L’affidamento delle concessioni demaniali alla luce del diritto interno e del diritto comunitario

L’affidamento delle concessioni demaniali alla luce del diritto interno e del diritto comunitario

Il tema delle concessioni demaniali è molto complesso ed articolato e, soprattutto negli ultimi venti anni, è stato oggetto di una profonda revisione da parte dell’Unione Europea e, di conseguenza, dei singoli Stati membri.

In sostanza, il provvedimento col quale l’amministrazione statale rilascia la concessione consiste nel dare una parte del demanio pubblico ai privati per far sì che questi ultimi esercitino un’attività economica pagando un corrispettivo allo Stato, con il compito di prendersi cura dell’area oggetto della concessione e, ove possibile, migliorarla costantemente.

Con specifico riferimento alle concessioni balneari, grazie alle quali i privati utilizzano le spiagge italiane per esercitare un’attività d’impresa che si prospetta essere molto redditizia, lo Stato italiano, ormai da molti anni, adotta lo strumento della proroga automatica, senza prendere in considerazione eventuali nuove richieste.

L’aspetto della proroga delle concessioni demaniali è stato affrontato, da ultimo, dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze n. 17 e 18 del 2021, che saranno successivamente esaminate.

Prima di procedere a detta disamina, è necessario analizzare la disciplina nazionale ed europea che regola le concessioni demaniali: per ciò che concerne la legge italiana, l’affidamento delle concessioni demaniali è regolato dall’art. 1, comma 675 e ss., della l. n. 145/2018, la quale ha previsto, in sostanza, una proroga delle concessioni già in essere per ulteriori 15 anni; ancora l’art. 36 del codice della navigazione regola la concessione demaniale, osservando che << l’amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo >>.

Il continuo prorogare delle concessioni da parte dello Stato italiano nei confronti di chi è già in possesso di un’autorizzazione ha portato la Commissione europea ad avviare ben due procedure d’infrazione contro l’Italia, colpevole di non essersi conformata alla Direttiva europea n. 123 del 2006 (detta anche Direttiva servizi o Direttiva Bolkestein).

Con l’ultima lettera inviata dalla Commissione nel mese di dicembre 2020, l’organo di governo europeo mette in luce tutte le criticità delle scelte dello Stato italiano nell’adottare continue proroghe delle concessioni demaniali, nello specifico quelle balneari, senza analizzare nel merito le richieste di eventuali nuove concessioni da parte di tutti gli operatori economici, tanto italiani quanto europei. La Commissione critica aspramente la condotta italiana che ha disatteso sia gli aspetti sanciti dall’art. 12 della Direttiva servizi sia quelli esposti dall’art. 49 del TFUE, nonché tutti i principi di diritto elaborati dalla Corte di Giustizia nel 2016 con la sentenza Promoimpresa.

La condotta dello Stato italiano viola il dispositivo dell’art. 12 della Direttiva servizi poiché manca quella procedura che prevede una selezione ad evidenza pubblica, da parte dello Stato membro, dei candidati potenziali da adottare in caso di scarsità delle risorse naturali; il sistema della proroga continua delle concessioni non permette l’adozione di questa procedura ed inoltre è da ostacolo a quel principio di concorrenza leale posto ormai alla base del mercato europeo.

La Commissione europea, alla luce della sentenza succitata della Corte di Giustizia e dell’art. 12 della Direttiva Bolkestein, si sofferma anche sul mancato rispetto dei principi di trasparenza ed evidenza pubblica, che dovrebbero caratterizzare l’attività di un’amministrazione pubblica, ma che non possono essere esercitati per la valutazione di nuove concessioni demaniali, per come espressamente previsto dal decreto legge n. 34/2020 all’art. 182 comma 2, ponendosi in palese contrasto col diritto dell’Unione Europea.

