L’agevolazione del meccanismo collegiale dell’organo amministrativo in una SpA: la delega amministrativa fra indubbi vantaggi e inevitabili limiti

L’agevolazione del meccanismo collegiale dell’organo amministrativo in una SpA: la delega amministrativa fra indubbi vantaggi e inevitabili limiti

Sommario: 1. Una dovuta premessa: la struttura corporativa della SPA e il raffronto con gli altri tipi sociali – 2. La composizione dell’organo amministrativo e il suo funzionamento – 2.1. L’alleggerimento del meccanismo collegiale: la delega amministrativa

 

1. Una dovuta premessa: la struttura corporativa della SPA e il raffronto con gli altri tipi sociali

Un’attenta analisi non può prescindere, come di consueto, dalla disamina del contesto in cui s’incastona la trattazione de qua. Principiando dalle basi, pare ragionevole chiarificare a sommi capi cosa si intenda per SPA.

Acronimo di Società per Azioni e classificata quale capofila della società di capitali, si contrappone, come ben noto, alle società di persone per le sue indubbie peculiarità ma, invero, si differenzia anche rispetto alle sorelle di capitali.

Maggiormente utilizzata per le imprese di grande – se non grandissima – dimensione, si trova oggi a dover fare i conti con una rinnovata realtà che vede al centro della scena la neonata SRL, la cui disciplina è stata – in seguito alla riforma organica del diritto societario del 2003 – riscritta da zero per venir fuori da una impasse cui era stato lo stesso legislatore a inserirsi; questa difatti era, sic et simpliciter, il copia e incolla – venuto male, come tutti i doppioni che si rispettino – della SPA.

Anzitutto può esser considerata quale posta frammezzo a SRL e SAPA – altre società di capitali: se della prima ne condivide la responsabilità limitata dei suoi soci, della seconda – la cui caratteristica precipua è l’essere caratterizzata dalla necessaria compresenza di due diverse categorie di soci, l’una delle quali assimilabile ai soci di una società di persone vista l’illimitata responsabilità di chi fa parte della categoria degli accomandatari – riprende un patrimonio sociale inevitabilmente suddiviso in azioni, partecipazioni tipo omogenee e standardizzate che, salvo dovute eccezioni, attribuiscono a tutti i soci eguali diritti e hanno eguale valore nominale.

Focus nella SPA è la netta separazione esistente fra il patrimonio sociale e quello personale: invero, le società di capitali si caratterizzano anzitutto per il possesso della personalità giuridica, che consente alla società di elevarsi a soggetto di diritto autonomo e distinto rispetto alle persone dei suoi soci, senza mai potervi essere – eccezion fatta per la SAPA – una confusione ovvero una sovrapposizione. La personalità giuridica attribuisce conseguentemente alla stessa un’autonomia patrimoniale perfetta, la quale fa sì che il socio, attraverso il proprio conferimento, scelga sin dall’inizio quale parte della propria ricchezza destinare al rischio d’impresa e ben consapevole di non poter avere altre ripercussioni sul suo patrimonio personale. Quest’ultimo invero, non potrà mai essere aggredito dai creditori sociali così come, analogamente, il patrimonio sociale non potrà mai essere aggredito dal creditore particolare del socio.[1]

Ma se è vero che l’autonomia patrimoniale della SPA consente ai soci di possedere una responsabilità limitata rispetto al rischio d’impresa è altrettanto vero come questo vantaggio trovi immediatamente il suo contrappeso nella sua struttura corporativa tipica, rappresentata cioè dalla necessaria compresenza di 1) un’assemblea dei soci, con poteri esclusivamente deliberativi nelle materie di maggiore importanza per la vita della società; 2) un organo amministrativo, dotato dei poteri di gestione dell’impresa e vero centro propulsore di questa, dotato forse dei più ampi poteri in una SPA e composto dalle persone degli amministratori, i veri detentori dello scettro del potere; 3) un organo di controllo, nel modello tradizionale rappresentato dal collegio sindacale, incaricato di vigilare sulla corretta amministrazione cui oramai si aggiunge – per talune società obbligatoriamente, per altre invece facoltativamente – l’organo di controllo contabile, il revisore legale dei conti ovvero la società di revisione, dotata del potere forse più pregnante, visto il controllo esperito sulle scritture e sui libri contabili, specchio della salute dell’impresa.

