L’art. 105 c.p.a. ed il suo carattere eccezionale

L’art. 105 c.p.a. ed il suo carattere eccezionale

Sommario1. L’art. 105 c.p.a. come proiezione dei principi generali del codice del processo amministrativo – 2. Le pronunce delle Adunanze plenarie n.10, 11, 14 e 15 del 2018

1. L’art. 105 c.p.a. come proiezione dei principi generali del codice del processo amministrativo

Il codice del processo amministrativo è entrato in vigore nell’ordinamento italiano costituendo un precedente di indubbia rilevanza pratica per gli operatori che hanno trovato, in un unico corpus normativo, le fonti di diritto processuale amministrativo. Tuttavia, il decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo) nasce dalla sintesi di più spinte ideologiche che necessariamente mostra da un lato le proprie contraddizioni, dall’altro la capacità di centralizzare nel diritto processuale amministrativo canoni fondamentali, di matrice costituzionale e comunitaria.

I primi articoli del codice sono dedicati ai tre principi generali della effettività della tutela (art. 3), del giusto processo (art. 2) e del dovere di motivazione e sinteticità degli atti (art. 4). Tali principi devono essere considerati lo strumento principale per la lettura coerente delle disposizioni di diritto processuale e hanno trovato la loro estrinsecazione nella corretta instaurazione del contraddittorio e nella tutela del diritto di difesa, a cui il codice dedica numerose disposizioni, il che ha fatto emergere l’intento del legislatore di dare massima protezione ai citati valori nello svolgimento della dinamica processuale.

“La codificazione del principio di effettività, declinato anche sul versante della pienezza della tutela, fornisce quindi all’interprete una chiave di lettura e di interpretazione dell’intero corpo codicistico e rafforza la centralità, nel processo della pretesa sostanziale prospettata dal ricorrente”[1]. Primaria rilevanza assumono il principio della parità delle parti, che non può che declinarsi attraverso la garanzia della egualitaria posizione del ricorrente rispetto alla pubblica amministrazione, ed il principio del diritto di difesa, i quali si coniugano in virtù della necessaria tendenza ad assicurare l’instaurazione del contraddittorio, ed attraverso la prioritaria attuazione del principio del giusto processo per come derivante dall’art.111 Costituzione. L’art. 2 del codice del processo amministrativo finalizza il principio del giusto processo alla realizzazione della ragionevole durata del processo.

Il codice dà, dunque, una particolare attenzione al diritto di difesa che si manifesta nell’espressa esclusione del ricorso incidentale, dei motivi aggiunti e dell’appello cautelare dal dimezzamento previsto per i termini processuali nei giudizi assoggettati al rito abbreviato previsto dall’art. 119 c.p.a.. Potenziate appaiono diverse disposizioni sul piano della garanzia del contraddittorio: il rito cautelare è stato disciplinato prevedendo termini finalizzati a ciò (art. 22, 55, 60 c.p.a.). L’art. 73 c.p.a. sulle memorie difensive è stato integrato con il termine di 20 giorni per memorie di replica, ed il comma 3 esclude le sentenze “a sorpresa” su questioni rilevate d’ufficio, poiché il giudice deve preventivamente sottoporle alle parti [2] .

E’ evidente che l’art. 105 c.p.a. si inserisce in tale contesto normativo, come in più punti valorizzato dalle Adunanze plenarie del 30 luglio 2018 n. 10 e 11, del 5 settembre 2018 n. 14 e del 28 settembre 2018 n. 15.

L’art. 105 c.p.a., primo comma, stabilisce che “Il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l’ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l’estinzione o la perenzione del giudizio”.

Il termine “soltanto” qui utilizzato induce a ritenere che le gravi ipotesi di erroneità della sentenza di primo grado ivi elencate, nelle quali sono incluse situazioni menomanti di quei principi generali sui quali il legislatore ha ritenuto di dover permeare il codice, comportano la regressione del giudizio al primo grado.

