L’assegno di divorzio ex art. 5, co. 6, L. n. 898/1970
Sommario: 1. Premessa – 2. La L. n. 898 del 1970 – 3. Le conseguenze patrimoniali dello scioglimento del matrimonio – 4. L’assegno di divorzio ex art. 5, co. 6, L. 898 del 1970; 5. La funzione dell’assegno di divorzio: orientamenti a confronto – 5.1.1 Cassazione, Sez. Un., n. 11490 del 1990 – 5.1.2 Cassazione, Sez. Un., n. 11504 del 2017 – 5.1.3 Cassazione, Sez. Un., n. 18287 del 2018 – 6. Le conseguenze dell’instaurazione di una convivenza di fatto da parte di ciascuno degli ex coniugi sull’assegno: Cassazione, Ordinanza n. 28995 del 2020 – 7. Lo scioglimento dell’unione civile – 8. Conclusioni
1. Premessa
Nel nostro ordinamento, la famiglia è considerata una delle formazioni sociali nella quale ciascun individuo sviluppa la propria personalità.
Essa trova riconoscimento nella Carta Costituzionale che, oltre all’art. 2 Cost., le dedica anche l’art. 29 Cost.
Nella Costituzione la famiglia viene definita come società naturale fondata sul matrimonio e rappresenta il nucleo fondamentale della società. All’interno di essa, l’essere umano si forma e sviluppa i suoi diritti inviolabili. Oltre ai diritti, la società familiare è portatrice di doveri: ai sensi dell’art. 143 c.c., dal matrimonio deriva l’obbligo di fedeltà, di assistenza morale e materiale, di collaborazione nell’interesse della famiglia e di coabitazione. Inoltre, ciascuno dei coniugi è tenuto a contribuire ai bisogni della famiglia in base alle proprie sostanze e capacità lavorative.
La famiglia alla quale si riferisce la Costituzione è quella che nasce dal matrimonio. In effetti, inizialmente, soltanto il matrimonio inteso come negozio solenne inserito in un procedimento pubblicistico veniva considerato espressione di vita familiare, lasciando in una posizione di irrilevanza per il diritto ogni altra forma di legame affettivo.
Negli ultimi anni, il paradigma familiare è mutato notevolmente.
Innanzitutto, la giurisprudenza ha attribuito pregio alla famiglia di fatto. In tal modo, anche le convivenze sono diventate realtà rilevanti per il diritto.
La L. n. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà) è poi intervenuta a disciplinare “i conviventi di fatto”, ossia l’unione di due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e reciproca assistenza morale e materiale.
Accanto alle convivenze di fatto hanno trovato collocazione le unioni civili tra persone dello stesso sesso.
Ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost., le unioni civili sono considerate formazioni sociali, ossia una forma di comunità nella quale si favorisce il libero sviluppo della persona nella vita di relazione. Pertanto, anche alle unioni civili spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia.
Anche le unioni civili sono disciplinate dalla L. n. 76 del 2016.
2. La L. n. 898 del 1970
Le rilevanti modificazioni sociali hanno inciso sulla rappresentazione simbolica del legame matrimoniale e sulla disciplina dell’istituto, attribuendo a ciascuno dei coniugi il diritto unilaterale di sciogliersi dal vincolo.
In particolare, con la L. n. 898 del 1970 viene disciplinato l’istituto del divorzio.
Il divorzio consente lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio allorché il giudice accerti che sia cessata la comunione materiale o spirituale tra i coniugi.
Si parla di “scioglimento” se il matrimonio è stato celebrato con rito civile; viene utilizzata l’espressione “cessazione degli effetti civili del matrimonio” se è stato celebrato matrimonio concordatario.
Il divorzio può seguire due percorsi alternativi. Nell’ipotesi di divorzio congiunto i coniugi sono d’accordo su tutte le condizioni da adottare; nel caso di divorzio giudiziale, invece, manca il consenso delle parti sulle predette condizioni.
L’art. 3 della L. n. 878/1970 indica le cause che consentono ai coniugi di divorziare. Si tratta prevalentemente di ipotesi in cui uno dei coniugi abbia attentato alla vita o alla salute dell’altro coniuge o della prole, oppure abbia compiuto specifici reati contrari alla morale della famiglia.
