L’affidamento in house alla luce del Nuovo Codice dei contratti pubblici
Sommario: 1. Introduzione – 2. Primo limite: requisiti imprescindibili che la società in house deve possedere – 3. Seconda limitazione: l’obbligo di motivazione di cui all’art. 192, co. 2, D.Lgs. n. 50/16 – 3.1. Differenze tra la disciplina nazionale e quella euro-unionale – 3.2. Osservazioni dottrinali – 4. Articolo 10 del D.L. n. 77/2021 e parere n. 1614/21 del Consiglio di Stato – 5. L’in house nel Nuovo Codice degli Appalti (D.Lgs. n. 36/2023)
1. Introduzione
Il quadro normativo riguardante gli affidamenti in house è stato interessato da importanti novità introdotte dal nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36/2023), che presuppongono una lettura integrata dei vari provvedimenti normativi di riferimento.
Come è noto, l’affidamento diretto secondo la modalità in house rappresenta una deroga ai principi proconcorrenziali promossi dalla normativa comunitaria.
Si tratta, quindi, di comprendere, alla luce della normativa euro-unionale e nazionale, entro quali limiti sia possibile l’internalizzazione e l’autoproduzione di servizi da parte della P.A.
2. Primo limite: requisiti imprescindibili che la società in house deve possedere
I requisiti del soggetto affidatario in house sono stati, per la prima volta, enucleati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a partire dalla nota sentenza “Teckal” (Corte di Giustizia CE 18.11.1999, causa C-107/98, Teckal s.r.l. c. Comune di Viano) e sono stati recepiti nell’articolo 12, co. 1, della Direttiva Appalti.
Tale disposizione prevede che tre requisiti fondamentali che la società in house deve necessariamente e contestualmente possedere per rendersi destinataria di affidamenti diretti che prescindano dall’indizione di una gara, ossia:
– la personalità giuridica: da intendersi quale soggettività giuridica, ossia come idoneità ad essere titolari di situazioni giuridiche soggettive, attive o passive;
– il controllo analogo: in ragione del quale la P.A. deve esercitare sull’ente un controllo analogo a quello esercitato sui propri organi ed uffici. La giurisprudenza ha in diverse occasioni chiarito che si tratta di un controllo molto intenso, che richiede dei poteri ulteriori rispetto a quelli che il diritto commerciale attribuisce anche al socio unico. Originariamente, si riteneva che tale controllo presupponesse la partecipazione pubblica totalitaria, anche se frazionata tra più enti pubblici; oggi, invece, le Direttive recepite dal Nuovo Codice dei contratti pubblici hanno ammesso l’in house con partecipazione privata. Affinché possa ritenersi integrato il requisito del “controllo analogo” non è sufficiente la partecipazione totalitaria pubblica al capitale, ma è necessario che siano previsti degli strumenti ulteriori, contemplati nello statuto, nell’atto costitutivo o nei patti parasociali, in base ai quali si stabilisce che vi sia un potere di indefettibile autorizzazione e di veto da parte del socio pubblico (c.d. ius vitae ac necis). In sostanza, si stabilisce che, ove l’amministratore della società in house debba compiere un atto rilevante, costui debba essere sottoposto al potere di autorizzazione o di veto da parte del socio pubblico. Ecco spiegata la ragione per la quale si afferma comunemente che la società in house è una società eterodiretta, rispetto alla quale viene meno la dualità soggettiva, così squarciandosi il velo che, nel diritto civile e commerciale, distingue la società dal socio. Quindi, il rapporto tra ente pubblico e società in house è interorganico, atteso che, in ragione del controllo analogo, è come se la società in house fosse un mero organo dell’ente pubblico, vale a dire una sua longa manus;
– il c.d. “vincolo di prevalenza”: in ragione del quale il soggetto affidatario deve destinare la maggior parte del proprio operato a favore dell’ente o degli enti che lo controllano. Tale requisito è stato anch’esso inteso in modo rigoroso, nel senso che il soggetto affidatario deve destinare il proprio operato quasi esclusivamente in favore dell’ente pubblico, e, più esattamente, occorre che oltre l’80% delle attività siano effettuate nello svolgimento dei compiti ad esso affidati dall’Amministrazione aggiudicatrice, e che dai medesimi debba discendere almeno l’80% del fatturato.