La disposizione si pone su quel vacillante equilibrio, in relazione al quale l’ordinamento introduce norme da intendersi in collegamento sistematico, tra la necessità di assicurare che ogni controversia venga esaminata in modo compiuto da tutti i giudici che ne hanno competenza, e la contraria esigenza che giustizia venga resa nel minor tempo possibile al fine di non lasciare in uno stato di incertezza, a tempo indeterminato, situazioni giuridiche che meritano per converso una definitiva soluzione. “Ne è perciò derivata la necessità di contemperare dei principi spesso riottosi nella sintesi”[3].

L’articolo in esame esprime l’esigenza del bilanciamento tra il principio dell’effetto devolutivo dell’appello, del doppio grado di giudizio, dell’effettività della tutela e della ragionevole durata del processo, tutti principi valorizzati dalle pronunce delle Adunanze plenarie in commento.

2. Le pronunce delle Adunanze plenarie n.10, 11, 14 e 15 del 2018

Il Consiglio di Stato, chiamato a decidere su diverse questioni inerenti all’applicazione dell’art.105 c.p.a., nelle quattro pronunce dell’Adunanza plenaria, ha senza tentennamento alcuno espresso la ferma e chiara portata della norma. Ha dato continuità al consolidato orientamento interpretativo che, anche dopo l’entrata in vigore del codice del processo ammnistrativo, afferma il carattere tassativo ed eccezionale dei casi di rimessione al primo giudice come descritti dall’art. 105 c.p.a..

La lettura dell’art. 105 c.p.a. viene anche veicolata attraverso i principi contenuti nella legge delega n. 69/2009 che, all’art. 44 comma 1, ha espressamente menzionato tra gli obiettivi della codificazione proprio “il coordinamento con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali”. Per cui detto vincolo impone una interpretazione dell’art.105 c.p.a. in necessaria sintonia con gli art. 353 e 354 del codice di procedura civile.

Nella Relazione al codice del processo amministrativo[4] viene precisato l’intento che nella “scelta di coerenza sistematica del diritto processuale, il codice contiene, nondimeno, numerosi rinvii al codice di procedura civile, che rimane la fonte dei fondamentali principi processuali. La questione del rapporto tra codice del processo amministrativo e codice di procedura civile è stata affrontata in conformità alla delega: ne è risultato un codice che, pur nella sua autonomia rispetto a quello di procedura civile, fa proprie le regole di questo che sono espressione di principi generali”. Tanto viene altresì valorizzato dalla decisione dell’Adunanza plenaria n.15/2018, laddove mantenendo l’interpretazione restrittiva dell’art. 105 c.p.a. afferma che essa è l’effetto della riforma del processo amministrativo, che ha dovuto “… adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori (e) di coordinarle con le norma del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali”. Quindi quanto espresso nell’art. 105 c.p.a. include principi già condivisi nell’intero ordinamento processuale senza differenziazioni tra processo civile e processo amministrativo. Quindi non esiste un dato testuale che induca a ritenere che occorra fuoriuscire dalla tassatività delle ipotesi di cui all’art. 105 c.p.a..

L’eccezionalità delle ipotesi di rimessione al primo giudice era già ben evidenziata nella citata Relazione al codice ove si precisava che “Si prevede che di regola la controversia è definita in grado di appello, tranne casi tassativi in cui va disposta la rimessione al primo giudice. Per consentire il rispetto del principio del doppio grado del giudizio, la rimessione ha luogo tassativamente nei casi in cui la sentenza è stata resa a contraddittorio non integro o con violazione del diritto alla difesa e quando la domanda non è stata esaminata per l’errata declaratoria di difetto di giurisdizione, di competenza o di perenzione o estinzione del giudizio”.

Le quattro Adunanze plenarie risolvono le questioni prospettate ponendo in primo piano il c.d. principio dell’effetto devolutivo dell’appello e quello connesso della conversione delle nullità processuali in motivi di appello. Il primo principio rende l’appello una impugnazione sostitutiva cosicché il gravame conosce interamente del giudizio di primo grado sovrapponendosi allo stesso. Il secondo principio della conversione in motivi di appello dei vizi di nullità della sentenza impone di ritenere il giudizio di secondo grado come un processo a critica libera in cui non vengono riproposte le sole domande del primo grado, ma è la sentenza stessa a divenire oggetto di diretta censura, laddove solo la carenza della sottoscrizione diviene vizio che non ammette sanatorie.

