L’annullabilità del contratto e la prova del conflitto di interessi
Sommario: 1. Premessa – 2. Svolgimento della causa – 3. La decisione del Tribunale – 4. Considerazioni – 4.1.1 Caratteri del conflitto di interessi ex art. 1394 cc e della sua prova – 4.1.2 Lo id quod plerumque accidit nella prova del conflitto di interessi– 4.2. La valutazione in sede civile delle pronunce penali diverse dalla condanna irrevocabile
1. Premessa
La Sentenza n. 11268 del 01.08.2020 della Sezione X Civile del Tribunale di Roma fornisce degli spunti di riflessione sulle caratteristiche della prova del conflitto di interessi ai fini dell’annullabilità del contratto ex art. 1394 cc, anche con riferimento alle risultanze di un parallelo processo penale.
2. Svolgimento della causa
Tizia agiva contro Caio e Sempronio e Mevio per l’annullamento ex art. 1394 cc di un contratto di compravendita immobiliare, adducendo un conflitto di interessi con Caio.
Infatti, questi aveva alienato a Sempronio e Mevio un immobile di proprietà dell’attrice, adibito a casa familiare. Il contratto di compravendita era stato stipulato in forza di una procura speciale a vendere rilasciata a Caio da Tizia, originaria proprietaria della casa.
I tre convenuti si costituivano in giudizio: in particolare, Sempronio e Mevio dispiegavano anche domanda riconvenzionale per il rilascio dell’immobile da parte di Tizia, occupato sine titulo. A tal fine, gli acquirenti offrivano all’attrice la restituzione della somma di € 30.000,00, trattenuta dagli stessi a garanzia dell’adempimento dell’obbligo del rilascio dell’immobile, come da accordo coevo al rogito notarile
Successivamente, la causa veniva sospesa ex art. 295 cpc, per pendenza di un procedimento penale a carico di Caio per i reati di cui agli artt. 640 e 61 n.7 cp (truffa aggravata) e 491 cp (falso in cambiali).
In seguito al passaggio in giudicato della Sentenza n. 8731/2017 della II Sezione Penale della Corte di Appello di Roma, che disponeva il non doversi procedere per prescrizione dei reati pur confermando le condanne in primo grado, la causa veniva riassunta.
In sede penale, di conseguenza, risultava accertato che Caio aveva posto in essere una serie di condotte fraudolente per depauperare Tizia e il marito, privandoli anche della casa familiare.
Gli acquirenti convenuti nel processo civile, comunque, sostenevano la loro buona fede nell’acquisto dell’immobile e la loro ignoranza del conflitto di interessi.
3. La decisione del Tribunale
Il Giudice conclude per l’annullabilità del contratto, ritenendo provato il conflitto ex art. 1394 cc.
La prova del conflitto di interessi, per il Tribunale, è raggiungibile mediante lo id quod plerumque accidit, sulla base di un ragionamento che tiene conto di vari dati presuntivi e di natura documentale, nonché delle risultanze della CTU e delle pronunce del Tribunale e della Corte di Appello in sede penale. A riguardo, non ha rilevanza che la Corte abbia disposto il non doversi procedere per prescrizione dei reati a carico di Caio: il giudice civile, pur non essendo vincolato a tale tipo di sentenza, può comunque trarne elementi per il suo convincimento.
4. Considerazioni
4.1.1 Caratteri del conflitto di interessi ex art. 1394 cc e della sua prova
L’arresto in esame chiarisce i caratteri della prova del conflitto di interessi ai fini della annullabilità del contratto ex art. 1394 cc, sia circoscrivendone la portata rispetto all’insieme dei fatti di causa sia determinando in che misura e con quali mezzi può ritenersi raggiunta la prova.
Sul primo profilo, il conflitto si verifica qualora il rappresentante sia detentore di interessi incompatibili con quelli del rappresentato, di tal che il primo sia impossibilitato a gestire gli interessi del secondo. Pertanto, non ha rilevanza di per sé che l’atto compiuto abbia comportato un concreto pregiudizio perché il rappresentato possa domandare o eccepire l’annullabilità del negozio.
