L’art. 2 del codice deontologico forense e la tutela dell’avvocatura

L’art. 2 del codice deontologico forense e la tutela dell’avvocatura

Nell’ odierno immaginario collettivo, spesso l’avvocato viene raffigurato come l’azzeccagarbugli, così chiamato nel romanzo dei promessi sposi di manzoniana memoria, dai popolani per la sua capacità di sottrarre dai guai, non del tutto onestamente, le persone.

Per discostarci dalla predetta immagine negativa e dal decadimento della figura dell’avvocato è doveroso citare uno dei più importanti ed illustri esempi che da sempre rappresentano un monito per i giovani avvocati: Piero Calamandrei.

Per Calamandrei: “Gli avvocati non sono né giocolieri da circo, né conferenzieri da salotto: la giustizia é una cosa seria”.

Invero, l’avvocato dal latino advocatus (chiamare a propria difesa) è un professionista che svolge attività di assistenza, consulenza giuridica e rappresentanza legale a favore di una parte.

L’avvocato, rispecchia da sempre una delle professioni più nobili per la collettività; a lui spetta la difesa dei diritti e interessi legittimi così come evidenziato dall’art. 24 comma 1 della Costituzione italiana in base alla quale la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

Orbene, la legge n. 247/2012 che disciplina l’ordinamento della professione forense,  definisce la figura dell’avvocato identificandola all’art. 2 in quella di un libero professionista  che, in autonomia e indipendenza, ha la funzione di garantire al cittadino l’effettività della tutela dei diritti svolgendo attività esclusive quali, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge, l’assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali. A loro compete anche l’attività di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all’attività giurisdizionale se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzativo.

La stessa legge stabilisce all’art. 2, comma quarto che “l’avvocato nell’esercizio delle sue attività, è soggetto alla legge e alle regole deontologiche”.

A tutela della figura del singolo avvocato e dell’intera categoria dell’ordine forense vi è il codice deontologico forense pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 241 del 16 ottobre 2014, in vigore dal 16 dicembre 2014.

L’art. 2 del predetto codice stabilisce che l’avvocato ed il praticante devono rispettare sia nell’attività professionale e sia durante la vita privata le regole comportamentali contenute all’interno del codice deontologico

Invero, ai sensi dell’art. 2, “le norme deontologiche si applicano a tutti gli avvocati nella loro attività professionale, nei reciproci rapporti e in quelli con i terzi; si applicano anche ai comportamenti nella vita privata, quando ne risulti compromessa la reputazione personale o l’immagine della professione forense. I praticanti sono soggetti ai doveri e alle norme deontologiche degli avvocati e al potere disciplinare degli Organi forensi.”

Tale articolo sancisce la funzione imperativa del codice deontologico che deve guidare i comportamenti dei singoli avvocati non solo nell’esercizio della professione ma anche nella vita privata del professionista.

È bene chiarire che, il presente articolo costituisce una modifica alla precedente formulazione del 2007 ed introduce elementi nuovi; difatti, dal punto di vista oggettivo, non si limita a stabilire che le norme deontologiche si applicano a tutti gli avvocati nella loro attività professionale, nei reciproci rapporti e nei confronti con i terzi, ma pone in evidenza, come anche l’attività extraprofessionale, ossia la vita privata del professionista sia vincolata al rispetto di tali principi.

A conferma di quanto predetto il C.N.F. ha stabilito con la sentenza n. 8 del 2012 che “il professionista risponde sotto il profilo deontologico anche dei fatti commessi al di fuori dell’esercizio dell’attività professionale, poiché il dovere di comportarsi in modo corretto, probo e leale si estende non solo a ogni avvenimento della vita professionale ma anche alla sua vita privata, per quegli aspetti che investano in qualche modo la dignità della professione”

Pertanto, anche la vita privata del professionista rileva ai fini della responsabilità deontologica in quanto comportamenti scorretti possono riflettersi sull’attività professionale compromettendo l’immagine dell’avvocatura provocando una perdita di credibilità dell’intera categoria.

Tale principio è stato ribadito dal Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza del 31 dicembre 2015, n. 266, in base alla quale, l’avvocato ha il dovere di comportarsi in ogni situazione, e quindi anche nella dimensione privata e non propriamente nell’espletamento dell’attività forense, con la dignità e il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione e deve in ogni caso astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive.

