Lazio, sez. I, sentenza 1119 del 31.01.2018, massima: “La lettera dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 non contempla un numero chiuso di illeciti professionali, ma disegna una fattispecie aperta contenente un’elencazione avente chiara natura esemplificativa e non tassativa, rimettendo alle Stazioni Appaltanti la possibilità di individuare altre ipotesi, non espressamente contemplate dalla norma primaria o dalle linee guida Anac, che siano oggettivamente riconducibili alla fattispecie astratta del grave illecito professionale, tra cui vanno compresi anche gli illeciti anticoncorrenziali.” In senso analogo, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1299 del 02.03.2018, massima: “L’art. 80, comma 5, lett. c), d.lg. 18 aprile 2016, n. 50 non comporta una preclusione automatica della valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante della gravità di inadempienze che, pur non immediatamente riconducibili a quelle tipizzate, quanto agli effetti prodotti, siano tuttavia qualificabili come « gravi illeciti professionali » e siano perciò ostative alla partecipazione alla gara perché rendono dubbie l’integrità o l’affidabilità del concorrente; piuttosto, in tale eventualità — vale a dire quando esclude dalla partecipazione alla gara un operatore economico perché considerato colpevole di un grave illecito professionale non compreso nell’elenco dell’art. 80, comma 5, lett. c) — la stazione appaltante dovrà adeguatamente motivare in merito all’esercizio di siffatta discrezionalità (che concerne la gravità dell’illecito, non la conseguenza dell’esclusione, che è dovuta se l’illecito è considerato grave) e dovrà previamente fornire la dimostrazione della sussistenza e della gravità dell’illecito professionale contestato con « mezzi adeguati ».”
[4] Cfr. TAR Parma, sez. I, sentenza n. 18 del 15.01.2018, massima: “La sanzione irrogata dall’A.G.C.M. non può essere astrattamente ricondotta alla norma di cui all’art. 80 del D. Lgs. n. 50 del 2016 laddove esso discorre di « altre sanzioni » tra le conseguenze che possono derivare dalla violazione dei doveri professionali e segnatamente dalle « significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione »; possono essere considerate come « altre sanzioni » solamente l’incameramento delle garanzie di esecuzione o l’applicazione di penali, fermo che la sola applicazione di una clausola penale non è di per sé sintomo di grave illecito professionale, specie nel caso di applicazione di penali in misura modesta; la previsione di cui all’art. 80 ha una portata molto più ampia, in quanto, da un lato, non opera alcuna distinzione tra precedenti rapporti contrattuali con la medesima o con diversa stazione appaltante, e, dall’altro lato, non fa riferimento solo alla negligenza o errore professionale, ma, più in generale, all’illecito professionale, che abbraccia molteplici fattispecie, anche diverse dall’errore o negligenza, e include condotte che intervengono non solo in fase di esecuzione contrattuale, come si riteneva nella disciplina previgente, ma anche in fase di gara — quali, ad es. le false informazioni, l’omissione di informazioni, il tentativo di influenzare il processo decisionale della stazione appaltante -, ma in tale ventaglio di ipotesi non possono comunque rientrare anche i comportamenti anti-concorrenziali, in quanto di per sé estranei al novero delle fattispecie ritenute rilevanti dal legislatore.”
[5] R. GIOVAGNOLI, op.citata, pag.802.
[6] Cfr. Corte di Giustizia, sez. IV, causa C-41/18, sentenza del 19.06.2019, in motivazione: “L’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico, assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce all’amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d’appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce“.
