L’Adunanza Plenaria sulla legittimazione generale degli enti esponenziali in relazione alla tutela degli interessi collettivi

L’Adunanza Plenaria sulla legittimazione generale degli enti esponenziali in relazione alla tutela degli interessi collettivi

Il Supremo Consesso della Giustizia amministrativa (sentenza n.6 del 20/02/2020) si è pronunciato su una rilevante questione attinente alla sussistenza o meno, in capo agli enti esponenziali, di una generale  legittimazione ad agire a difesa degli interessi collettivi nel giudizio amministrativo. La Plenaria si è interrogata, in altri termini, se fermo restando il divieto di sostituzione processuale contemplato dall’art. 81 c.p.c., tali enti siano legittimati ad agire in giudizio anche al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.

Il tema inerisce ai cc.dd. “interessi superindividuali”, nel cui genus spiccano gli “interessi diffusi” e alle tecniche di tutela giurisdizionale che sono state elaborate per rispondere alle esigenze di tutela dai medesimi poste, nel tentativo di conciliare la fisionomia di tali interessi con la struttura del processo amministrativo.

Per meglio comprendere i problemi pratici sottesi alla questione, occorre ricordare che nel nostro ordinamento il processo amministrativo presenta una chiara impronta soggettiva: ciò significa che solo il titolare di una posizione giuridica individuale, diritto soggettivo o interesse legittimo che sia, può agire in giudizio. Oltre alla legitimatio ad causam, che coincide appunto con la sussistenza di una situazione giuridica soggettiva differenziata, altra condizione dell’azione è l’interesse ad agire, il quale sottende che la lesione dell’anzidetta situazione giuridica sia nel contempo concreta e attuale. [1]La natura soggettiva del processo amministrativo è vieppiù avvalorata dal fatto che le azioni popolari, ossia quelle azioni che possono essere promosse da soggetti appartenenti ad  una collettività per veicolare interessi pubblici di pertinenza di quest’ultima a prescindere dalla sussistenza di una posizione giuridica individuale, sono rigorosamente e tassativamente delineate dal legislatore, sicché è impossibile predicarne l’ammissibilità al di fuori dei casi previsti.

C’è da chiedersi, allora, stante l’evidenziata fisionomia soggettiva del processo, quali prospettive di tutela possano residuare per gli interessi diffusi, i quali, ontologicamente si presentano come interessi “adespoti” poiché fanno capo ad una collettività indifferenziata. Difatti tali interessi ineriscono, sotto il profilo soggettivo, a una pluralità indistinta di soggetti, mentre dal punto di vista oggettivo, accedono a beni non suscettibili di fruizione differenziata, difettando evidentemente di quei connotati di differenziazione e personalizzazione che costituiscono il sostrato dell’interesse legittimo.

Per sopperire a questo palese deficit di differenziazione, la giurisprudenza ha operato, sin dagli anni ’70 del secolo scorso, una graduale trasformazione degli interessi diffusi in interessi legittimi, sub specie nella forma di interessi collettivi. In tale ottica, l’interesse diffuso, da magmatico e adespota, assurge a interesse collettivo, inerendo a un ente esponenziale, di modo che attraverso quest’ultimo può essere veicolato nel processo assumendo quei tratti di differenziazione e personalizzazione indispensabili in un sistema processuale dall’impronta soggettiva.

La questione si è allora spostata sull’individuazione dei criteri più idonei a selezionare gli enti in grado di agire in giudizio e quindi, in altri termini sul grado di differenziazione necessario per accedere alla tutela giurisdizionale.

In un primo momento, la legittimazione processuale dell’ente collettivo è stata ancorata a un elemento prettamente formale, quale il riconoscimento della personalità giuridica: successivamente, a causa degli angusti limiti derivanti da tale impostazione, sono stati privilegiati requisiti di carattere sostanziale, attribuendo rilievo all’effettività rappresentatività dell’ente rispetto all’interesse di cui si fa portatore, alla finalità statutaria, alla stabilità e non occasionalità dell’organizzazione e, in taluni casi, al collegamento con il territorio (c.d. vicinitas).

Lo stesso legislatore ha accolto di buon grado queste preziose indicazioni provvedendo a trasporre, in taluni settori, gli indici sostanziali di effettiva rappresentatività elaborati dalla giurisprudenza.

Esempio classico di questa tendenza è rappresentato dalla materia ambientale, ove l’art. 18 co. 5 della legge n. 349 del 1986 (comma sopravvissuto all’abrogazione disposta dal Codice dell’ambiente del 2006) consente alle associazioni individuate alla stregua dell’art. 13 (in sostanza quelle individuate con decreto del Ministro dell’Ambiente) di intervenire nei giudizi in materia di danno ambientale e soprattutto,  di impugnare gli atti illegittimi dinanzi al giudice amministrativo.