La lettera della Commissione europea non si sofferma solo sulle proroghe legali delle concessioni, ma anche sulla mancanza di una procedura chiara e conforme al dettato normativo europeo per l’affidamento di nuove concessioni demaniali nel territorio italiano. La legge 145/2018, infatti, non prevede una procedura per l’assegnazione di eventuali nuove concessioni, mancando l’obbligo imposto dalla Direttiva servizi di assicurare una gara tra i candidati rispettando i principi di imparzialità e di trasparenza, avendo riguardo nel dare un’adeguata pubblicità su tutti gli aspetti della procedura.

Con l’avvio di questa procedura d’infrazione, la Commissione europea ha avvertito lo Stato italiano che la mancata conformazione del diritto interno al diritto europeo porterà un notevole numero di ricorsi al giudice amministrativo, che sarà chiamato a dirimere le questioni relative alle concessioni demaniali.

L’organo di governo europeo non si sbagliava affatto, infatti numerosi ricorsi sono giunti ai tribunali amministrativi regionali, tanto da portare il Presidente del Consiglio di Stato, con decreto n. 160 del 2021, a chiedere l’intervento dell’Adunanza Plenaria per dirimere la questione relativa alle proroghe ex lege delle concessioni marittime.

Con le sentenze n. 17 e 18 del 2021, il Consiglio di Stato nella sua formazione più alta ha scandagliato punto per punto le criticità riscontrate dai soggetti privati in riferimento alle interpretazioni degli articoli 12 della Direttiva servizi e 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, per come espressamente chiariti dalla sentenza Promoimpresa della Corte di Giustizia.

In primo esame l’Adunanza Plenaria ha ribattuto alle critiche secondo cui l’art. 49 del TFUE non può essere applicato al caso delle concessioni demaniali marittime in quanto manca il requisito dell’interesse transfrontaliero certo, sostenendo che questo interesse è insito nelle concessioni statali, in quanto esso << consiste nella capacità di una commessa pubblica o, più in generale, di un’opportunità di guadagno offerta dall’Amministrazione anche attraverso il rilascio di provvedimenti che non portano alla conclusione di un contratto di appalto o di concessione, di attrarre gli operatori economici di altri Stati membri >>. Il Supremo Collegio, inoltre, aggiunge che a nulla serve il tentativo di spezzettare il patrimonio costiero italiano per sminuirne l’importanza economica e turistica, con la conseguente adozione di regole diverse in base alle varie zone d’Italia; il patrimonio costiero, secondo l’Adunanza Plenaria, va considerato unitariamente, rappresentando così un interesse transfrontaliero certo, che va tutelato attraverso il rinnovo delle concessioni, non in modo automatico ex lege, ma con una procedura ad evidenza pubblica chiara e trasparente.

Le perplessità relative all’applicazione dell’art. 12 della Direttiva servizi non sono state valutate meritevoli di considerazione da parte dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato: riprendendo in gran parte gli orientamenti della Corte di Giustizia, infatti, il giudice amministrativo ha ribadito che nel concetto di autorizzazione di cui all’articolo in esame rientra appieno quello di concessione, ben potendo far uso della disciplina ex art. 12, dunque, per ciò che concerne le concessioni marittime.

Il Consiglio di Stato nella sua massima composizione, inoltre, smonta un altro motivo di ricorso, secondo cui la concessione di spiagge per finalità economiche non riguarderebbe un bene scarsamente presente nel territorio italiano: per il giudice amministrativo, infatti, il concetto di scarsità non riguarda solo la quantità del bene, ma deve essere valutato anche sulla base della qualità che questo bene è in grado di fornire ai soggetti economici interessati. Se si considera che le concessioni balneari attualmente in essere sono circa 30.000 e che, secondo le regole statali, una parte del territorio deve essere adibito a “spiaggia libera”, allora ben si potrà notare come la porzione di spiaggia destinata a nuove concessioni sia molto scarsa, dovendo quindi essere oggetto per la concessione della procedura stabilita dall’art. 12 della Direttiva Bolkestein.

