L’applicabilità dell’art. 570 bis c.p. alle nuove situazioni familiari

L’applicabilità dell’art. 570 bis c.p. alle nuove situazioni familiari

L’art. 570 bis, inserito nel codice penale dall’art. 2 c. 1 lett. c) d.lgs. 21/2018, in attuazione della c.d. riserva di codice in materia penale, ha introdotto al capo IV, titolo XI, libro II del c.p., dedicato ai delitti contro l’assistenza familiare, i reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio, già previsti dagli artt. 12 sexies l. n. 898/1970 e 3 l. n. 54/2006, contestualmente abrogati. Per l’effetto, ogni richiamo ai citati articoli, ovunque presente, deve ora intendersi riferito all’art. 570 bis.

La disposizione prevede e punisce due fattispecie delittuose differenti, distinte dalla congiunzione “ovvero”. La prima incrimina il soggetto che si sottragga all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio; la seconda sanziona la violazione degli obblighi di natura economica in materia di separazione personale e affidamento condiviso dei figli.

Con riferimento al primo reato citato, il bene giuridico tutelato è da individuarsi nel rapporto di credito, instaurato tra i coniugi con la sentenza di divorzio, ed esaustivo di ogni altra pretesa potenzialmente scaturente dal rapporto. Si tratta di reato proprio, in quanto realizzabile esclusivamente dal coniuge tenuto alla corresponsione dell’assegno. Con riferimento alla consumazione, è un reato di tipo omissivo permanente, e cessa con l’integrale adempimento dell’obbligo. La procedibilità è d’ufficio.

La seconda ipotesi riguarda la separazione personale dei coniugi e sanziona la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento fissato dal giudice, nei confronti del coniuge destinatario o dei figli in affido congiunto. Si tratta anche in tal caso di reato proprio. Relativamente alla consumazione, le condotte di inadempimento degli obblighi di natura economica costituiscono un unico reato permanente. Il bene giuridico tutelato riguarda gli obblighi economici che i genitori separati hanno nei confronti dei figli, vi sia o non vi sia affidamento condiviso. La procedibilità è, anche in tal caso, d’ufficio.

Tanto premesso in termini generali, occorre comprendere se le fattispecie in parola possano essere applicate anche a nuovi contesti familiari, non basati sul vincolo del matrimonio.

Ad una risposta affermativa sembra ostare il divieto di analogia in materia penale, per il quale non è ammissibile estendere una disposizione oltre i suoi limiti, applicandola a un caso da essa non previsto, benché simile a quello contemplato.

Tuttavia, effettuando una diversa operazione di interpretazione estensiva, supportata da fondamentali principi costituzionali, si può rimanere nell’ambito dell’art. 570 bis c.p., facendo riferimento a una delle sue possibili accezioni.

Si impone, pertanto, l’analisi costituzionalmente orientata del significato di “famiglia”, come bene giuridico di categoria, più ampio e sottostante all’intero titolo XI.

Il legislatore del 1930 considerava la famiglia come nucleo sociale intermedio tra lo Stato e il cittadino, portatore di interessi propri e distinti da quelli dei singoli individui. Per tale ragione le norme del titolo XI accomunano valori differenti e, di conseguenza, fattispecie spesso vaghe e indeterminate, all’interno delle quali è difficile distinguere una lesione di beni facenti capo ai singoli familiari.

L’eterogeneità delle ipotesi contemplate (bigamia, incesto, violazione di obblighi di assistenza familiare, maltrattamento) non consente di pervenire neppure a una precisa descrizione del bene giuridico “famiglia”, a sé stante rispetto ai suoi componenti. Ciò dipende anche dal fatto che, nella realtà odierna, non possono riconoscersi interessi familiari separati da quelli dei singoli membri; né gli obblighi imposti dal diritto civile ai distinti individui (ad esempio l’obbligo di fedeltà e reciproca assistenza dei coniugi ex art. 143 c. 2 c.c.) coincidono perfettamente con l’interesse sovraindividuale familiare.

Inoltre, deve considerarsi come i compilatori del codice Rocco avessero presente un modello di famiglia legittima, coniugale e parentale, fondata sul matrimonio indissolubile, quale era quella disciplinata dal diritto civile, corrispondente al modello più ricorrente tra la popolazione nei primi decenni dello scorso secolo. Tuttavia, il legislatore non ha fornito una nozione di famiglia, poiché nel citato capo non esiste alcuna norma definitoria che orienti l’interprete. Pertanto, al di là dell’utilizzazione quale oggetto giuridico di categoria, il concetto di famiglia ai fini del diritto penale è rimasto sfuggente, come peraltro costantemente riconosciuto anche dalla giurisprudenza di legittimità.

