L’arresto in flagranza alla luce delle recenti Sezioni Unite
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 21.09.2016 (ud. 24.11.2015), sentenza n. 39131 Pres. Santacroce, Rel. Davigo, Est. Vecchio.
La Suprema Corte, con la pronuncia appena richiamata, ha risolto il contrasto giurisprudenziale esistente, da anni, sul perimetro applicativo dell’arresto eseguito in “quasi-flagranza” di reato.
La sentenza si concentra, quindi, sulle ipotesi residuali previste dall’art. 382 c.p.p., più specificamente quelle aventi ad oggetto l’arresto eseguito nei confronti di “chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone”.
In tal senso ci si chiede se l’inseguimento è tale solo se viene iniziato dopo la percezione diretta del delitto (inseguimento proprio) o lo è anche se iniziato dopo l’acquisizione di informazione da terzi (cd. inseguimento investigativo).
Prima, però, di esaminare il percorso argomentativo seguito dalla Suprema Corte è utile effettuare una breve premessa sull’istituto in analisi, al fine di inquadrare correttamente l’oggetto di quella che può considerarsi una delle pronunce più attese nel panorama penalistico.
A riguardo, si osserva che l’arresto in flagranza si inserisce nel contesto di quelle che la dottrina definisce “misure precautelari”, categoria che racchiude i casi che rientrano nella previsione dell’art. 13 c. 3 Cost. (“in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto”), prevedendo, quindi, una deroga alla regola dell’inviolabilità della libertà personale statuita all’art. 13 c. 1 Cost.
Il legislatore, in ossequio a quanto prescritto a livello costituzionale, ha inserito un titolo apposito all’interno del Libro V del Codice di procedura penale (Titolo VI), dedicato, quindi, alla disciplina di tali ipotesi eccezionali, nelle quali vanno ricomprese anche il fermo di indiziato di delitto e l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare.
Tutto ciò premesso, come anticipato in apertura, il contrasto giurisprudenziale concerne la definizione di flagranza impropria, così come fornita dal comma 1 dell’art. 382 c.p.p. (per completezza si riporta il testo integrale della norma: “è in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato (flagranza propria) ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima (flagranza impropria o quasi-flagranza)”.
L’incertezza nasce a causa dell’ampia terminologia utilizzata dal legislatore, la quale ha portato a ravvisare margini di discrezionalità, più o meno ampi, in capo alla Polizia giudiziaria nell’analisi della sussistenza del presupposto di tale particolare tipologia di flagranza.
Per limitare questo rischio, la dottrina, partendo dalla considerazione fondamentale per cui l’arresto comporta il sacrificio della libertà personale, ha sempre optato per “una lettura rigorosa del dettato normativo […] la locuzione “subito dopo il reato”, riferita all’ipotesi dell’inseguimento, va intesa come necessità di un susseguirsi ininterrotto e concitato degli eventi: nell’intervallo di tempo tra la condotta illecita e l’arresto, occorre, dunque, sul versante privato, che il destinatario della misura restrittiva non abbia fatto altro che tentare di sottrarsi alle ricerche della Polizia, e, sul versante pubblico, che l’attività di ricerca sia stata anch’essa continuativa oltre che di breve durata ed elementare nei suoi contenuti” (Francesco Caprioli, Indagini preliminari e udienza preliminare, in “Compendio di procedura penale” di Vittorio Grevi, Giovanni Conso e Marta Bargis, CEDAM, p. 550).
Gli studiosi, poi, si sono interrogati se la quasi-flagranza integrasse o meno una fictio iuris e le eventuali conseguenze, a seguito del passaggio dall’ex 237 c.p.p. del 1930 all’odierno 382 c.p.p., derivanti dalla trasformazione della locuzione “immediatamente dopo” in “subito dopo”, tutte questioni trattate ampiamente nella recente sentenza delle Sezioni Unite.
Sebbene in ambito giurisprudenziale una delle prime pronunce in materia statuiva che: “il lasso di tempo superiore a tre ore intercorse dalla commissione del reato, senza che in tale lasso di tempo siano avvenuti inseguimenti od iniziate indagini specifiche alla ricerca dei responsabili di quel reato, determina inevitabilmente l’effetto della trascorsa flagranza che impedisce l’arresto” (Cass. V, sentenza 590 del 19.04.1993), negli ultimi anni il dibattito sulla nozione di flagranza impropria e sul perimetro dell’ipotesi dell’inseguimento si è fatto sempre più acceso.
A riguardo, infatti, sono emersi due diversi orientamenti contrastanti:
secondo il primo, prevalente, non può ravvisarsi la quasi-flagranza nel caso in cui “l’inseguimento dell’indagato sia stato intrapreso dalla polizia giudiziaria per effetto e subito dopo l’assunzione di informazioni della persona offesa o da altri testi presenti in loco al momento della commissione del reato” (Cass. SS.UU. n. 39131/2016, p. 3).