Dunque, l’avvocato deve essere sempre rispettoso nei confronti dei terzi, dei colleghi, dei clienti, e deve mantenere un rigoroso contegno anche nell’utilizzo dei social network in virtù dell’alta funzione sociale che ricopre.

Alla luce di quanto predetto, la pronuncia del Consiglio Nazionale Forense n. 17 del 24 settembre 2015 ha cristallizzato il principio secondo cui: “Anche la vita privata dell’avvocato rileva per la responsabilità deontologica. Deve, infatti, ritenersi disciplinarmente responsabile l’avvocato per le condotte che, pur non riguardando strictu sensu l’esercizio della professione, ledano comunque gli elementari doveri di probità, dignità e decoro e, riflettendosi negativamente sull’attività professionale, compromettono l’immagine dell’avvocatura quale entità astratta con contestuale perdita di credibilità della categoria. La violazione deontologica, peraltro, sussiste anche a prescindere dalla notorietà dei fatti, poiché in ogni caso l’immagine dell’avvocato risulta compromessa agli occhi dei creditori e degli operatori del diritto”.

Inoltre, la violazione deontologica sussiste sia quando il comportamento scorretto dell’avvocato sia conosciuto pubblicamente, sia quando a prescindere dalla notorietà dei fatti, poiché è sufficiente che la sua immagine sia compromessa agli occhi dei creditori e degli operatori del diritto (C.N.F. del 29.07.2016).

Anche i praticanti sono soggetti ai doveri e alle norme deontologiche degli avvocati e al potere disciplinare degli organi forensi così come sancito dalla Cassazione Civile a Sezioni Unite nella sentenza n. 9166 del 9 aprile 2008 alla luce della funzione che il praticantato ha, ovvero quella di assicurare la preparazione all’esercizio della professione forense.

Orbene, l’art. 2 è strettamente collegato alla gran parte degli articoli del codice deontologico e nello specifico all’art. 9 in base al quale l’avvocato deve ispirare la propria condotta professionale ai doveri di indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità e decoro, diligenza e competenza, nel rispetto dei principi della corretta e leale concorrenza e tenendo conto della rilevanza costituzionale e sociale dell’attività difensiva.

I doveri di probità, dignità e decoro devono essere osservati anche al di fuori dell’attività professionale, a tutela della propria reputazione e dell’immagine della professione forense. (art. 9 co. 2 codice deontologico)

Così, Piero Calamandrei punto di riferimento per tutti noi giovani avvocati assetati di verità e giustizia, scriveva nel suo storico libro “Elogio dei giudici scritto da un avvocato” «Senza probità non può aversi giustizia; ma probità vuol dire anche puntualità, che sarebbe una probità spicciola, da spendersi nelle piccole pratiche di ordinaria amministrazione. Ciò sia detto per l’avvocato, la cui probità si rivela, in forma modesta ma continua, nella precisione con cui ordina i fascicoli, nella compostezza con cui veste la toga, nella chiarezza delle sue scritture, nella parsimonia del suo discorso, nella diligenza con cui mantiene l’impegno di scambiarsi le comparse nel giorno stabilito».

Concludendo, l’art. 2 è posto a tutela dell’immagine dell’avvocatura e della funzione insostituibile che questa svolge all’interno della giurisdizione al fine di salvaguardare la giustizia e la tutela dei diritti, affinché la nostra professione riacquisti la sua originaria funzione sociale e il lustro che merita, nonostante in questi anni si cerchi sempre più di denigrarne la reputazione e l’onore.


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Avv. Marinella Distaso

Nata a Barletta nel 1989, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza Magistrale presso l'Università degli Studi di Foggia nel 2014 con tesi in Diritto Amministrativo dal titolo "l'imparzialità impossibile della pubblica amministrazione", ha svolto la pratica forense in ambito civile e penale. Nel mese di settembre 2017 consegue il titolo di abilitazione all'esercizio della professione forense. Dal 2018 è iscritta all'albo dell'Ordine degli Avvocati di Trani ed esercita la professione forense.

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