L’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa ha natura soggettiva ed è estendibile al concorrente se consapevole dell’altrui finalità

L’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa ha natura soggettiva ed è estendibile al concorrente se consapevole dell’altrui finalità

Cassazione Penale, Sezioni Unite, 3 marzo 2020 (ud. 19 dicembre 2019), n. 8545, Pres. Carcano, Rel. Petruzzellis

Con ordinanza n. 40846, la Seconda Sezione della Corte di Cassazione (Presidente Gallo, Relatore Recchione), il 10 settembre 2019 (dep. il 4 Ottobre 2019) ha rimesso la seguente questione alle Sezioni Unite: «se l’aggravante speciale già prevista dall’art. 7 D.I. n. 152 del 1991 ed oggi inserita nell’art. 416 bis.1 cod. pen. che prevede l’aumento di pena quando la condotta tipica sia consumata “al fine di” agevolare l’attività delle associazioni mafiose abbia natura “oggettiva” concernendo le modalità dell’azione, ovvero abbia natura “soggettiva” concernendo la direzione della volontà». Con sentenza n. 5848 (3 marzo 2020, ud. 19 dicembre 2019), le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: «l’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa prevista dall’art. 416-bis 1 cod. pen. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità».

Nella vicenda sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità, la Corte di Appello di Firenze, confermando la sentenza del g.i.p. presso il Tribunale di Firenze, condannava l’imputato alla pena di anni tre, mesi dieci di reclusione ed euro 2.400,00 di multa, per i reati di usura, tentata estorsione, ed abusiva attività finanziaria, aggravati dalla finalità dì agevolazione mafiosa svolta in favore di un clan criminale. La difesa dell’imputato promuoveva ricorso in Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione all’applicazione dell’art. 7 d.l.n. 152 del 1991, evidenziando, in particolare, che sebbene le due sentenze fossero convergenti sull’esito finale, risultavano antitetiche in relazione alla natura dell’aggravante.

Il giudice di prime cure, infatti, aveva attribuito natura oggettiva all’aggravante de qua; di diverso avviso la Corte d’Appello, qualificandola quale soggettiva. Il Collegio assegnatario, investito del ricorso, rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale, rimetteva la questione alle Sezioni Unite. In materia si registrano, infatti, tre orientamenti, di cui uno intermedio.

Secondo il primo orientamento, la contestazione dell’aggravante in questione, «si giustifica tutte le volte in cui possa trarsi dalla situazione concreta conferma della finalizzazione dell’azione al finanziamento di un’associazione avente le caratteristiche mafiose […]se la consapevolezza di tale scopo dell’azione risulta essenziale alla configurazione dell’aggravante». Tale consapevolezza non necessita di essere conosciuta da tutti i concorrenti, poiché trova applicazione, in tal caso, il disposto dell’art. 59 comma 2 c.p., che impone di valutare le circostanze a carico dell’agente, anche se da questi ignorate per colpa (ex multis, Sez. 6, n. 24025 del 30/05/2012 – dep. 18/06/2012).

L’opposto filone interpretativo, più recente, sostenuto dalle Sezioni Unite in due obiter dicta, attribuisce natura soggettiva all’aggravante in esame. In particolare, in entrambe le pronunce, si è sostenuto che l’aggravante si articolerebbe in due forme, seppur connesse. La prima, di carattere oggettivo, rappresentata dall’impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati; l’altra di carattere soggettivo, costituita dalla consapevolezza di agevolare o favorire, con la commissione del delitto, l’attività della compagine associativa (Sez. U., n. 10 del 28/03/2001, Cinalli; Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, Antonucci). Si è, inoltre, evidenziato che, posta la natura soggettiva dell’aggravante de qua, per la sua configurabilità, occorrerebbe valutare l’oggettiva idoneità del delitto ad agevolare l’attività dell’associazione.

Un terzo orientamento considera che non vi sarebbe risposta univoca in ordine alle due qualificazioni dell’aggravante (soggettiva ed oggettiva), poiché occorrerebbe verificare, in concreto, come essa si atteggi in relazione al reato per cui viene contestata (ex multis, Sez. 2, n. 22153 del 2019, Barilari).

