L’ammissibilità del concorso esterno in associazione di stampo mafioso nel sistema penale italiano
Premessa
La tematica, già ampiamente dibattuta e assai controversa, appare di recente interesse in seguito alla pronuncia resa dalla Corte EDU nel noto caso Contrada contro Italia. La pronunzia de qua consente di approfondire il dibattito in merito all’ammissibilità della figura del concorrente esterno, nonché della tematica del principio di legalità, con i suoi corollari, nel sistema penale italiano, anche alla luce della Convenzione europea dei diritti umani e delle sue interpretazioni rese dalla Corte EDU.
Il presente lavoro di approfondimento si propone di sottolineare gli aspetti più problematici della tematica, attese le nuove evoluzioni del fenomeno “mafia”, che negli ultimi anni hanno avuto modo di osservarsi nel panorama italiano e non.
Non può infatti tacersi che la figura del mafioso non è più e non è solo da individuarsi nell’uomo di campagna, poco erudito, che si macchia di crimini efferati in nome di un “patto di sangue”, ma oggi l’associazione di stampo mafioso agisce tramite mezzi modernissimi e utilizza capitali economici illimitati, penetrando nel tessuto sociale in tutti i settori di interesse, anche economico e patrimoniale.
Pur in assenza di un adeguato strumento normativo atto a permettere l’incriminazione di tali nuove manifestazioni del fenomeno criminoso, la giurisprudenza ha dovuto far fronte a situazioni di contiguità tra mafia e politica o tra mafia ed impresa, in cui le condotte di taluni soggetti non potevano essere sussunte nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 416 bis c.p., non trattandosi di partecipi all’associazione né di figure identificabili nelle altre tipizzate dalla norma.
Basti pensare ad un imprenditore che, pur non facendo parte del sodalizio, instaura con la associazione un rapporto di reciproco scambio tale da raggiungere per sé una posizione economica dominante sul mercato e da permettere al consorzio criminoso di ottenere risorse economiche, servizi o altre utilità da utilizzare per scopi illeciti.
Queste le ragioni che hanno indotto la giurisprudenza a ricorrere allo schema del combinato disposto tra l’art. 110 e il 416 bis c.p. per punire tali condotte, caratterizzate dalla contiguità rispetto alla associazione di stampo mafioso, non altrimenti punibili facendo ricorso al solo art. 416 bis c.p..
Sommario: 1. Disciplina normativa del reato di associazione di stampo mafioso ex art. 416 bis c.p. – 2. Concorso esterno di persone nel reato di associazione mafiosa – 3. Pronunce giurisprudenziali e orientamenti dottrinali, anche alla luce di profili di diritto europeo.
1. Disciplina normativa del reato di associazione di stampo mafioso ex art. 416 bis c. p.
Il fenomeno dell’associazione di stampo mafioso trova la sua disciplina nel corpo del codice penale sin dal 1982, anno in cui il legislatore si determina ad introdurre nell’ordinamento un’apposita fattispecie criminosa al fine di permettere l’incriminazione di un fatto di reato, sino a quel momento sussunto nell’ambito della generale associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p .
Ebbene, si tratta di un reato a tutela dell’ordine pubblico, ma in realtà plurioffensivo, atteso che si tratta di una fattispecie delittuosa idonea a tutelare anche altri beni giuridici, come la libertà di iniziativa economica o quella personale.
Si richiede la sussistenza di una struttura stabile e permanente, il cui elemento distintivo è costituito dall’utilizzo del metodo mafioso, ovvero della forza intimidatoria scaturente dalla sussistenza del vincolo associativo ed in grado di creare una condizione di assoggettamento e omertà in capo ai soggetti passivi del reato.
A seconda del ruolo svolto, è possibile individuare varie figure che il soggetto attivo del reato può ricoprire nell’ambito dell’associazione. Il promotore è il soggetto che crea la struttura dell’associazione; il direttore provvede a porre in essere le iniziative e le decisioni utili alla sopravvivenza e allo sviluppo della compagine, oltre che alla realizzazione dei fini che si propone di realizzare; partecipante è colui che contribuisce con la propria condotta a realizzare gli scopi della associazione, purché tale contributo non sia marginale, ma, al contrario, apprezzabile.
2.Concorso esterno di persone nel reato di associazione mafiosa
Particolarmente problematica è stata e continua ad essere la questione relativa alla ammissibilità del concorso esterno in associazione di stampo mafioso.
Giova premettere una breve analisi relativa all’istituto del concorso di persone nel reato. La relativa disciplina è contenuta nel codice penale, agli artt. 110 e ss, dove si regolamenta il fenomeno della realizzazione da parte di più persone di un medesimo reato.
Va precisato che le singole fattispecie criminose descritte nel corpo del codice penale sono modellate sulla figura dell’autore individuale, nel senso che, perché si proceda alla formulazione della imputazione in capo a più soggetti che abbiano concorso nello stesso reato, si utilizza la tecnica del combinato disposto tra l’art. 110 c.p. e la singola norma di parte speciale. Le norme sul concorso, infatti, hanno una funzione integratrice ed estensiva, atteso che rendono punibili comportamenti che, in base alla singola norma incriminatrice, non potrebbero essere puniti.