Il conflitto ex art 1394 cc, inoltre, non si riferisce a un astratto insieme di rapporti tra il rappresentante e il rappresentato, ma a uno specifico negozio giuridico le cui “intrinseche caratteristiche” siano tali da consentire la creazione dell’utile di un soggetto mediante il sacrificio dell’altro.
Quest’apparente incoerenza si può spiegare in termini di cumulabilità e alternatività: può integrare l’istituto di cui all’art. 1394 cc tanto un contrasto tra le finalità del rappresentante e quelle del rappresentato nella stipula del contratto, quanto il fatto che il negozio posto in essere vada a danno del primo e a vantaggio del secondo.
Ugualmente, il conflitto richiesto dal Codice sarà rinvenibile anche quando coesistano entrambe le situazioni.[1]
Ciò che conta è che il conflitto di interessi non sia allegato in modo meramente astratto o ipotetico, ossia indipendentemente da una specifica disposizione patrimoniale compiuta dal rappresentante.
Nel caso che ci occupa, d’altronde, il Giudicante ha ritenuto di poter individuare tanto la incompatibilità di scopi quanto le richiamate “intrinseche caratteristiche” del negozio giuridico.
L’incompatibilità di interessi deriva da una serie di circostanze di fatto, che portano il Giudice a ritenere provate addirittura la volontà di favorire i terzi acquirenti e l’impossibilità, da parte loro, di ignorare la situazione. [2]
Tali dati sono: la parentela tra gli acquirenti e uno dei soci della azienda di intermediazione immobiliare; la conoscenza di quest’ultimo con il procurator (quantomeno per avere Caio incaricato la medesima società della vendita di altri immobili di proprietà di Tizia); il fatto che gli acquirenti dichiarassero di essere studenti (nel senso, probabilmente, che non potevano avere né le disponibilità economiche né le conoscenze per concludere l’affare); nonché la presenza di irregolarità nell’atto di vendita e il fatto che davvero inverosimilmente l’attrice avrebbe alienato la sua casa di residenza senza disporre di altri alloggi, oltre al fatto che l’immissione nel possesso veniva posticipata a una data successiva.
Come vedremo infra, alcuni di questi elementi sono stati reperiti dalle risultanze del parallelo processo penale a carico di Caio.
Le caratteristiche dell’atto di compravendita pregiudizievoli per Tizia, invece, sono indubbiamente rappresentate dalla sproporzione tra il prezzo di vendita dell’immobile (€ 170.000,00) e quello di mercato secondo la CTU (€ 300.000,00), al netto del fatto che il pagamento dell’esiguo ricavato della vendita non è mai stato corrisposto a Tizia, la quale oltretutto rischiava di essere privata del suo unico alloggio, così subendo un ulteriore e grave danno.
Ovviamente, la ripartizione dei fatti di causa tra le due predette condizioni (incompatibilità di interessi e pregiudizio nel contratto) non è da intendersi in senso rigido, trattandosi di due caratteristiche strettamente collegate.
Circoscrivere la prova del conflitto al singolo negozio giuridico comporta, peraltro, l’irrilevanza del fatto che il terzo sia a conoscenza o meno di complessive condotte truffaldine del rappresentante a danno del rappresentato o, peggio, sia in qualche modo coinvolto nelle eventuali vicende penali.
Rectius, è indubbio che la prova della effettiva consapevolezza o condivisione degli intenti criminosi comporterebbe la prova della conoscenza del conflitto di interessi, ma tale evenienza non è una condicio sine qua non, per via della alternatività di cui supra.
Diversamente opinando, si ancorerebbe un istituto civile a un presupposto di natura penale nel silenzio della legge, oltre a rendere pressoché impossibile l’applicabilità dell’art. 1394 cc salvo nei casi in cui il terzo abbia una profonda conoscenza personale del rappresentante e delle sue complessive macchinazioni a danno del rappresentato.