A seguito dell’entrata in vigore della L. n. 76/2016, le cause di cui all’art. 3, n. 1, 2 e 3, lett. a), c), d) ed e), L. n. 898/1970 si applicano anche nell’ipotesi di scioglimento delle unioni civili.
3. Le conseguenze patrimoniali dello scioglimento del matrimonio
A seguito di divorzio cessano gli obblighi e doveri coniugali di cui all’art. 143 c.c.[1]
Oltre agli effetti personali, sono collegati al divorzio più effetti di ordine patrimoniale.
Il divorzio incide sul regime patrimoniale della famiglia. Le cause che estinguono il rapporto matrimoniale non possono non influire sulla permanenza della comunione legale che ha il suo fondamento logico-giuridico nel matrimonio.
Il regime patrimoniale della famiglia presuppone che esista il vincolo matrimoniale. Lo scioglimento del matrimonio implica la cessazione del suddetto regime.
Il divorzio produce effetti anche sul fondo patrimoniale. In effetti, l’art. 171 c.c. contempla, fra i casi di cessazione del fondo, lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Vi è un’eccezione che concerne la presenza di figli minori d’età. In tal caso, si determina l’ultrattività del fondo fino al compimento della maggiore età da parte dell’ultimo nato.
Tra gli effetti patrimoniali successivi al divorzio si ricorda la perdita dei reciproci diritti successori.
Da ultimo, uno degli effetti patrimoniali principali del divorzio è l’assegno divorzile.
4. L’assegno di divorzio ex art. 5, co. 6, L. n. 898 del 1970
L’assegno di divorzio costituisce una somma periodica che uno dei coniugi ha l’obbligo di somministrare all’altro, se questi non abbia i mezzi adeguati o non sia in grado di procurarseli per ragioni obiettive.
Tale obbligo è previsto dall’art. 5, co. 6, L. n. 898/1970, il quale indica sia criteri attributivi per accertare il diritto all’assegno, sia criteri determinativi per accertare il quantum dello stesso.
5. La funzione dell’assegno di divorzio: orientamenti a confronto
Sulla funzione dell’assegno divorzile la giurisprudenza si è spesso interrogata. Si riportano di seguito gli orientamenti più rilevanti.
5.1.1 Cassazione, Sez. Un., n. 11490 del 1990
Inizialmente, la Corte di Cassazione aveva attribuito all’assegno divorzile natura mista, senza distinguere i due tipi di criteri. Secondo tale orientamento, l’assegno ha natura composita, e in particolare: “assistenziale” per quanto riguarda le condizioni economiche dei coniugi; “risarcitoria”, con riferimento al criterio che concerne le ragioni della decisione; “compensativa”, per ciò che attiene al criterio del contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla condizione della famiglia e alla formazione del patrimonio.
Inoltre, al giudice veniva attribuito un ampio potere discrezionale in ordine alla quantificazione dell’assegno; egli, tuttavia, non poteva considerare uno dei predetti criteri recessivo rispetto agli altri.
Cessato il vincolo di parentela, l’assegno non poteva avere in nessun caso natura alimentare. Veniva attribuita rilevanza all’indebolimento economico-patrimoniale del coniuge richiedente successivamente alla cessazione del matrimonio, tenendo conto di fattori quali l’età, la salute, l’esclusivo svolgimento di attività domestiche all’interno del nucleo familiare, il contributo fornito al consolidamento del patrimonio familiare e dell’altro coniuge.
L’assegno divorzile aveva natura non solo assistenziale, ma anche compensativa poiché si teneva conto della durata del rapporto, e risarcitoria, considerando i motivi della decisione.
Il giudizio si basava su uno squilibrio ingiusto derivante da scelte endofamiliari comuni che producevano una netta diversificazione di ruoli tra i coniugi ed escludevano o riducevano la costruzione di un livello reddituale individuale autonomo e adeguato.
Tali principi sono stati criticati dalla dottrina sia per l’assenza di regole unitarie e coerenti nell’applicazione degli stessi, sia per l’eccessiva discrezionalità del giudice in sede di determinazione dell’assegno divorzile.