Sul piano della normativa nazionale, il contenuto delle direttive in tema di in house è stato sostanzialmente recepito sia dall’articolo 5 del D.Lgs. n. 50/16, sia dall’articolo 16 del D.Lgs. n. 175/2016 in tema di società con partecipazione pubblica.
3. Seconda limitazione: l’obbligo di motivazione di cui all’art. 192, co. 2, D.Lgs. n. 50/16
Altra limitazione prevista per l’in house providing è quella d cui all’articolo 192, co. 2, del D.Lgs. n. 50/16, che impone alla P.A. di motivare la scelta del ricorso all’autoproduzione, specificando le ragioni del mancato ricorso al mercato e le utilità ricavabili per la collettività da una gestione del servizio, per così dire, interorganica.
Nel dettaglio, la P.A. dovrebbe, in primo luogo, esporre il motivo per cui non esternalizza, descrivendo i caratteri del c.d. “fallimento del mercato” per il servizio di suo interesse.
In secondo luogo, l’ente pubblico deve giustificare la scelta del soggetto per l’affidamento in house, rappresentando l’opzione sul piano dei costi e dei benefici per la collettività e per l’Amministrazione.
Peraltro, tale obbligo di motivazione concerne qualsiasi affidamento, a prescindere dal fatto che sia al di sotto o al di sopra della soglia di rilevanza comunitaria. Infatti, la P.A. è tenuta al rispetto delle regole di evidenza pubblica a fronte di contratti sopra soglia; per i rapporti sotto soglia, la P.A. gode di maggior flessibilità e semplificazione delle regole, ma l’individuazione dell’operatore deve avvenire, salvi casi marginali di affidamento diretto, nel rispetto dei principi di concorrenza e delle regole di rotazione degli inviti e di massima partecipazione, con particolare riguardo verso le piccole e le medie imprese. Ne deriva che, a prescindere dal valore del rapporto, la P.A. deve motivare l’affidamento in house.
3.1. Differenze tra la disciplina nazionale e quella euro-unionale
Il succitato articolo 192 D.Lgs. n. 50/16 e, precisamente, l’obbligo di motivazione analitica risulta frutto di una precisa scelta del Legislatore nazionale, che non trova alcun antecedente nella normativa comunitaria.
È emerso, dunque, un problema di compatibilità tra la disciplina nazionale e quella euro-unionale circa la natura dell’affidamento in house.
Ed invero, alla luce della normativa e della giurisprudenza comunitaria, emergerebbe una sostanziale indifferenza circa la modalità con cui la P.A. si procura i servizi per la collettività.
Sul punto, si richiama il considerando n. 5 della Direttiva n. 23/2014 che prevede che “nessuna disposizione della direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che l’Amministrazione desidera prestare essa stessa”.
Pertanto, la P.A., se intende produrre direttamente il bene o prestare direttamente il servizio tramite un proprio organo, può farlo in piena alternativa, in base ad un rapporto regola-regola, senza essere gravata dall’obbligo di motivare la scelta dell’autoproduzione dei servizi.
Soltanto nel caso in cui l’Amministrazione decida di ricorrere al mercato per ottenere il bene o il servizio, essa è gravata dall’obbligo di osservare le regole di evidenza pubblica nel rispetto della concorrenza.
Al contrario, a livello nazionale, il Legislatore attribuisce, da oltre un decennio, all’affidamento in house una connotazione subordinata rispetto all’outsourcing, sancendo un rapporto di regola-eccezione.
La regola è il ricorso al mercato, onde l’ente pubblico, che necessita di una determinata prestazione deve, normalmente, rivolgersi al mercato, con conseguente applicazione della procedura di evidenza pubblica posta a tutela della concorrenza.
L’eccezione è l’affidamento in house, al quale è possibile fare ricorso solamente laddove si motivi adeguatamente il c.d. fallimento del mercato, vale a dire la radicale impossibilità di ottenere quella prestazione sul mercato.
