L’art. 110 c.p., la partecipazione all’associazione mafiosa e il concorso esterno
L’art. 110 c.p. è una delle norme più conflittuali dell’intero Codice penale. Oggi la criminalità è prevalentemente concorsuale e ci troviamo ad affrontare spesso queste problematiche che sono al centro della fenomenologia del diritto penale. Il legislatore non ci dice quando c’è concorso. Lo definiscono di più paradossalmente gli artt. 40-41 c.p. in materia di causalità tanto che l’unico parametro che troviamo a giustificazione del concorso è il contributo. Se potessimo condensare in poche parole il problema del concorso di persone nel reato, dovremmo dire che c’è concorso quando è configurabile un contributo alla commissione del reato volto alla realizzazione di un certo risultato. Quindi il problema qui si moltiplica dal punto di vista della sua gravità. Se già è difficile stimare il concorso eventuale perché il legislatore non dice nulla di chiaro all’art. 110 c.p. limitandosi solo a dire che è concorrente chi concorre, a maggior ragione diventa complessa la configurazione di partecipazione. Sappiamo che la disciplina del concorso esterno non ha una precisa definizione normativa, nemmeno per quanto riguarda il concorso necessario e, inoltre, non c’è alcuna disposizione che ci dica se intanto è punibile il concorso esterno, al punto che la giurisprudenza della Corte di Cassazione prima del 1994 era orientata verso una soluzione negativa tanto da ritenere non configurabile il concorso esterno sulla base della considerazione che l’ultimo comma dell’art. 378 c.p. introduce un’aggravante per coloro i quali hanno commesso favoreggiamento a vantaggio di un’organizzazione criminale di stampo mafioso. Quindi la conclusione era che la condotta di concorso esterno fosse in realtà già prevista, ma non come reato a sé stante, ma come aggravante del reato di favoreggiamento personale aggravato ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 378 c.p. ovvero si diceva, dall’altra parte, che oltre gli articoli 416 e 416bis del codice penale che si occupano dell’associazione per delinquere semplice e di quella di stampo mafioso, c’è l’art. 418 c.p. che punisce la condotta di assistenza agli associati, condotta punita autonomamente. Quindi, da un lato abbiamo un’aggravante nell’ambito del favoreggiamento personale e dall’altro lato un’autonoma condotta di assistenza agli associati di un’organizzazione per delinquere, condotta questa di per sé penalmente rilevante. Per cui alla luce di tali disposizioni normative, il concorrente esterno o si configura come un favoreggiatore personale che soggiace ad una pena aggravata avendo favorito un’organizzazione criminale di stampo mafioso oppure sarà un soggetto che ha semplicemente prestato assistenza agli associati. Non ci sarebbe motivo in virtù del quale dovrebbe soggiacere alla disposizione dell’art. 416bis.
Partiamo dal quadro sinottico che si può trarre dalla giurisprudenza. La prima sentenza delle S.S.U.U che ha definito il concorso esterno – anche come parametro distintivo rispetto alla figura della partecipazione- è la sentenza Demitry datata 5 ottobre 1994 che configura il concorso esterno in termini ristretti in quanto, pur dando ulteriori spiegazioni, limita il concorso esterno a quelle fasi che vengono espressamente definite come fibrillatorie dell’organizzazione mafiosa. Quindi il concorrente esterno è colui il quale interviene in un momento di fibrillazione dell’organizzazione criminale ed interviene per risolvere il problema che in quel contesto di difficoltà si è generato. Questa giurisprudenza, dunque, limita l’intervento del concorrente esterno a determinate fasi eccezionali di vita dell’associazione criminale, espressamente nel caso in cui l’organizzazione avverte la necessità di un contributo solidaristico in un momento di difficoltà, di fibrillazione. Quindi questa espressione tratta dal linguaggio cardiologico significa che l’organizzazione si deve trovare in un momento patologico di difficoltà, dunque il concorso esterno non sarebbe configurabile, alla luce della Sentenza Demitry, nelle fasi fisiologiche di vita dell’associazione mafiosa. Tuttavia tale impianto è stato criticato in quanto si limiterebbe l’intervento del concorrente esterno e dunque la configurabilità di tale fattispecie di reato solo alle ipotesi patologiche, escludendolo nel caso di fasi ordinarie di vita dell’organizzazione. Ovviamente il concorrente esterno è un soggetto che non fa parte stabilmente dell’associazione e presta un contributo occasionale rispetto alle finalità e alle attività dell’associazione (questo è un aspetto importante di demarcazione- Sentenza Corte Costituzionale n° 48/2015- rispetto al partecipe di un’associazione criminale che invece è stabilmente inserito nell’associazione e vi presta il proprio contributo in maniera non occasionale, ma frequentemente).
Il concorrente esterno che agisce nelle fasi patologiche e di difficoltà dell’organizzazione criminale è quel soggetto che possiede le capacità tali da poter risolvere lo specifico problema per la risoluzione del quale è stato chiamato ad intervenire. Quindi vi era una distinzione rispetto alla condotta del partecipe, anche con riferimento al momento dell’intervento e alle modalità dello stesso, essendo il concorrente esterno il solo in grado di esercitare quel potere di risoluzione del problema che nessun altro poteva esercitare (si trattava spesso di imprenditori, politici, ecc.).