Per cui l’applicazione dell’art. 105 c.p.a. è corollario primario del principio dell’effetto devolutivo. Ne deriva che le ipotesi di annullamento con rinvio hanno carattere tassativo e natura eccezionale, perché rappresentano una deroga al principio devolutivo dell’appello, e non consentono, pertanto, interpretazioni analogiche. La tecnica normativa che enuncia l’avverbio “soltanto” circoscrive l’operatività delle ipotesi ivi richiamate, laddove i principi sopra citati impongono l’annullamento con rinvio solo nei casi specificamente indicati nell’art.  105. Né la formulazione attraverso clausole indeterminate permetterebbe un ambito applicativo più ampio, poiché “la mancanza del contraddittorio” e “la lesione del diritto di difesa” indicano ipotesi circoscritte e da individuare attraverso norme puntuali di diritto processuale che prescrivono le garanzie del contraddittorio e del diritto di difesa. Altrimenti il rimettere norme di procedura a clausole aperte determinerebbe un regime di incertezza che il diritto processuale non può permettere, dovendo assicurare per converso la più alta capacità di evitare meccanismi di intralcio alla normale dinamica e celerità del processo.

La conferma della tassatività delle ipotesi di rinvio al primo giudice si ricava dalla disposizione sull’erronea dichiarazione di estinzione e di perenzione. Ed infatti l’art. 105 c.p.a. esprime sia la volontà positiva di includere questi casi, e sia una negativa di non prevedere quelle di erronea chiusura in rito del processo come la irricevibilità, l’inammissibilità e l’improcedibilità. Tale distinzione deriva da una sostanziale differenziazione tra le due categorie. Quando viene pronunciata l’erronea dichiarazione di estinzione, il giudice si inserisce nell’ambito sempre di una violazione del diritto di difesa o della violazione del contraddittorio non consentendo essi di far prendere parte al giudizio i due antagonisti processuali, così come avviene per l’erronea dichiarazione del difetto di giurisdizione o di competenza. Nel caso di erronea declaratoria di inammissibilità/irricevibilità, invece, il processo si instaura correttamente ma il giudice rileva una carenza ostativa della trattazione nel merito del giudizio, in quanto preliminarmente mancano nel rito le condizioni per l’esame nel merito. Infatti, secondo le elaborazioni nell’ambito della teoria generale del processo, i presupposti dell’azione (quali la formulazione di una domanda giudiziaria, la giurisdizione e la competenza) condizionano l’istaurazione del giudizio, mentre le condizioni dell’azione (quali la legittimazione, l’interesse ad agire e la possibilità giuridica) permettono la decisione del caso ma non consentono di giungere ad una pronuncia nel merito.

Coerente con la tassatività ed eccezionalità dei casi enunciati nell’art. 105 c.p.a. è l’annoverato caso della “nullità della sentenza”, che secondo l’art. 156 del c.p.c. (che trova piena attuazione nel diritto processuale amministrativo per effetto dell’art. 39 c.p.a.) non può fuoriuscire da una nullità esclusivamente prevista dalla legge (nullità testuale). La nullità virtuale prevista dal secondo comma dell’art. 156 c.p.c. (per il quale deve essere dichiarata la nullità quando l’atto manca di requisiti formali e quando è inidoneo a raggiungere lo scopo) è in ogni caso estremamente circoscritta, ciò riconfermando un regime di estrema eccezionalità.

Inoltre, secondo le decisioni rese in Adunanza plenaria la tassatività delle ipotesi di rinvio al primo giudice deriva sia come corollario del principio dell’effetto devolutivo dell’appello, ma altresì discende dal principio del doppio grado di giudizio, poiché il rinvio al primo giudice dopo lo svolgimento del giudizio di appello deve sempre atteggiarsi come ipotesi eccezionale. Diversamente la garanzia di una piena cognizione nel primo e nel secondo grado nel merito implicherebbe un appesantimento del principio della ragionevole durata del processo e un detrimento del principio dell’effettività della tutela, poiché la celebrazione (in conformità al principio del doppio grado del giudizio) di quattro giudizi (che verrebbero svolti qualora divenisse regola e non ipotesi eccezionale la rimessione al primo giudice) pregiudicherebbe una rapida definizione della controversia.