In tale ottica, l’articolo 34, co. 20, del D.L. n. 179/2012, in tema di affidamento di servizi pubblici locali di rilevanza economica, obbliga la P.A. ad esporre le ragioni dell’autoproduzione in un’apposita relazione; all’articolo 5 del D.Lgs. n. 175/2016 obbliga l’Amministrazione a motivare, in modo analitico, la scelta di costituire una società in house o di acquisire partecipazioni in essa, esprimendo la coerenza della decisione con i principi di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa; ed infine, all’articolo 192, co. 2, D.Lgs. n. 50/16 prevede, come visto, un obbligo di motivazione rafforzata in caso di in house providing, precisando i parametri che la P.A. deve valorizzare nelle sue ragioni, in particolare: gli obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità, qualità del servizio e ottimale impiego delle risorse pubbliche.
Ebbene, l’articolo 192, co. 2, D.Lgs. n. 50/16 è stato oggetto non solo di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’articolo 267 T.F.U.E., ma anche di una questione di legittimità costituzionale. Sia i giudici di Lussemburgo che la Corte Costituzionale, tuttavia, non hanno ravvisato il contrasto con la normativa europea e hanno escluso l’illegittimità costituzionale della norma in esame, statuendo che è vero che il Legislatore nazionale ha introdotto all’articolo 192, co. 2, del D.Lgs. n. 50/16 una disciplina a favore della concorrenza più incisiva rispetto a quella comunitaria, senza esservi da quest’ultima obbligato. Ciò nonostante, il maggior rigore della normativa interna è coerente con la disciplina dell’Unione e, rimanendo nel margine di apprezzamento concesso al legislatore delegato, valorizza gli obiettivi comuni proconcorrenziali.
3.2. Osservazioni dottrinali
Come osservato da Autorevole dottrina, invero, tale ricostruzione non risulta essere convincente, in quanto l’imporre il ricorso al mercato quale regola e l’autoproduzione in house come eccezione non rappresenta, in realtà, una maggiore tutela per la concorrenza.
Nel caso di autoproduzione e affidamento diretto in house, la concorrenza e il mercato non sono pregiudicati, poiché resta fermo il principio secondo cui la P.A., laddove decida di rivolgersi al mercato, ha l’obbligo di svolgere la gara a tutela della concorrenza.
Nel caso in cui, invece, decida di autoprodurre la prestazione, essa può operare un affidamento diretto senza che leda in alcun modo la concorrenza, poiché non sta ricorrendo al mercato e, dunque, non sta stipulando un contratto nel contesto di un rapporto intersoggettivo, ma sta autoproducendo tramite dei propri organi, nel contesto di un rapporto interorganico.
In tale ottica, risultavano anche anacronistiche le Linee Guida dell’ANAC, con le quali si imponeva, ai fini dell’affidamento in house, un più forte onere motivazionale circa il fallimento del mercato, ritenendo che quello adempiuto fino a quel momento fosse poco rigoroso e persuasivo.
Opinare in tal senso esponeva al rischio di finire per riaffermare “il mito della gara ad ogni costo”, anche in ipotesi in cui, come detto, il fatto di prescindere dallo svolgimento della gara non lede la concorrenza ed il mercato, dando vita ad un tributo irrazionale al ricorso al mercato, sacrificando il principio del buon andamento in forza del quale ogni soggetto, nella propria normale gestione, se è in grado di auto-produrre una prestazione, non necessita di acquistarla dall’esterno.
4. Articolo 10 del D.L. n. 77/2021 e parere n. 1614/21 del Consiglio di Stato
Ciò è tanto più vero se si tiene conto dell’esigenza di fornire una pronta attuazione agli investimenti pubblici finanziati tramite il P.N.R.R., che impone una maggiore valorizzazione dei principi dell’auto-organizzazione e dell’efficienza, superando, per l’appunto, quelli predetti della “gara ad ogni costo” e del conseguente “mercato irrazionale”.
In tale ottica, riveste una fondamentale importanza l’art.10 del D.L. n. 77/2021, convertito con modifiche dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108 (rubricato “Misure per accelerare la realizzazione degli investimenti pubblici”), che, anzitutto, ha ampliato l’area applicativa del ricorso all’in house providing.