Detti filoni interpretativi, si legge nell’ordinanza di rimessione, sarebbero generati dalle molteplici interpretazioni della locuzione “al fine di” agevolare l’attività delle associazioni previste dall’art. 416 bis 1 c.p., che si presta ad essere interpretata sia come indicativa della «funzionalità oggettiva» della condotta criminosa contestata ad agevolare l’associazione mafiosa, sia dalla necessità che la condotta sia sorretta da «dolo specifico», ovvero che essa sia diretta a vantaggio dell’associazione. Il diverso inquadramento avrebbe, pertanto, ad avviso dei giudici rimettenti, effetti diversi sugli oneri probatori e motivazionali correlati al riconoscimento dell’aggravante.

La questione attiene, si legge nell’ordinanza, al nesso funzionale tra reato ed associazione mafiosa; più in particolare, occorrerebbe stabilire se esso sia sorretto da una «volizione attenuata», cioè ignoranza colposa, ovvero una «volizione piena e specifica», ossia piena consapevolezza della finalità agevolatrice.

Le Sezioni Unite, dopo un breve excursus in fatto e prima di entrare nel merito della questione, ricordano che l’aggravante prevista dall’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991 n. 203, il cui contenuto è oggi trasfuso nell’art. 416-bis 1 c.p., rappresenta la garanzia di una maggiore efficacia della funzione preventivo repressiva del fenomeno mafioso, introdotta in un periodo storico in cui le associazioni criminali evidenziavano una sempre maggiore pervasività, e per la prima volta mostravano di estendersi anche a finalità eversive. Ciò impose, pertanto, l’introduzione di una circostanza di carattere generale; così come appare sintomatica di tale finalità l’uniformità delle risposte che emergono dalla strutturazione testuale della fattispecie nei medesimi termini previsti per i reati in materia di terrorismo o eversione dell’ordine democratico dall’art. 1 d.l. 15 dicembre 1979 n. 625, convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 1980 n. 15. La disposizione dell’art. 416-bis 1 c.p. prevede anche l’aggravante del metodo mafioso che ha dato luogo a minori problemi interpretativi, essendo pacifica la sua natura oggettiva che si caratterizza ed esaurisce per le modalità dell’azione, prevedendo un aumento di pena qualora il fatto sia commesso con l’utilizzo di una forza intimidatoria che ne mutui le modalità di azione. Controversa è, invece, l’aggravante prevista dalla seconda parte dell’art. 416-bis 1 c.p., caratterizzata dalla finalità di agevolazione.

Preso atto, dell’esistenza dei tre orientamenti giurisprudenziali, il Supremo Consesso procede ad analizzarli dettagliatamente. Secondo l’orientamento che attribuisce natura soggettiva all’aggravante in esame, le Sezioni Unite evidenziano che essa sarebbe integrata da un atteggiamento psicologico, qualificato, per lo più, come dolo specifico. Occorrerebbe, cioè, che l’agente oltre alla coscienza e volontà di integrare l’elemento oggettivo del reato, agisca con un fine ulteriore, rappresentato, appunto, dalla consapevolezza di agevolare l’attività mafiosa, la cui realizzazione non è necessaria al fine di ritenere integrata l’aggravante, concernente i motivi a delinquere o l’intensità del dolo, e ritenuta, perciò, riconducibile nell’alveo di quelle contemplate dall’art. 118 c.p. che «sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono» e non si estendono, pertanto, ai concorrenti nel reato. Nell’ambito di detto orientamento, tuttavia, non risulta agevole comprendere se occorra che l’agente persegua esclusivamente come scopo finale quello di agevolare l’associazione, giacché molte pronunce ritengono che l’aggravante non sia esclusa dal fatto che l’agente persegua un diverso scopo, purché sia sicuramente consapevole di avvantaggiare l’associazione mafiosa. Né appare pacifico, nell’ambito del medesimo orientamento, quale sia il requisito necessario ai fini dell’applicazione della circostanza aggravante in caso di concorso di persone nel reato, ai sensi dell’art. 118 c.p., e cioè se sia necessario individuare in capo a ciascun concorrente il dolo specifico richiesto dalla norma o se, invece, sia sufficiente che il concorrente abbia arrecato il proprio contributo nella consapevolezza della finalità agevolatrice perseguita dall’agente. In alcune pronunce, infatti, per integrare l’aggravante in esame, è richiesto l’accertamento del dolo specifico in capo a ciascun concorrente; in altre, si ritiene, al contrario, che possa essere integrata anche quando un concorrente abbia fatto propria la finalità di agevolazione di altro correo. In dette pronunce è, poi, richiesta la necessaria presenza dell’elemento oggettivo della direzione o idoneità ad agevolare l’associazione mafiosa. Se tale requisito è prevalentemente richiesto a fini della prova dell’elemento soggettivo che integra l’aggravante, tuttavia, talora la giurisprudenza ne ha evidenziato la necessità, quale ulteriore elemento costitutivo dell’aggravante, ai fini del rispetto del principio di offensività.