Le Adunanze plenarie n. 10 e 11 del 2018, nel loro percorso argomentativo, ritengono di dovere escludere, nell’analisi del rapporto tra dichiarazione di inammissibilità/irricevibilità e obbligo di motivazione della sentenza, che il difetto di motivazione costituisce un caso di rinvio al primo giudice. Infatti il carattere sostitutivo dell’appello permette al giudice del secondo grado di integrare e completare la motivazione della sentenza di prime cure. Ben diverso è il caso della motivazione apparente in cui, a parte l’espressione della fondatezza o infondatezza della domanda, il giudice si limita ad una tautologica ed apodittica motivazione che non esprime le ragioni della decisione. Questa ipotesi allora costituisce un difetto assoluto di motivazione, unitamente ai casi di nullità assoluta della sentenza non sottoscritta, che allora può costituire una forma di nullità della sentenza per il combinato disposto degli art. 88, comma 2 lett. d) e 105 comma 1 c.p.a.

Sempre le Adunanze plenarie n. 10 e 11 del 2018, osservano che la mancata decisione di una domanda proposta non costituisce ipotesi di rimessione al primo giudice, giungendo a tale conclusione in base all’analisi dell’art. 101 comma 2 c.p.a. per il quale “si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano espressamente riproposte nell’atto di appello”. La disposizione inoltre stabilisce che per la parte appellata la riproposizione delle domande non esaminate (o assorbite) può avvenire anche con semplice memoria difensiva, senza necessità di appello incidentale.

Non può che derivarne il logico corollario dell’impossibilità che la violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c. integri un’ipotesi di cui all’art.105 c.p.a., poiché non è equiparabile ad un caso di violazione del diritto di difesa: infatti la parte non lamenta di non essersi potuta difendere ma che la decisione risulta incompleta rispetto alle domande proposte.

Per cui le Adunanze plenarie del 30 luglio 2018 sono giunte ad escludere che “… 2. L’erronea dichiarazione di irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità del ricorso di primo grado non costituisce, di per sé, un caso di annullamento con rinvio, in quanto la chiusura in rito del processo, per quanto erronea, non determina, ove la questione pregiudiziale sia stato oggetto di dibattitto processuale, la lesione del diritto di difesa, né tanto meno un caso di nullità della sentenza o di rifiuto di giurisdizione. 3. La violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, anche quando si sia tradotta nella mancanza totale di pronuncia da parte del giudice di primo grado su una delle domande del ricorrente, non costituisce un’ipotesi di annullamento con rinvio; pertanto, in applicazione del principio dell’effetto sostitutivo dell’appello, anche in questo caso, ravvisato l’errore del primo giudice, la causa deve essere decisa nel merito dal giudice di secondo grado. 4. Costituisce un’ipotesi di nullità della sentenza che giustifica l’annullamento con rinvio al giudice di primo grado il difetto assoluto di motivazione. Esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, tale anomalia si identifica, oltre che nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione meramente assertiva, tautologica, apodittica oppure obiettivamente incomprensibile: quando, cioè, le anomalie argomentative sono di gravità tale da collocare la motivazione al di sotto del “minimo costituzionale” di cui all’art. 111, comma 5, Cost.

L’Adunanza plenaria n.14/2018 viene chiamata a decidere, altresì, sulla questione se la violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato possa integrare un’ipotesi di “violazione del diritto di difesa”, anche poiché valorizzando il principio del doppio grado di giudizio, la mancata decisione avrebbe effetti equivalenti ad una decisione d’ufficio, in violazione del contraddittorio, stabilito dall’art. 73 comma 3 c.p.a..