4.1.2 Lo id quod plerumque accidit nella prova del conflitto di interessi
Sul secondo profilo, quello dei mezzi ed elementi di prova utilizzabili, il Tribunale sancisce il principio dello id quod plerumque accidit come criterio di ragionamento che consenta di collegare fatti dimostrati documentalmente, così da ricavare in via presuntiva e probabilistica la prova del conflitto di interessi.
Lo id quod pleurmque accidit, (ciò che accade di solito) è notoriamente un concetto cardine in materia di prova, tanto penalistica quanto civilistica. Esso costituisce la ratio del ragionamento per presunzioni e consente di attribuire alla comune esperienza del comportamento umano una valenza probabilistica che ricolleghi una circostanza già nota a una da dimostrare.[3]
Nel diritto civile, il principio in parola trova particolare rilevanza per la determinazione del nesso causale tra danno evento e danno conseguenza in materia di responsabilità civile. Infatti, lo id quod plerumque accidit è alla base della teoria della regolarità causale, che si fonda su un dato di esperienza secondo il quale la continuata e costante osservazione del susseguirsi di avvenimenti tra loro collegati rende l’uomo pressoché sicuro che dato un certo antecedente ad esso seguirà un determinato evento.[4]
Quanto detto comporta che, per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida, il fatto ignoto non debba necessariamente rappresentare l’unica conseguenza possibile di quello noto. Al contrario, sarà “sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit“.[5]
Nel caso de quo, il Giudice capitolino ha ritenuto di poter individuare i già citati elementi di fatto, validi a sostenere – nel complesso – che vi fosse un conflitto di interessi e che gli acquirenti non potessero non rendersene conto.
Allo id quod plerumque accidit, il ragionamento del Tribunale accoppia le valutazioni emerse in sede di CTU. La consulenza tecnica d’ufficio, come è noto, non costituisce un vero e proprio mezzo di prova. Essa, d’altronde, non ha la funzione di determinare il convincimento del giudice circa la verità dei fatti, ma ha piuttosto lo scopo di offrire al giudicante l’ausilio di cognizioni tecniche che egli non possiede. Dunque, il consulente tecnico fornisce degli elementi per orientare ulteriormente lo svolgimento dell’attività istruttoria.[6]
Nel caso in esame, è indubbio che anche la valutazione della CTU abbia fatto da collegamento tra le risultanze già in atti (in particolare il prezzo di vendita dell’immobile) e il conflitto di interessi da provare. Inoltre, la consulenza ha consentito di acquisire una informazione ulteriore: il ben diverso prezzo di mercato dell’immobile al tempo della vendita. L’insieme di questi elementi è stato poi collegato al fatto da dimostrare (il conflitto di interessi) tramite l’applicazione dello id quod plerumque accidit.
4.2. La valutazione in sede civile delle pronunce penali diverse dalla condanna irrevocabile
La pronuncia de qua mette in luce anche l’importanza e i limiti della valutabilità in sede civile di sentenze penali che abbiano dichiarato il non doversi procedere per prescrizione del reato, pur confermando nel merito i fatti e la responsabilità penale. [7]
Il giudice civile, infatti, ben può valutare liberamente l’accertamento dei fatti operato da una sentenza diversa dalla condanna, pur non essendo tenuto a conformarvisi come, invece, nel caso dell’art. 651 cpp[8].
Nella vicenda che ci occupa, appunto, il Tribunale ha ricavato l’elemento della parentela tra gli acquirenti e un socio dell’agenzia immobiliare dalla sentenza penale di primo grado, quale circostanza confermata da un teste.
Sul punto, può intravedersi una analogia con l’impiego degli atti e delle risultanze istruttorie penali nei processi civili in materia di diritto di famiglia, ad esempio nei casi in cui il giudice è chiamato a prendere provvedimenti in presenza di condotte pregiudizievoli per i minori o a decidere sull’addebito nella separazione o sul danno da illecito endofamiliare per tali comportamenti.[9]
A riguardo, recentissima giurisprudenza di merito non solo ha ammesso la domanda di risarcimento del danno da illecito endofamiliare proposta nel giudizio di separazione (spesso rigettata per una presunta incompatibilità di riti[10]) ma ha ritenuto provato il danno risarcibile (dovuto alle condotte violente del padre) proprio sulla base dello id quod plerumque accidit e nonostante l’archiviazione delle notizie di reato a carico dell’uomo[11].
