L’adunanza plenaria sull’ammissibilità della “rinuncia abdicativa” in tema di espropri illegittimi

L’adunanza plenaria sull’ammissibilità della “rinuncia abdicativa” in tema di espropri illegittimi

Con le importanti sentenze n.2 e 4 del 20.01.2020 il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria si è pronunciato, ancora una volta, sul travagliato rapporto fra il potere autoritativo e la proprietà privata illegittimamente colpita.

In particolare, viene posta l’attenzione sull’ammissibilità della rinuncia abdicativa intesa quale atto implicito nella proposizione, da parte di un privato illegittimamente espropriato, della domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario conseguente all’occupazione di un suolo da parte della P.A. e alla irreversibile trasformazione del fondo.

La controversia esaminata dal Consiglio di Stato nella pronuncia n.2 nasceva da una richiesta di risarcimento danni a seguito di una procedura di espropriazione illegittima e dell’impossibilità di restituzione del bene ormai irreversibilmente trasformato con l’opera pubblica.

Il Tribunale Amministrativo Regionale pur ravvisando un’ipotesi di occupazione acquisitiva, accoglieva l’eccezione di prescrizione del diritto del ricorrente al risarcimento del danno. In appello veniva contestata la prescrizione e si sosteneva altresì l’intervenuta acquisizione a titolo originario della proprietà del suolo in capo alla P.A. a seguito dell’apprensione del bene.

Il Consiglio di Stato emetteva così sentenza parziale e contestuale ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria rilevando due importanti questioni giuridiche:

a) se la domanda risarcitoria dovesse essere qualificata come dichiarazione di ‘rinuncia abdicativa’ del bene, e cioè, se la rinuncia abdicativa fosse implicita nella domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario;

b) in caso affermativo, se tale rinuncia avesse giuridica rilevanza.

Orbene, la prima questione che il Supremo Consesso amministrativo si pone è quella di inquadrare l’istituto, limitando l’indagine alla sola materia espropriativa.

Difatti, la rinuncia abdicativa in sé considerata, generalmente ammessa dalla prevalente dottrina, altro non è che “un negozio giuridico unilaterale, non recettizio, con il quale un soggetto, il rinunciante, nell’esercizio di una facoltà, dismette, abdica, perde una situazione giuridica di cui è titolare, senza che ciò comporti trasferimento del diritto in capo ad altro soggetto, né automatica estinzione dello stesso.

Gli ulteriori effetti, estintivi o modificativi del rapporto, che possono anche incidere sui terzi, sono, infatti, solo conseguenze riflesse del negozio rinunziativo, non direttamente ricollegabili all’intento negoziale e non correlate al contenuto causale dell’atto, tant’è che la rinuncia abdicativa si differenzia dalla rinuncia cd. traslativa proprio per la mancanza del carattere traslativo-derivativo dell’acquisto e per la mancanza di natura contrattuale, con la conseguenza che l’effetto in capo al terzo si produce ipso iure, a prescindere dalla volontà del rinunciante, quale mero effetto di legge.

Per il suo perfezionamento non è, pertanto, richiesto l’intervento o l’espressa accettazione del terzo né che lo stesso debba esserne notiziato”.

Nella materia espropriativa, tuttavia, il problema è quello di stabilire se la domanda del proprietario di un suolo circa il risarcimento danni per espropriazione illegittima e per perdita del bene irreversibilmente trasformato possa configurarsi altresì quale rinuncia abdicativa della proprietà.

Nella pronuncia in esame l’Adunanza Plenaria comincia operando un richiamo all’evoluzione giurisprudenziale che ammette la tesi della rinuncia abdicativa: dalla sentenza del CGA 25 maggio 2009, n. 486 alla Corte di Cassazione Sez. Un., 19 gennaio 2015, n. 735 (quest’ultima per i casi devoluti alla giurisdizione del giudice civile, prima della entrata in vigore della legge n. 205/2000); ed ancora, Cass. civ., sez. I, 24 maggio 2018, n. 12961, nonché Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2017, n. 5686.; Cons. Stato, sez. IV, 24 maggio 2018, n. 3105; Cons. Stato, sez. IV, 20 aprile 2018, n. 2396.

Ricordiamo inoltre che la stessa Adunanza Plenaria, con la pronuncia n.2/2016, aveva aderito favorevolmente al suddetto orientamento affermando che: “…la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c.  che viene a cessare solo in conseguenza della restituzione del fondo; di un accordo transattivo; della rinunzia abdicativa da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo; …”

Secondo la giurisprudenza appena richiamata l’ammissione della rinuncia abdicativa, in primis, valorizzerebbe il principio di concentrazione della tutela, laddove permetterebbe al proprietario del terreno espropriato di adire lo stesso giudice sia in merito al giudizio sulla legittimità degli atti espropriativi sia per la determinazione del quantum risarcitorio; in secondo luogo, rappresenterebbe altresì per il proprietario una maggiore garanzia di vedere risarcita integralmente la perduta subita se si considera che il quantum verrebbe a lui corrisposto a titolo di risarcimento danni e non di indennizzo.