Le Sezioni Unite analizzano, poi, l’orientamento che considera la natura oggettiva dell’aggravante de qua, evidenziando come le diverse pronunce (ex multis Sez. 2, n. 24046 del 17/01/2017) non ritengano sufficiente, ai fini dell’integrazione della circostanza, un atteggiamento riconducibile all’ignoranza incolpevole. Quest’ultima, infatti, può essere sufficiente per estendere la circostanza ai concorrenti nel reato e non già per l’integrazione dell’aggravante, per la quale sembra comunque richiesta la sussistenza, in capo ad almeno uno dei concorrenti, del dolo specifico ovvero della consapevolezza dell’agevolazione della vita dell’associazione. Anche qualora l’aggravante venga qualificata come oggettiva, secondo il Supremo Consesso, è richiesta comunque una verifica in ordine all’elemento psicologico, caratterizzante la finalizzazione della condotta.

L’orientamento intermedio, poi, qualifica la natura dell’aggravante in modo differente, a seconda della situazione concreta e del tipo di reato cui essa accede. Nel caso in cui l’aggravante sia costituita da un dato oggettivo che travalica la condotta del singolo agente, agevolando in concreto la commissione del reato, allora, in base al principio ubi commoda ibi incommoda, deve ritenersi estensibile ai concorrenti. Ciò si ravvisa, nel caso del reato associativo, qualora la finalità di agevolare un’associazione mafiosa risulti direttamente connessa alla concreta struttura organizzativa dell’associazione semplice, perché questa si pone in collegamento con l’associazione mafiosa e rappresenta un dato strutturale, riguardante il modo di essere dell’associazione. Anche per siffatto filone interpretativo è richiesto, ai fini dell’integrazione dell’aggravante, che l’attività dell’agente esprima comunque una oggettiva capacità di agevolare, almeno potenzialmente, l’associazione criminale.

Diversamente da quanto sostenuto nell’ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite escludono che la questione attenga alla «copertura volitiva» dell’elemento materiale consistente nella «concreta funzionalizzazione dell’attività criminosa contestata all’agevolazione di un’associazione mafiosa», ossia tra «volizione piena e specifica ovvero la piena consapevolezza» della oggettiva finalità agevolatrice della condotta e «volizione attenuata, cioè ignoranza colposa». Invero, quando è richiesto un ulteriore elemento oggettivo, esso non è qualificato come elemento della fattispecie, «bensì quale fatto da cui desumere la prova della sussistenza dell’elemento psicologico, che rappresenta l’unico elemento costitutivo dell’aggravante». La «copertura volitiva di tale elemento» rileva, unicamente, ai fini di prova dell’elemento psicologico integrante l’aggravante; la richiesta di tale ulteriore requisito, di natura oggettiva, attenendo alla prova dell’elemento soggettivo che integra l’aggravante e, non essendo quindi configurato quale ulteriore elemento costitutivo della fattispecie che prevede la circostanza, non esclude che quest’ultima possa essere inquadrata tra quelle relative ai motivi a delinquere. Anche l’orientamento che assume la natura oggettiva l’aggravante dell’agevolazione mafiosa non considera sufficiente, ai fini dell’integrazione della circostanza, un atteggiamento riconducibile all’ignoranza incolpevole, per essa, richiedendo la sussistenza, in capo ad almeno uno dei concorrenti, o del dolo specifico, o della consapevolezza della funzionalizzazione della condotta all’agevolazione dell’associazione di tipo mafioso.