S’è anticipato come questa sia stata fatta scendere dal piedistallo cui era stata erta, dalla rinnovata SRL, la cui disciplina pare oggi esaudire i desideri di quanti vogliano intraprendere la strada della società di capitali, che permette la limitazione della responsabilità, senza però rinunciare all’importante peso rivestito dal socio nonché all’intuitu personae che invade, al pari delle società di persone, il rapporto sociale. Precedentemente difatti, coloro che non possedessero i requisiti finanziari necessari per intraprendere la strada della SPA erano talvolta costretti all’imbocco della strada delle società di persone.

Pare azzardato porla oggi frammezzo alle due categorie di società, di persone e di capitali, ma rappresenta certamente il modo più immediato per comprenderne i suoi tratti caratterizzanti. Invero, nodo cruciale della riforma che ha investito anche la SRL è stato l’ampliamento dell’autonomia dei soggetti coinvolti nella vita d’impresa, capaci di scegliere in quale modo, a seconda delle reali e concrete esigenze, adattare la propria struttura societaria: v’è difatti la possibilità di scegliere se avvicendare i propri organi alle società di persone – il che vuol dire addirittura la possibilità di un organo amministrativo che adotti le sue decisioni[2] attraverso il modello congiuntivo ovvero disgiuntivo – ovvero se intraprendere la strada della rigida collegialità azionaria.

2. La composizione dell’organo amministrativo e il suo funzionamento

 Difatti, se l’impropriamente denominato (poiché non vi è necessaria compresenza e convergenza di visioni, né tantomeno vi è una manifestazione di volontà unitaria) organo amministrativo di una società di persone – così come quello della SRL, a seconda delle personali scelte dei soci – segue un modello congiuntivo ovvero disgiuntivo ma comunque coinvolgente tutta la compagine sociale poiché expressis verbis “ogni socio è in quanto tale anche amministratore della società”[3], il che sta a indicare nessuna separazione dei poteri, la SPA adotta invece, quale contrappeso ai suoi innumerevoli vantaggi, una netta separazione prevedendo non solo un organo amministrativo diverso dall’assemblea dei soci ma anche la necessaria collegialità.

Vanno trattati separatamente organizzazione e funzionamento del medesimo.

L’organo amministrativo della SPA segue invero due diverse composizioni a seconda che la società sia quotata o meno. Lungi dal voler sunteggiare anche tale macroscopico argomento che dovrebbe prendere le mosse dalla disamina dapprima della società quotata e poi dei suoi organi, ci si concentrerà esclusivamente sulle società non quotate, presupponendo quale assorbite le divergenze fra le due nonché la presenza di ulteriori soggetti, quali a titolo esemplificativo l’amministratore indipendente.

Principiando dalla composizione, come ben noto, in seguito alla riforma del diritto societario, si sono affiancati al modello tradizionale (composto da un organo amministrativo e da un collegio sindacale), il modello dualistico che vede la presenza di un consiglio di sorveglianza e consiglio di gestione, e il modello monistico, composto dall’organo amministrativo e da un comitato per il controllo sulla gestione. È stato il nostro legislatore a voler finalmente offrire – al pari di molti altri paesi – la possibilità di scelta fra i diversi modelli alla stessa compagine, a seconda della situazione reale dell’impresa. Invero, non si può discorrere di vero e proprio successo: stante la possibilità di scelta, per un verso le società italiane continuano a scegliere il modello tradizionale, sulla scorta di una conservazione spaventosa, per altro verso è stato lo stesso legislatore, attraverso una tecnica redazionale assai dubbia, a creare una disciplina di tali modelli che rinvia in maniera costante alla disciplina del modello tradizionale, senza difatti aver creato alcuna valida alternativa.

L’organo amministrativo di una società per azioni può essere tanto monopersonale, con la presenza quindi dell’amministratore unico, quanto pluripersonale, dando vita al consiglio di amministrazione. Il numero dei componenti formanti quest’ultimo può essere liberamente scelto: è determinato all’interno dello statuto e, si avrà modo di vederlo, per facilitare il meccanismo operativo è altresì possibile articolarlo al suo interno attraverso lo strumento dell’amministrazione delegata.