5.1.2 Cassazione, Sez. Un., n. 11504 del 2017
Successivamente, la natura e le funzioni dell’assegno divorzile sono state nuovamente poste all’attenzione della giurisprudenza di legittimità.
È stato osservato che il divorzio sia il frutto di una scelta definitiva che inerisce alla dimensione della libertà della persona e implica per ciò stesso l’accettazione da parte dei coniugi delle relative conseguenze, anche economiche.
Al fine di scongiurare il pericolo di rendite di posizione e di valorizzare i principi di autodeterminazione e auto-responsabilità, entrambi ancorati all’art. 2 Cost., le Sezioni Unite della Cassazione hanno ribaltato il suindicato orientamento.
La Cassazione ha affermato la natura esclusivamente assistenziale dell’assegno, negandone il riconoscimento tutte le volte in cui il richiedente sia economicamente autosufficiente.
Il presupposto per la concessione dell’assegno veniva individuato nell’inadeguatezza o nell’insufficienza dei mezzi del coniuge richiedente, dei redditi, dei cespiti patrimoniali e di altre utilità con i quali mantenere un tenore di vita uguale a quello tenuto in costanza di matrimonio.
Si teneva conto di un apprezzabile deterioramento, a causa del divorzio, delle precedenti condizioni economiche.
Tale orientamento si è contrapposto a un altro intervento dei giudici di legittimità che condividevano la distinzione tra criterio attributivo e criterio determinativo. Tuttavia, il parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere individuato nella non autosufficienza economica dello stesso.
Solo dopo aver accertato l’esistenza di tale requisito, è possibile esaminare i criteri determinativi.
Tali differenti interpretazioni derivano dalla lettura dell’art. 5, co. 6, L. n. 898/1970 che contiene un generico riferimento a “mezzi adeguati”, ma non indica come effettuare il giudizio di adeguatezza.
5.1.3 Cassazione, Sez. Un., n. 18287 del 2018
Da ultimo, la Cassazione è ritornata sulla questione per dirimere i suddetti contrasti.
Con tale pronuncia, i giudici di legittimità impongono di considerare i criteri indicati dall’art. 5, co. 6, L. n. 898/1970. S’impone una prima indagine sullo squilibrio tra i coniugi, attraverso la verifica della documentazione fiscale e l’esercizio di poteri istruttori officiosi, di quali può derivare o un profilo assistenziale dell’assegno, oppure l’esistenza di una posizione equilibrata.
Occorre, inoltre, prendere in considerazione anche altri elementi, quali il contributo del coniuge richiedente nella gestione familiare, nella creazione del patrimonio coniugale e personale. Tale contributo nasce dalle decisioni comuni, dalla gestione del rapporto coniugale o dall’assolvimento dei doveri previsti dall’art. 143 c.c.
Alla stregua di tutti i predetti criteri, l’assegno divorzile avrà funzione assistenziale e anche funzione compensativa e perequativa, attribuendo rilevanza a quanto dal coniuge istante è stato investito nella gestione e nella vita familiare.
Alla luce di tale orientamento, il diritto all’assegno di divorzio non dipende più dalla mancanza di autosufficienza economica di chi lo richiede o dall’esigenza di consentire al coniuge privo di mezzi adeguati il ripristino del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, poiché tale diritto sorge per porre rimedio allo squilibrio esistente nella situazione economico-patrimoniale delle parti.
L’assegno non viene più considerato un mezzo utile a ripristinare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, né uno strumento assistenziale.
Valorizzando la funzione compensativa dell’assegno, sarà possibile riconoscere il contributo che il coniuge richiedente ha apportato alla realizzazione della vita familiare.
La tutela perequativa, invece, consentirà di tenere conto delle situazioni di dislivello reddituale conseguenti alle comuni determinazioni dei coniugi e indipendentemente dall’accertamento dello stato di bisogno[2].