I termini della questione, ad avviso degli ermellini, vanno, pertanto, ricondotti ai seguenti punti: a) l’individuazione dell’elemento soggettivo necessario ad integrare l’aggravante dovendosi stabilire se esso consista nel dolo specifico ovvero nella mera consapevolezza della direzione (o idoneità) della condotta ad agevolare l’attività dell’organizzazione criminale (con la puntualizzazione che entrambe le tesi sono sostenute nell’ambito di ciascuno dei contrapposti orientamenti); b) il requisito necessario per l’«estensione» o l’applicabilità dell’aggravante ai concorrenti nel reato, individuato nel dolo specifico o nella consapevolezza dalle sentenze riconducibili all’orientamento che la ritiene di natura soggettiva ovvero nella mera ignoranza colposa dalle sentenze che la ritengono di natura oggettiva. Ciò in considerazione della circostanza che per tutti gli orientamenti, non vi è unanimità di vedute in ordine all’elemento psicologico richiesto al fine della sua integrazione. Per quanto attiene alle decisioni che si occupano della disciplina del concorso nel reato, il contrasto non si riduce all’alternativa tra l’applicabilità dell’art. 118 c.p. ovvero dell’art. 59 c.p.. L’applicabilità della circostanza aggravante al concorrente nel reato dipende, infatti, dalla diversa ricostruzione dell’elemento soggettivo integrante l’aggravante stessa; sicché se si ritiene sufficiente la mera consapevolezza dell’idoneità della condotta ad agevolare l’attività dell’associazione mafiosa, ai fini del riferimento dell’aggravante tanto a carico dell’agente, quanto a carico del concorrente, ai sensi dell’art. 118 c.p., risulterebbe sufficiente tale mera consapevolezza.

Nell’ambito, poi, dell’orientamento che assume la natura soggettiva dell’aggravante, si distingue la posizione di chi reputa necessario, per l’estensione al concorrente nel reato, il dolo specifico da parte di quest’ultimo, ovvero la mera consapevolezza della finalità perseguita dall’agente o, addirittura, la sola ignoranza colposa. Il contrasto risulta, inoltre, complicato, scrive la Corte, dal fatto che le pronunce di entrambi gli orientamenti, hanno analizzato casi in cui, in concreto, il delitto, in relazione al quale era contestata l’aggravante, aveva agevolato l’attività dell’associazione, ossia il fine si era effettivamente realizzato.

La dottrina, dal canto suo, non ha di certo contribuito a dipanare la controversia, essendosi limitata, a parere della Corte, a sostenere la natura soggettiva dell’aggravante in esame, nonché ad esigere che essa sia accompagnata da elementi di natura oggettiva, proprio per evitare di punire più severamente un’azione la cui potenzialità lesiva si esaurisca nell’elaborazione intenzionale e giungendo, così, a punire il pericolo del pericolo. Emerge, inoltre, una sostanziale fungibilità della funzione del soggetto agevolatore che, proprio in quanto estraneo alla compagine, ad avviso delle Sezioni Unite, non è essenziale ai suoi scopi ma occasionalmente ne agevoli, almeno in parte, le attività, anche quelle marginali, nonché l’irrilevanza di un effettivo ed utile ritorno della condotta illecita in favore dell’associazione perché possa configurarsi l’aggravante.

Nel ricostruire la natura dell’aggravante, ad avviso della Corte, bisogna fugare ogni lettura puramente oggettiva, che consenta di ravvisare l’agevolazione tutte le volte in cui una condotta illecita abbia di fatto o potenzialmente, prodotto una qualche utilità all’associazione. Sulla scorta di ciò, la Corte afferma la natura soggettiva dell’aggravante, inerente al motivo a delinquere.

Al fine, poi, di chiarire se il richiamo alla finalità agevolativa debba esaurire la volizione dell’agente o se possa accompagnarsi a finalità più egoistiche, la Corte prende le mosse dalla sentenza, Sezioni Unite, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, per chiarire che nel dolo specifico o intenzionale la volontà della condotta è accompagnata dalla rappresentazione dell’evento, quale scopo dell’agente, che giustifica l’azione, anche se non in forma esclusiva.

