L’art. 131 bis c.p. prima e dopo la riforma. Successione di leggi in senso stretto
La punibilità rappresenta un carattere generale del reato. Essa si identifica nella possibilità giuridica di applicare una sanzione penale a seguito dell’accertata commissione di un illecito. Di regola, realizzazione del reato e punibilità sono posti in un rapporto di logica consequenzialità: alla prima, infatti, si accompagna generalmente l’irrogazione della pena a carico del reo.
Tuttavia, in determinati casi il legislatore “interrompe” questo legame tra reato e punibilità.
Si pensi alle c.d. cause di non punibilità, o cause di esclusione della pena, che non intervengono sulla struttura del reato, né incidono sulla sua esistenza, bensì inibiscono l’applicazione di una sanzione rispetto ad un fatto oggettivamente e soggettivamente illecito.
Esse operano oggettivamente, anche se non conosciute dall’agente, ma, in quanto personali, non sono suscettibili di estensione ad eventuali concorrenti nel reato.
Tra le cause di non punibilità merita sicuramente una particolare attenzione quella di cui all’art. 131 bis c.p., rubricato “Esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto”.
Trattasi di articolo introdotto con il d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28 e oggetto di recentissima riforma per effetto dell’art. 1 comma 1 lett. c) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.
Le novità introdotte sul tema dalla Riforma Cartabia rispondono alla precipua finalità di ampliare l’ambito applicativo dell’istituto in esame in ottica di deflazione del sistema penale.
Nello specifico, prima della riforma, l’art. 131 bis c.p. operava in relazione a quei reati con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni. Nella versione attuale, la disposizione ut supra si applica a tutti i reati puniti con pena minima pari o inferiore ad anni due. Pertanto, è stato eliminato il riferimento al limite massimo di pena, sicché tale causa di non punibilità può estendersi anche a fattispecie criminose con pena edittale massima superiore a cinque anni di reclusione.
Un’ulteriore novità introdotta dalla Riforma riguarda i criteri di valutazione della speciale tenuità.
Il legislatore, infatti, stabilisce che per poter accertare se l’offesa sia di particolare tenuità può prendersi in considerazione anche “la condotta susseguente al reato”. Mediante tale profilo innovativo si chiarisce che il giudice può considerare positivamente le eventuali condotte risarcitorie o riparatorie poste in essere in un momento susseguente al fatto di reato. Con tale intervento legislativo, dunque, si è voluto porre fine a tutte quelle incertezze interpretative emerse in merito alla possibilità di valutare anche tale elemento ai fini dell’applicazione dell’art. 131 bis c.p.
Alla luce di tali novità normative, gli odierni presupposti cui è subordinata l’operatività della causa di non punibilità in commento sono i seguenti: -reato punito in astratto con pena detentiva non superiore nel minimo a due anni; -offesa particolarmente tenue, a sua volta ancorata al ricorrere di tre presupposti, ossia le modalità della condotta e l’esiguità del danno o pericolo, entrambi valutati ai sensi dell’art. 133, co. 1 c.p., nonché la condotta susseguente al reato; -comportamento non abituale.
Il legislatore, sebbene abbia introdotto delle novità orientate ad ampliare l’alveo applicativo della causa di non punibilità di cui sopra, ha allo stesso tempo incrementato le figure criminose in relazione alle quali “l’offesa non può inoltre essere ritenuta di particolare tenuità”; si pensi ai delitti di violenza e minaccia al pubblico ufficiale, resistenza a pubblico ufficiale, oltraggio a pubblico ufficiale, oltraggio a magistrato in udienza, incendio colposo, incendio boschivo, costrizione o induzione al matrimonio, rapina nelle sole ipotesi aggravate di cui all’art. 628, co. 3 c.p., estorsione, usura, riciclaggio e impiego di denaro o beni o utilità di provenienza illecita e tanti altri.
Il legislatore ha consapevolmente accompagnato alla regola generale la previsione di una serie di eccezioni, che in quanto tali non consentono di interrompere quel nesso generalmente intercorrente tra reato e punibilità.
Con riferimento all’abitualità del comportamento, e all’eventuale valutazione delle circostanze ai fini della determinazione della pena detentiva (“non superiore nel minimo a due anni”), non sono state introdotte novità.
Sebbene la causa di non punibilità in parola consentirebbe di soffermarsi sull’analisi di ulteriori elementi e requisiti, ritengo sia maggiormente interessante ricollegare l’istituto di cui sopra al fenomeno della successione delle leggi penali nel tempo, anche, e soprattutto, in considerazione delle problematiche di carattere pratico che possono emergere sul tema nelle stesse aule giudiziarie a così poche settimane dall’entrata in vigore della riforma. Nel caso di specie, assume rilievo l’art. 2, comma 4 c.p., che recita “Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”. Trattasi della c.d. abrogatio sine abolitione, o successione di leggi in senso stretto.
Tale fattispecie rappresenta il corollario applicativo dei criteri contenuti nei primi due commi dell’articolo sopracitato: se la modificazione è sfavorevole, in base al principio di irretroattività di cui all’art. 2 co. 1 c.p., troverà applicazione la norma vigente al momento del fatto; se la modificazione è favorevole, in base al principio di retroattività di cui all’art. 2 co. 2 c.p., troverà applicazione la lex mitior successiva, con il limite del giudicato. Ne discende che in caso di successione di leggi in senso stretto, la legge posteriore, sebbene più favorevole al reo, non potrà retroagire un volta concluso il procedimento penale con sentenza divenuta irrevocabile.
L’art. 2 co. 4 c.p., quindi, fa obbligo di applicare la norma più favorevole per il reo in caso di mutatio legis. Tuttavia, il legislatore non indica quali parametri occorra utilizzare ai fini dell’individuazione in concreto della norma.
Al di là della ragionevole considerazione secondo la quale risulta necessaria una comparazione di tutti gli effetti che discendono dall’applicazione dell’intera cornice normativa disegnata dalle due leggi, in quanto anche una norma che ricolleghi al perfezionamento del fatto tipico sanzioni più severe potrebbe prevedere un diverso regime di procedibilità o di prescrizione, o magari una condizione obiettiva di punibilità, tale da condizionarne in senso favorevole la portata precettiva, è doveroso sottolineare che vi è un espresso divieto di tertia lex, non potendosi procedere alla combinazione delle disposizioni più favorevoli della nuova legge con quelle più favorevoli della vecchia, pena altrimenti la violazione del principio di legalità e tassatività.
In conclusione, anche sulla scorta delle considerazioni effettuate poc’anzi, si può rilevare come le modiche apportate all’art. 131 bis c.p siano riconducibili al fenomeno della successione di leggi penali in senso stretto. Nello specifico, la nuova formulazione dell’articolo ut supra appare maggiormente favorevole al reo rispetto alla precedente, pertanto, in ossequio alla suddetta regola di cui all’art. 2 co. 4 c.p., si ritiene debba trovare applicazione anche in ordine ai fatti di reato posti in essere antecedentemente all’entrata in vigore della riforma di cui al d.lgs. 150/2022.
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Avv. Filippo Cavirani
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