Orbene, dopo aver passato in rassegna tale orientamento l’Adunanza Plenaria in commento se ne discosta completamente ritenendo che lo stesso sia suscettibile di tre grandi obiezioni: la rinuncia abdicativa, difatti, da un lato non spiega in alcun modo il trasferimento di proprietà del bene in capo all’Amministrazione, dall’altro non solo viene qualificato come atto implicito senza averne però le caratteristiche essenziali ma, soprattutto ed in senso decisivo, non ha alcun fondamento legale “…in un ambito, quello dell’espropriazione, dove il rispetto del principio di legalità è richiamato con forza sia a livello costituzionale (art. 42 Cost.), sia a livello di diritto europeo”.

L’analisi dell’Adunanza Plenaria parte dalla considerazione che l’atto abdicativo, sebbene in astratto possa determinare la perdita della proprietà privata, al contempo non può ritenersi altrettanto idoneo a causare l’acquisto della proprietà in capo all’Autorità espropriante.

Si è discusso al riguardo se l’art. 827 c.c., prevedendo che gli immobili che non sono in proprietà di alcuno spettino al patrimonio dello Stato, potesse rappresentare un riferimento normativo per giustificare la vicenda traslativa; tuttavia, ciò non è possibile in considerazione del fatto che l’acquisto si realizzerebbe in capo allo Stato e non all’Autorità amministrativa.

D’altra parte, non si può ottenere l’effetto traslativo neanche ricorrendo allo strumento della trascrizione della sentenza di condanna al risarcimento del danno, atteso che la trascrizione opera sul piano dell’opponibilità degli atti e non della loro validità.

Passando alla seconda obiezione, secondo l’Adunanza Plenaria la rinuncia abdicativa non è configurabile come atto implicito in ragione della carenza delle caratteristiche essenziali proprie della categoria; né è possibile desumere da una domanda risarcitoria la rinuncia del privato al bene: “la domanda risarcitoria, infatti, denuncia inequivocabilmente un illecito di cui la parte richiede la riparazione; ma a fronte della pluralità di strumenti offerti dall’ordinamento nonché in presenza di una disciplina legale del procedimento espropriativo, la domanda risarcitoria non può costituire univoca volontà espressa di rinuncia al bene.” A ciò va aggiunto che “la domanda di risarcimento del danno contenuta nel ricorso giurisdizionale amministrativo è una domanda redatta e sottoscritta dal difensore e non dalla parte proprietaria del bene che ha la disponibilità dello stesso e che è l’unico soggetto avente la legittimazione ad abdicarvi, in quanto atto incidente e dispositivo di un bene immobiliare proprio della parte.”

Per i supremi giudici però è l’assenza di una base legale il motivo fondamentale che porta ad escludere che si possa parlare di rinuncia abdicativa nei casi di espropriazione illegittima.

L’istituto della rinuncia è stato assimilato, difatti, dall’Adunanza Plenaria a quello dell’occupazione acquisitiva (già dichiarato illegittimo), al fine di evidenziare come il ricorso ad istituti di costruzione pretoria non possa più trovare spazio nel nostro ordinamento a seguito delle ripetute pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale ne ha ravvisato la contrarietà con il principio di legalità oltre che una lesione del diritto di proprietà.

È in tale contesto normativo che il legislatore ha introdotto l’art. 42-bis del testo unico sugli espropri suscettibile di applicazione nei casi di occupazione sine titulo di un fondo da parte dell’Autorità Amministrativa.

Tale disciplina vincola l’Amministrazione all’esercizio del potere, che si concretizza nella possibilità di scegliere, discrezionalmente ed a seguito della valutazione dei differenti interessi, se apprendere definitivamente il bene occupato o restituirlo al soggetto proprietario; si esclude, in tal modo, che il giudice o, a maggior ragione, il privato possano decidere della sorte del bene.

In conclusione “Ad avviso dell’Adunanza, dunque, per le fattispecie disciplinate dall’art. 42-bis una rigorosa applicazione del principio di legalità, in materia affermato dall’art. 42 della Costituzione e rimarcato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, richiede una base legale certa perché si determini l’effetto dell’acquisto della proprietà in capo all’espropriante. E se la norma non prevede alcun riferimento a un’ipotesi di rinuncia abdicativa – che, peraltro, così delineata, avrebbe tutti i caratteri strutturali e gli effetti di una rinuncia traslativa- è stato per converso introdotto nell’ordinamento una disciplina specifica e articolata che attribuisce all’amministrazione una funzione autoritativa in forza della quale essa può scegliere tra restituzione del bene o acquisizione della proprietà nel rispetto dei requisiti sostanziali e secondo le modalità ivi previsti. Nessuna norma attribuisce per contro al soggetto espropriato, pur a fronte dell’illegittimità del titolo espropriativo, un diritto, sostanzialmente potestativo, di determinare l’attribuzione della proprietà all’amministrazione espropriante previa corresponsione del risarcimento del danno”.


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