Orbene, la forma aggravata in esame richiede che l’agente agisca con lo scopo di agevolare la compagine associativa, sulla base di elementi concreti inerenti all’esistenza di un gruppo associativo riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 416-bis c.p. ed alla reale possibilità che l’azione illecita si iscriva nello scopo, nelle possibili utilità, della compagine delinquenziale. Tale finalità deve raccordarsi ad elementi concreti, valutati anche in modo autonomo dall’agente, non richiedendo un raccordo o coordinamento con i rappresentanti del gruppo criminale; né, soprattutto, è necessario che lo scopo sia concretamente raggiunto. La finalità agevolatrice, inoltre, può essere accompagnata da altri scopi egoistici quali, ad esempio, la volontà di proporsi come elemento affidabile al fine dell’ammissione al gruppo o qualsiasi altra finalità di vantaggio, assolutamente personale. Per giustificare l’aggravamento sanzionatorio è necessario, cioè, che accanto all’ordinario elemento psicologico che caratterizza il reato, vi sia un fine ulteriore e specifico, ossia la presenza del dolo specifico o intenzionale in uno dei partecipi. Tale elemento può caratterizzare il tipo di reato (come nel caso dell’abuso di ufficio) ovvero essere circostanziale (come nel caso dell’aggravante di discriminazione o di odio razziale o la finalità di terrorismo) ed è conseguenza della rilevanza attribuita dalla legge al motivo a delinquere per caratterizzare la fattispecie o giustificare l’aggravamento di pena.

In considerazione della presenza di elementi oggettivi a riscontro dell’offensività della condotta, la Corte ritiene di dover condividere le stesse linee ermeneutiche seguite per l’aggravante della finalità di terrorismo, in base alle quali si è univocamente sostenuto che l’intenzione dell’agente deve assumere una connotazione oggettiva, esplicitando gli effetti della condotta, tipizzati dalla previsione normativa di cui all’art. 270-sexies c.p.. Tale norma, infatti, contiene anche elementi obiettivi quali «misuratori della specifica offensività» che consentono di fugare ogni modello di incriminazione per «intenzione» o «tipo di autore». A questo punto, la Corte procede alla verifica dell’applicabilità dell’aggravante ai concorrenti nel reato.

Preliminarmente osserva che, a seguito della modifica dell’art. 59 e 118 c.p. operata con la novella contenuta nella legge 7 febbraio 1990 n. 19, come è noto, è stata esclusa ogni tipo di responsabilità oggettiva anche in merito agli elementi non costitutivi del reato, al fine di collegare qualsiasi componente dell’illecito, costitutivo o circostanziale, alla volontà del soggetto agente. La modifica, tuttavia, non ha inciso sull’art. 70 c.p. che classifica le circostanze a seconda della loro natura soggettiva od oggettiva. L’analisi storica della modifica, secondo la Corte, porta a non escludere la possibilità di estensione delle circostanze soggettive ai concorrenti, esclusione che, invece, opera per i soli casi di cui all’art. 118 c.p. e che concernono le sole intenzioni dell’agente, non potenzialmente conoscibili dai concorrenti. Se, infatti, le circostanze soggettive richiamate dall’art. 70 c.p. sono quelle che concernono «la intensità del dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti fra il colpevole e l’offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole», l’art. 118 c.p. non prevede l’impossibilità di estensione delle circostanze soggettive, ma opera un’indicazione autonoma, limitata alle «circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole» che richiede siano «valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono»; vengono così escluse da tale delimitazione le condizioni e le qualità personali del colpevole, ed i rapporti tra il colpevole e l’offeso, elementi che possono essere percepiti anche dall’esterno.

Dunque, il discrimine tra l’estensione o meno delle circostanze è rappresentato dalla «possibilità di estrinsecazione della circostanza all’esterno» e, pertanto, qualora da elementi di fatto sia possibile dimostrare che l’intento sia stato riconosciuto dal concorrente e ciò non lo abbia dissuaso dal collaborare, non vi è ragione per non estendere la sua applicazione. «Il concorrente nel reato, che non condivida con il coautore la finalità agevolativa, ben può rispondere del reato aggravato, le volte in cui sia consapevole della finalità del compartecipe, secondo la previsione generale dell’art. 59, secondo comma, c.p., che attribuisce all’autore del reato gli effetti delle circostanze aggravanti da lui conosciute». La finalità dell’agevolazione mafiosa da parte del compartecipe, cioè, deve essere espressione di rappresentazione e non di volontà, aspetto limitato agli elementi del reato e può emergere sia perché manifestata esplicitamente dal partecipe ovvero essere ricavata da elementi concreti, quali, per esempio, rapporti del partecipe con l’associazione criminale territoriale. In presenza di tali dati, infatti, il compartecipe, seppur non agendo personalmente ovvero non perseguendo lo stesso scopo del partecipe, può comunque contribuire ad agevolare, con il suo apporto, il perfezionamento dell’azione illecita, nelle forme volute dai concorrenti.


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