Pare indubbio che gli amministratori, per poter rivestire tale ruolo, debbano essere dotati di determinati requisiti quali, a titolo esemplificativo poiché punto di semplice intuizione, l’onorabilità, la professionalità, l’indipendenza nonché debbano essere eleggibili e la carica debba essere compatibile con le altre cariche già verosimilmente ricoperte.

Ma l’aspetto di maggior rilievo viene rappresentato dalle funzioni svolte. Se è vero come è vero che sono i soci coloro i quali assumono l’iniziativa economica scegliendo di dar vita alla società e dotando la stessa del capitale di rischio fondamentale per l’esercizio dell’attività d’impresa attraverso i conferimenti, sono gli amministratori a detenere il potere poiché sono loro a gestire e amministrare il patrimonio sociale. Invero, non solo sono dotati di un potere gestorio ma taluni detengono la rappresentanza legale della società, danno vita e impulso all’assemblea dei soci nonché sono coloro cui è affidato il governo dell’ente, ergo la cura dei libri e delle scritture contabili della società.

Dal punto di vista del funzionamento, anche siffatto argomento pare intuibile: nulla quaestio se trattasi di organo monopersonale, concentrandosi tutti i poteri in capo a questo. Più reticolato appare invece il funzionamento del consiglio di amministrazione. Invero, questo, pare essere stato costruito sulla falsariga del funzionamento proprio dell’assemblea dei soci: difatti, vi è la presenza di un Presidente incaricato di gestire lo svolgimento dell’adunanza con compiti quindi di direzione e coordinamento ma, aspetto più rilevante, il consiglio opera sempre collegialmente. Operare collegialmente vuol dire anzitutto la non ammissione di forme di amministrazione disgiuntiva ovvero congiuntiva ma sta a indicare soprattutto che qualsiasi delibera necessita dell’adozione di un procedimento deliberativo.

 2.1. L’alleggerimento del meccanismo collegiale: la delega amministrativa

Se in un senso siffatto meccanismo collegiale rappresenta un indubbio vantaggio poiché permette una sinfonia decisionale atta a far sì che vengano coinvolti tutti gli amministratori, nell’altro senso si erge a inevitabile limite, poiché tendente ad appesantire e rallentare un’attività che, data la sua importanza, dovrebbe essere la più celere e immediata possibile.

Ed è su questo punto fermo che appare oramai naturale costruire e organizzare il proprio organo utilizzando il meccanismo dell’amministrazione delegata che permette o di affidare a un amministratore delegato determinate competenze ovvero di costruire un organo formato da un numero più ristretto di amministratori formanti il consiglio, denominato comitato esecutivo.

Partendo dall’assunto che nel diritto societario la delega viene declinata in più sensi[4], ci si soffermerà esclusivamente sulla delega amministrativa.

Invero, dal punto di vista interno, nonostante la previa autorizzazione dell’assemblea dei soci mediante apposita delibera ovvero attraverso una clausola nell’atto costitutivo, è il consiglio a poter scegliere come organizzare al meglio il lavoro degli organi delegati. V’è difatti estrema flessibilità dal punto di vista dell’individuazione ovvero del funzionamento stesso degli organi delegati: il comitato esecutivo potrebbe scegliere di operare collegialmente specularmente rispetto al consiglio di amministrazione, ma potrebbe anche scegliere di operare attraverso meccanismi più semplici così come è altresì possibile che agli amministratori delegati venga attribuita la possibilità di operare in maniera disgiuntiva. Estrema discrezionalità è rimessa anche sul contenuto, ferme restando in ogni caso talune materie mai delegabili e che richiedono sempre una decisione collegiale.

A questo punto appare chiaro come il ricorso alla delega amministrativa serva ad alleggerire la gestione della vita d’impresa. Purtuttavia si rende immediatamente necessaria una nuova e importante precisione: decidere di ricorrere all’amministrazione delegata non sta a indicare il mero passaggio di competenze da un organo a un altro, quanto piuttosto indica un totale mutamento nell’organizzazione degli organi stessi.