La posizione del Consiglio di Stato rimane fermamente ancorata ai principi sopra rappresentati ma, rispetto all’ulteriore sviluppo argomentativo della possibilità che la violazione dell’art. 112 c.p.c. possa considerarsi ipotesi di regressione al primo giudice, sostiene che detta violazione non è equiparabile alla violazione del diritto di difesa, poiché la parte lamenta, non di non essersi potuta difendere, ma di non essere stata destinataria di specifico capo di sentenza sulla domanda proposta.

Diverso è il caso di pronuncia che manchi totalmente, o del giudice che pronuncia su una domanda del tutto diversa o con motivazione inesistente o apparente. In tali casi si concretizza una ipotesi di nullità della sentenza, perché priva degli elementi minimi idonei a qualificare la pronuncia come tale.

Diverso è ancora il caso in cui vi sia una violazione del principio tra chiesto e pronunciato in cui viene attribuito un bene della vita completamente diverso da quello richiesto, o -in violazione del principio dispositivo delle parti- il giudice alteri gli elementi identificativi dell’azione, senza porre alla base della decisione fatti o ponendo situazioni del tutto estranee o dalle parti non considerate, ovvero senza rendere atto dei motivi della propria decisione. Ciò dunque palesa un difetto assoluto di motivazione, che ben può fra regredire il giudizio al primo grado.

Ne è conseguito il seguente principio di diritto:La violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, anche quando si sia tradotta nella mancanza totale di pronuncia da parte del giudice di primo grado su una delle domande del ricorrente, non costituisce un’ipotesi di annullamento con rinvio; pertanto, in applicazione del principio dell’effetto sostitutivo dell’appello, anche in questo caso, ravvisato l’errore del primo giudice, la causa deve essere decisa nel merito dal giudice di secondo grado” (A.P. n.14/2018).

Più articolata appare la motivazione della Adunanza plenaria n.15/2018 del Consiglio di Stato cui viene riproposta la questione della tassatività dell’ipotesi contemplate nell’art. 105 c.p.a., oppure se esse possono essere considerate clausole generali che possono essere integrate dal giudice. Viene poi richiesto di esprimersi se la dichiarazione di inammissibilità per carenza di interesse possa costituire violazione del diritto di difesa, e se il giudice può riqualificare un (formale) dispositivo di inammissibilità per carenza di interesse in un (sostanziale) accertamento della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato o dell’obbligo della motivazione intesa come elemento essenziale della sentenza, e se ancora questi due ultimi casi possano costituire una violazione del diritto di difesa o un’ipotesi di nullità della sentenza.

La decisione dell’Adunanza plenaria, per tutti i motivi che sono già stati esposti dall’Alto consesso, non lascia spazio alcuno ad interpretazioni per clausole generali ed esprime nuovamente la propria posizione per la tassatività delle ipotesi di rinvio al primo giudice.

Essa ribadisce che L’art. 105, co. 1, c.p.a. indica talune specifiche categorie inderogabili di casi d’annullamento con rinvio, ognuna delle quali è implementabile nel suo specifico ambito dalla giurisprudenza attraverso una rigorosa interpretazione sistematica del testo vigente del Codice, senza possibilità alcuna di pervenire o di tendere alla creazione surrettizia d’una nuova categoria (e, dunque, d’una nuova norma processuale) o, peggio, all’arbitraria interpretazione motivata senza passare al previo vaglio del Giudice delle leggi, dalla prevalenza del solo principio del doppio grado di giudizio rispetto ad altri parametri costituzionali” .

Per cui pochi margini di valutazione vengono consentiti al giudice che dovrà sempre muoversi nel complessivo panorama normativo e giurisprudenziale del diritto processuale, al fine di scongiurare un ingiustificato ed arbitrario rinvio al giudice del primo grado, che si sostanzierebbe se prevalesse il principio del doppio grado di giudizio a discapito di altri e controbilanciabili valori costituzionali.

Viene confermato, quindi, il divieto di far confluire la erronea declaratoria dell’inammissibilità per carenza di interesse nella violazione del diritto di difesa perché verrebbe leso il principio del doppio grado di giudizio a fronte della chiara disposizione dell’art. 105 c.p.a., che esprime senza equivoci un numerus clausus di casi di regressione del giudizio al primo grado.