Il valore probatorio di una sentenza diversa dalla condanna si giustifica anche con la tendenziale indipendenza del giudicato penale da quello civile.
Come è noto, fin dall’entrata in vigore del nuovo Codice di procedura penale del 1988, il nostro ordinamento accetta la possibilità che sui medesimi fatti possano formarsi due giudicati contrastanti in sede penale e civile, con ben poche eccezioni [12].
Ciò comporta, secondo autorevole dottrina, che la sospensione ex art. 295 cpc, applicata nel procedimento di cui alla nostra Sentenza, in realtà non operi più in casi di contemporanea pendenza di un procedimento civile e uno penale, non essendo quasi mai ravvisabile alcun tipo di pregiudizialità[13].
Anche la più recente giurisprudenza di Cassazione, pur ricordando che la sospensione ex art. 295 cpc opera qualora una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione di un reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile, specifica che è necessario l’avvenuto esercizio dell’azione penale da parte del PM ai sensi dell’art. 405 cpp, ossia mediante la formulazione dell’imputazione o la richiesta di rinvio a giudizio.[14]
Ad ogni modo, proprio per il suo carattere discrezionale, la valutazione che il giudice può compiere su una sentenza di non doversi procedere per prescrizione del reato è estendibile anche a soggetti estranei al processo penale ma coinvolti in quello civile.
Infatti, questi ultimi sono al riparo da conseguenze pregiudizievoli per la loro libertà personale, mentre la loro qualità di parte nel procedimento civile è indipendente da ogni prerequisito di natura penale: come già detto, perché si configuri l’annullabilità ex art. 1394 cc non è certo necessario che il terzo abbia concorso con il rappresentante in alcuna fattispecie di reato derivante dalle sue condotte a danno del rappresentato.
Si tenga conto, inoltre, del fatto che l’introduzione di una sentenza penale come prova documentale in un procedimento civile è comunque vincolata alle regole istruttorie di tale sede, sicché il predetto documento sarà sempre contestabile dalla parte contro cui è prodotto, nel rispetto del principio del contraddittorio.
Su punto, è proprio la giurisprudenza di Cassazione a chiarire che non rileva la differenza di rito tra il procedimento da cui derivano le prove e quello in cui vengano fatte confluire[15].
Ovviamente, le prove derivanti da un procedimento o processo penale debbono intendersi quali prove atipiche, ossia: “quei mezzi di convincimento del giudice, circa l’esistenza di un fatto allegato, non espressamente codificati da alcuna norma di legge” [16].
Come è noto, la dottrina e la giurisprudenza ammettono ampiamente tale figura, in ragione della mancanza di una norma di chiusura del sistema che impedisca l’ingresso, nell’istruttoria civile, di prove non specificamente normate dalla legge. A tale argomento si unisce l’osservazione che il processo civile conosce già strumenti come le presunzioni semplici, che sono intrinsecamente atipiche, o la categoria degli argomenti di prova[17].
Vale la pena menzionare una voce contraria che, pur riconoscendo l’ammissibilità delle prove atipiche, nega valenza concettuale a tale categoria, ritenendola sussumibile nella elencazione delle prove tipiche già fornita dal sistema legale[18].
Ad ogni modo, è stato notato come la giurisprudenza abbia attribuito diversi gradi di valore al variegato insieme di prove atipiche, sicché è possibile individuare un vero e proprio ordine gerarchico[19].
Possiamo così distinguere, dall’alto verso il basso, prove documentali atipiche con valore di prova legale (ad es. i verbali degli organi di polizia giudiziaria); assistite da una presunzione iuris tantum (ad es. le certificazioni amministrative); con valore di prova libera (ad es. gli atti provenienti da un processo penale) e con valore meramente indiziario (ad es. le scritture provenienti da terzi)[20].