Esso, infatti, dispone che, al fine di “sostenere la definizione e l’avvio delle procedure di affidamento ed accelerare l’attuazione degli investimenti pubblici, in particolare di quelli previsti dal PNRR e dai cicli di programmazione nazionale e dell’Unione europea 2014-2020 e 2021-2027”, le P.A. possono avvalersi, mediante apposite convenzioni, “del supporto tecnico-operativo di società in house qualificate ai sensi dell’articolo 38 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”.
In secondo luogo, la norma, al comma 3, reca una disciplina ad hoc sulla motivazione del ricorso alla formula dell’in house providing in deroga al mercato, prevedendo che “ai fini dell’articolo 192, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016, la valutazione della congruità economica dell’offerta riguardo all’oggetto e al valore della prestazione e la motivazione del provvedimento di affidamento dà conto dei vantaggi, rispetto al ricorso al mercato, derivanti dal risparmio di tempo e di risorse economiche, mediante comparazione degli standard di riferimento della società Consip S.p.A. e delle centrali di committenza regionali”.
Infine, il comma 4 della disposizione in esame statuisce che le Regioni, le Provincie autonome e gli enti locali “per il tramite delle amministrazioni centrali dello Stato, possono avvalersi del supporto tecnico-operativo delle società di cui al comma 1 per la promozione e la realizzazione di progetti di sviluppo territoriale finanziati da fondi europei e nazionali”.
Secondo il Consiglio di Stato, Sez. Consultiva per gli Atti Normativi (parere del 7 ottobre 2021 n. 1614/21), quest’ultima disposizione sembrerebbe introdurre la possibilità per gli Enti territoriali di avvalersi del supporto tecnico-operativo di tutte le società in-house, ancorché sotto il controllo statale, stipulando con le società a partecipazione pubblica delle apposite convenzioni attuative onerose, ai sensi del comma 5 dell’art. 10 D.L. n. 77/2021.
Secondo una simile lettura, tale norma introdurrebbe una deroga ai principi sul c.d. “controllo analogo”, come delineati dalla sentenza Teckal, prevedendo la possibilità per gli Enti territoriali di servirsi di qualsiasi società in house, ivi comprese quelle sulle quali non viene esercitato un controllo analogo, poiché partecipate dalle Amministrazioni centrali dello Stato. Infatti, come giustamente osservato in dottrina, “una lettura alternativa della disposizione in esame (volta a limitare l’applicazione ai soli rapporti fra amministrazione conferente ed organismo in house) ne paleserebbe la sostanziale inutilità, atteso che non occorrerebbe certo una specifica disposizione per consentire a una qualunque amministrazione di avvalersi di propri organismi in house al fine di attivare con essi specifiche convenzioni aventi ad oggetto l’espletamento di attività di supporti tecnico-operativo finalizzate alla realizzazione di piani e programmi (anche) di matrice eurounitaria”.
5. L’in house nel Nuovo Codice degli Appalti (D.Lgs. n. 36/2023)
Ebbene, tali premesse risultano assolutamente indispensabili nella lettura del Nuovo Codice degli Appalti.
Ed invero, l’art. 7 del Nuovo codice degli Appalti, denominato “Principio di auto-organizzazione amministrativa”, ponendosi in linea di continuità con le predette considerazioni e con il parere del Consiglio di Stato, afferma il principio di auto-organizzazione della P.A., in forza del quale la Pubblica Amministrazione può liberamente decidere se autoprodurre la prestazione, rivolgersi al mercato o cooperare con altre PP.AA. nel contesto di un partenariato pubblico-pubblico, nel rispetto della disciplina del codice e del diritto dell’Unione europea.
Pertanto, il ricorso all’autoproduzione-affidamento in house è divenuta una regola pienamente alternativa rispetto all’esternalizzazione-ricorso al mercato.