La struttura del concorso di persone si articola in vari requisiti da individuarsi nella pluralità di agenti, nella realizzazione di una fattispecie di reato, nel contributo che ciascun concorrente arreca al fine della realizzazione del fatto criminoso e nell’elemento soggettivo del concorso.
Venendo alla problematica descritta in apertura oggetto del presente lavoro, uno degli aspetti più problematici che hanno interessato la tematica del concorso e dei reati associativi riguarda la possibilità di configurare un concorso esterno ex art. 110 c.p. rispetto a un’associazione criminosa da parte di soggetti estranei alla associazione.
Si tratta del concorso eventuale nel reato associativo, posto in essere da persone che non fanno parte del sodalizio criminoso, ma collaborano di fatto con l’organizzazione, contribuendo al rafforzamento e alla conservazione della stessa.
Tale condotta non rientra nella fattispecie criminosa di cui al 416 bis c.p., atteso che il soggetto non ricopre uno dei ruoli descritti dalla norma, non costituendo parte integrante dell’associazione, ma agendo dall’esterno. Pertanto, per colmare il vuoto di tutela penale ed incriminare condotte di tal fatta, la giurisprudenza ha utilizzato lo schema del combinato disposto ex artt. 110 e 416 bis c.p..
3.Pronunce giurisprudenziali e orientamenti dottrinali, anche alla luce dei profili di diritto europeo
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno avuto modo di interessarsi più volte della tematica in oggetto e hanno profuso rilevanti sforzi al fine di tracciare anzitutto la distinzione tra la figura del partecipe interno alla associazione di stampo mafioso e quella del concorrente esterno alla stessa.
Ebbene, è stato precisato che il partecipe è da individuarsi nel soggetto che si trova a ricoprire un ruolo stabile all’interno del sodalizio criminoso, tale che egli prende parte a tutti gli effetti al fenomeno associativo, mettendosi a disposizione al fine di realizzare i propositi criminosi che l’associazione si determina a perseguire.
Il concorrente esterno, invece, non è inserito stabilmente nella struttura criminosa, ma interviene dall’esterno a rendere un contributo rafforzativo del sodalizio, che appare strettamente connesso da un’efficacia causale diretta o indiretta al rafforzamento o alla conservazione dell’associazione. Tale nesso di efficacia va accertato ex post dal giudice, che dovrà valutare la sussistenza di un contributo del soggetto esterno e la configurabilità del concorso esterno nel reato.
La migliore dottrina ha avuto modo di precisare a riguardo che manca una legge di copertura in grado di assicurare un controllo rigoroso e univoco tra i contributi resi al sodalizio e l’effettivo rafforzamento o la conservazione del vincolo proprio come conseguenza del contributo dell’extraneus.
Tale orientamento nega la possibilità di configurare una condotta atipica in capo ad un soggetto che non partecipa all’associazione ed auspica un intervento legislativo che specifichi, in ottemperanza al generale principio di tassatività che regola l’intera materia penale quale corollario del più generale principio di legalità, quali siano le forme di contiguità meritevoli di repressione penale, al fine di evitare che verificare il rilievo penale della condotta o meno si risolva in una mera discrezionalità del giudice, non sorretta da alcun riferimento normativo preciso.
Opposta corrente dottrinale, invece, ritiene che chi apporti, seppur occasionalmente, un contributo causale alla conservazione o al rafforzamento del sodalizio criminoso, di fatto agevola l’esistenza dell’associazione criminosa, integrando gli estremi dell’istituto del concorso di persone. Tale assunto è sostenuto alla luce di quanto disposto dagli artt. 307 e 418 c.p., rispettivamente integranti le fattispecie delittuose di assistenza ai partecipi di una banda armata e assistenza agli associati di un’associazione per delinquere o di tipo mafioso. Entrambe le figure si applicano fuori dai casi di concorso nel reato, e ciò vale a sottolineare come lo stesso legislatore ammetta l’ipotesi del concorso nel reato associativo.
Anche in giurisprudenza si sono a lungo contrapposti due indirizzi in ordine alla questione della ammissibilità del concorso esterno in associazione di stampo mafioso, con recenti risvolti anche a livello europeo che hanno riaperto la vecchia querelle sulla possibilità di ritenere configurabili ipotesi di tal fatta.
Inizialmente la giurisprudenza interna era orientata a negare la configurabilità della responsabilità del concorrente esterno, non potendosi differenziare il contributo reso all’associazione da parte del partecipe rispetto a quello del concorrente esterno alla stessa.