Le prove derivanti da un procedimento o processo penale, come detto, avrebbero natura di prova libera, anche secondo l’insegnamento del giudice di legittimità da cui il Tribunale di Roma non si è discostato[21].
Il Giudice capitolino, infatti, cita giurisprudenza di Cassazione che chiarisce i due requisiti necessari a tale apprezzamento: il rispetto delle “garanzie di legge” che sovrintendono alla formazione della prova e il “libero convincimento” del giudicante civile ex art. 116 cpc, escludendo così la natura di prova legale[22].
In definitiva, appare condivisibile la decisione del Tribunale, evidentemente fondata anche sulla necessità di mediare tra la certezza degli scambi e la tutela degli interessi e del patrimonio del rappresentato.
A tal riguardo, deve tenersi conto che una diversa prospettazione sul piano dei requisiti probatori risulterebbe molto gravosa per quest’ultimo, specie in relazione alla prova della conoscenza o conoscibilità da parte del terzo.
Note
[1] Sul punto, è esplicativa Cass. civ. Sent. 18.07.2007 n.15981: “Il conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato che, se conosciuto o conoscibile dal terzo, rende annullabile il contratto concluso dal rappresentante, ai sensi dell’art. 1394 cod. civ. […] ricorre allorquando il primo sia portatore di interessi incompatibili con quelli del secondo, cosicché la salvaguardia dei detti interessi gli impedisce di tutelare adeguatamente l’interesse del “dominus”, con la conseguenza che non ha rilevanza, di per sé, che l’atto compiuto sia vantaggioso o svantaggioso per il rappresentato e che non è necessario provare di aver subito un concreto pregiudizio, perché il rappresentato possa domandare o eccepire l’annullabilità del negozio. A tal fine, i vincoli di solidarietà e la comunanza d’interessi fra rappresentante e terzo sono indizi che consentono al giudice del merito di ritenere, secondo l’ “id quod plerumque accidit” ed in concorso con altri elementi (come l’inesistenza di qualsiasi interesse al contratto ovvero la sussistenza di un pregiudizio non correlato al alcun vantaggio), sia il proposito del rappresentante di favorire il terzo, sia la conoscenza effettiva o quanto meno la conoscibilità di tale situazione da parte del terzo.”
[2] Per un caso similare affrontato dal giudice di legittimità, si veda Cass. 26.11.2002 n. 16708.
Anche in questo caso, infatti, veniva ravvisato il conflitto di interesse, nell’operato del Commissario regionale che aveva assunto un dirigente del Consorzio di bonifica, sulla base di alcune circostanze di fatto: i rapporti di amicizia e comune militanza politica tra il rappresentante e il terzo; l’accoglimento della domanda di assunzione a poca distanza di tempo dall’assunzione della carica di Commissario regionale; le anomalie nella delibera di nomina; l’assenza nel prescelto di esperienze lavorative nel settore e carenza di selezione dei possibili aspiranti.
[3] F. SERGIO, Le presunzioni in diritto civile ed i profili di comunicabilità con il diritto penale, con particolare riguardo alla legittima difesa, in Salvis Juribus, 2019, il quale offre anche una disamina del rapporto tra presunzioni nel processo civile e in quello penale.
[4] S. PERTILE, Negoziazione di assegno bancario non trasferibile e responsabilità della banca, in Riv. Trimestr. Dir. e Proc. Civ., 2021, 2, 573.
[5] Cass. Civ., sez. VI-3, Ord. 26.07.2021, n. 21403.
[6] C. MANDRIOLI, A. CARRATTA, Corso di diritto processuale civile, editio minor, vol. II – il processo di cognizione, Torino, 2019, 122-123. Gli autori riportano l’esempio di una consulenza tecnica che consenta al giudice di comprendere se si possa desumere che i sintomi di una malattia già provati in via documentale o testimoniale siano ricollegabili causalmente a un pregresso evento già conosciuto, come un sinistro.