Di contro è possibile ammettere il rinvio al primo giudice solo quando “a fronte di evidenti ed irrimediabili patologie del complesso della motivazione e non di singole distonie tra il chiesto e il pronunciato, ossia a fronte di quei, per vero, marginali casi in cui è inutilizzabile il decisum (che ridonda quindi nella nullità della sentenza) e sono stati conculcati i diritti di difesa di tutte le parti (P.A. inclusa)”.

Per cui rimane confermata la irrilevanza della violazione dell’art. 112 c.p.c. ai fini dell’applicazione dell’art. 105 c.p.a. per come si erano arrestate le altre decisioni dell’Adunanza plenaria, venendo in rilievo, invece, le gravi forme di nullità della sentenza inquadrabili nel difetto assoluto di motivazione, ossia di una motivazione che non giunge alla soglia minima fissata dall’art. 111 Cost..

Tuttavia si assiste ad una certa apertura: si consente al giudice dell’appello di riqualificare il dispositivo quando la patologica violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato o dell’obbligo di motivazione della sentenza -che, per porsi sul piano dell’assoluto effetto disfunzionale, deve avere compromesso il diritto di difesa per aver mal assunto la questione di fatto- deve investire integralmente la motivazione e non una parte della stessa, ovvero deve riguardare il punto di diritto affermato (conforme magari all’indirizzo giurisprudenziale del Consiglio di Stato). In tali casi è evidente che vengono in rilievo la violazione del diritto di difesa e la nullità della sentenza.

Per cui se ne deve desumere che la violazione dell’art. 112 c.p.c. viene valorizzato solo quando la sentenza è gravata integralmente da inemendabili vizi di motivazione che hanno compromesso il diritto di difesa attraverso un’errata rappresentazione dei fatti seppur con una corretta soluzione in diritto.

La rimessione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato di ben quattro questioni riguardanti l’applicazione dell’art. 105 c.p.a. nel solo anno 2018 rende la materia evidentemente non marginale e declassata, ma ricca di criticità avvertite in seno alla magistratura amministrativa e agli operatori giuridici.

La disamina delle A.P. n. 10, 11, 14 e 15 del 2018 manifesta una certa “tensione” verso il principio del doppio grado del giudizio. “Quest’ultimo rappresenta come noto una regola non canonizzata da norme positive ma piuttosto elaborata dalla dottrina, e pure elevata a modello generale di disciplina, in virtù della quale per ogni controversia sul diritto dedotto in giudizio devono essere assicurate due successive statuizioni nel merito, ad opera di organi giudiziari differenti, la seconda delle quali destinata a prevalere sulla prima”[5].

Trattandosi di principio non costituzionalizzato [6] rimane da chiedersi i motivi per i quali si registra questa tendenza del giudice ad enfatizzare il citato principio, che dovrebbe, invece, cedere il passo ad altri valori costituzionali, giustamente posti in primo piano dalle Adunanze plenarie in esame, quali il principio del giusto processo e del sua precipitato della ragionevole durata del processo previsti dall’art. 111 Cost..

L’analisi delle citate Adunanze plenarie fanno emergere che le spinte verso lo scardinamento della tassatività dei casi di regressione del giudizio al primo grado va forse ricercata nella esigenza di dare piena protezione al diritto di difesa. Per l’appunto tutte le quattro rimessioni all’Adunanza plenaria da parte delle sezioni del Consiglio di Stato tendono a far rientrare la violazione del diritto di difesa, costituente altresì un diritto inviolabile di rango costituzionale ai sensi dell’art. 24 Cost., quale oggetto dell’errata sentenza di irricevibilità, di inammissibilità o che parzialmente ha deciso su una domanda presentata dalla parte in contrasto con l’art. 112 c.p.c..