Per ricostruire la nozione in parola non può farsi riferimento neppure alla legge civile, la quale non ne formula compiutamente una descrizione. Pertanto, è l’interprete che deve ricostruirne il senso, per stabilire a quale tipo di famiglia ci si intenda riferire.

A ciò si aggiunga che, nell’art. 572 c.p., unica disposizione in cui si fa espresso riferimento alla famiglia come elemento normativo della fattispecie, il codice penale assimila ai componenti del nucleo familiare anche differenti soggetti passivi, quali altre persone affidate all’autore del fatto per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza, custodia, professione o arte. Lo stesso schema può individuarsi nell’art. 571 c.p., in tema di abuso dei mezzi di correzione, laddove la tutela penale viene estesa anche a soggetti estranei all’ambiente familiare.

Ciò dimostra che lo stesso legislatore del 1930 ha previsto fin dall’origine, quanto meno in alcune norme del titolo XI, una tutela analoga anche per situazioni assimilabili al rapporto familiare.

Dato un simile quadro normativo, non è difficile comprendere come la giurisprudenza abbia evolutivamente interpretato il concetto di famiglia, distaccandosi dallo stretto rispetto di quanto indicato dal titolo (“delitti contro la famiglia”) ed orientandosi, invece, verso una tutela degli interessi individuali dei soggetti direttamente coinvolti nelle fattispecie criminose, la salvaguardia dei quali si riflette, di conseguenza, sul nucleo familiare.

L’art. 570 bis di nuovo conio, pertanto, sembra inserirsi perfettamente sul solco di un siffatto contesto normativo e giurisprudenziale, essendo la sua tutela orientata nei confronti di individui, quali ex coniugi e figli, singolarmente considerati.

Il sostanziale spostamento di tutela offerta dal diritto penale si è verificato in parallelo alla progressiva modifica che ha interessato la famiglia negli ultimi decenni, a causa delle mutate abitudini socio-culturali. Si fa riferimento, in particolare, all’intervento della l. n. 76/2016 (e successivi decreti attuativi), che ha introdotto una regolamentazione unitaria in materia di convivenze di fatto e unioni civili tra persone dello stesso sesso; nonché alla spinta esercitata dalla CEDU, che all’art. 8 sancisce il diritto primario al rispetto della vita privata e familiare.

Alla luce dei principi costituzionali di solidarietà e uguaglianza espressi dagli artt. 2 e 3 Cost., la giurisprudenza penale ha riconosciuto una protezione degli interessi dei singoli, senza la realizzazione dei quali non può dirsi compiuta alcuna protezione della famiglia o delle altre forme di convivenza stabile. In questa direzione di salvaguardia degli interessi fondamentali, quindi, la prassi si è orientata per offrire protezione anche alla famiglia di fatto, quando risulti da una comunanza di vita e di affetti analoga a quella che si ha nel matrimonio.

Si è pervenuti, pertanto, alla conclusione che i più generali principi costituzionali summenzionati impongano di apprestare tutela anche a quelle persone che, per ragioni di convivenza o affidamento, si trovino in situazioni di soggezione, che agevolano o costituiscono il presupposto per il compimento di reati nei loro confronti, non potendo sottrarvisi.

Si può pertanto affermare che il diritto penale garantisce protezione anche alla famiglia di fatto o ad altri tipi di unione attualmente riconosciuti dalla legge civile, non già perché tali forme di famiglia assumano lo stesso valore legale di quella fondata sul matrimonio, bensì perché la tutela è espletata direttamente nei confronti delle persone, indipendentemente dalla circostanza che compongano una famiglia fondata sul matrimonio o una famiglia di fatto.

A conferma di ciò, si osserva che sul medesimo tracciato si è posta anche recentissima giurisprudenza di legittimità che, a mente anche della equiparazione dei figli naturali a quelli legittimi con l. 219/2012, ha riconosciuto che l’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata dell’art. 570 bis c.p. impone di ritenere applicabile la norma anche alla violazione degli obblighi di natura economica a favore dei figli nati fuori del matrimonio.


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Avv. Ilaria Romano

Avvocato del Foro di Lecce. Specializzata con menzione in diritto penale. Docente a contratto di Diritto Processuale Penale presso la SSPL "V. Aymone" di Lecce.

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