6. Le conseguenze dell’instaurazione di una convivenza di fatto da parte di ciascuno degli ex coniugi sull’assegno: Cassazione, Ordinanza n. 28995 del 2020
Sulla base della riconosciuta funzione retributivo-compensativa dell’assegno divorzile, le Sezioni Unite sono state sollecitate a prendere posizione sulla questione dell’incidenza che l’instaurazione della convivenza di fatto con un terzo ha sul diritto dell’ex coniuge, economicamente più debole, all’assegno di divorzio.
A tal riguardo, occorre prendere le mosse dall’art. 9, co. 1, L. n. 898/1970. Tale norma prevede che l’assegno divorzile possa essere modificato se “sopravvengono giusti motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio”; l’art. 5 della medesima legge invece prevede quale causa del venire meno dell’obbligo di corresponsione dell’assegno le nuove nozze del coniuge al quale sia stato attribuito.
La Suprema Corte, nell’interpretare l’art. 9 della L. n .898/1970, ha affermato che ai fini della revisione dell’assegno di divorzio occorrono due condizioni: la sussistenza di una modificazione delle condizioni economiche degli ex coniugi e l’idoneità di tale modificazione a immutare il pregresso assetto realizzato dal precedente provvedimento sull’assegno[3].
L’instaurazione di una convivenza more uxorio da parte del coniuge al quale è stato attribuito l’assegno è considerato uno dei fatti che possono modificare la sua situazione economica.
In altre occasioni, la giurisprudenza di legittimità si era pronunciata nel senso opposto, escludendo che le prestazioni economiche del convivente potessero incidere sulle condizioni economiche del titolare dell’assegno.
Tale orientamento è stato nel tempo quello prevalente.
Riconosciuta la natura esclusivamente assistenziale dell’assegno di divorzio, la giurisprudenza riteneva che soltanto le nuove nozze dell’ex coniuge (titolare dell’assegno) facessero cessare l’obbligo posto a carico dell’altro alla corresponsione dell’assegno. La convivenza more uxorio non costituiva un elemento da prendere in considerazione poiché, a differenza del nuovo matrimonio, non implicava alcun diritto al mantenimento.
Inoltre, veniva esclusa l’assimilabilità delle convivenze more uxorio con il nuovo matrimonio. Secondo la Corte Costituzionale, la convivenza costituiva un rapporto di fatto, privo delle caratteristiche di stabilità e reciprocità di diritti e doveri che nascono solo dal matrimonio[4].
Di tal guisa, si escludeva la possibilità di applicare per analogia la disciplina del matrimonio alle convivenze more uxorio.
Successivamente, si è imposto un orientamento volto ad attribuire pregio alle predette convivenze caratterizzate da stabilità, continuità, condivisione di un progetto di vita, ai fini della quantificazione dell’assegno di divorzio.
Purtuttavia, la Corte di Cassazione ha precisato che, per la mancanza di analogia tra il nuovo matrimonio del coniuge divorziato, che fa cessare ex se il suo diritto all’assegno, e la convivenza more uxorio, il diritto all’assegno entra in una sorta di quiescenza e può essere ricostituito se viene meno la convivenza di fatto.
Più di recente, i giudici di legittimità hanno riconosciuto che la convivenza di fatto costituisce una formazione sociale stabile e duratura e trova tutela ai sensi dell’art. 2 Cost.
La famiglia di fatto è il frutto di una scelta esistenziale libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio della cessazione di un rapporto ed esclude ogni residuo di solidarietà post-matrimoniale con l’altro coniuge.
L’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, fa venire meno il diritto all’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge. Tale diritto viene definitivamente escluso[5].
Tale orientamento si basa sul principio di auto-responsabilità per escludere che il coniuge che abbia scelto liberamente di formare una nuova convivenza possa avere diritto all’assegno divorzile nel caso in cui la convivenza venga meno.
Tuttavia, il principio di auto-responsabilità, interpretato alla luce della funzione compensativo-perequativa attribuita all’assegno, impone di ripensare il predetto orientamento.
In effetti, il principio di auto-responsabilità non opera solo con riguardo al futuro, chiamando gli ex coniugi che costituiscano con altri una stabile convivenza a scelte consapevoli di vita e alle conseguenze che ne derivano anche in termini di perdita di pregresse posizioni di vantaggio.