In questo caso, quindi, si privilegia una lettura “strettamente etimologica” del concetto di inseguimento, giustificandolo solo quando la polizia insegue il reo tempestivamente (v. Cass. sent. n. 34899/15; n. 43394/14; n. 15912/13);
il secondo, invece, estende la nozione di inseguimento, facendovi rientrare anche “l’azione di ricerca, immediatamente eseguita […] protratta senza soluzione di continuità, sulla base delle ricerche immediatamente predisposte sulla scorta delle indicazioni delle vittime, dei correi o di altre persone a conoscenza dei fatti e nel tempo strettamente necessario, occorrente alla polizia giudiziaria per giungere sul luogo del delitto, acquisire notizie utili e iniziare le ricerche” (Ibidem e v. sentenze Cass. n. 22136/2015; n. 6916/11; 44369/10).
In questo caso, quindi, si privilegia l’esistenza di una relazione di continuità tra la commissione del delitto e l’azione di arresto del reo, avendo la Polizia dato luogo ad una serie ininterrotta di atti di varia natura per condurre a tale scopo.
In tal senso è interessante la definizione di inseguimento fornita da tale tesi, intendendo lo stesso come un procedere “in una determinata direzione, secondo più punti di riferimento, al fine di raggiungere qualcuno o qualcosa” (Cass. sent. n. 22136/2015).
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 39131/2016, intervengono a dirimere tale contrasto pervenendo al seguente principio di diritto: “non può procedersi all’arresto in flagranza sulla base delle informazioni della vittima o di terzi fornite nell’immediatezza del fatto”.
Il caso concreto riguardava il dubbio circa la sussistenza o meno del presupposto della flagranza di reato nell’arresto eseguito nei confronti di un soggetto individuato solo a seguito delle dichiarazioni della persona offesa.
In particolare ci si chiede se in questi casi sussista ancora la flagranza di reato, interrogativo sul quale la Suprema Corte adduce le seguenti osservazioni.
Punto di partenza è il confronto tra la nuova norma e l’antecedente art. 237 c.p.p. 1930.
Dal raffronto delle norme si nota che se, in effetti, l’impostazione precedente configurava la flagranza impropria come una finzione giuridica (incipit art. 237 c. 3 c.p.p. 1930: “si considera pure in stato di flagranza chi…”), tale deduzione non è applicabile alla normativa vigente, la quale oltre ad aver soppresso l’incipit anzidetto, ha equiparato tutte le ipotesi di flagranza mediante la congiunzione “ovvero”.
Dopo aver allineato tutte le ipotesi di flagranza, la pronuncia esamina il tema caldo dell’inseguimento post delictum, indagando i seguenti argomenti:
nozione di inseguimento: ricordando come la controversia verta sulla possibilità di estendere il concetto anche all’inseguimento iniziato dopo le informazioni assunte da terzi, si rileva che la Suprema Corte non accoglie tale possibilità, ritenendo che la stessa superi i limiti di un’interpretazione estensiva (comunque non applicabile perché, teoricamente, sarebbero norme soggette a stretta interpretazione), specialmente se si tiene conto che tale misura comporta la privazione di un bene fondamentale quale quello della libertà personale.
Tale eccezione, infatti, trova una giustificazione solo con l’esistenza di un’altissima probabilità di colpevolezza e, conseguentemente, della sicurezza del suo accertamento a livello giudiziario, aspetti, questi che mancano del tutto, a giudizio della Corte, nel fenomeno dell’inseguimento investigativo.
Ciò che non può mancare, quindi, è quella “correlazione tra la percezione diretta del fatto delittuoso (quantomeno attraverso le tracce rivelatrici dell’immediata consumazione, recate dal reo) e il successivo intervento di privazione della libertà dell’autore del reato” (Cass. SS.UU. n. 39131/2016, p. 8);
relazione, temporale e logica, che lega inseguimento e reato: per questo aspetto occorre partire, secondo la Suprema Corte, dal confronto tra la nozione di flagranza ora vigente con quelle, invece, presenti nei Codici di procedura penale del 1865 (art. 47) e del 1913 (art. 168) i quali ravvisavano la stessa anche al reato “poco prima commesso”.
La norma vigente, invece, come anche quella del codice del 1930 richiede l’attualità (“subito dopo”), relegando come irrilevanti altri limiti temporali.
Infine, risulta, quindi, essenziale, anche per il rispetto anche della ratio dell’istituto sopra richiamata, che ci sia una successione temporale, in termini di immediatezza, tra il fatto di reato e l’inseguimento: “secondo la previsione della legge l’inseguimento in continenti e non la fuga assicurano avvince il reo allo stato di flagranza, in quanto assicura […] il pregnante collegamento tra reato e il suo autore.
Tali sono le motivazioni che hanno portato la Suprema Corte ad escludere il rilievo dell’inseguimento investigativo quale modalità di realizzazione dell’arresto in flagranza di reato, confermando, la natura altamente garantista del nostro ordinamento.
Sebbene la Suprema Corte si sia espressa negando che tale soluzione comporti l’unificazione delle modalità di applicazione dell’ipotesi dell’inseguimento con quella della “flagranza propria”, potrebbero essere pochi i casi concreti, a parte i classici, che rispettano i requisiti così come individuati dall’importante pronuncia esaminata.
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Giulia Scalzo
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