Solo dal 1994 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella nota sentenza Demitry del 5 ottobre 1994, mutano orientamento e ammettono la configurabilità del concorso esterno in associazione di stampo mafioso, sostenendo tale assunto in base al differente approccio soggettivo che caratterizza la condotta del partecipe rispetto a quella del concorrente esterno. Chi partecipa, infatti, si reputa parte del sodalizio ed esplica determinati compiti all’interno dello stesso, mentre il concorrente esterno non pone in essere la condotta descritta all’art. 416 bis c.p., ma contribuisce dall’esterno al mantenimento o al rafforzamento dell’associazione, sicché si tratta di una condotta connotata da atipicità, che permette l’applicazione del meccanismo del combinato disposto tra l’art. 110 c.p. e la norma di parte speciale.
Il dolo diverso tra le due figure è oggetto di attenzione da parte del Supremo consesso anche in un’altra pronuncia resa nel caso Mannino nel 2005, in cui gli ermellini sottolineano che il concorrente esterno sa e vuole che il proprio contributo vale a realizzare il programma criminoso dell’associazione, pur essendo sprovvisto della volontà di prendere parte alla stessa e non ricoprendo alcun ruolo all’interno del sodalizio.
In tale pronunzia i giudici si soffermano, altresì, sull’aspetto relativo all’individuazione della condotta integrante il concorso esterno in associazione di stampo mafioso e identificano il criterio dell’efficienza causale del contributo. Ed infatti l’apporto reso dal concorrente esterno deve essere tale da costituire condizione necessaria per la realizzazione degli scopi del sodalizio criminoso.
Il medesimo orientamento giurisprudenziale è confermato dagli ermellini nel noto caso Dell’Utri del 2012, in cui si legge che perché si configuri il concorso esterno non basta la mera messa a disposizione o la vicinanza all’associazione di stampo mafioso, ma è necessario che si provi il contributo causale che l’extraneus ha apportato in concreto al consorzio criminoso, tale da averlo rafforzato o contribuito a conservarlo.
Di recente la giurisprudenza ha avuto modo di interessarsi nuovamente alla tematica dell’ammissibilità del concorso esterno in associazione di stampo mafioso, in seguito alla condanna dell’Italia ad opera della Corte EDU nell’ambito del noto Caso Contrada.
Giova richiamare, seppur per grandi linee, i termini della vicenda giudiziaria e le ragioni della pronuncia della Corte EDU. Bruno Contrada, condannato in via definitiva nel 2007 per concorso esterno in associazione mafiosa, aveva proposto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione del dettato di cui all’art. 7 CEDU, in quanto egli sarebbe stato condannato per un reato non sufficientemente determinato all’epoca della commissione dei fatti.
Le sue condotte risalivano al periodo tra il 1979 e il 1988, anni in cui la giurisprudenza non aveva ancora tratteggiato i presupposti del concorso esterno in associazione di stampo mafioso, tanto che la prima pronuncia della Corte di Cassazione che lo ammette risale al caso Demitry del 1994.
L’art. 7 CEDU rafforza il principio di legalità, già cardine dell’intero sistema penale italiano, ampliandone la portata garantistica, atteso che il principio non viene letto solo in termini di tipicità e determinatezza della norma, ma richiede altresì l’accessibilità e la prevedibilità delle fonti legali, nonché della relativa giurisprudenza.
La Corte EDU ha ritenuto di condannare l’Italia in quanto ha escluso che la fattispecie di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p. fosse accessibile e prevedibile per il ricorrente nel momento in cui egli ha posto in essere i fatti contestati, dal momento che la giurisprudenza del periodo era oscillante e dubbiosa in ordine alla ammissibilità o meno del concorso esterno in associazione mafiosa.
Tale pronunzia è stata largamente criticata proprio in ordine al presupposto argomentativo del ragionamento svolto dalla Corte, ovvero l’inquadramento del concorso esterno in una fattispecie di origine giurisprudenziale.
Argomento che nemmeno il governo italiano, convenuto innanzi alla Suprema Corte, ha ritenuto di contestare.
Ed invero l’ordinamento italiano non si basa sul principio dello stare decisis, come i Paesi di common law, dove i precedenti giurisprudenziali sono vincolanti e dunque non è esatto ipotizzare fattispecie di creazione giurisprudenziale nel nostro sistema penale.
Alla luce di tali osservazioni, la sentenza resa dalla Corte EDU è stata ampiamente criticata, sia a livello dottrinale che giurisprudenziale, e si attende un intervento normativo che possa far chiarezza sulla condotta del concorrente esterno, di modo che possa essere tipizzata la condotta e possa individuarsi una fattispecie ad hoc atta a punire le condotte caratterizzate dalla contiguità al sodalizio criminoso.
Bibliografia
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2) GALLI ROCCO, Novità normative e giurisprudenziali di diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo, Wolters Kluwer, 2015.
3) GALLI ROCCO, Novità normative e giurisprudenziali di diritto civile e diritto penale, Wolters Kluwer, 2016.
4) GAROFOLI ROBERTO, Diritto penale (parte speciale), Nel diritto editore, 2015-2016.
5) GAROFOLI ROBERTO, Manuale di diritto penale Parte generale, Nel diritto editore, 2015.
6) MARINUCCI GIORGIO e DOLCINI EMILIO, Manuale di diritto penale Parte generale, Giuffrè editore, 2009.
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