[7] Vale la pena riportare un passaggio chiave di Corte d’Appello di Roma, II Sez. Pen., Sent., 13.12.2017, n. 8731, valutata poi dal giudice in sede civile assieme alla sentenza di condanna in primo grado: “reputa la Corte che possa fondatamente ipotizzarsi la circostanza che due persone (una delle quali malata in modo grave) possano trovarsi in situazioni psicologiche tali da non porre attenzione alle conseguenze del loro agire. Del resto, la Suprema Corte di Cassazione ha sempre ritenuto che l’eventuale ingenuità delle vittime del raggiro non scrimina la truffa. Parimenti, non paiono decisive, per le medesime considerazioni appena svolte, le considerazioni difensive circa la ritenuta inverosimiglianza del fatto che i denuncianti poterono, proprio in ragione delle loro competenze, decidere di ‘‘mettere in mano” [a Caio] (attraverso il rilascio di procure) tutti i loro averi, solo per costituire una garanzia reale da esibire alla banca che avrebbe dovuto restituire il capitale investito e gli interessi maturati.”
[8] Sul punto, vedi anche Cass., Sez. III Civ., Ord. 11.12.2018, n. 31947: “La sentenza penale di condanna ha efficacia di giudicato, nei confronti di tutte le parti che abbiano partecipato al processo, anche con riguardo all’accertamento, in fatto, della scopertura assicurativa del condannato. Ne consegue che il giudice civile successivamente adito per la liquidazione del danno dovrà necessariamente attenersi, anche con riguardo alla condanna generica pronunciata dal giudice penale nei confronti del responsabile civile, all’accertamento in fatto già compiuto dal suo predecessore.”.
Si veda anche la nota alla suddetta ordinanza di B. MINOTTI, L’efficacia del giudicato penale sul processo civile, in IusLetter, 2018.
[9] Si veda ad esempio Cass. Civ., Sez. I, ord., 20.12.2021, n. 40796, che attribuisce alla sentenza penale di patteggiamento valore probatorio della condotta del coniuge al fine di determinare la sussistenza dei presupposti dell’addebito nella separazione, in base al principio per cui tutte le risultanze di natura penale sono liberamente valutabili ex art. 116 cpc dal giudice della causa di diritto di famiglia
[10] Tribunale di Cuneo, 17.07.2020; Cass. 18870/2014; contra: Corte App. Roma 12.05.2010.
[11] Corte di Appello di Ancona, 12.10.2021. Si veda anche la nota di C. FOSSATI, Le violenze intrafamiliari e la vittimizzazione secondaria possono essere opportunamente trattate in sede di tutela civile. Corte d’Appello di Ancona, 12 ottobre 2021, in Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia, 2021
[12] Sul punto, si veda Cass. Civ., Sez. Un., 21.05.2019, n. 13661, per cui: “in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dall’art. 75, comma 3, c.p.p., che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l’uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651, 651-bis, 652, e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell’impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato.”
Si veda anche la nota alla sentenza in parola di F. DEL TORCHIO, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sospensione del processo civile nella corretta interpretazione dell’art. 75, c. 3, c.p.p., in Euroconference Legal, 2019.
[13] C. MANDRIOLI, A. CARRATTA, op. cit., 204. Gli autori ritengono che la sospensione necessaria del processo civile per pregiudizialità col processo penale operi solo in alcuni ristrettissimi casi, come l’art. 75 c. 3 cpp ossia i casi di azione civile per i danni conseguenti al reato, proposta dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza di primo grado; o come l’art. 185 cc. o per indegnità a succedere ex art. 463 cc.
Vale la pena notare che, nel caso che ci occupa, parte attrice aveva formulato anche una domanda per risarcimento dei danni, poi rigettata perché ritenuta non provata.
[14] Ex multis, Cass Civ. Sez. 6, Ord. 13.12.2021, n. 39539; Cass., 30.07. 2021, n. 21954.
Vedi anche la nota di A. MANCUSI alla sentenza n. 39539/2021, Sospensione, per pregiudizialità penale, del processo di impugnazione del licenziamento: no senza imputazione o rinvio a giudizio, in Punto di Diritto, 2021.
[15] Si veda Cass. civ. Sez. I Ord., 10.10.2018, n. 25067: “Il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all’ammissione e all’assunzione della prova.”