Quindi il concorrente esterno non fa parte dell’organizzazione criminale e non è neppure chiamato a farne parte. Troviamo spesso l’espressione latina “affectio societatis” che dal punto di vista giurisprudenziale significa il legame tra il soggetto e l’associazione mafiosa che implica un’immedesimazione del soggetto nel contesto della struttura criminale. Dunque “affectio societatis” vuol dire far parte di tale organizzazione in quanto ci si sente parte integrante della stessa e anche perché l’organizzazione criminale stessa ti riconosce come membro, situazione invece che non caratterizza il concorrente esterno, anzi rispetto ad esso l’ “affectio societatis” è esclusa. Quindi il contesto della concorrenza esterna in un’organizzazione criminale vede protagonisti soggetti qualificati dotati per l’appunto delle qualifiche e dei poteri tali da apportare un effettivo supporto all’organizzazione nelle fasi di difficoltà della stessa. Ancora, S.S. U.U. 30.10.2002 Sentenza Carnevale secondo la quale :”«non può postularsi la figura di un concorrente esterno nel cui agire sia presente soltanto la consapevolezza che altri agisca con la volontà di realizzare il programma criminoso dell’associazione»; al contrario, il dolo dell’extraneus, oltre ad essere caratterizzato, in negativo, dall’inesistenza dell’affectio societatis, deve essere connotato in positivo non più soltanto dalla consapevolezza ma anche dalla volontà di apportare un contributo «diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio», qualificando l’atteggiamento psicologico del concorrente esterno in termini di «dolo diretto». Ne deriva che «quanto al profilo soggettivo della fattispecie concorsuale … il discrimine tra concorso e partecipazione risiede essenzialmente nel segmento dell’atteggiamento psicologico che riguarda la volontà di far parte dell’associazione», ossia nella sussistenza o meno dell’affectio societatis. Non basta indicare un solo elemento distintivo/descrittivo in quanto lo stesso potrebbe rivelarsi ambiguo e la sua rilevanza è comunque subordinata alla sua verificabilità in giudizio. Il diritto penale deve selezionare dei criteri in virtù dei quali attribuire la responsabilità ad un soggetto per la commissione di un certo reato. Quindi il problema della selettività di tali criteri distintivi è molto rilevante.
Il processo penale è complesso ed occorre avere chiaro che il giudice, nel suo operare, deve scriminare le varie situazioni avvalendosi delle risultanze istruttorie volte a dimostrare la sussistenza o meno, come nel caso che ci occupa, di una condotta di concorso esterno o di partecipazione ad un’organizzazione mafiosa. C’è una produzione giurisprudenziale enorme rispetto al problema della dimostrabilità in giudizio dei requisiti al ricorrere dei quali un certo fatto può essere configurato come reato e può essere attribuito alla responsabilità di un determinato soggetto. La Corte Costituzionale, più volte pronunciatasi sul punto, ritiene che ogni formula usata dal legislatore nelle leggi così come dalla magistratura nelle sentenze deve essere concretamente dimostrata e dimostrabile in giudizio alla luce dei fatti di causa, pena la sua illegittimità costituzionale. Occorre, dunque, rispetto al problema di cui ci stiamo occupando, distinguere chiaramente tra la figura del concorrente esterno e quella del partecipe di un’associazione mafiosa, proprio attraverso la dimostrazione in giudizio del ricorrere dei requisiti caratterizzanti l’una o l’altra fattispecie. Il concorrente esterno, esaminando le varie pronunce giurisprudenziali, è individuato come quel soggetto che non fa parte stabilmente della struttura dell’organizzazione criminale, ma al ricorrere di quali requisiti e circostanze si può considerare inserito effettivamente nella struttura dell’organizzazione criminale? Quindi a fronte di questo parametro difficilmente dimostrabile in giudizio, ai fini della configurabilità del concorso esterno occorre indagare sul profilo del contributo che il soggetto apporta all’organizzazione nella fase di difficoltà della stessa. Occorre quindi indagare sul fatto, più che sulle componenti psicologiche della condotta, capire se da quel contributo l’organizzazione ha tratto benefici in termini di potenziamento delle sue capacità delinquenziali e offensive/aggressive di beni giuridici. Stiamo spostando, dunque, la nostra attenzione sul nesso causale (artt. 40-41 c.p. norme precedenti rispetto all’art. 110 c.p.). La giurisprudenza definisce il contributo fornito dal concorrente esterno come consapevole e volontario, nel senso che il soggetto che lo pone in essere deve essere consapevole del fatto che attraverso questa sua azione effettivamente agevola l’operare di una organizzazione criminale quindi va a realizzare l’effetto voluto, di risoluzione del problema per il quale è stato chiamato ad intervenire. Con la Sentenza Andreotti e con le svariate successive pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione Penale si è cercato di pervenire ad una definizione quanto più possibile soddisfacente del concorso esterno. Quindi si è definito questo contributo come specifico, consapevole, volontario e a carattere doloso diretto(S.S.U.U. Andreotti ritiene non configurabile il dolo eventuale).
Le S.S. U.U. Mannino, invece, ribaltano l’assunto, preferendo rispetto al modello del pericolo quello del reato consumato. Si è preferito dunque un modello più garantista, in quanto ai fini della punibilità del reato di concorso esterno si richiede la verifica ex post dell’effettivo apporto fornito dal concorrente esterno al rafforzamento della capacità offensiva ed aggressiva dell’organizzazione criminale. Il parametro scelto dalle S.S. U.U. Mannino è quello giusto. Il problema rimane, però, l’incertezza della formulazione legislativa del concorso esterno a fronte di una prassi interpretativa, ad opera della giurisprudenza, impegnata a colmare tale vizio di indeterminatezza della fattispecie normativa.
Le S.S. U.U. Carnevale parlano di effettiva rilevanza del contributo del concorrente esterno, diretto alla realizzazione del programma criminale dell’organizzazione. Non può esserci un mero contributo generico.
Le S.S. U.U Andreotti del 2003 stabiliscono già a monte che determinate condotte (quelle del concorso esterno) non possono essere caratterizzate dal mero dolo eventuale (inteso come accettazione del rischio).
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