Il suddetto principio opera anche rispetto al passato, poiché il coniuge economicamente più debole ha diritto a essere ricompensato per il contributo fornito nella formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’ex coniuge. Il diritto all’assegno risponde alla necessità di attribuire rilievo a ciò che l’ex coniuge ha sacrificato nell’interesse della famiglia e dell’altro coniuge.
Alla stregua di tali considerazioni, è stato sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione per stabilire se, instaurata la convivenza di fatto, definita all’esito di un accertamento pieno su stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto dell’ex coniuge, sperequato nella posizione economica, all’assegno di divorzio, si estingua per un meccanismo automatico, oppure se siano praticabili altre scelte interpretative che, tenendo in considerazione il contributo dato dall’avente diritto al patrimonio della famiglia e dell’altro coniuge, sostengano l’affermazione dell’assegno divorzile negli effetti compensativi suoi propri[6].
Ipotesi diversa è quella in cui sia il coniuge obbligato alla corresponsione dell’assegno a formare una nuova famiglia.
La libertà di costituire una nuova famiglia dopo la separazione o il divorzio è un diritto fondamentale dell’individuo costituzionalmente riconosciuto; tuttavia, alla formazione di una nuova famiglia la legge non riconduce la riduzione automatica degli oneri di mantenimento nei confronti dell’ex coniuge e dei figli nati nel precedente matrimonio.
Gli obblighi nati a seguito di separazione o divorzio rimangono inalterati.
Sennonché, la costituzione di una nuova famiglia o la nascita di altri figli in seguito a una successiva unione possono essere considerate giustificati motivi idonei per rivedere le determinazioni adottate in sede di separazione dei coniugi o di divorzio.
La Cassazione ritiene che la formazione di un nuovo nucleo familiare e la nascita di figli devono essere considerate delle circostanze sopravvenute idonee a consentire la modifica delle determinazioni stabilite in sede di separazione o divorzio[7].
La misura dell’assegno di divorzio deve essere rivalutata in modo da non creare comunque per i componenti della prima famiglia una situazione deteriore rispetto a quella goduta dai membri della nuova famiglia.
7. Lo scioglimento dell’unione civile
La norma che stabilisce il diritto all’assegno nelle unioni civili è l’art. 5, L. n. 898/1970, richiamata dall’art. 1, co. 25, L. n. 76 del 2016.
Anche nel caso di scioglimento dell’unione civile, la determinazione dell’assegno deve tenere conto dei principi indicati dalla giurisprudenza della Cassazione.
Pertanto, alla parte dell’unione civile che si trovi in una posizione di squilibrio economico spetta un assegno il cui valore sia individuato in base alle perdite di chance subite per effetto delle scelte lavorative compiute durante la relazione.
8. Conclusioni
L’assegno divorzile ha interessato la giurisprudenza sotto vari aspetti, dalla sua funzione ai criteri di determinazione del quantum.
In ogni decisione della Suprema Corte si evidenzia che al centro dell’universo familiare si colloca l’individuo. Ciò costituisce giustificazione della protezione del gruppo e metro della sua tutela.
[1] M. FRATINI, Il sistema del diritto civile, Vol. 4, pp. 310-355
[2] L. GRASSO, “L’assegno di divorzio alla luce della sentenza delle SS. UU. n. 18287/2018”, in www.diritto.it
[3] Cass. sez. un., 7 settembre 1995, n. 9415
[4] Corte Cost., nn. 204 del 2003 e 313 del 2000
[5] Cass. Civ., Sez. VI-1, Ord. n. 2466 del 2016
[6] Cass. civ. Sez. I, Ord., n. 28995 del 2020
[7] Cassazione civile sez. VI, n. 14175 del 2016
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Ambra Calabrese
Avvocato
Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi di laurea in diritto processuale penale dal titolo "L'avviso di conclusione delle indagini preliminari".
Conseguimento del diploma di specialista in professioni legali presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali "La Sapienza" di Roma.
Abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Roma.
Master in Diritto di famiglia e minori conseguito presso Studio Cataldi in collaborazione con il Centro Studi di Diritto di famiglia e dei minori di Roma.
Funzionario amministrativo presso il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.
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