Nel definire la l. n. 145/2018, con specifico riferimento ai commi 682-683 dell’art. 1, come contraria all’ordinamento europeo, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha stabilito, al punto 48 della sentenza n. 18 del 2021, che, al fine di permettere alle amministrazioni statali di conformarsi a quanto stabilito dall’art. 12 della Direttiva servizi e dall’art. 49 TFUE, senza incappare in possibili perdite a causa della fine dei rapporti di concessione con i privati, il tempo ultimo è individuato nel 31 dicembre 2023, alla scadenza del quale tutte le concessioni attuali e future verranno dichiarate decadute.

Le sentenze del Consiglio di Stato hanno sicuramente tentato di armonizzare la disciplina relativa alle concessioni marittime, ma in alcuni punti hanno lasciato delle oscurità che dovranno essere dibattute nel corso degli anni, limitandoci in questa sede ad individuarne due.

Uno dei motivi di ricorso che hanno portato alla pronuncia delle sentenze gemelle da parte dell’Adunanza Plenaria era incentrato sul sostenere che la Direttiva servizi non fosse norma self executing e quindi direttamente applicabile nel nostro ordinamento senza l’intervento del legislatore statale. Il Supremo Collegio ha incentrato gran parte del pronunciato in esame per affermare che la Direttiva servizi è sicuramente direttamente esecutiva senza l’intervento dello Stato, considerando tanto la sua portata generale quanto il livello di dettaglio con cui la Direttiva mira a perseguire << l’obiettivo di aprire il mercato delle attività economiche il cui esercizio richiede l’utilizzo di risorse naturali scarse, sostituendo, ad un sistema in cui tali risorse vengono assegnate in maniera automatica e generalizzata a chi è già titolare di antiche concessioni, un regime di evidenza pubblica che assicuri la par condicio fra i soggetti potenzialmente interessati >>.

Le perplessità che riguardano questo passaggio sono correlate al fatto che l’Adunanza Plenaria non prende affatto in considerazione che l’art. 12 della Direttiva Bolkestein è stato integralmente recepito dallo Stato italiano, con l’emanazione dell’art. 16 d. lgs. n. 59 del 2010, che ricalca esattamente il dispositivo della Direttiva europea. Alcuni autori hanno sostenuto che la necessità di un intervento legislativo contrastasse con il livello di dettaglio e di specificità richiesti per far sì che una norma possa dirsi self executing, mettendo quantomeno in dubbio una delle motivazioni che hanno portato l’Adunanza Plenaria a dichiarare le proroghe ex lege in contrasto con l’ordinamento europeo.

Un altro forte dubbio sull’operato del Supremo Collegio viene con riguardo alla precisazione di cui al punto 48 della sentenza n. 18 del 2021, secondo cui tutte le proroghe legali saranno dichiarate decadute a far data dal 31 dicembre 2023. Nell’enunciare che tutte le proroghe delle concessioni demaniali per ulteriori 15 anni per come stabilito dalla legge 145/2018 devono essere dichiarate decadute, stabilendo successivamente una scadenza al 2023, in pratica, il Consiglio di Stato opera una sorta di proroga giurisdizionale, che mal si concilia con quanto esposto in entrambe le sentenze del 2021.

Per venire incontro al legislatore, l’Adunanza Plenaria, di fatto, ammette una proroga generalizzata ed indiscriminata di tutte le concessioni attualmente in essere fino al 2023, con la possibilità, visto il contrasto con l’art. 12 della Direttiva servizi e l’art. 49 del TFUE ed alla luce della sentenza Promoimpresa della Corte di Giustizia, che i giudici amministrativi dichiarino nulle tutte le proroghe delle concessioni marittime, anche prima della scadenza fissata al 2023.

Il dibattito sulla questione delle concessioni demaniali, dunque, è destinato a perdurare per altri anni con la quasi certezza che di detta tematica saranno richiamati ad occuparsene tanto il Consiglio di Stato quanto la Corte di Giustizia europea.


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