La tensione verso questo “recupero” ed approntamento di tutela rafforzata del diritto di difesa è stata superata abilmente e con cognizione di causa da parte delle Adunanze plenarie del 2018. Esse magistralmente e con coerenza scientifica hanno sostenuto che La “lesione del diritto di difesa” fa riferimento, invece, ad un vizio (non genetico, ma) funzionale del contraddittorio, che si traduce nella menomazione dei diritti di difesa di una parte, che ha, tuttavia, preso parte al giudizio, perché nei suoi confronti il contraddittorio iniziale è stato regolarmente instaurato, ma, successivamente, nel corso delle svolgimento del giudizio, è stata privata di alcune necessarie garanzie difensive.

Le ipotesi sono tipiche e presuppongono la violazione di norme che prevedono poteri o garanzie processuali strumentali al pieno esercizio del diritto di difesa. Ad esempio, seguendo le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza amministrativa: a) la mancata concessione di un termine a difesa (Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2009, n. 3787); b) l’omessa comunicazione della data dell’udienza (Cons. Stato sez. V, 10 settembre 2014 n. 4616; Cons. Stato sez. V, 28 luglio 2014 n. 4019; Cons. Stato sez. IV 12 maggio 2014 n. 2416; Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2013, n. 1831); c) l’erronea fissazione dell’udienza durante il periodo feriale (Cons. Stato, sez. VI, 25 novembre 2013, n. 5601); d) la violazione dell’art. 73, comma 3, Cod. proc. amm. per aver il giudice posto a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio e non prospettata alle parti (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2017, n. 2974; Cons. Stato, sez. VI, 14 giugno 2017, n. 2921; Cons. Stato, sez. IV, 8 febbraio 2016 n. 478; Cons. Stato, sez. IV, 26 agosto 2015, n. 3992; Cons. Stato, sez. III, 19 marzo 2015, n. 1438); e) la definizione del giudizio in forma semplificata senza il rispetto delle garanzie processuali prescritte dall’art. 60 Cod. proc. amm. (Cons. Stato, sez. VI, 9 novembre 2010, n. 7982; Cons. Stato, sez. VI, 25 novembre 2013, n. 5601); f) la sentenza pronunciata senza che fosse dichiarata l’interruzione nonostante la morte del difensore (Cons. giust. amm. sic. 10 giugno 2011, n. 409).

La violazione del diritto di difesa in tutte queste ipotesi avviene nel giudizio-procedimento, dove la parte non ha potuto difendersi; l’errore si annida nella procedura, e non nel contenuto della sentenza: il diritto di difesa, quindi, è leso nel giudizio e non dal giudizio.

… Non possono rientrare in tale fattispecie le ipotesi nelle quali, dopo che la questione è stata sottoposta al dibattito processale, essa sia poi accolta e per effetto di ciò non si proceda all’esame del merito.

Quindi quando la violazione del diritto di difesa diviene oggetto della decisione, e dunque viene esaminata dal giudice che erroneamente decide con sentenza in rito, spetterà al giudice dell’appello, per mantenersi la coerenza nel sistema, di decidere integralmente la questione, secondo il principio del c.d. effetto devolutivo, qualora essa venga riproposta ai sensi dell’art. 101 c.p.a..

La criticità delle questioni prospettate potrebbe non rimanere sopita a seguito dei pronunciamenti in esame, considerato che all’interprete spetta sempre il difficile compito di svolgere un corretto, equo e giusto bilanciamento di interessi, non fosse altro che il contemperamento appare più arduo quando si profilano in antagonismo valori costituzionali.


[1] Torchia L., Il nuovo Codice del processo amministrativo – I principi generali, Giornale di diritto Amministrativo, 2010, 11, 1117.
[2] Travi A., Prime considerazioni sul codice del processo amministrativo: fra luci e ombre, Corriere giuridico, 2010, 9, 1125.
[3] Caringella F. – Protto M., in Bianca C.M. – Catricala’ A. – Scordamaglia V., Il Codice del processo amministrativo, 2015, 1038.
[4] Relazione al codice del processo amministrativo, www.giustizia-amministrativa.it.
[5] Danovi F., Note sull’effetto sostitutivo dell’appello, Rivista di diritto processuale, 2009, 1466.
[6] Caringella F. – Protto M., in Bianca C.M. – Catricala’ A. – Scordamaglia V., Il Codice del processo amministrativo, cit..

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