Come evidenziato dalla Corte dei Conti Veneto (deliberazione n. 145/2023) “Posto che il nuovo Codice dei contratti pubblici non ricalca i contenuti dell’art. 5 del D.Lgs. n. 50/2016 in merito alla definizione dei requisiti dell’in house providing, si ritiene che la specificazione contenuta alla lett. c) del comma 1 dell’art. 14 del D. Lgs. 36/2023, per cui si può ricorrere all’affidamento a società in house “nei limiti fissati dal diritto dell’Unione europea” garantisca la continuità con le condizioni previste dal vecchio Codice; quando quest’ultimo sarà definitivamente abrogato, i riferimenti per la definizione dell’in house providing potranno pertanto riscontrarsi: o nell’art. 17 della Direttiva n. 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, o nell’art. 12 della Direttiva n. 2014/24/UE sugli appalti pubblici, oppure nell’art. 28 della Direttiva n. 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali”.
Il quadro normativo relativo agli affidamenti in house è poi completato, come altresì specificato dal comma 1 dell’art. 17 del nuovo Codice, dalla previsione dei requisiti soggettivi che devono possedere le società affidatarie, disciplinati dagli art. 4 e 16 del D.Lgs. n. 175/2016 (Testo unico sulle società a partecipazione pubblica).
Quanto all’obbligo motivazionale, il dettato normativo di cui all’art. 192 del D.Lgs. n. 50/2016 non trova una piena corrispondenza con le previsioni contenute nel D.Lgs. n. 36/2023.
Sempre la Corte dei Conti Veneto, nella deliberazione n. 145/2023, ha affermato che “il richiamo contenuto nel comma 2 dell’art. 7 ai principi espressi dagli articoli 1, 2 e 3 dell’articolato normativo, induce il Collegio a ritenere che rimanga fermo l’onere motivazionale di cui si è detto, senza che possa procedersi, anche nel novellato regime, ad un affidamento diretto tout court”.
Tuttavia, se è vero che il nuovo Codice degli Appalti ancora richiede al comma 2 del predetto art. 7 un provvedimento motivato, è altresì innegabile che da una attenta lettura della norma si evince che con lo stesso non si deve più rendere conto del radicale fallimento del mercato, essendo sufficiente evidenziare la maggiore convenienza ed i maggiori vantaggi garantiti dall’autoproduzione-in house providing rispetto al ricorso al mercato-outsourcing.
Più precisamente, secondo la nuova disciplina:
– se il servizio va a vantaggio della collettività: nella motivazione si deve rendere conto non solo della maggiore convenienza economica, ma soprattutto della migliore funzionalità per la collettività. In altri termini, occorre evidenziare come gli obiettivi di universalità, socialità e qualità della prestazione siano meglio perseguibili con l’affidamento in house rispetto che con l’affidamento ai privati;
– se il servizio è strumentale all’attività della P.A.: allora la motivazione è ancora più attenuata, poiché è possibile limitarsi a rendere conto dei vantaggi in termini di economicità, celerità e perseguimento degli interessi strategici dell’affidamento in house, rispetto ai costi ed ai tempi necessari per rivolgersi alla Consip o alle altre centrali di committenza regionale per ricorrere al mercato ed espletare una gara in concorrenza.
Va, infine, precisato che, in passato, sussisteva un obbligo, da parte di chi volesse rendersi destinatario di affidamenti diretti, di iscrizione presso un registro dell’ ANAC, la quale verificava se l’impresa possedesse i requisiti per essere considerata in house (personalità giuridica, controllo analogo ed attività prevalentemente svolta) e, in caso di esito positivo del controllo, la autorizzava ad ottenere affidamenti diretti. In seguito, tale meccanismo è stato sostituito con un altro che rispondeva alla logica della SCIA, per cui l’impresa auto-attestava di possedere i requisiti per essere considerata in house e, da quel momento, avrebbe potuto ottenere gli affidamenti diretti, senza la necessità di un’autorizzazione preventiva, fatto salvo l’eventuale controllo e diniego successivo. Il Nuovo Codice degli Appalti ha abolito il registro ed il potere di controllo dell’ANAC, in ossequio al principio della fiducia, in forza del quale la P.A. presume che chi afferma di godere dei requisiti per essere qualificato come società in house li possegga realmente e, pertanto, può rendersi destinatario di affidamenti diretti.
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Stefania Ambra
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