Orbene, va precisato che sull’estensione della legittimazione processuale degli enti esponenziali non vi è mai stata unanimità di vedute: secondo un primo orientamento, più restrittivo e maggiormente incline a una limitazione delle maglie di accesso alla giustizia amministrativa a presidio della struttura soggettiva del processo, solo gli enti individuati dalla legge nel rispetto di determinati requisiti possono agire in giudizio a tutela degli interessi collettivi di cui sono portatori.

A sostegno di questa ricostruzione viene frequentemente menzionata una sentenza del Consiglio di Stato (sezione VI, n, 3303 del 2016) nella quale si è prestata adesione all’orientamento restrittivo evocando il divieto di sostituzione processuale posto dall’art. 81 c.p.c., alla cui stregua “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”.  Il Collegio ha  così messo in dubbio la tradizionale impostazione fondata sulla graduale collettivizzazione dell’interesse diffuso, osservando come siffatta trasformazione se poteva avere un fondamento nei tempi passati ove  l’ordinamento non era ancora pronto a rispondere alle esigenze di tutela degli interessi supraindividuali e si è  pertanto individuato nell’ente esponenziale il punto di riferimento idoneo a sopperire a queste crescenti istanze, non ha invece più ragione di essere nell’attuale contesto normativo  ove è il legislatore stesso a predisporre forme e modalità specifiche di tutela. Si vuole dire, insomma, che la tutela, dapprima rimessa in via giurisprudenziale all’iniziativa spontanea di associazioni e gruppi, è stata per così dire “istituzionalizzata” poiché, sempre più spesso, è il legislatore a individuare non solo chi può agire ma altresì le tipologie di azioni esperibili. Nel ragionamento espresso in questa pronuncia, il divieto di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c. postula che anche per gli enti esponenziali, la possibilità di agire in giudizio in nome proprio a tutela degli interessi diffusi dei soggetti appartenenti alla categoria debba rinvenire un preciso riferimento normativo al di fuori del quale non vi sarebbero margini di operatività.

All’orientamento dinanzi esposto si contrappone quello “tradizionale”,  propenso a estendere le maglie della legittimazione, in ossequio ai principi costituzionali ed eurounitari di effettività della tutela, anche alle associazioni non individuate dalla legge, purché il giudice riscontri la sussistenza in concreto dei sostanziali indici di rappresentatività (adeguato grado di rappresentatività, stabile organizzazione, finalità statutaria).

È in questo contesto che si inserisce la recentissima sentenza dell’Adunanza Plenaria (n. 6 del 20/02/2020) menzionata in apertura, la quale  ha mostrato di non condividere la ricostruzione prospettata dall’orientamento restrittivo, statuendo che “gli enti associativi esponenziali, iscritti nell’apposito elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie, e in particolare l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da un’espressa previsione di legge in tal senso”.

Il Supremo Consesso ha evidenziato come il richiamo all’art. 81 c.p.c., argomento centrale che l’orientamento restrittivo suole addurre per negare la legittimazione generale degli enti esponenziali alla tutela degli interessi collettivi, non sia pertinente. Difatti, sebbene si possa discutere, allo stato dell’arte, circa la sussistenza o meno di un interesse legittimo collettivo, è tuttavia da escludere che gli enti azionino un diritto “altrui” nel richiedere la tutela giurisdizionale: essi fanno valere una situazione propria, ossia interessi diffusi nella comunità di riferimento che vivono in uno stato fluido almeno sin quando un soggetto collettivo non li rappresenti. Non si tratta quindi di una fictio giuridica, quanto piuttosto di una precisa valutazione e selezione degli interessi da tutelare filtrata dalla verifica del grado di rappresentatività dell’ente esponenziale che si fa carico della tutela.  Se così è l’interesse diffuso si personalizza in capo all’ente e diviene un interesse suo proprio, indi la non pertinenza del richiamo all’art. 81 c.p.c.

La fattispecie esaminata dalla Plenaria concerne concretamente un caso di tutela consumeristica sicché sono necessarie ulteriori notazioni, in ragione della specialità delle norme che vengono in rilievo in tale peculiare settore.

Ed invero, l’art. 32 bis del D.lgs. 58 del 1998 (T.U. in materia di intermediazione finanziaria) dispone che Le associazioni dei consumatori inserite nell’elenco di cui all’articolo 137 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sono legittimate ad agire per la tutela degli interessi collettivi degli investitori, connessi alla prestazione di servizi e attività di investimento e di servizi accessori e di gestione collettiva del risparmio, nelle forme previste dagli articoli 139 e 140 del predetto decreto legislativo”.  