Nel caso di specie, il procedimento era una curatela fallimentare mentre le prove orali derivavano da un giudizio basato sul rito lavoro.
[16] V. BARONCINI, Ultime novità in materia di prove atipiche, in Euroconference Legal, 2019.
[17] M. TARUFFO, La prova nel processo civile, Milano, 2012, 72 ss
[18] B. CAVALLONE, Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, 1991, 345 ss.
[19] M. MONTANARI, V. BARONCINI, sub art. 116 c.p.c., a cura di Consolo, Codice di procedura civile. Commentario, Milano, 2018, I,1386.
[20] V. BARONCINI, op. cit.
[21] Cass., 12.01.2016, n. 287; Cass., 31.01.2019, n. 2786, relativamente alle testimonianze rese in un processo penale; Cass., 31.05.2018, n. 13766; Cass., 20.01.2017, n. 1593, in riferimento agli atti acquisiti o formati in sede di indagini preliminari.
[22] Trib. Roma, Sez. X, sent. 01.08.2020 n. 11268, 6-7: “In materia di rapporti tra processo penale e civile, il giudice civile, in presenza di una sentenza penale di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, seppur priva di effetti vincolanti nel giudizio civile, può trarre elementi di convincimento dalle risultanze del procedimento penale ponendo a base delle proprie conclusioni gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, sottoponendoli al proprio vaglio critico e valutandoli autonomamente. In particolare il giudice civile, può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale, già definito, ancorché con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, ponendo a base delle proprie conclusioni gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede e sottoponendoli al proprio vaglio critico, mediante il confronto con gli elementi probatori emersi nel giudizio civile; a tal fine, egli non è tenuto a disporre la previa acquisizione degli atti del procedimento penale e ad esaminarne il contenuto, qualora, per la formazione di un razionale convincimento, ritenga sufficiente le risultanze della sola sentenza (Cfr. Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 22200 del 29/10/2010).”
Bibliografia
BARONCINI V., Ultime novità in materia di prove atipiche, in Euroconference Legal, 2019;
CAVALLONE B., Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, 1991 pp 345 e ss;
DEL TORCHIO F., Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sospensione del processo civile nella corretta interpretazione dell’art. 75, c. 3, c.p.p. , in Euroconference Legal, 2019;
FOSSATI C., Le violenze intrafamiliari e la vittimizzazione secondaria possono essere opportunamente trattate in sede di tutela civile. Corte d’Appello di Ancona, 12 ottobre 2021, in Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia, 2021
MANCUSI A., Sospensione, per pregiudizialità penale, del processo di impugnazione del licenziamento: no senza imputazione o rinvio a giudizio, in Punto di Diritto, 2021.
MANDRIOLI C., CARRATTA A., Corso di diritto processuale civile, editio minor, Torino, 2019, II, pp. 122-123; 204.
MINOTTI B., L’efficacia del giudicato penale sul processo civile, in IusLetter, 2018.
MONTANARI M., BARONCINI V., sub art. 116 c.p.c., a cura di Consolo, Codice di procedura civile. Commentario, Milano, 2018, I p. 1386.
PERTILE S., Negoziazione di assegno bancario non trasferibile e responsabilità della banca, in Riv. Trimestr. Dir. e Proc. Civ., 2021, 2, p. 573.
SERGIO F., Le presunzioni in diritto civile ed i profili di comunicabilità con il diritto penale, con particolare riguardo alla legittima difesa, in Salvis Juribus, 2019.
TARUFFO M., La prova nel processo civile, Milano, 2012, pp. 72 ss.
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Avvocato del Foro di Roma con attività prevalente nel diritto civile, nel diritto di famiglia e minorile e nella responsabilità civile.Laureato in Giurisprudenza nel novembre 2017 presso La Sapienza Università degli Studi di Roma con una tesi in Diritto Pubblico Comparato dal titolo "La tutela dei diritti fondamentali dinnanzi alla minaccia del terrorismo internazionale."Autore anche presso altre riviste giuridiche telematiche tra cui Cammino Diritto e GiuriCivile.
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