Così, se è vero che il potere gestorio diretto si concentra ora in mano agli amministratori delegati, è altresì corretto asserire che il consiglio di amministrazione non rimane privo di poteri anzi, li accentua  e li moltiplica; compito precipuo di quest’ultimo è difatti il controllo da esercitare sugli organi delegati che si esplica nel potere di revoca e modifica delle deleghe conferite, nella presenza addirittura di un potere gestorio concorrente, il che vuol dire possibilità di avocare a sé determinate competenze precedentemente rilasciate attraverso apposita delega nonché il potere di controllo generale sull’andamento della società.

Se il consiglio di amministrazione viene investito di un siffatto potere di supervisione e vigilanza, appare evidente come debbano essere predisposti tutta una serie di strumenti – rectius, doveri – in grado di consentire tale controllo. È per tale ragione che gli organi delegati sono tenuti a informare, quantomeno ogni sei mesi, il consiglio di amministrazione nonché il collegio sindacale sull’andamento della gestione d’impresa.

Ma, come ben noto, in capo agli amministratori vanno a confluire tutta una serie di doveri generali e specifici; principi cardine relativamente all’espletamento della propria funzione gestoria che, in ipotesi di violazione, potrebbero addirittura far sorgere responsabilità in capo agli stessi nei confronti della società. Fra questi, in un simil contesto, rileva il dovere di agire in maniera informata: questo si esplica non tanto e non già nel dovere di ricevere passivamente le informazioni, quanto piuttosto soprattutto nel richiederle, ove queste dovessero risultare carenti ovvero assenti; il cd. Duty to inquiry.

Ergo, la delega amministrativa sta a indicare indubbiamente agevolazione nell’assunzione di decisioni particolarmente pregnanti per la vita d’impresa e che richiedono quindi una certa celerità e prontezza nelle scelte ma, come in qualsiasi situazione, presenta a sua volta l’altra faccia della medaglia, rappresentata in tal caso non solo dal mutamento nell’organizzazione ma soprattutto dalla previsione di ulteriori obblighi e doveri. In ogni caso, i vantaggi superano di gran lunga i limiti.

 

 

 

 

 


[1] Come ben noto, la situazione muta dal lato prospettico delle società di persone: queste, prive di una personalità giuridica ma pur sempre dotate di un’autonomia patrimoniale che lungi dall’essere perfetta comunque esiste, permette al creditore particolare del socio la possibilità di aggredire – entro certi limiti – il patrimonio sociale.
La regola, valevole per tutti e tre i tipi di società di persone (SS, SNC, SAS) è che il creditore che non dovesse soddisfarsi integralmente dal patrimonio personale del suo debitore potrà difatti esperire atti conservativi sulla possibile quota di liquidazione di questo ovvero rifarsi sugli utili. Ma se esiste una regola, esistono anche delle eccezioni: così, per la SS e per le SNC e le SAS irregolari – equiparabili quindi alla SS poiché non regolarmente  iscritte nel registro delle imprese – è possibile addirittura richiedere e ottenere entro tre mesi, la liquidazione della quota di partecipazione del socio, possibilità assolutamente esclusa per le regolari, la cui autonomia, seppur affievolita rispetto alle SPA è comunque sempre maggiore rispetto alle società di persone irregolari. Difatti, sino all’esistenza della società, il creditore particolare non potrà mai richiedere la liquidazione della quota. Limite questo che cessa di esistere nel momento in cui, secondo quanto stabilito nell’atto costitutivo, la società dovrebbe, teoricamente, estinguersi; ma è altrettanto noto come possa essere prorogata la vita della stessa: se si dovesse trattare di proroga espressa, il creditore potrà fare opposizione entro tre mesi e ottenere così la condanna della società alla liquidazione della quota del suo socio; in ipotesi di proroga tacita invece, è valevole la regola relativa alle società irregolari di cui si è appena discorso.
[2] E discorrere di decisione non è un caso: pare un ossimoro se inserito nel contesto di una società di capitali – in cui, come ben noto, si può discorrere solo di deliberazioni vista la necessaria collegialità dell’organo.
[3] Ex art. 2257 cod. civ.
[4] Si fa tipicamente riferimento alla delega di competenze in cui è l’assemblea a scegliere di affidare determinate competenze rientranti nel proprio raggio d’azione all’organo amministrativo e la delega di voto, mai possibile per l’organo amministrativo e in cui un socio, non potendo partecipare personalmente all’assemblea, conferisce al delegato apposita delega per iscritto, mediante la quale si permette una partecipazione indiretta.

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