Il richiamo alle forme contemplate dagli artt. 139 e 140 del Codice del Consumo è stato inteso dalla tesi restrittiva come riferimento esclusivo alle azioni contemplate dalle predette disposizioni, ossia alle azioni esperibili dinanzi al giudice ordinario: inibitoria, correzione o eliminazione degli effetti dannosi delle violazioni accertate, pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione locale o nazionale. L’orientamento restrittivo ha pertanto desunto che le associazioni dei consumatori iscritte negli appositi elenchi non sono abilitate a esperire l’azione di annullamento degli atti lesivi dinanzi al giudice amministrativo, atteso il mancato rinvio a tale azione nelle norme citate.

La Plenaria ha confutato questo modo di argomentare, osservando come le disposizioni in parola non siano in grado di smentire la tradizionale ricostruzione del diritto vivente sulle tecniche di tutela degli interessi diffusi.

Invero, Il fatto che il legislatore sia intervenuto a legittimare esplicitamente e straordinariamente, in ambito processual- civilistico, la tutela degli interessi collettivi non può implicare una delimitazione del perimetro soggettivo di legittimazione degli enti esponenziali nonché la tipizzazione delle azioni esperibili nel processo amministrativo. Semmai, la legittimazione in materia consumeristica rappresenta la definitiva consacrazione degli interessi nella loro dimensione collettiva, pur a fronte di un sistema, quello civilistico, in cui non viene in rilievo l’esercizio del potere suscettibile di tradursi nell’adozione di atti di natura autoritativa lesivi di situazione giuridiche soggettive ma piuttosto, si manifestano istanze di tutela volte ad ovviare a situazioni di disparità contrattuale e di abusi della forza contrattuale di un contraente a danno dell’altro, parte debole del rapporto.

Nell’ambito civilistico questa espansione della dimensione collettiva delle situazioni giuridiche accresce la tutela, trascendendo il vincolo contrattuale individuale e spalancando l’accesso a tecniche di tutela che consentono di inibire quelle condotte della parte forte del rapporto che siano suscettibili di pregiudicare i diritti collettivi dei consumatori.

Nel campo consumeristico, proprio perchè vengono in rilievo situazioni giuridiche paritarie seppur connotate da asimmetria, tale tutela non sarebbe possibile ove non emergessero situazioni giuridiche collettive e  non vi fosse una ben precisa tipizzazione delle tipologie di azioni esperibili da parte del soggetto, ossia l’ente esponenziale iscritto negli appositi elenchi, che appunto non è parte del rapporto contrattuale tra il singolo consumatore e il professionista.

Le ragioni sottese alla tipizzazione normativa delle azioni esperibili da parte dell’ente esponenziale in ambito civilistico non hanno motivo tuttavia di essere trasposte in campo amministrativo, ove le posizioni giuridiche non sono correlate a negozi giuridici bensì a un non corretto esercizio del potere che vulnera beni meritevoli di protezione secondo l’ordinamento giuridico.

Il Supremo Consesso rimarca così che la cura dell’interesse pubblico, cui è teleologicamente preordinato il conferimento del potere, giustifica non solo l’intervento in via unilaterale e autoritativa sulle condotte e sugli atti dell’imprenditore ma nel contempo, dà rilievo, indipendentemente da una previsione normativa, a situazioni giuridiche che esorbitano dalla sfera del singolo individuo e che ineriscono a beni della vita a fruizione collettiva della cui salvaguardia si faccia portatrice un’associazione, purché in tale caso siano concretamente accertati gli indici sostanziali di effettiva e adeguata rappresentatività.

Alla luce di siffatti ragionamenti, è giocoforza concludere che, un ente iscritto negli appositi elenchi contemplati dal Codice del consumo o comunque che, indipendentemente da tale iscrizione risulti concretamente in possesso dei requisiti sostanziali di rappresentatività individuati dalla giurisprudenza, è abilitato ad adire il giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità.

A parere della Plenaria, pertanto, la legittimazione o è riconosciuta dallo stesso legislatore (con l’iscrizione negli appositi elenchi) oppure si trae dal possesso dei requisiti sostanziali di rappresentatività di matrice pretoria: una volta riscontrata la legittimazione negli anzidetti modi, l’ente esponenziale è conseguentemente deputato a esperire tutte le azioni indicate dalla legge e, in ogni caso, l’azione di annullamento dinanzi al giudice amministrativo.

 

 


[1] Art. 100 c.p.c. applicabile nel processo amministrativo in virtù del “rinvio esterno”operato dall’art. 39 c.p.a.  alle disposizioni generali del codice di procedura civile in quanto compatibili o espressione di principi generali.

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