[7] Cfr. Adunanza Plenaria n. 16/2020, in motivazione: “§ – 10. In ordine al profilo ora evidenziato sono condivisibili i rilievi svolti dalla V Sezione nell’ordinanza di rimessione, parimenti sopra richiamati, secondo cui la falsità di una dichiarazione è invece predicabile rispetto ad un «dato di realtà», ovvero ad una «situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l’alternativa logica vero/falso», rispetto alla quale valutare la dichiarazione resa dall’operatore economico. Ed infatti, è risalente l’insegnamento filosofico secondo cui vero e falso non sono nelle cose ma nel pensiero e nondimeno dipendono dal rapporto di quest’ultimo con la realtà. In tanto una dichiarazione che esprima tale pensiero può dunque essere ritenuta falsa in quanto la realtà cui essa si riferisce sia in rerum natura. Posta questa premessa, deve quindi ribadirsi che le questioni poc’anzi richiamate relative al possesso dei requisiti del consorzio stabile indicato dalla Doronzo Infrastrutture come proprio ausiliario ai fini della qualificazione economico-finanziaria nella procedura di affidamento in contestazione nel presente giudizio non hanno il loro sostrato nella realtà materiale ma, come si evince anche dal dibattito processuale tra le parti in causa, vertono sull’interpretazione – opinabile al più – di norme giuridiche, ed in particolare l’art. 47 del codice dei contratti pubblici concernente la qualificazione dei consorzi stabili, o di patti consortili.”
[8] Cfr. Adunanza Plenaria n. 16/2020, in motivazione: “Rispetto all’ipotesi prevista dalla falsità dichiarativa (o documentale) di cui alla lettera f-bis) quella relativa alle «informazioni false o fuorvianti» ha un elemento specializzante, dato dalla loro idoneità a «influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione» della stazione appaltante. Ai fini dell’esclusione non è dunque sufficiente che l’informazione sia falsa ma anche che la stessa sia diretta ed in grado di sviare l’amministrazione nell’adozione dei provvedimenti concernenti la procedura di gara. Coerentemente con tale elemento strutturale, la fattispecie equipara inoltre all’informazione falsa quella fuorviante, ovvero rilevante nella sua «attitudine decettiva, di “influenza indebita”», secondo la definizione datane dall’ordinanza di rimessione, ovvero di informazione potenzialmente incidente sulle decisioni della stazione appaltante, e che rispetto all’ipotesi della falsità può essere distinta per il maggior grado di aderenza al vero.”
[9] Cfr. Adunanza Plenaria n. 16/2020, in motivazione: “§ – 15. Nel contesto di questa valutazione l’amministrazione dovrà pertanto stabilire se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante; se inoltre la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni; ed infine se il comportamento tenuto dall’operatore economico incida in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità. Del pari dovrà stabilire allo stesso scopo se quest’ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti, sia perché previste dalla legge o dalla normativa di gara, sia perché evidentemente in grado di incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità. Qualora sia mancata, una simile valutazione non può essere rimessa al giudice amministrativo. Osta a ciò, nel caso in cui tale valutazione sia mancata, il principio di separazione dei poteri, che in sede processuale trova emersione nel divieto sancito dall’art. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo (secondo cui il giudice non può pronunciare «con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati»). Laddove invece svolta, operano per essa i consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale in cui l’amministrazione sola è chiamata a fissare «il punto di rottura dell’affidamento nel pregresso e/o futuro contraente»; limiti che non escludono in radice, ovviamente, il sindacato della discrezionalità amministrativa, ma che impongono al giudice una valutazione della correttezza dell’esercizio del potere informato ai princìpi di ragionevolezza e proporzionalità e all’attendibilità della scelta effettuata dall’amministrazione.”
[10] D.lgs 50 del 2016, art. 80, co. 5, lett. f-bis: “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni…l’operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere”.
[11] Cfr. Adunanza Plenaria n. 16/2020, in motivazione: “§ – 18. Per dirimere il conflitto di norme potenzialmente concorrenti sovviene allora il criterio di specialità (art. 15 delle preleggi), in applicazione del quale deve attribuirsi prevalenza alla lettera c), sulla base dell’elemento specializzante consistente nel fatto che le informazioni false, al pari di quelle fuorvianti, sono finalizzate all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante «sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione» e concretamente idonee ad influenzarle. Per effetto di quanto ora considerato, diversamente da quanto finora affermato dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, l’ambito di applicazione della lettera f-bis) viene giocoforza a restringersi alle ipotesi – di non agevole verificazione – in cui le dichiarazioni rese o la documentazione presentata in sede di gara siano obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità, e non siano finalizzate all’adozione dei provvedimenti di competenza dell’amministrazione relativi all’ammissione, la valutazione delle offerte o l’aggiudicazione dei partecipanti alla gara o comunque relativa al corretto svolgimento di quest’ultima, secondo quanto previsto dalla lettera c).”

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